Locke. Vita, pensiero, opere scelte

Autor John Locke |  Jo B. Paoletti |  Timayenis |  T. T.

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l GRANDI

FILOSOFI Opere scelte da Armando Massarenti

l GRANDI FILOSOFI

Opere scelte da Armando Massarenti

1 0 - Locke © 2006 Il Sole 24ORE S.p.A Edizione speciale per Il Sole 24ORE 2006 Il Sole 24 ORE Cultura Direttore responsabile: Ferruccio De Bortoli Il Sole 24 ORE S.p.A Via Monterosa , 91- 20149 Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 542del 08-07-2005 Settimanale - n.5/2007

A

cura di:

Armando Massarenti Per

"

La

vita", il glossario, le schede di approfondimento,la cronologia

Testi di: Paola Pettinotti Per"// pensiero" e

"La

storia della critica"

Testi di: Mario Sina, Introduzione a Locke

© 1982, 1999. Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari & Figli Spa, Roma-Bari

Su licenza dì Gìus. Laterza Per"/testi"

Locke - Lettera sulla tolleranza Carlo Augusto Viano (a cura di)

© 1994Gìus. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Su licenza di Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Progetto grafico copertine:

Marco Pennisi

& C.

Opera realizzata da ANIMABIT S.r.l. Coordinamento editoriale: Elena Frau, Paolo Parlavecchia Coordinamento redazione: Lorenzo Dorettì, Bruno Facciola Redazione: Giulio Belzer, Cinzia Emanuelli Progetto grafico: Serena Ghìglino, Marcella Paladino Impaginazione: Serena Ghiglino Ricerca iconografica,fotolito: Alessandro Ravera Richiesta arretrati: i numeri arretrati possono essere richiesti

direttamente al proprio edicolante di fiducia al prezzo di copertina Finito di stampare nel mese dì gennaio 2007 presso: Officine Grafiche Calderinì S.p.A. Via Tolara di Sotto, 117 (Ponte Rizzoli) 40064 Ozzano Emilia (BQ)

Locke

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Locke, esperienze di libertà di Armando Massarenti

«Mi vengono in mente solo opinioni che non condivido» è una vecchia bat­ tuta di Altan . Ma allora di chi sono quelle opinioni? Sono mie o di qualcun altro? Potrei anche dire: «Mi affiorano alkl mente solo ricordi che non sono miei». E allora dovrei chiedermi: Se nessuno di quei ricordi è mio, chi li sta evocando ? Nel 37 . Pur essendo l'indagine circoscritta al solo problema della legge naturale, già in questo Essay compaiono nelle linee portanti gli argomen­ ti della critica lockiana alla conoscenza innata, destinati a prendere forma definitiva nel I libro del Saggio sull 'intelletto umano. n problema è quello di stabilire se l'anima dell'uomo al momento della nascita sia soltanto una tavola rasa, che dovrà in seguito ricevere le nozioni fomite dall'os­ servazione e dal ragionamento, oppure se rechi connaturate e i scrit­ te in sé le leggi di natura che indicano qual è il suo dovere3 8 . Mentre le dottrine innatistiche - platoniche e cartesiane - si basano su «un'asserzione gratuita, che finora nessuno ha dimostrato, nonostante le fatiche di molti a questo proposito, che l ' anima umana al momento della nascita sia qualcosa di diverso da una tavola rasa, capace di ricevere ogni sorta di impressioni, senza averne tuttavia nessuna iscritta in sé dalla natu­ ra» 39 , molti argomenti inducono a ritenere valida la soluzione opposta.

n fatto che «gli uomini non si trovino, tutti fino all'ultimo, immediata­ mente d'accordo, senza nessuna esitazione, intorno a questa legge, pron­ ti all'obbedienza»40 , che «i bambini nella più giovane età, gli ignoran-

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ti, e quei popoli primitivi che vivono, come si dice, secondo natura, senza istituzioni , senza leggi, senza conoscenza alcuna, non conoscono e non comprendono questa legge meglio di tutti gli altri» 41 , che «i folli e i malati di mente [coloro cioè la cui conoscenza è menomata dalla imper­ fetta struttura degli organi corporei] non hanno di essa nessuna cognizio­ ne» 42 , portano a concludere che la legge naturale non sia iscritta nei nostri cuori . Infine, «se la legge di natura fosse iscritta nei nostri cuori, si dovrebbe concludere che vi sono iscritti ugualmente i principi specula­ tivi e i princìpi pratici, il che sembra tuttavia difficile a provarsi»43. Nel quinto Essay Locke si discosta dall'insegnamento del Culverwell negando validità all'argomento del consenso universale . L'antica convin­ zione , condivisa dal Culverwell nel capitolo decimo del suo Discourse, viene rifiutata con forza da Locke, che i recenti eventi politici avevano reso diffidente:

Vox populi vox Dei: quanto incerta e fallace sia questa massima appor­ tatrice di mali, con quanto spirito di parte , con quale crudele inten­ dimento sia stato divulgato questo proverbio di cattivo augurio, noi lo abbiamo imparato senza dubbio da un'esperienza troppo infeli­ ce; e , di conseguenza, se noi volessimo dare ascolto a questa voce come a un messaggero della legge divina, difficilmente continuerem­ mo a credere che esiste un Dio. Che cosa c'è infatti di tanto scelle­ rato, di tanto atroce e contrario ad ogni diritto e giustizia, a cui non sia riuscito talvolta a convincere il consenso, o piuttosto la congiu­ ra, di una moltitudine impazzita?44 Gli ultimi Essays, relativi alla obbligazione e al fondamento della legge di natura, rifiutano radicalmente le dottrine hobbesiane. Essi sono inte­ si esplicitamente a confutare coloro i quali «riducono ogni legge di natu­ ra al principio dell' autoconservazione dell' individuo, senza ricercarne i fondamenti in qualcosa di più profondo che non in quell' attaccamento istintivo di cui ognuno circonda se stesso»45 , o coloro i quali «arrivano a procl amare che [ ... ] ogni forma di diritto e di equità non si doveva com­ misurare sulla base di una legge estranea [legge di natura] , ma sulla base dell'utilità propria di ciascuno» 46 .

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Per proclamare l'obbligazione di questa legge Locke invoca il motivo della volontà di Dio, creatore e primo legislatore di tutto l'ordine naturale, volon­ tà che si manifesta nella conformità razionale dei decreti della legge naturale: Questa legge possiede tutti i requisiti di una legge avente forza obbligante. Dio infatti, autore di questa legge, ha voluto che essa costi­ tuisse la regola della nostra condotta morale e della nostra vita, e l 'ha resa perciò sufficientemente di pubblico dominio, così che chiun­ que può apprenderla, purché abbia la volontà di applicarsi con dili­ gente cura e di rivolgere la mente alla conoscenza di essa. Pertan­ to, dunque, poiché per produrre un'obbligazione non si richiede altro al di fuori dell' autorità, del giusto e fondato potere di chi è al

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comando e infine della manifestazione della sua volontà, nessuno può dubitare che la legge di natura obbliga il genere umano47 . Questa motivazione non deve però far pensare ad un rifiuto di Locke delle tesi di Grozio sull'essenza e sul valore della legge di natura, preceden­ temente condivise, e nemmeno ad un'ambiguità del pensiero lockiano ancora aperto alle istanze volontaristiche puritane , quanto invece alla con­ vinzione , comune con il Culverwell e il Whichcote48 , che il volere divi­ no coincide in modo perfetto con la razionalità più completa. Ad Oxford Locke ritornò ancora dopo il soggiorno dell'inverno 1665 a Clèves, alla corte dell'Elettore del Brandeburgo, in missione diplomati­ ca al seguito di Sir Walter Vane. Nonostante le buone prospettive che la carriera diplomatica gli stava offrendo, egli preferì continuare, insieme con gli amici Robert Boyle e David Thomas, i suoi studi di scienze naturali e, in particolare, di medicina. Nel 1667 conobbe il celebre cli­ nico Thomas Sydenham, del quale divenne stimato discepolo e col quale col laborò anche negli anni seguenti alla chiarificazione critica del meto­ do di indagine in campo clinico49 .

I l . A LO NDRA E I N FRANCIA: LA MATU RAZI O N E DEL PENSI ERO LOCKIANO L'incontro con Lord Ashley Cooper, il futuro primo conte di Shaftesbu­

ry, segnò una tappa importante nella vita di Locke. L'influente uomo poli­ tico inglese «concepì tanta stima per Locke, che da allora considerò la sua abilità medica, che pure Locke aveva dimostrato così grande, solo come la più piccola delle sue qualità. Lo esortò ad interessarsi di altro, e non volle che egli esercitasse quest'arte per persone estranee alla sua famiglia o alla cerchia dei suoi amici intimi . Volle che egli si applicas­ se piuttosto allo studio dei problemi che riguardavano lo Stato e la Chie­ sa d'Inghilterra, e di quelli che avevano un qualche rapporto con le fun­ zioni di un ministro di Stato)) l . Anche se aveva accettato di seguire a Londra aii' Exeter House Lord Ashley Cooper, Locke non abbandonò del tutto i suoi studi scientifici. Nel 1668 divenne membro della Royal Society, e fece parte del suo

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comitato ristretto «for considering and directing experiments)) , e conti­ nuò a mantenere il suo posto difellow presso il Christ Church College. L'ambiente londinese però e le nuove incombenze a fianco del suo Lord protettore, che in quegli anni ricoprì le massime cariche governative , ampliarono l 'orizzonte dei suoi interessi e riproposero con nuova inten­ sità antichi problemi . A Londra Locke dovette interessarsi di questioni economiche ed ammi­ nistrative . Su segnalazione di Lord Ashley divenne segretario dell' asso­ ciazione dei Lords Proprietors della Carolina, carica che mantenne fino al giugno 1 675 , e collaborò nel 1669 alla stesura di un progetto di Fun­

damental Constitutions for the Government of Carolina2 . Nel 1668 - anno in cui Lord Ashley ricopriva la carica di Cancelliere dello Scacchiere Locke compose il nucleo principale delle Some Considerations of the

Lowering of lnterest and Raising the Value of Money, che vennero date alle stampe solo nel 1 692 3 . Quando poi nel 1 672 Lord Ashley divenne primo ministro, Locke fu nominato segretario della commissione «of Pre­ sentations and Benefits)) e l'anno seguente segretario del «Council of Trade and Plantations)) . La vicinanza di Lord Ashley, sostenitore di una politica di pacificazio­ ne generale dei protestanti - sia aderenti alla Chiesa anglicana, sia dis­ senzienti - al fine di potenziare il partito del Parlamento contro quello della Corona, di nota tendenza cattolica, indusse Locke a rimeditare sulle tesi della tolleranza religiosa e a rivedere le soluzioni proposte negli scritti del 1 660- 1662. La riflessione lockiana, che portò alla stesura nel 1667 dell' Essay concerning Toleration4, si era frattanto arricchita sia per l'approfondimento della dottrina sulla legge di natura e sui diritti inalie­ nabili della ragione del singolo uomo nella ricerca delle verità etico-reli­ giose, sia per le nuove esperienze politiche. Locke era stato ammonito dali' inasprimento della restaurazione stuartiana, intesa a far tacere anche in campo religioso ogni voce discorde . Sempre più pesanti si erano fatte le restrizioni e le sanzioni contro i dissidenti puritani: dal Corporation

Act ( 166 1 ) che prescriveva la professione di fede anglicana per coloro che rivestivano cariche pubbliche, ali'Act of Uniformity ( 1 662) che rese obbligatori le pratiche religiose e il rito anglicano, costringendo tutti i sud­ diti e tutte le chiese ad uniformarvisi, al Conventicle Act ( 1 664) che proi-

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bì ogni forma di culto privato e di assemblea religiosa non ufficiale, alla quale partecipasse un numero superiore a cinque persone , al Five Miles

Act ( 1665) che imponeva a coloro che avevano rifiutato il giuramento di fedeltà al re e di soggezione alla Chiesa anglicana di tenersi lontani dalle loro antiche parrocchie e città. Locke aveva poi costatato, nel suo soggiorno a Clèves nel 1665, che la convivenza pacifica di uomini con fedi religiose diverse era possibile e che la diversità delle forme di culto poteva non portare alcun pregiudizio alla pace e al benessere dello Stato. A Clèves

infatti egli vide che calvinisti, luterani e cattolici «permettono

pacificamente l'uno all 'altro di scegliere la propria strada per il cielo» , né al suo sguardo critico fu dato «di osservare alcuna contesa o animo­ sità tra di loro per motivi di religione» 5 . Redigendo così l ' Essay concerning Toleration, Locke sentì l' esigenza di limitare notevolmente il diritto di intervento del magistrato civile nelle questioni religiose. Riconobbe che le opinioni speculative e il culto divi­ no «godono di un diritto alla tolleranza assoluto ed universale»6 . Il magistrato civile infatti in questioni che «Si svolgono intieramente tra Dio e me stesso» , non ha potere di intervento alcuno, essendo queste estra­ nee alla sua competenza: Il luogo, il tempo, il modo del culto della divinità, è cosa che legit­ timamente pretende una tolleranza illimitata, perché questa è cosa che si svolge intieramente tra Dio e me stesso e il suo interesse eter­ no è al di là della portata e dei limiti della politica e dei governi, il cui scopo è soltanto il mio benessere in questo mondo: perché il magi­ strato è arbitro tra uomo e uomo e null' altro; può farmi giustizia con­ tro il mio prossimo, ma non può difendermi contro il mio Dio7. I l magistrato non può ricevere i n questo ordine di cose potere alcuno, nem­ meno per libero contratto, perché, come tanto avevano insistito i teolo­ gi latitudinari , quello religioso è un compito che non ammette delega di sorta: Né si può pensare che gli uomini conferiscano al magistrato il pote­ re di scegliere per conto loro la via della salvezza, che è potere trop-

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po grande perché possa essere ceduto , se pure non è possibile sepa­ rarsene s . Risulta allora soltanto un pretesto invocare l'esigenza della concordia civile, e le eventuali intemperanze non possono inficiare la bontà del principio: Il culto religioso, che è l 'omaggio che tributo al Dio che adoro nel modo che giudico essergli accettabile, ed è quindi un'azione o relazione che intercorre soltanto tra Dio e me stesso, non ha di sua natura nulla a che fare con il mio governatore o il mio prossimo, e di conseguenza non dà luogo ad alcuna azione che turbi la pace della comunità. Infatti inginocchiarsi o star seduti di fronte al Sacramen­ to non può di per se stesso tendere a disturbare il governo o ad offen­ dere il mio prossimo più di quanto lo possa il sedere o lo stare in piedi alla mia tavola; portare una cappa o una cotta nella chiesa non può per sua natura mettere in allarme o minacciare la pace dello Stato più che portare al mercato un mantello piuttosto che un cappotto [ . . . ] . Se osservo il venerdì come i maomettani, o il sabato come gli ebrei, o la domenica come i cristiani , che io preghi secondo una for­ mula o indipendentemente da essa, che tributi il mio culto a Dio mediante le varie e pompose cerimonie dei papisti o nella manie­ ra più semplice dei calvinisti, in nessuna di queste cose, se vengo­ no compiute sinceramente e secondo coscienza, io vedo alcunché che possa di per se stesso fare di me un peggior suddito del mio sovrano o un peggior prossimo per chi è suddito come

me ,

salvo

che io voglia per superbia o sopravvalutazione della mia opinione personale , e in base ad una segreta presunzione di infallibilità, for­ zare e costringere altri ad essere d' accordo con me e censurarli e dir male di loro se non lo sono, attribuendomi qualcosa di simile ad un potere divino9 . Laddove invece le credenze religiose superano la sfera del privato e vengono ad incidere sulla costituzione o sull' ordinamento della società umana, è compito del magistrato civile legiferare ed intervenire.

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Affermo che tutti i principi pratici, ovvero le opinioni conformemen­ te alle quali gli uomini si ritengono obbligati a regolare le loro azioni reciproche , come ad esempio che essi possano allevare i loro figli o disporre del loro patrimonio come vogliono, che essi possa­ no lavorare o riposare quando lo ritengono opportuno, che la poli­ gamia o il divorzio siano legali o illegali , ecc., che queste opinion i , dico, e l e azioni che ne conseguono, con tutte l e altre cose indiffe­ renti , hanno pure diritto alla tolleranza; però soltanto nella misura in cui esse non tendono a turbare la pace dello Stato, né causano alla comunità più svantaggi che vantaggi I O . Regola fondamentale per dirimere ogni più particolare questione relati­ va alla tolleranza religiosa è quella di tener sempre ben presenti l'ambi­ to del potere e le funzioni proprie del magistrato:

n magistrato , in quanto magistrato , non ha nulla a che fare con il bene delle anime o col loro interesse in un 'altra vita; al contrario, egli è ordinato e il suo potere gli è affidato soltanto al fine della tranquil­ lità e della sicurezza della vita degli uomini nella società nei loro rap­ porti reciproci, come è già stato sufficientemente dimostrato . Ed è ancora più evidente che il magistrato non ordina che si pratichino le virtù per il fatto che esse sono virtuose ed obbligano la coscien­ za, o perché costituiscono il dovere dell' uomo nei confronti con Dio e la via alla sua misericordia o benevolenza, ma invece perché costituiscono altrettanti vantaggi per l'uomo nei suoi rapporti con gli uomini e la maggior parte di esse sono legami e vincoli solidi della società, che non possono essere indeboliti senza distruggerne l' in­ tera struttura I l . La progressiva chiarificazione della distinzione degli ambiti religioso e politico e la rivendicazione dei diritti inalienabili della coscienza del singolo, in armonia con il bene della società, mostrano il riferimento della dottrina lockiana alle tesi della teologia latitudinaria. Proprio in questa prospettiva il problema della tolleranza assume nuove dimensioni , non più strettamente ed esclusivamente politiche. La situazione politica

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contingente - cosa che apparirà più chiaramente nell'Epistola de Tole­

rantia - induce Locke alla chiarificazione del problema secondo più ampie e complesse categorie, teologiche e filosofiche; il parametro per la soluzione delle difficoltà non poteva più essere l 'opportunità del momento . A Londra Locke ebbe pure modo di riallacciare i legami con il pensie­ ro teologico e filosofico dei Cantabrigesi , ed in generale con il pensie­ ro dei latitudinari e dei teologi razionalisti del secondo Seicento. In qua­ lità di vicario nella chiesa londinese di St. Lawrence Jewry fu trasferito nel 1668 Benjamin Whichcote e Locke divenne fedele uditore dei suoi sermoni. In questa città inoltre Locke ebbe modo di frequentare, o alme­ no di conoscere il Tillotson, il Mapletoft, il Patrick, il Fowler. Questi incon­ tri e queste conversazioni favorirono la più approfondita riflessione sui temi del rapporto tra ragione e fede, della conoscibilità razionale delle leggi morali e religiose fondamentali, sui pericoli degli eccessi del fana­ tismo religioso, sui fondamenti della politica ecclesiastica. Dalla riflessione su temi dibattuti in questo ambiente teologico e così vivi nella cultura inglese del secondo Seicento, maturò in Locke il desi­ derio di iniziare quelle indagini sull' umana conoscenza che avrebbero portato alla composizione del Saggio sull 'intelletto umano. Sappiamo da una nota manoscritta del Tyrrell 12 che proprio per approfondire le que­ stioni relative «ai principi della morale e della religione rivelata>> Si radu­ navano intorno a Locke , aii ' Exeter House, un gruppo di amici, compo­ sto, oltre che dal Tyrrell, da Lord Ashley, dal dr. Thomas , dal Mapletoft e dal Sydenham. Locke si avvide presto che una soluzione a simili pro­ blemi richiedeva una precedente disamina filosofica: Dopo esserci scervellati un poco senza esserci avvicinati di più alla soluzione di quei dubbi che ci rendevano perplessi, mi accadde di pensare che eravamo su una strada sbagliata; e che, prima di inizia­ re indagini di quella natura, era necessario esaminare le nostre capa­ cità, per vedere quali oggetti il nostro intelletto fosse o non fosse in grado di trattare . Proposi ciò alla compagnia, la quale prontamente acconsentì; e fu quindi accordato che questa sarebbe stata la nostra prima indagine 1 3 .

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Loc ke e H o b bes Rivoluzione, repubblica, restaurazione, seconda 'Gloriosa' rivoluzione, monarchia costitu­ zionale: un periodo travagliato, che vede contrapporsi e sfidarsi non solo fautori della Coro­ na e del Parlamento, Thories e Whigs, ma anche e soprattutto due diverse ideologie poli­ tiche. Assolutismo e liberalismo si definiscono in questa fine di XVIII secolo acquisendo una dimensione teorica compiuta nelle diverse e antitetiche concezioni di Hobbes e di Locke. Entrambi i filosofi per altro partono da un metodo empirico mutuato dalla scienza, basato sull'osservazione, per estendere poi i risultati ad un ambito più ampio, giungen­ do infine a soluzioni diametralmente opposte. Hobbes, non a caso tutore del re Carlo Il, nel 1 651 con la pubblicazione del Leviatano codifica appieno le teorie assolutistiche. Un libro considerato " scandaloso" , soprattutto per il profondo ateismo da cui è pervaso, che portò ancora nel 1 679 a bruciarlo pubblicamente ad Oxford; per quanto già undici anni prima, nel 1 668, Samuel Pepys annota nel suo Dia­ rio di averne pagato una copia di seconda mano il triplo del prezzo di copertina, perchè: " il vescovo non lascerà che venga pubblica­ to ancora " . Il testo però, malgrado anatemi vescovili e censura, venne ristampato nume­ rose volte ed entrò con grandissimo peso nel coevo dibattito politico. Secondo Hobbes, tutti i fenomeni, anche

Ritratto di John Locke (tela di Sir Godfrey Kneller, XVII secolo). Nel corso del Seicento, Locke e Hobbes furono

quelli afferenti alla sfera dello spirito, devo­ no essere interpretati in chiave meccanicisti­

i due massimi esponenti della filosofia

ca, in quanto la realtà si esprime solo i n

politica inglese.

forme materiali, e quindi risulta soggetta a

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Ritratto di Thomas Hobbes (tela di John Michael Wright. 1669 ca.). Le tesi di Hobbes sull'assolutismo monarchico nascevano dall'analisi del periodo di crisi attraver­ sato dall'Inghilterra negli anni della dinastia Stuart.

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leggi determi nistiche. A ogni effetto la sua causa, e causa di ogni azione umana è l'egoismo dell'uomo stesso, owero il suo desiderio di appagare i propri bisogni e pro­ curarsi il piacere. Questa continua applicazione del principio mors tua vita mea, porte­ rebbe però ad una continua lotta di tutti contro tutti, rendendo impossibile ogni forma di umano consorzio. Quindi gli uomini, spinti di nuovo solo da un calcolo utilitaristico fina­ lizzato alla soprawivenza della specie, avrebbero delegato ad un sovrano l'autorità assoluta di imporre leggi e regole, sottomettendosi al suo egoismo, in modo da sfuggi­ re ad una libertà foriera di distruttiva anarchia. lo stato nascerebbe quindi da questo teo­ rico contratto sociale, nel quale però il re avrebbe conservato il diritto naturale su tutto, senza limiti di sorta, in quanto è interesse dei cittadini che egli sia dotato di potere assoluto, per poter soffocare senza intral­ ci ogni motivo di contesa e di disordine. la società civile quin­ di altro non sarebbe che la ces­ sazione volontaria dei diritti naturali dell'uomo, che da lupo si fa ordinato gregge, in vista di benefici pratici di ordine e paci­ fica convivenza. locke, che scrive circa trent'an­ ni dopo, avendo quindi visto l'evolversi della situazione poli­ tica e sociale, ed è a differenza del precedente filosofo permea­ to di profonda fede calvinista, parte da presupposti simili rifa­ cendosi anch'egli al diritto natu­ rale e all'origine contrattualisti­ ca dello stato, con la differenza

Ritratto di Carlo l Stuart (tela di Daniel Mytens, 1631 ). 1 tentativi di Carlo l di instaurare un potere monarchico assoluto sull'Inghilterra portarono allo scoppio della guerra civile.

però che invece di individuare la natura profonda dell'uomo in un ferino egoismo, la identifica inve­ ce in un sentimento fondamen-

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tale di simpatia che lo lega ai suoi simili. La società quindi non nascerebbe da una rinun­ cia volontaria al diritto alla libertà, alla vita, alla proprietà e all'autodifesa - diritto che allo stato di natura non solo non porta necessariamente alla guerra di tutti contro tutti, ma può essere goduto liberamente senza ledere il prossimo - ma anzi avrebbe il fine d i garantire la difesa del diritto stesso. Il patto sociale avrebbe quindi come scopo proprio la garanzia superiore di poter godere appieno dei propri diritti, che quindi logicamente lo Stato deve rispettare come condizio sine qua non. Se ciò non awiene, se lo Stato arbi­ trariamente lede i diritti naturali dei sudditi, il patto può considerarsi infranto ed i citta­ dini hanno il diritto-dovere di ribellarsi. Come puntualmente awiene al vaglio dei fatti, la teoria di Locke risulta quella vincen­ te, e dalla Gloriosa rivoluzione nasce la prima forma di monarchia costituzionale, per cui i sovrani non regnano più per diritto divi no, ma su invito del popolo e del Parlamento, e devono accettare una Dichiarazione di diritti prima di ricevere la corona. Owero un dichia­ rato patto sociale fra il re e la nazione. Non tutta la nazione: parlare di democrazia sareb­ be anacronistico, e d'altronde all'epoca il termine era usato solo come sinonimo di anarchia ed in accezione negativa, accompagnato puntualmente da aggettivi quale" ribal­ da " o "vile". L' Inghilterra che vi nce, e che ha come suo portavoce Locke, è la classe media, i borghe­ si di città, gli squires delle campagne, una netta minoranza a livello numerico che però

è in grado di muovere un'importante forza economica e culturale. Il " patto sociale" lockiano infatti si basava sul presupposto della protezione della pro­ prietà: quindi era rivolto a chi aveva qualcosa; quando la metà della popolazione reale non guadagnava abbastanza per vivere, schiacciata dalla tassazione indiretta che inci­ dendo sui beni di primo consumo - dal 1 688 al 1 7 1 4 sono tassati malto e luppolo, sale, sapone, candele e cuoio - ne riduce il potere d'acquisto fino alla fame. Un contratto socia­ le che garantisca leggi certe su cui fare affidamento, svincolate da ogni forma di arbi­ trio regio, era fondamentale per garantire i commerci e la stabilità della proprietà priva­ ta: le classi popolari, i contadini, gli operai, non godono per il momento di miglioramenti di sorta; anzi, vedono svanire il sogno mutuato nelle pieghe della rivoluzione del ripri­ stino delle terre di uso comune, del trionfo di valori diversi da quelli della società mer­ cantile e della produzione di merci. E tuttavia qualcosa di grande è stato fatto: rimane il diritto alla libertà di coscienza e religione, il riconoscimento della validità assoluta della legge - anche se per i l momento non è ancora uguale per tutti - della sicurezza della persona da ogni arbitrio. Basi che consentiranno, col tempo e con una dura lotta, a tutte le classi sociali di progredire e di conquistarsi un posto dignitoso nella storia.

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Tracciò quindi «alcuni pensieri frettolosi e maldigesti », cioè alcuni appunti che furono presentati e discussi nelle successive riunioni tenu­ te in quello stesso anno 167 1 1 4 . Probabilmente la discussione con gli amici spinse Locke a precisare e ad approfondire questi pensieri, e a stendere durante l' estate il primo abbozzo (Draft A)15 del Saggio sull 'intelletto

umano. In esso Locke affrontò subito il problema deli' estensione deli 'uma­ na conoscenza e si soffermò in particolare su quei temi cui sarebbe stato dedicato il quarto libro del Saggio. Affermò che la nostra conoscenza deri­ va dai sensi e che quanto è completamente al di fuori de li' ambito deli 'uma­ na esperienza non è da noi conoscibile. Non soddisfatto , Locke non terminò questo abbozzo , e nell 'autunno dello stesso anno tentò una nuova, più ampia e più ordinata stesura dei suoi pensieri sull'umana conoscenza , il secondo abbozzo (Draft B) 16 , dove si soffermò in particolare su molti argomenti che avrebbero costituito parte del II libro del Saggio: le idee complesse, la conoscenza delle sostanze e delle relazioni , la durata, il tempo, il movimento, l' infinito, il rappor­ to causa-effetto . Poco spazio venne in questo Draft dato ai problemi esa­ minati nei libri III e IV del Saggio. Anche questo secondo abbozzo però non fu terminato , sia per la poca disponibilità di tempo di Locke, che al servizio di Lord Ashley era preso da numerosi impegni di ben diversa natura, sia - come ci suggerisce l' Aa­ ron - perché «egli allora non sapeva come finirlo» 17 . In effetti i diciot­ to anni che passarono prima della pubblicazione del Saggio nel dicem­ bre 1689 - anni in cui Locke venne a più diretto contatto con la cultura francese ed olandese - non si rivelarono inutili per la gestazione del Sag­

gio, ma contribuirono non poco alla chiarificazione e all' approfondimen­ to di una problematica così vasta ed impegnativa. Gli anni della permanenza di Locke nel continente, prima in Francia per motivi di salute ( 1 675-1 679) e poi in Olanda come rifugiato politico ( 1 6831689), furono assai ricchi di incontri e densi di studi. Locke, sofferente di asma, lasciò Londra nel novembre del l 675 e si dires­ se dapprima verso il meridione della Francia, alla ricerca di un clima mite mediterraneo. Trascorse più di un anno a Montpellier, poi si stabilì a Pari­ gi dove rimase quasi ininterrottamente fino al suo rientro in Inghilterra nel maggio del 1 679 .

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Il periodo trascorso a Montpellier, pur rappresentando una pausa dell'at­ tività di Locke ed una parentesi di vita calma e ritirata, non fu un perio­ do di ozio intellettuaJe i 8 . Colà Locke si incontrò con il cartesiano Pier­ re-Sylvain Régis che in quegli anni a Montpellier stava divulgando la filosofia e la fisica cartesiane, mantenne rapporti con ragguardevoli stu­ diosi di medicina e di scienze sperimentali , quali Pierre Magnol e Pier­ re Jolly, ma soprattutto venne a contatto con la cultura francese grazie alla lettura di una vasta gamma di libri. Letture di argomento geografico, sto­ rico, politico, letterario riempirono quelle lunghe giornate . Ultimi però non furono i libri di più stretto interesse filosofico. Risale a questo perio­ do la lettura della Recherche de la Vérité del padre Malebranche , anche se solo molto più tardi egli compose l ' Examination of P. Male branche s

Opinion ofSeeing ali Things in Godl9. Sempre a Montpellier Locke acqui­ stò una copia delle Pensées di Pascal, che lesse con viva attenzione, tanto che numerosi spunti di chiaro sapore pascaliano si ritrovano nelle sue anno­ tazioni del 167720 . I pensieri sul limite dell'umana ragione, in grado sì di fornirci conoscenze pratiche, utili per il soddisfacimento dei nostri biso­ gni , ma incapace di giungere ad una perfetta comprensione delle cose, risuonano addirittura con la stessa intonazione delle Pensées. Anche l'argomento della scommessa - come argomento di valore pratico per la dimostrazione dell'esistenza di Dio - viene da Locke tenuto presente nel tracciare le sue riflessioni sull'ateismo e sul problema della dimostrazio­ ne dell'esistenza di Dio2 I . I contatti avuti in questa città con gli ugonotti e la considerazione della situazione di questa minoranza, soggetta alle leggi restrittive ed intimi­ datone del governo di Luigi XIV, confermò Locke nella convinzione già emersa nell' Essay concerning Toleration che il primo elemento di garan­ zia per la concordia religiosa era la netta distinzione degli ambiti di competenza civile e religiosa. Perché regni la pace in quelle zone in cui vi sono diverse confessio­ ni religiose, bisogna che due cose siano perfettamente tenute distin­ te: la religione ed il governo, nonché i rispettivi ministri e magistra­ ti e le loro specifiche competenze; un magistrato deve solamente preoccuparsi della pace e della sicurezza politiche, mentre i mini-

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stri devono solamente badare alla salvezza delle anime, e, se sarà loro proibito di inunischiarsi in questioni politiche quando predicano, pro­ babilmente la pace sarà molto meno turbata22 . Molti atteggiamenti religiosi del mondo cattolico sembrarono agli occhi di Locke dipendere troppo da un irrazionale atteggiamento fideistico, pron­ to a giustificare molte credenze col semplice ricorso ali' above Reason: «essi gridano forte che è materia di fede e above Reasonf»23. Si ripro­ pongono così a Locke con nuova forza gli interrogativi posti nelle discus­ sioni aii' Exeter House di Londra, che lo avevano spinto ad «esaminare la nostra stessa capacità e vedere quali oggetti siano alla nostra portata, e quali invece siano superiori alla nostra comprensione» . Nelle pagine da lui stese tra il 25 agosto e il l settembre 1 676 viene affacciandosi quel­ o

la soluzione definitiva del rapporto tra fede e ragione, che sarà consacra­ ta nel capitolo XVIII del IV libro del Saggio sull 'intelletto umano . Sulla traccia delle contemporanee ricerche dell' amico inglese Robert Boyle, che nel 1 675 aveva pubblicato il volume sulla Reconcileableness of

Reason and Religion, anche Locke cerca di distinguere le «provinces of faith and reason» , convinto che, se una chiara distinzione non viene operata tra i due settori , inevitabile è il pericolo del cedimento ali 'entu­ siasmo: «non vi sarà alcun uso, né posto alcuno per la ragione, e quelle stravaganti opinioni e cerimonie che si trovano in molte religioni del mondo non meriteranno il nostro rimprovero» 24 . Locke in queste pagine - come farà pure successivamente nel Saggio sul­

l 'intelletto umano - distingue tre generi di oggetti, o di proposizioni che possono essere proposte all'assenso dell'uomo: quelle «costruite su idee chiare e perfette», quelle «contrarie alle nostre idee chiare e perfette» , e quelle «superiori alla nostra ragione». Le prime non richiedono per nulla l'aiuto della fede e costituiscono l' ambito di stretta competenza della ragio­ ne; le seconde sono estranee sia all'ordine della ragione, sia a quello della fede, essendo in antitesi con ogni possibilità conoscitiva; per le terze infi­ ne «noi non solo possiamo, ma dobbiamo ricorrere alla rivelazione, essendo questo intero dominio della fede» 25 . Precisa però subito Locke , volendo evitare ogni possibile interferenza tra il settore dell' above Rea­

son e del contrary to Reason, e volendo mettere in guardia il lettore con-

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tro ogni deviazione fideistica, ((la fede non cancella i confini della cono­ scenza, non scuote i fondamenti della ragione, ma ci lascia il completo uso delle nostre facoltà» 26 . Nell 'economia della speculazione lockiana è preziosa questa distinzio­ ne tra above Reason e contrary to Reason: essa ci permette infatti di tenerci lontani da ogni suggestione fideistica e da ogni deviazione tipica dell' entusiasmo: ((Credo quia impossibile est potrebbe sembra­ re un segno di zelo religioso, mentre è l ' ultimo e il meno valido moti­ vo di assenso» 27 . L'uomo è tentato in ogni momento di accogliere passivamente, senza indagine critica, come parola divina quanto supe­ ra le sue possibilità conoscitive: ma quanto è veramente argomento di fede, e quanto invece non è altro che ((opinione strana e pratica stra­ vagante»? Un' attenta indagine razionale, intesa a verificare in una pretesa proposizione di fede la presenza o meno di contraddizioni, è un primo passo indispensabile per liberare la religione da ogni inquinamen­ to di irrazionalità e di entusiasmo. Anche la distinzione tra la zona della Reason e quella dell' above Rea­

son è fondamentale. Alla fede è riconosciuto un ambito di competen­ za particolare e specifico, ben distinto da quello della ragione e della filosofia: ((la fede viene in nostro aiuto dove la luce della ragione viene meno, mentre dove noi abbiamo conoscenza la fede non intervie­ ne , né tanto meno può contraddire la ragione» 28 . Ogni prevaricazione del dogma sulla filosofia dovrebbe quindi venir meno. Il dominio della fede resta così esclusivamente quello della dottrina

above Reason, mentre la zona dello sperimentabile e delle ((deductions upon clear and perfect ideas» sussiste con completo valore autonomo29 . Né, quando già il nostro intelletto raggiunge la conoscenza tramite il senso e la ragione, è più necessario il ricorso alla fede . Quando inve­ ce ((i nostri sensi vengono meno , allora la fede, basata sulla testimonian­ za di un altro, diventa la nostra fonte di informazione»; così pure quan­ do le idee della nostra ragione sono ((obscure and imperfect» , quando il nostro intelletto non è in grado di scoprire la concordanza o la discor­ danza di due idee tra di loro, quando la luce della ragione non è in grado di dirci dove risiede la verità, allora la fede diventa l ' unico mezzo per conoscere la verità 30 .

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Ecco allora che si specifica il vero contenuto della fede, l' ambito di com­ petenza cioè dell'above Reason . Nel dominio della fede noi troviamo innanzi tutto le proposizioni che, pur non essendo in contraddizione con le altre nostre idee, tuttavia sono tali che noi non saremmo mai stati in grado di scoprire con un procedimento logico, venendo meno l ' aiu­ to della ragione e del senso nella scoperta di molte verità la cui cono­ scenza ci è necessaria; Dio allora pose rimedio al difetto della ragio­ ne e del senso per la conoscenza di quelle cose necessarie alla nostra salvezza (svelandoci queste verità) che diventano propriamen­ te, a mio avviso, gli oggetti e la materia della fede divina3 1 . L'esempio addotto è quello della morte salvifica di Cristo: che Gesù di Nazareth morì in croce a Gerusalemme non è oggetto di fede , ma fu un fatto di esperienza tramandato dalla storia; è invece «materia di fede per tutti e di divina rivelazione» che egli morì per salvare l' uomo peccato­ re, cosa questa che l ' uso del senso e della ragione mai avrebbero potu­ to far conoscere32. La divina rivelazione può ancora svelare altre verità storiche e morali , aiutare le nostre deboli facol­ tà che procedono con lentezza estrema nella scoperta della verità, e palesare con chiarezza maggiore molte proposizioni che noi dob­ biamo necessariamente conoscere33 ; può cioè venire in aiuto alle naturali facoltà, ma in questa zona, che è di competenza della ragione , non può insegnare nulla di diverso da quan­ to la ragione già conosce o può conoscere. Se nella sfera dell ' above Rea­

son la ragione doveva controllare solamente la non contraddittorietà del dato della fede con quello dei sensi e delle idee chiare e distinte, in que­ sta opera di supporto compiuta dalla rivelazione essa dovrà invece con­ trollare la perfetta conformità del contenuto. La verità rivelata deve essere conforme a quella della ragione e dei sensi e non si potrà mai porre come alternativa a questa.

locke

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Dal giugno del 1 677 al maggio del 1679 Locke visse a Parigi. Anche que­ sto soggiorno, come mostrano i suoi Journals, fu ricco di incontri e di letture . Acquistò le opere di Cartesio e dei suoi principali commentato­ ri; frequentò il Toinard e il Justel, strenui oppositori della dottrina car­ tesiana degli animali macchine, e nel suo diario redasse alcune note cri­ tiche ai concetti cartesiani di spazio, di pieno, di infinito 34 . Venne a contatto con le dottrine di Gassendi attraverso gli incontri con il suo disce­ polo Bernier e la lettura dell Abrégé de la philosophie de Gassendi, da '

questi pubblicato nel l 678. In Gassendi Locke trovò conferma della sua dottrina della conoscenza, già delineata nel Dratf B: «In entrambi osserva il Bonno - troviamo una teoria della conoscenza che presenta un doppio carattere: empirico , per ciò che concerne l'origine delle idee semplici; composizionista , per ciò che concerne la formazione delle idee complesse» 35 . Ancora nel secondo libro del Saggio sul/ 'intelletto

umano compare l ' influsso del Gassendi , sia relativamente alla dottrina della potenza (cap. XXI , specie nella prima edizione) , sia relativamen­ te alla definizione di bene e di male36 . A Parigi si interessò pure di questioni bibliche e in particolare si soffermò sui problemi di cronologia scritturistica. L'amico Toinard - col quale Locke man­

Dog m a

tenne per molti anni dopo la partenza

I l termine " Dogm a " appare i nizial ­

dalla Francia una fitta ed interessante

mente n e l l e ve rsioni greche d e l l a

corrispondenza relativa a temi scienti­ fici e scritturisticj 37 - gli regalò una delle poche copie dell' Evangeliorum

harmonia graeco-latina che aveva fatto stampare in estratto per gli amici . Locke, che aveva già affrontato questi proble­ mi di cronologia e di concordanza scrit­

Bibbia con l 'accezione di " prescrizio­ ne disci pl inare " e sol o in un secon­ do tempo

(Il

-

111 s ecolo) prende il

significato - oggi preval ente - di "verità defi nitiva " . Nel cattol i cesi­ mo, i dogmi compongono un com ­ p l e ss o d ottri nal e d e rivante tanto dalla ri velazione (Vecchio e Nuovo Testamento) quanto dal magistero

turistica negli anni della sua formazio­

esercitato dai dottori della chiesa; al

ne ad Oxford e con

contra rio le c h i e s e protestanti -

la lettura

dell Harmony of Four Evangelists del '

Lightfoot, la lesse con attenzione e , oltre ali' iscrizione latina che esprimeva

dette p e r questo " evangel ich e " accettano come " dogmatico " il solo contenuto della Bi bbia .

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Locke

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la sua stima per l'amico38, apportò alcune correzioni ed aggiunte. Arric­ chì la sua biblioteca delle principali opere degli esegeti e biblisti france­ si, Louis Ferrand, Antoine Amauld, Jean Olearius, e nello stesso anno della pubblicazione acquistò la Histoire critique du Vìeux Testament del padre oratoriano Richard Simon , opera che, come è noto, suscitò violente rea­ zioni , e non solo nell' ambiente cattolico francese, per il metodo di inda­ gine critica applicato ai testi sacri .

1 1 1 . l D U E TRATIATI S U L GOVERNO, l' ESILIO OLANDESE E l' EPISTOLA S U llA TOLLERANZA Nel 1679 Locke fu richiamato a Londra dallo Shaftesbury che nel frat­ tempo aveva migliorato i suoi rapporti con la Corona ed era stato crea­ to presidente del Consiglio del re . Alla Thanet House, la nuova residen­ za londinese dello Shaftesbury, Locke si dedicò nuovamente all' attività politica, e gli venne pure affidata la cura dell' educazione del nipote di Lord Shaftesbury, il futuro filosofo. Però «non essendosi ancora comple­ tamente ristabilito in salute , ed essendo ancora soggetto ad attacchi di asma, Locke non poté fermarsi a lungo a Londra, dove la sua salute era minac­ ciata dal fumo del carbone che là si bruciava. Egli era obbligato a pas­ sare di quando in quando qualche settimana in campagna, per poter respirare un 'aria non inquinata dai fumi di carbone, di cui la città di Lon­ dra era satura. Si recava anche talora ad Oxford, ove aveva mantenuto il suo posto al Christ Church College» I . Proprio durante questi periodi di lontananza dall'attività politica, Locke ebbe modo di riflettere sulla situazione inglese e sull ' attività della Coro­ na, di discutere con l'amico James Tyrrell antichi problemi di diritto natu­ rale visti nelle loro impl icanze politiche, di entrare in polemica con le dot­ trine e la pratica del partito Tory2 . Vennero in questo modo organizzandosi e sviluppandosi le sue dottrine politiche. Nel 1 680 era stato pubblicato postumo un volumetto di Robert Filmer,

Patriarcha : or the Natura/ Power of Kings3, composto probabilmen­ te tra il 1 635 e il 1642 , in cui erano sostenute le tesi del l ' assolutismo monarchico e del diritto divino dell' autorità dei re. Il Filmer intende­ va combattere

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l'opinione comune secondo cui gli uomini nascono dotati della libertà da ogni soggezione e del diritto di scegliere la forma di governo che preferiscono, e che il potere che un uomo ha sugli altri gli fu in principio concesso dalla volontà del popolo4 . Questa dottrina, ritenuta dal Filmer erronea ed esiziale per lo Stato, era stata sostenuta in particolare in ambiente cattolico «fin dal tempo in cui la teologia scolastica cominciò a fiorire)) s , ed era stata di recente condi­ visa anche dal cardinale Roberto Bellarmino. Alcuni passi di questo autore diventarono il riferimento polemico esplicito: «Il potere secolare o civile - egli dice - è istituito dagli uomini: esso risiede nel popolo, a meno che esso lo conferisca a un prin-

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cipe. Questo potere risiede immediatamente nell ' intera moltitudi­ ne, come nel proprio soggetto, perché questo potere risiede nella legge divina, ma la legge divina questo potere non l ' ha dato a un uomo particolare)) . «Prescindendo dalla legge positiva, non rima­ ne alcuna ragione perché in una moltitudine, nella quale tutti sono uguali, a comandare gli altri ci sia uno piuttosto che un altro)) . «Il potere è dato ad uno della moltitudine, o piuttosto dalla stessa legge di natura: dal momento che la società non può esercitare il pote­ re, essa è costretta a conferirlo ad un uomo o a pochi uomini)) . «Dipende dal consenso della moltitudine i l costituire sopra di s é u n re, o un console, o altri magistrati , e, se v'è una causa giusta, la moltitudine può cambiare una monarchia in aristocrazia o in democrazia)) . Ecco quanto dice il Bellarmino: in questi passi è contenuta l 'essen­ za di tutto quanto ho letto o udito in difesa della libertà naturale dei sudditi6. Il ricorso ali ' insegnamento dei Padri della Chiesa primitiva, alla Sacra Scrittura, alla «politica costante di tutte le antiche monarchie)) , nonché «ai principi stessi del diritto naturale))? mostra, secondo il Filmer, l ' er­ roneità di questa dottrina . Osservando la storia dei primordi de li 'umani­ tà si vede che Adamo - in quanto padre - ricevette da Dio autorità piena ed assoluta sui figli: infatti non vedo come i figli possano essere liberi dalla soggezione verso i loro genitori [ ... ] e questa soggezione dei figli ai loro padri è l'ori­ gine di ogni autorità re gal es. Questa autorità di Adamo passò ai patriarchi , che furono padri del loro popolo, e che quindi «ebbero, per diritto di paternità, autorità sui propri figli))9. Ancora oggi , come fu per i patriarchi , è lo stesso diritto di pater­ nità quello che fonda l ' autorità dei re: può sembrare assurdo sostenere che i re sono oggi i padri dei loro popoli , poiché l'esperienza mostra il contrario. È vero che non tutti

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i re sono padri naturali dei loro popoli, ma tuttavia sono o possono considerarsi gli eredi prossimi di quei primi progenitori , i quali furono al principio i genitori naturali di tutto il popolo, e sono loro succeduti in base al diritto dei genitori , all'esercizio della giurisdi­ zione suprema, e tali eredi non sono soltanto signori dei propri figli , ma anche dei propri fratelli e di tutti coloro che erano sogget­ ti ai loro padri . E perciò vediamo che Dio disse a Caino di suo fra­ tello Abele: «< suoi desideri saranno soggetti a te e tu dominerai su di lui». Parimenti quando Giacobbe comperò il diritto di primoge­ nitura dal fratello, Isacco lo benedì così: «Sii signore dei tuoi fra­ telli, e i figli di tua madre si inchinino a te» t O . Contro questa dottrina che dichiarava essere contro natura ogni ten­ tativo di far dipendere l ' autorità del re dal popolo 1 1 si levarono in Inghilterra immediate reazioni . Anche l ' amico di Locke, James Tyr­ rel l , compose e pubblicò anonimo nel 1 68 1 un volumetto dal titolo

Patriarcha non Monarcha, or The Patriarch Unmonarch 'd, in cui dife­ se la dottrina dell' uguaglianza originaria degli uomini . In contrappo­ sizione alla tesi del Filmer del diritto dei re basato sul l ' autorità pater­ n a , il Tyrrell sostenne la dottrina del contratto sociale . In fondo l ' autorità paterna, a cui si appellava il Filmer, non poteva essere considerata come autorità assoluta , ma era essa pure soggetta alla legge morale . Con ogni verosimiglianza proprio intorno al 1 68 1 anche Locke com­ pose i suoi Two Treatises of Governmentl 2 . In essi Locke , partendo dalla confutazione delle dottrine del Filmer (Primo Trattato), passò a sviluppare in modo organico le proprie teorie politiche (Secondo Trat­

tato) . Pubblicò questi Two Treatises solo nel 1 690 , dopo l' avvento al trono di Guglielmo d' Orange, adattandoli con qualche ritocco e con una apposita Prefazione alla nuova situazione politica, di cui essi inte­ sero divenire giustificazione teorica: Queste pagine spero che bastino a stabilire il trono del nostro gran­ de rinnovatore e attuale re Guglielmo, a fondare la validità del suo titolo sul consenso del popolo , che è l'unico titolo di tutti i gover-

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ni legittimi e che egli possiede con più compiutezza ed evidenza di ogni altro principe della cristianità, e a giustificare di fronte al mondo il popolo inglese, il cui amore per i propri giusti e naturali diritti , unitamente alla decisione di conservarli , ha salvato la nazio­ ne quando già si era sul punto di precipitare nella schiavitù e nella rovina D . Nel Primo Trattato - i n cui come dice il sottotitolo The False Principles

and Foundation ofSir Robert Filmer, and his Followers, are detected and

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overthrown

-

Locke procede con puntuale precisione alla confutazione

di tutte le argomentazioni del Filmer. Da una più attenta e critica esege­ si dei passi della Genesi invocati dal Filmer a dimostrazione dell ' auto­ rità assoluta di Adamo sulla sua discendenza, si vede che essi non giu­ stificano questa autorità, anzi appare al contrario provata la libertà naturale originaria di tutti gli uomini: infatti se la creazione, che non diede altro che l 'esistenza, non fece Adamo «principe della sua discendenza)); se Adamo (Gen. l, 28) non fu istituito signore dell 'umanità, né gli fu conferito un domi ­ nio privato che escludesse i suoi figli , ma soltanto un diritto e un potere sulla terra e sulle creature inferiori in comune con i figli degli uomini; se poi Dio (Gen. Ili, 1 6) non conferì ad Adamo un pote­ re politico sulla moglie e i figli , ma si limitò ad assoggettare Eva a Adamo a titolo di punizione o a predire la soggezione del sesso debole nell ' amministrazione degli affari comuni delle famiglie, senza che con ciò conferisse ad Adamo come marito quel potere di vita e di morte, che necessariamente spetta al magistrato; se i padri col generare i figli non acquistano su di essi quel potere e se il comando «onora tuo padre e tua madre)) non lo conferisce , ma soltanto impone il rispetto dovuto in misura eguale ad entrambi , siano essi sudditi o meno, così alla madre come a l padre; se tutto ciò sta in questi termini, come credo risulti evidente da quanto ho detto, allora l ' uomo ha la libertà naturale, nonostante tutto ciò che il nostro autore con tanta sicurezza afferma in contrario; poiché tutti coloro che partecipano della stessa natura comune, delle stesse facoltà e poteri comuni , sono eguali in natura e devono partecipa­ re degli stessi comuni diritti e privilegi, sinché non si possa pro­ durre la manifesta designazione di Dio , che è «signore di ogni cosa, benedetto per sempre)) , a dimostrare la sovranità di una persona par­ ticolare, oppure un uomo non consenta ad assoggettarsi , e con ciò sia soggetto ad un superiore 1 4 . Locke denuncia che nella dottrina del Filmer sono presenti numerose incongruenze e contraddizioni e che numerosi problemi restano insolu-

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ti, primo fra tutti quello della successione di questa pretesa autorità di Adamo, perché il potere paterno non può essere trasmesso per eredità, perché essendo questo un diritto che proviene soltanto dalla generazione, nessuno può avere questo dominio naturale su uno ch'egli non gene­ ri , a meno che sia pensabile che si possa avere un qualsiasi dirit­ to senza far ciò su cui soltanto esso diritto è fondato, poiché se un padre ha sui suoi figli un dominio naturale per il fatto di generar­ li, e non per altro, chi non li genera non può avere su di essi que­ sto diritto naturale 1 5 . Anche il diritto di proprietà, che il Filmer rivendicava ad Adamo come diritto «avuto su tutte le creature , di possedere per il suo uso privato, ad esclusione di tutti gli altri uomini, la terra con gli animali e gli altri ordini inferiori di cose che vi si trovano)) , e ricevuto «per donazione e concessione di Dio onnipotente, il quale era signore e proprietario di tutte le creature)) , risulta ad una più attenta considerazione non essere un diritto esclusivo, cioè «una donazione diretta esclusivamente e personal­ mente a lui )) 1 6 . I l diritto d i proprietà è u n diritto d i tutti gli uomini , indistintamente, e non può quindi venir invocato come ulteriore argomento a sostegno dell 'as­ soluta autorità di Adamo e, dopo di lui , dei patriarchi e dei re: Tutti hanno diritto alle creature allo stesso titolo che l'aveva Adamo, vale a dire per il diritto che ognuno ha di pensare e provvedere alla propria sussistenza; e così gli uomini ebbero un diritto in comune, e i figli di Adamo un diritto in comune con lui 1 7 . Prima ancora d i quella donazione formale, d i cui parla Genesi l, 28-9, l 'uomo aveva diritto di servirsi delle creature, per volontà e conces­ sione di Dio, perché avendo Dio stesso introdotto in lui, come prin­ cipio di azione , l ' istinto, il forte istinto di conservare la propria vita e esistenza, la ragione, «che era la voce di Dio in lui)), non poteva

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non suggerirgli ed assicurargli che perseguendo l' inclinazione natu­ rale, che egli aveva, di conservare la propria esistenza, egli segui­ va la volontà del suo creatore, e perciò aveva diritto di servir.ii di quel­ le creature che la ragione e il senso gli indicavano come utili a quel fme. E così la proprietà dell'uomo sulle creature era fondata sul dirit­ to che egli aveva di servirsi di quelle cose che erano necessarie o utili alla sua esistenza 1 8 . Questo Primo Trattato non è soltanto «pars destruens»: insieme con la confutazione delle dottrine del Filmer sono chiarite e messe a punto alcu­ ne dottrine lockiane. Così avviene per la dottrina del rapporto tra auto­ rità politica e proprietà privata, fondamentale non solo nell'economia del pensiero politico lockiano: La proprietà, la cui origine è il diritto di servirsi di qualcuna delle creature inferiori per la sussistenza e il conforto della propria vita, è diretta al beneficio e al vantaggio esclusivo del proprietario, così che egli può anche distruggere la cosa che egli ha in proprietà con l ' uso che ne fa, quando la necessità lo richieda, ma il governo, avendo di mira la conservazione del diritto e della proprietà di cia­ scuno col preservarlo dalla violenza e dall' offesa altrui, è diretto al bene dei governati; infatti la forza del magistrato, diretta a spaven­ tare i malfattori e a obbligare gli uomini mediante questo spavento a osservare le leggi positive della società, stabilite in conformità con le leggi della natura, per il bene pubblico, e cioè per il bene di ogni individuo membro di quella società, per quanto è possibile provve­ dervi in base alle norme comuni, non è data al magistrato per il suo bene privato 19.

È proprio però del Secondo Trattato

-

il cui sottotitolo è An Essay con­

cerning the True Originai, Extent, and End ofCivil Government - il com­ pito di esporre in modo organico la dottrina politica di Locke. Esso si apre con la descrizione dello stato di natura, uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e disporre

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dei propri possessi e delle proprie persone come si crede meglio, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di nessun altro .

È anche uno stato di

eguaglianza, in

cui ogni potere e ogni giurisdizione è reciproca, nessuno avendone più di un altro, poiché non vi è nulla di più evidente di questo, che creature della stessa specie e dello stesso grado, nate, senza distin­ zione, agli stessi vantaggi della natura, e all 'uso delle stesse facol­ tà, debbano anche essere uguali tra loro, senza subordinazione o sog­ gezione, a meno che il signore e padrone di esse tutte non ne abbia, con manifesta dichiarazione del suo volere , posta una sopra le altre, e conferitole , con chiara ed evidente designazione, un diritto incon­ testabile al dominio e alla sovranità20. Questa convinzione della perfetta libertà ed uguaglianza originarie degli uomini poteva sembrare comune a quella di Hobbes. Locke prese però subito le distanze dall' autore del Leviathan, con un 'ampia citazio­ ne dell ' Hooker che , negando ai rapporti originari umani ogni conflit­ tualità, poneva alla base dell'umano consorzio la legge dell ' amore: «il mio desiderio di essere amato il più possibile dai miei eguali in natu­ ra, mi impone un obbligo naturale di nutrire nei loro riguardi un' affe­ zione in tutto simile»2 1 • Il distacco da Hobbes si specifica ulteriormen­ te nelle chiarificazioni che vengono fatte di questo stato di natura. Esso non è svincolato da ogni legge, né è precedente ad ogni norma, ma è soggetto alla legge di natura: Sebbene questo sia uno stato di libertà, tuttavia non è uno stato di licenza: sebbene in questo stato si abbia la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri averi , tuttavia non si ha la libertà di distruggere né se stessi, né qualsiasi creatura in pro­ prio possesso, se non quando lo richieda un qualche uso più nobi­ le, che quello della sua pura e semplice conservazione . Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che obbliga tutti22. La norma fondamentale della legge di natura è l ' autoconservazione e la conservazione di tutti gli uomini:

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Come ciascuno è tenuto a conservare se stesso e a non abbandona­ re volontariamente il suo posto, così, per la medesima ragione, quando non sia in gioco la sua stessa conservazione, deve, per quanto può, conservare gli altri , e non può, se non nel caso di far giu­ stizia di un offensore , sopprimere o menomare a un altro la vita o quanto contribuisce alla conservazione della vita, come la libertà, la salute, le membra del corpo o i beni23. Questa legge di natura - sulla cui esistenza, obbligatorietà ed estensio-

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ne Locke aveva a lungo trattato negli Essays on the Law of Nature del 1 664 - è ora dichiarata anteriore a ogni altra legge positiva; essa non dipende da nessun patto e da nessuna convenzione tra gli uomini, e vin­ cola l ' uomo prima ancora che sia cittadino. Le promesse e i contratti - esemplifica Locke - tra uno svizzero e un indiano , che si trovassero nelle foreste d 'America, li vincolereb­ bero nelle loro mutue relazioni, sebbene essi si trovino assolutamen­ te in stato di natura, perché la sincerità e il mantenimento della paro­ la data si convengono agli uomini in quanto uomini e non in quanto membri di una società24. Questo stato di natura non deve però essere inteso come un originario Eden che l' uomo è costretto ad abbandonare e del quale conserverà un nostal­ gico ricordo . Il passaggio allo stato associato è in fondo voluto dalla stes­ sa natura dell 'uomo, e risponde nel modo più completo alla norma fon­ damentale della legge di natura, che è quella della conservazione di sé e degli altri. Ancora conforme all ' insegnamento dell' Hooker, la massi­ ma autorità del pensiero politico anglicano, si muove la dottrina di Locke. L' Hooker aveva infatti dichiarato nel primo libro delle Lawes of

Ecclesiasticall Politie che in quanto non siamo sufficienti, di per noi stessi , a rifornirei di un' adeguata scorta di cose, necessaria per una vita quale la nostra natura richiede, e cioè una vita conveniente alla natura umana, allo­ ra, per sopperire a quelle deficienze e imperfezioni che sono in noi quando viviamo singolarmente e isolatamente per noi stessi , siamo naturalmente spinti a cercare la comunità e la società con altri . Questa è stata la causa per cui gli uomini si sono uniti fra di loro in società politiche25 . E la prima cosa necessaria per una «Vita conveniente alla natura umana» è quella di evitare lo stato di forza e di sopraffazione che è lo stato di guer­ ra (cfr. cap. III), originato da quegli uomini che «non sottostanno ai vin­ coli della comune legge di ragione, e non hanno altra norma che quella

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della forza e della violenza»26. Proprio la necessità di evitare la contesa e il dominio della forza induce gli uomini «a porsi in società e ad abban­ donare lo stato di natura, perché dove c'è un'autorità, un potere sulla terra da cui per appello si può ottenere soccorso, lì è esclusa la permanenza dello stato di guerra, e la controversia è decisa da questo potere>>27. Entrando a far parte della società politica, l 'uomo rinuncia sì alla sua liber­ tà naturale, che gli permetteva di non dipendere da nessuno e di non sot­ tostare alla volontà o all' autorità di nessun altro uomo, ma si garantisce una libertà «da ogni potere assoluto ed arbitrario, libertà questa pure neces­ saria ed intimamente congiunta alla propria conservazione» (cfr. cap. IV): La libertà dell' uomo in società consiste nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello stabilito per consenso nello Stato , né al dominio di altra volontà o alla limitazione di altra legge che ciò che questo potere legislativo stabilirà conformemente alla fiducia riposta in lui [ ... ] La libertà degli uomini sotto un gover­ no consiste nell ' avere una norma fissa secondo cui vivere, comu­ ne a ciascun membro di questa società, e fatta dal potere legisla­ tivo in essa istituito28 . In che modo l ' uomo entrò a far parte della società politica? Attraver­ so un libero contratto (cfr. cap. VIII} , col quale egli si riunì con altri uomini e si impegnò a sottomettersi alle decisioni della maggioranza, la quale acquistò così il potere di deliberare e di decidere per il bene di tutti gli associati . Poiché gli uomini sono, come s'è detto, tutti per natura liberi, egua­ li ed indipendenti, nessuno può essere tolto da questa condizione e assoggettato al potere politico di

un altro senza il

suo consenso. L'uni­

co modo con cui uno si spoglia della sua libertà naturale e s' inve­ ste dei vincoli della società civile, consiste nell' accordarsi con altri uomini per congiungersi e riunirsi in una comunità, per vivere gli uni con gli altri con comodità, sicurezza e pace, nel sicuro posses­ so delle proprie proprietà, e con una garanzia maggiore contro chi non vi appartenga. [ . ] Quando un gruppo di uomini hanno, col con.

.

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senso di ciascun individuo, costituito una comunità, hanno con ciò fatto di questa comunità un sol corpo, col potere di deliberare come un sol corpo, il che è soltanto per volontà e decisione della maggio­ ranza . [ ..] .

Col consentire con altri a costituire un solo corpo politico, sotto un solo governo, ognuno si sottopone, nei riguardi di ciascun membro di quella società, ali' obbligazione di sottomettersi alla decisione della maggioranza, e di attenersi alle sue decisioni, altrimenti questo contratto originario, con cui si è incorporato con altri in una sola socie­ tà, non avrebbe senso, e non sarebbe contratto, se egli rimanesse libe­ ro e sotto nessun altro vincolo che quelli che aveva prima nello stato di natura29 . Se gli uomini dallo stato di natura passano allo stato associato pro­ prio «per la mutua conservazione delle loro vite , libertà e averi , cose che io denomino, con termine generale, proprietà», la società politica non potrà avere altro fine diverso da quello di garantire e di difendere la proprietà dei suoi associati (cfr. cap . IX) . La proprietà , ha ribadito Locke nel capitolo V, è un diritto fondamentale di ogni uomo, e non , come voleva il Filmer, un dono accordato da Dio ad Adamo e a quei soli discendenti che avrebbero detenuto l ' autorità patriarcale o regale . Questo diritto che si estende al possesso de lla terra e delle cose del mondo «per la sussi stenza e il conforto della propria esi stenza» , è un diritto generico ed indifferenziato; esso viene però assicurato e garantito a ciascuno in particolare dal lavo­ ro . Il possesso viene da Locke giustificato proprio ad opera del lavo­ ro individuale: Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui . Il lavoro del suo corpo e l ' ope­ ra delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è proprio, e con ciò le rende proprietà sua. Poiché

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son rimosse da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse, mediante il suo lavoro, hanno , connesso con sé, qualcosa che esclude il diritto comune di altri. Infatti poiché questo lavoro è pro­ prietà incontestabile del lavoratore , nessun altro che lui può avere diritto a ciò che è stato aggiunto mediante esso, almeno quando siano lasciate in comune per gli altri cose sufficienti e altrettanto buone30. Chiariti la natura, l 'origine e il fine della società politica, Locke passa a studiare in modo analitico i suoi pote­ ri . Alla società politica compete innan­ zi tutto il potere di stabilire norme fisse, valide per tutti gli associati: è questo il potere legisaltivo (cfr. cap. Xl) . Questo potere , che è «il potere supremo della società politica» , non è un potere asso­ luto ed arbitrario, ma deve essere eser­ citato sia nel rispetto della legge natu­ rale «la quale sussi ste come norma eterna per tutti gli uomini , sia per i legi­ slatori che per gli altri»3 1 , sia in modo conforme con la norma fondamentale «della conservazione della società e, per quanto si concilia col bene pubbli­ co, di ogni persona che in essa si trova»32. Subordinato al potere legi­ slativo c'è il potere esecutivo, quello cioè di far eseguire queste leggi (cfr. cap. XII) . Locke pone come norma di prudenza quella di non affidare alle stesse persone questi due poteri , al fine di evitare pericolosi abusi: E poiché, data la debolezza umana, propensa ad impossessarsi del

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potere , le stesse persone, che hanno il potere di far leggi, possono essere fortemente tentate di avere fra le mani anche il potere di ese­ guirle, sì da dispensarsi dall'obbedienza alle leggi che si fanno e acco­ modare la legge, sia nel farla che nell'eseguirla, al loro proprio vantaggio privato , e così giungere ad avere un interesse distinto dagli altri membri della comunità, contrario al fine della società e del gover­ no, perciò, dunque, nelle società politiche ben ordinate, in cui si ha il dovuto riguardo al bene della totalità, il potere legislativo è posto nelle mani di diverse persone, le quali, regolarmente adunate, hanno di per sé o congiuntamente con altre il potere di far leggi , e quan­ do le abbiano fatte e si siano di nuovo separate , sono soggette alle leggi che esse stesse hanno fatto, il che è un nuovo e stretto impe­ gno ad aver cura a farle per il bene pubblico33. Locke parla poi ancora di un potere «federativo» , il cui compito è quel­ lo di curare i rapporti tra una società politica e le altre società politiche - «implica il potere di guerra e di pace , di fare leghe, alleanze, e ogni altro negoziato con tutte le persone e comunità estranee alla società politica»34 -, potere questo che è quasi sempre unito a quello esecutivo. Il popolo, la comunità cioè dei membri della società politica, delegando al legislativo la somma autorità di prescrivere le leggi , non aliena da sé il potere . Il potere del corpo legislativo infatti «è solo un potere fiducia­ rio di deliberare in vista di determinati fini»35 , quindi, quando esso non agisce in vista del raggiungimento di quei fini, può venir destituito da quel­ lo stesso popolo da cui ha ricevuto il mandato: infatti poiché ogni potere, conferito con fiducia per il conseguimen­ to di un fine , è limitato da questo fine medesimo, ogniqualvolta il fine viene manifestamente trascurato o contrastato, la fiducia deve necessariamente cessare, e il potere ritornare nelle mani di colo­ ro che l' hanno conferito , i quali possono nuovamente collocarlo dove meglio giudicano, per la loro tranquillità e sicurezza.

È così

che la comunità conserva sempre il potere supremo di preservar­ si dagli attentati e dalle intenzioni di chicchesia, anche dei suoi legi­ slatori , ogniqualvolta questi siano così insensati o perversi da

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concepire e perseguire intenzioni contrarie alle libertà e proprie­ tà dei sudditi 36 . Locke si sofferma ad analizzare con attenzione i rapporti dei vari pote­ ri tra loro, e a proporre soluzioni ai numerosi problemi connessi. Erano problemi particolarmente vivi nella società politica inglese della fine del Seicento, in cui, pur vigendo una monarchia di tipo costituzionale, le istan­ ze assolutistiche delle monarchie europee si facevano sentire non poco. Non erano però problemi estranei ad ogni società politica, e così le riflessioni e le soluzioni proposte in questo Trattato, pur risentendo di un particolare contesto e servendo da giustificazione del tipo di governo instaurato dopo la Gloriosa Rivoluzione, furono un valido punto di rife­ rimento per gli sviluppi politici dell 'Europa moderna. Questo Secondo Trattato termina esaminando le forme degeneri del governo, in particolare la tirannide (cfr. cap. XVIII) e proclamando il dirit­ to dei cittadini di resistere all'oppressore (cfr. cap. XIX) . La tirannide con­ siste nell' esercizio illegittimo del potere , che si ha quando colui a cui è stato affidato il potere lo esercita «non per il bene di coloro che vi sot­ tostanno, ma per il vantaggio privato [ . . . ] per la soddisfazione delle pro­ prie ambizioni , vendette , cupidigie, o altre passioni sregolate» 37 . Ma il popolo può e deve opporsi al tiranno e ali ' oppressore, ed affidare il potere ad altra persona. Ciò facendo esso non può essere accusato - come pretendeva Hobbes nel Leviathan (Il , XVIII, 2) - di tradire il patto ori­ ginario, perché questo era già stato violato dall'oppressore , e quindi era già decaduto, e neppure di attentare alla pace, perché non si può parla­ re di vera pace, quando questa è basata sull ' ingiustizia: Se l'uomo innocente e onesto deve, per amore di pace , cedere pas­ sivamente tutto ciò che possiede a colui che vi attenta con la violen­ za, vorrei che si pensasse che razza di pace vi sarebbe al mondo, se la pace non consistesse che in violenza e rapine, e non dovesse esse­ re conservata che per il vantaggio di briganti ed oppressori . Chi non troverebbe ben strana pace tra potenti e deboli quella in cui l ' agnel­ lo senza resistenza offre a sbranare il suo collo al lupo prepotente? Il modello perfetto di una pace e di un governo del genere è dato dal-

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l'antro di Polifemo , in cui Ulisse e i suoi compagni non avevano nien­ t' altro da fare che lasciarsi tranquillamente divorare38 . La definitiva caduta politica del conte di S haftesbury, dapprima pri­ vato della sua carica ed imprigionato nella Tower di Londra, e poi, accu­ sato di tradimento per la congiura del conte di Monmouth ( 1 682) , costretto alla fuga in Olanda - dove morì nel gennaio 1 683

-

, mise in

pericolo la sicurezza personale di Locke, anche se ormai egli viveva appartato ad Oxford . Nel settembre del 1 683 egli partì per l ' Olanda, dove il medico di Amsterdam Pieter Guenellon, conosciuto da Locke a Parigi , gli offrì aiuto e protezione e lo introdusse nel l ' ambiente colto, della città. Gli anni della permanenza di Locke , come rifugiato politico, in Olan­ da furono difficoltosi , ma particolarmente densi di studio e di lavo­ ro. I lunghi periodi in cui Locke fu costretto a vivere nascosto, anche per timore dell'estradizione, sotto la falsa identità del dr. Van der Lin­ den , gli consentirono di giungere alla stesura definitiva della sua opera maggiore , il Saggio sull ' intelletto umano, alla quale stava lavorando da alcuni anni , e di elaborare e di stendere parti notevoli delle opere che avrebbe poi pubblicato al suo rientro in Inghilterra . Risalgono, ad esempio, proprio agli anni 1 684- 1 688 le lettere invia­ te da Locke a Mr. Edward Clarke con le lnstructions for the Educa­

tion of Clarke 's Son39, che nel 1 693 furono poi edite come Some Thoughts concerning Education40 . Fu soprattutto l ' incontro con il Limborch e con il Le Clerc - e trami­ te costoro con la teologia dei rimostranti - ad aprire il pensiero di Locke ad una ulteriore maturazione, specie in campo dogmatico ed ese­ getico, e, per molti aspetti , a confermargli la validità delle dottrine a lui derivate dali ' insegnamento dei teologi latitudinari inglesi . « e coloro che inclinano a credere «che si debbano prendere in senso letterale le parole del sapien­ tissimo re Salomone 'il cielo e il cielo dei cieli non ti possono contene­ re' , oppure quelle più enfatiche dell' ispirato filosofo S . Paolo ' In lui vivia­ mo, ci muoviamo ed abbiamo il nostro essere'»ss . La sua esposizione però, pur risentendo, e talora molto da vicino56, della dottrina dello spazio come entità assoluta sostenuta nei Principia mathematica newtoniani, editi nel 1 687, sembra restare di preferenza ancorata alla concezione di spazio già espressa nelle sue annotazioni redatte nei Journals del l 677 e 1 678, quan­ do, riflettendo sulle dottrine del Gassendi , Locke definiva lo spazio reale, quello cioè delle cose esistenti in natura, come «la relazione della distanza degli estremi [dei corpi]», e considerava quello immaginario, quel­ lo cioè che «si presenta nei nostri pensieri separato da ogni materia o corpo», come «nient' altro che la capacità o possibilità che gli esseri estesi hanno di essere o esistere»57 . Un discorso analogo vale per il tempo. Nonostante alcune espressioni che suonano di chiara intonazio­ ne newtoniana - ad esempio viene affermato che il tempo scorre «con un corso costante, uguale, uniforme»SB - Locke non intende affrontare

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I nfe rn o a Lo n d ra Dopo quattro giorni di inferno, quando sembrava che il Grande Incendio di Londra avreb­ be finito per inghiottire Westm inster come già aveva fatto con la City, il 5 settembre del 1 666 il vento cambiò e le fiamme si spensero. L'incendio aveva ridotto in macerie fuman­

ti gran parte della città medievale: 1 3.200 case, 44 parrocchie, il Royal Exchange e la vene­ randa cattedrale di Saint Paul; per la città era un disastro senza precedenti. Una simile catastrofe era nata da una minuscola favilla scaturita dal forno di tal Thomas Faryner, panettiere in Pudding Lane, e, inizialmente, aveva interessato soltanto gli arredi del suo negozio; solo in un secondo tempo si era propagato alle case vicine, soprattutto attraverso gli economici tetti di paglia che ancora contraddistinguevano il profilo della capi­ tale. Ancora a diverse ore dallo scoppio dell'incendio, esso appariva perfettamente circo­ scrivibile, non diversamente da quanto era successo innumerevoli volte in passato; il 2 set­ tembre 1 666, tuttavia, si andarono a sommare diversi fattori imprevedibili, come le condizioni meteorologiche generali, ed uno prevedibi­ le anche se inconsueto: la filosofia politica. Sir Thomas Bl oodworth, Lord Major della City, si era recato in Pudding Lane quando le fiamme avevano comincia­ to a diffondersi - a causa del forte vento - anche agli edifici circostanti. La milizia

L'incendio di Londra (tela anonima del 1666).

Il

dipinto, probabilmente eseguito da un testimone oculare, mostra le fiamme mentre awolgono la cattedrale di Saint Pau/.

antincendio chiese imme­ diatamente il permesso di distruggere parte delle abi­ tazioni, in modo da ferma-

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Pianta di Londra nel 1 700. Nonostante i vari progetti reali, la città si sviluppò ricalcando esattamente il vecchio tracciato medievale.

re la propagazione del fuoco, ma il lord Major tentennò, uscendosene con una battuta diventata poi famosa: " la pisciata di una donna lo potrebbe spegnere" . ! pompieri non poterono abbattere le case senza il consenso dei proprietari ma, essendo molte delle abi­ tazioni in affitto, nel caos che si andava creando in città, non ci fu modo di raccogliere gli assensi necessari; solo tre giorni dopo - quando gran parte di londra era già in cenere la guarnigione della Torre accumulò enormi quantità di polvere da sparo ai margini occi­ dentali dell'incendio in modo da creare uno spazio vuoto tra le fiamme e la fortezza: fu questo, insieme all'attenuarsi del vento, che fermò infine il fuoco. Bloodworth è passato alla storia con un'irrimediabile fama di idiota; in realtà, l'uomo si era trovato i n una posizione delicatissima - e lo dimostra il nervosismo della sua reazio­ ne - in cui venivano a collidere le due maggiori correnti della filosofia politica del tempo, assolutismo e individualismo, dal cui scontro l'Inghi lterra era appena uscita dopo anni di guerra civile. Mentre la milizia richiedeva un intervento di stampo "assolutista" - in termini hobbe­ siani, la rinuncia di una parte delle proprie prerogative in favore dello stato - il sindaco (che guidava una città da sempre schierata con i parlamentaristi) ribadiva il valore fon­ dante della proprietà cui si doveva recedere solo mediante contratto. Che questa fosse la mentalità prevalente all'epoca, lo dimostrano anche le vicissitudini i ncontrate dai piani

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per la riedificazione: mentre il potere regio tentò di far approvare un nuovo disegno urba­ no dalle forme tipicamente barocche, motivandolo con una maggiore salubrità delle stra­ de, la proprietà restò ancorata al vecchio tessuto medievale, rifiutando qualsiasi tenta­ tivo di compensazione economica, col risultato che la città venne ricostruita con nuovi materiali (i tetti di paglia furono rigorosamente proibiti) ma ricalcando esattamente il trac­ ciato delle fondamenta antiche. la vicenda del Great Fire anticipa di una ventina d'anni la redazione delle opere politi­ che di Locke, pur se sembra darne una precisa esemplificazione; va comunque sottoli­ neato che la dialettica tra decisioni centrali e proprietà locali avrebbe caratteriuato il dibat­ tito urbanistico del XX secolo: da le Corbusier ai CIAM, generazioni di architetti si sarebbero arrovellate nel tentativo di scardinare il tessuto urbano consolidato senza (forse fortunatamente) riuscirvi. � significativo che l'unico vero caso di ricostruzione urbana effet­ tivamente portato a termine sia stato quello di lisbona nel XVIII secolo, paradossale città che poteva disporre di un potere centrale sufficientemente forte per imporre le proprie decisioni e di una proprietà locale abbastanza evoluta per sorreggere il complesso mec­ canismo economico di compensazione fondiaria che un tale progetto innescava, ma fu un caso isolato. In tutte le altre situazioni, l"' individualismo possessivo " di matrice loc­ kiana avrebbe avuto il soprawento.

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Uno dei piani proposti alla corona per la ricostruzione di Londra. Il disegno complessivo ricorda le tipiche prospettive barocche che caratterizzavano i giardini dei grandi palazzi.

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La cattedrale di Saint Paul ricostruita dii Wren. Nonostante l'architetto avesse presentato un ambizioso piano per la ricostruzione della città, l'opposizione dei proprietiJri gli permise soltanto una serie di interventi puntuali di carattere pubblico, come nel caso di monumenti o edifici religiosi.

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il problema della natura del tempo, né giudicare la validità della dottri­ na newtoniana. Anal izzando l 'idea della durata e dei suoi modi, Locke vuole essenzialmente mostrare che la loro origine va ricercata sempre nella sensazione e nella riflessione: Non senza ragione si pensa che la durata, il tempo e la eternità abbia­ no qualcosa di molto astruso nella loro natura. Ma per remote che sembrino queste cose alla nostra comprensione, non dubito, se risa­ liamo alla loro origine che una di quelle fonti di ogni nostra cono­ scenza, cioè la sensazione o la riflessione, sarà in grado di fornir­ cene le idee, chiare e distinte come molte altre ritenute meno oscure; e troveremo che la stessa idea dell'eternità deriva dalla comune ori­ gine delle rimanenti nostre idee59. Ogni idea, opportunamente analizzata, può venir ricondotta ad una ori­ ginaria idea sempl ice, derivante dalla sensazione o dalla riflessione: anche quelle di immensità, di eternità e di infinità, che più di ogni altra sembrano lontane da una tale fonte così legata al particolare e al limita­ to. Le idee di immensità, eternità ed infinità che abbiamo, non sono idee originarie , ma nascono dal potere che il nostro spirito ha di ripetere in

infinitum le idee più elementari di estensione, durata e numero, che ci deri­ vano dagli oggetti sensibili. Anche l 'idea del potere - e con essa quella della volontà, della libertà e della necessità - deriva dall' esperienza del mutamento fornita dai sensi e dalla riflessione: Lo spirito è informato ogni giorno, per mezzo dei sensi, dell'alte­ rarsi di quelle idee semplici che osserva nelle cose esterne; prende nota come l'una giunge alla fine e cessa di essere , mentre un'al tra che prima non c'era comincia ad esistere; riflette anche su ciò che succede entro di sé ed osserva il mutamento costante delle proprie idee , talvolta per mezzo delle impressioni di oggetti esterni sui sensi , e talvolta mediante la determinazione della propria scelta; e conclude, da ciò che ha costantemente osservato accadere, che mutamenti simili avverranno nel futuro nelle stesse cose, per opera

Locke Il pensiero

degli stessi agenti e nelle stesse maniere. In base a tutto ciò lo spi­ rito considera, riguardo ad una cosa, la possibilità che alcune delle sue idee semplici siano cambiate e, riguardo ad u n 'altra, la possi­ bilità di effettuare quel cambiamento; e così giunge ad avere l ' idea che chiamiamo potere(fJ. La volontà è un particolare potere , quello «che lo spirito ha di preferire la considerazione di un' idea o di impedirla, o di preferire il movimento di una parte del corpo al suo riposo» 6t . La libertà poi «è il potere che l ' uo­ mo ha di fare o di astenersi dal fare un' azione particolare, secondo che il farla o il non farla ottenga l'effettiva preferenza del suo spirito; il che signi­ fica, secondo che egli stesso lo voglia» 62 . La descrizione e la definizio­ ne della libertà e della volontà date nella prima edizione del Saggio sul­

l'intelleno umano restarono fondamentalmente identiche nelle successive edizioni. Locke mutò invece nella seconda edizione la sua dottrina sui moti­ vi che orientano e determinano questa preferenza del nostro spirito. Men­ tre nella prima edizione egli aveva sostenuto che la nostra preferenza viene guidata dal giudizio del bene maggiore, a partire dalla seconda egli sostenne che «ciò che determina immediatamente la volontà, volta per volta, ad ogni azione volontaria è il disagio del desiderio, fisso su qualche bene mancante»63 . Locke pervenne a questo mutamento di dottrina - come pure a molte altre parziali correzioni, integrazioni, chiarificazioni ed aggiun­ te - sollecitato dai suoi amici e dai suoi critici, ai quali già nell'Extrait del 1688, e a più riprese nelle sue lettere , aveva richiesto un giudizio spas­ sionato, nel superiore interesse della ricerca della verità64 . In particolare tenne conto per questa correzione dei rilievi critici di William Moly­ neux65 , che in una sua lettera gli aveva pure comunicato una serie di

Remarks, stese da William King, vescovo di Derry66. Locke ritornò anco­ ra a discutere e ad approfondire la sua dottrina della libertà nelle lettere scambiate con il Limborch negli anni 1 700- 1 70267 , quando cioè l' amico olandese ebbe modo di leggere il testo integrale del Saggio sull 'intellet­

to umano nella traduzione francese del Coste. I rilievi mossi dal Limborch sulla nozione di indifferenza e sul suo rapporto con la libertà portarono Locke ad alcuni importanti chiarimenti, che furono editi postumi, nella quin­ ta edizione del Saggio68 .

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Il secondo gruppo di idee complesse è quello delle sostanze, cioè di quel­ le «combinazioni di idee semplici che si ritiene rappresentino cose par­ ticolari distinte, sussistenti di per se stesse))69. Il discorso lockiano sulla sostanza, che ebbe tanta risonanza tra i contemporanei di Locke, i quali videro in esso una pericolosa premessa di tesi antitrinitarie e scettiche, e che molto influì sulle successive elaborazioni humeana e kantiana, è nel

Saggio sull 'intelletto umano particolarmente complesso ed articolato. Locke vi tornerà nei capitoli

III

e VI del terzo libro, quando verrà a con­

siderare i nomi delle sostanze ne li' ottica della distinzione operata tra le essenze reali e le essenze nominali . Nel secondo libro, al capitolo XXIII , egli considera l ' idea complessa di sostanza sia a livello generale, come «sostegno di quelle qualità che sono capaci di produrre idee semplici in noi; qualità che comunemente si chiamano accidenti))70, sia a livello di quelle «particolari specie di sostanze alle quali giungiamo raccogliendo quelle combinazioni di idee semplici che l'esperienza e l 'osservazione dei sensi umani ci ha fatto scorgere come esistenti insieme, e si suppongono quindi scaturire dalla particolare costituzione interna o dall'essenza sco­ nosciuta di quella sostanza))7 1 . In entrambi i casi però l ' idea di sostanza - la cui origine pur chiaramente è colta nella consuetudine che lo spirito ha di vedere che «Un certo numero di idee semplici vanno costantemen­ te insieme)) e nella sua conseguente persuasione che queste «appartenga­ no ad una cosa sola))72 - si presenta come un' idea estremamente oscura e confusa, un rimando ad un qualcosa presupposto, ma sconosciuto: L'idea quindi alla quale diamo il nome generale di sostanza , non è altro che il sostegno supposto ma sconosciuto di quelle qualità che scopriamo esistenti, che non possiamo immaginare sussistano sine

re substante, senza qualcosa per sostenerle; e chiamiamo perciò quel sostegno substantia; il che, secondo il vero valore della parola, in linguaggio comune si dice star sotto o sostenere73 . Dobbiamo tuttavia stare attenti perché l e nostre idee complesse di sostanze, oltre a tutte le idee semplici di cui sono composte , hanno sempre l ' idea confusa di qualcosa cui appartengono e in cui sussi­ stono; perciò quando parliamo di qualsiasi specie di sostanza, dicia-

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mo che è una cosa con queste o quelle qualità; come un corpo è una cosa che ha estensione, figura e capacità di moto; lo spirito, una cosa capace di pensare; e così diciamo che la durezza, la friabilità e il pote­ re di attrarre il ferro sono qualità che si trovano nella calamita. Questi e altri modi simili di parlare sembrano presupporre che la sostanza sia sempre qualcosa oltre l 'estensione, la figura, la solidi­ tà, il movimento, il pensare, o altre idee osservabili, sebbene non sap­ piamo che cosa sia74. L'oscurità è altrettanto fitta sia per le sostanze spirituali che per le sostan­ ze materiali, né le varie descrizioni e definizioni ci offrono una qualche conoscenza più chiara di esse. Non viene negata l' esistenza di queste sostanze materiali e spirituali; viene però esclusa ogni conoscenza da parte del l 'umano intelletto della loro natura, della loro intima costituzione: La sensazione ci convince che ci sono sostanze estese solide, e la riflessione che ci sono sostanze pensanti; l'esperienza ci assicura del­ l'esistenza di tali enti , e che l ' uno ha il potere di muovere un corpo mediante l'impulso, l' altro mediante il pensiero. Di ciò non possia­ mo dubitare. Come ho detto l'esperienza ci fornisce ad ogni momen­ to idee chiare sia dell'una che deli' altra cosa. Ma al di là di queste idee, quali sono ricevute dalle loro fonti proprie, le nostre facoltà non vanno. Se vogliamo indagare più oltre sulla loro natura, le loro cause e la loro maniera, non percepiamo la natura dell'estensione più chiaramente di quella del pensare [ ... ] Mi sembra quindi probabile che le idee semplici che riceviamo dalla sensazione e dalla rifles­ sione siano i confini dei nostri pensieri , al di là dei quali lo spirito, per quanti sforzi faccia, non è in grado di avanzare di un passo; né può fare alcuna scoperta quando vuole curiosare sulla natura e sulle cause nascoste di quelle idee75. Il limite della nostra conoscenza relativamente alle idee delle sostanze è così chiaramente definito e motivato: «Non abbiamo nessuna conoscen­ za della costituzione interna e della vera natura delle cose, perché siamo priv i d i facoltà per raggiungerla»76. Questa trattazione delle idee com-

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plesse delle sostanze - che pur resta essenzialmente fedele all'intenzio­ ne espressa da Locke di evitare ogni indagine di tipo ontologico, sulla natura cioè di tali idee , e di fermarsi alla chiarificazione dell'origine di esse - ricevette, secondo lo Yolton, un certo influsso dalla concezione feno­ menistica della sostanza, sostenuta in quegli anni in Inghi lterra da Richard Burthogge nell' Organum Vetus et Novum; or, A Discourse of Rea­

san and Truth ( 1 678) e successivamente nell' Essay upon the Reason and the Nature of Spirits ( 1 694), dedicato allo stesso Locke77 . L'idea di sostanza, che da Locke viene indicata come raggiungibile dall'umano intel­ letto , coincide con quella di una collezione di qualità che compongono l 'oggetto dato: «il filosofo non ha altra idea di quelle sostanze [di uomo, di oro, di cavallo, di acqua] se non quella formulata da una collezione delle idee semplici che vi si trovano» 78 . In tale direzione Locke era già stato spinto dai rilievi critici mossi alla dottrina scolastica delle forme sostan­ ziali da Robert Boy le nell'Origin of Forms and Qualities ( 1 666): Non vedo alcuna necessità di ammettere alcuna forma sostanziale di questo tipo nelle cose naturali , dato che la materia e i suoi acci­ denti sono sufficienti a spiegare quel tanto dei fenomeni della natu­ ra che noi già comprendiamo o è probabile che possiamo compren­ dere. Non vedo poi di quale utilità sia questa imbarazzante dottrina delle forme sostanziali nella filosofia naturale, visto che l ' acuto Scaligero, e coloro che più si sono impegnati in tale indagine, hanno ammesso con franchezza (come fanno generalmente i più onesti peri­ patetici) che la vera conoscenza delle forme è troppo difficile ed astru­ sa perché la possano raggiungere. Lascio poi a te giudicare che probabilità ci siano che dei fenomeni particolari siano spiegati da un principio di cui si confessa di ignorare la natura79 . La negazione di Locke, va però ribadito, si limita alla conoscibilità da parte dell' intelletto umano di ciò che sta oltre le qualità sensibili e che si ritiene sia la ragion d'essere e il sostegno di queste qualità; non si esten­ de all ' esistenza di questa substantia . Il discorso diventa più esplicito nei capitoli m e VI del terzo libro del Saggio sull 'intelletto umano, dove Locke mostra che la conoscenza che il nostro spirito possiede si limita alle essen-

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ze nominali e non raggiunge le essenze reali delle cose. Cogliere le essenze nominali significa cogliere un complesso di qualità che ci per­ mette di classificare in una data specie un gruppo di cose, mentre coglie­ re le essenze reali significa venire a conoscere la costituzione intima e la vera natura delle cose, la profonda struttura da cui derivano le parti­ colari qualità. L'esempio dell'oro è eloquente: L'essenza nominale dell'oro è quell'idea complessa rappresentata dalla parola oro, cioè ad esempio un corpo giallo, di un dato peso, malleabile , fusibile e fisso. Ma l'essenza reale è la costituzione delle parti impercettibili di quel corpo, dalla quale dipendono quel­ le qualità e tutte le altre proprietà dell' oro80.

È questo ancora un discorso di limiti dell' umano intel letto. Locke non mette in dubbio «che ci deve essere qualche costituzione reale dalla quale deve dipendere qualsiasi collezione di idee semplici coesistenti»8 1 , ma riserva la conoscenza di questa ad una mente superiore alla nostra: a quel­ la del Dio creatore certamente, e forse a quella degli spiriti celesti . Locke viene infine a parlare delle idee delle relazioni , di quelle idee com­ plesse «che lo spirito ottiene confrontando le idee tra di loro» 82. Il suo intento è ancora quello di mostrare come anche queste idee, per quanto complesse , possano ricondursi alla comune fonte della sensazione e della riflessione83. La principale tra le relazioni è quella di causa ed effet­ to. Il discorso di Locke su tale rapporto è, in questo capitolo XXVI dedicato specificamente ad esso, estremamente conciso , e si limita, fede­ le in questo al suo «historical method» , alla descrizione del modo in cui il nostro spirito ottiene la nozione di causa e di effetto, e alla distinzio­ ne tra creazione, generazione, produzione ed alterazione: In tal modo, cioè da quello che i nostri sensi sono in grado di sco­ prire circa le operazioni dei corpi gli uni sugli altri , otteniamo la nozione di causa ed effetto, vale a dire che una causa è ciò che fa sì che qualunque altra cosa, idea semplice, sostanza o modo, cominci ad essere , ed un effetto è ciò che ebbe il suo inizio da qual­ che altra cosa8 4 .

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Queste poche riflessioni sul rapporto causa-effetto devono però venir inte­ grate con le osservazioni precedentemente fatte da Locke sul potere, donde emerge la convinzione che «ogni mutamento si osservi, lo spiri­ to deve supporre da qualche parte un potere che sia in grado di effettua­ re quel mutamento , come anche la possibilità nella cosa di riceverlo»85 e con quelle del quarto libro, relative all'estremo limite della nostra cono­ scenza della coesistenza di poteri nei corpi: «i poteri attivi e passivi dei corpi e i loro modi di operare consistono nel tessuto e nel movimento di parti che non possiamo in nessun modo scoprire; quindi solo in pochi casi possiamo percepire la loro dipendenza da, o la loro ripugnanza a una di quelle idee che costituiscono la nostra idea complessa di quella specie di cose»86. Appare chiaro che secondo Locke il rapporto di causa ed effetto ha un fondamento reale , oggettivo, anche se la nostra cono­ scenza di esso, nonostante i progressi delle scienze della natura, è molto limitata, non essendo il nostro intelletto in grado di cogliere l 'intima natu­ ra delle cose e il modo profondo delle reciproche operazioni. Alla stesura del capitolo XXVII del libro II del Saggio dedicato allo studio della relazione di identità o di diversità, Locke fu inv itato ancora dall ' amico William Molyneux 87 . Lo studio del rapporto inter­ corrente tra una cosa esi stente in un determinato tempo e luogo e la stessa esistente in altro tempo88 , che comparve soltanto a partire dalla seconda edizione del Saggio, portò Locke a prendere posizione sul di battuto principium individuationis , ma soprattutto lo costrinse a pronunciarsi - dopo aver dichiarato l ' inconoscibilità della sostanza ­ su di un tema con esso strettamente connesso, quale quello del l ' iden­ tità personale. Locke volle mostrare che la dottrina scolastica della sostanza e delle forme sostanziali era inutile anche per questa deter­ minazione, non aiutando nel caso specifico una definizione di uomo come «animai rationale» , quanto invece la chiarificazione del concet­ to di persona come > ; infatti «le nostre idee morali sono, come quelle matematiche, gli archetipi stessi , perciò idee adeguate e complete; tutto l ' accordo o il disaccordo che troveremo in esse produrrà conoscen­ za reale come nelle figure matematiche» 1 30 . Le idee complesse delle sostanze «Si riferiscono ad archetipi fuori di noi» 1 3 1 , e quindi può capi­ tare che la nostra idea non sia conforme alla cosa stessa, il che per altro non è raro , dal momento che non ci è dato di conoscere le essenze reali delle cose . Accanto al problema della realtà della nostra conoscenza sorge quello della verità, che porterà Locke a rivolgere la sua attenzione alle proposizioni, ed in particolare alle proposizioni generali. La verità, che Locke defini­ sce «l 'unione o la separazione di segni, a seconda che le cose da essi signi­ ficate concordino o discordino l' una con l' altra» 1 32, concerne propria­ mente le proposizioni. Le proposizioni però sono costituite dalle parole che stanno a significare le idee, di cui viene affermata la reciproca con­ cordanza o discordanza. La verità dunque ha un riferimento necessario ed immediato con le parole e terminale con le idee: La verità consiste nel tradurre in parole l'accordo o il disaccordo delle idee , quale esso è. La falsità consiste nel tradurre in parole l 'accor­ do o il disaccordo delle idee in modo diverso da come esso è. E in quanto queste idee , simboleggiate dai suoni , concordano con i loro archetipi, c'è verità reale. La conoscenza di queste verità consiste nel conoscere per quali idee le parole stanno e nella percezione del­ l'accordo o del disaccordo di queste idee, così come sono simboleg­ giate da queste parole 1 33.

È dunque comprensibile , data la relazione proposizioni-parole-idee, che le osservazioni precedentemente fatte per le parole e le idee por­ tino a considerazioni analoghe sulle proposizioni . In particol are ciò avviene per ciò che riguarda le proposizioni generali , della cui verità noi possiamo avere certezza «solo quando i termini usati in esse stanno per idee la cui concordanza o discordanza , così come viene espressa , può essere scoperta da noi» 1 34. Il che si gnifica:

L.ocke Il pensiero

l ) Nelle proposizioni generali , dove si suppone che i termini signi­ fichino delle specie che consistono in essenze reali, distinte dalle nominali , noi non siamo capaci di alcuna conoscenza certa, perché, non conoscendo questa essenza reale, non possiamo

sapere quali qua­

lità convengano o non convengano con questa essenza sconosciu­ ta, e nemmeno potremo mai scoprire quali esseri appartengano a que­ sta specie [ . . ] . .

2) In tutte le proposizioni generali , dove i termini stanno ad indica­ re soltanto l' essenza nominale, o l'idea astratta, di modo che la specie è determinata da ciò soltanto, noi siamo capaci della certez­ za

fin dove riusciamo a cogliere la concordanza o discordanza di que­

ste idee astratte. Ma questo avviene assai raramente per le sostan­ ze, perché noi non possiamo scoprire , se non in ben pochi casi, la coesistenza necessaria o l' incompatibilità con le altre idee delle idee che compongono l' idea complessa che noi abbiamo di qualche specie di sostanza 1 35 . I capitoli IX-XI del quarto libro del

Saggio sull 'intelletto umano sono

dedicati al problema della nostra conoscenza dell'esistenza. D breve para­ grafo che mostra come l 'esistenza dell ' io venga conosciuta intuitiva­ mente, quindi con la massima evidenza e certezza, è di chiara deriva­ zione cartesiana: Niente può essere per noi più evidente della nostra propria esisten­ za. Io penso, io ragiono, io sento piacere e dolore: può una di que­ ste cose essere per me più evidente della mia propria esistenza? Se dubito di tutte le altre cose , questo stesso dubbio

mi fa perce­

pire la mia propria esistenza e non mi permette di dubitarne. Giacché, se so di sentire dolore , è evidente che ho una percezio­ ne certa della mia propria esistenza come dell'esistenza del dolo­ re che sento; o se so di dubitare, ho una percezione certa dell'esi­ stenza della cosa che dubita, come del pensiero che io chiamo dubbio. L'esperienza ci convince che abbiamo una

intuitiva

conoscenza

della nostra propria esistenza e una percezione interna

infallibile che noi esistiamo 1 36 .

1 63

1 64

Locke Il pensiero

Dell'esistenza di Dio non abbiamo conoscenza intuitiva. Il nostro intel­ letto è però in grado di dimostrare la sua esistenza, e quindi possiamo aver­ ne un'autentica Knowledge. La negazione delle idee innate e le conside­ razioni sulla pretesa universalità de li' idea di Dio del primo libro portano ovviamente Locke a non ritenere valide le prove cartesiane dell'esisten­ za di Dio che partono dali' «idea dell'essere perfettissimo» I37. La prova dell'esistenza di Dio proposta da Locke non è originale, anzi ripropone il tradizionale «argumentum ex contingentia». La dimostrazione dell 'esi­ stenza dell ' io ha portato Locke ad affermare con certezza che «qualco­ sa attualmente esiste» l38, un qualcosa però che, non avendo in sé la ragio­ ne del suo essere, rimanda ad un essere eterno: L'uomo sa con intuiti va certezza che il puro nulla non può produr­

re un qualunque essere reale, più di quel che il puro nulla possa essere uguale a due angoli retti [ . . ] Se perciò noi sappiamo che .

c'è qualche essere reale e che il non essere non può produrre nes­ sun essere reale, questa è la dimostrazione evidente che dall ' eter­

nità c 'è stato qualcosa; perché ciò che non esiste dal i ' eternità ha avuto un inizio; e ciò che ha avuto un inizio deve essere prodotto da qualcosa d ' altro i 39. Ciò che ha ricevuto l ' essere, ha ricevuto anche le sue perfezioni , le sue caratteristiche; non può infatti averle ricevute da chi non le h a . Così la fonte dell 'essere è anche la fonte d i ogni perfezione. Infine per mezzo della sensazione noi veniamo a conoscere l' esisten­ za delle cose . Benché questa conoscenza non raggiunga un grado di evidenza e di certezza paragonabile alla conoscenza intuitiva dell'esi­ stenza dell ' io, e neppure a quel la dimostrativa dell 'esistenza di Dio, essa ci forn isce tuttavia una sicurezza tale per cui possiamo parlare ancora di Knowledgel40 . Questo viene comprovato da un converge­ re di fatti, quali la passività dei nostri sensi durante la percezione, l' in­ volontarietà delle sensazioni spesso non piacevoli , la diversità tra sen­ sazione e ricordo, il concorso di vari sensi a testimonianza della medesima cosa. Oltre lo stretto campo della Knowledge, della conoscenza certa ,

Locke Il pensiero

limitato ali' ambito così ristretto delle nostre idee e del l ' evidenza immediata o mediata della loro convenienza reciproca, noi dobbia­ mo accontentarci di una conoscenza approssimativa, apparente, pro­ babile, basata soltanto su «l' apparenza di una simile concordanza o discordanza, mediante l ' i ntervento di prove il cui legame non è costante né i mmutab i l e , o , per Io meno , non è percepito come tale» 1 4 1 . Non siamo più , per parlare secondo la terminologia lockia­ na, nel mondo del la Knowledge , nel mondo cioè del la certezza, ma in quello del Judgment, nel mondo cioè dell a presupposizione e della probabilità: Così lo spirito ha due facoltà che riguardano il vero e il falso: la prima è la conoscenza, mediante la quale esso percepisce con certezza, ed è incontestabilmente convinto della concordanza o discordanza di due idee qualsiasi. La seconda è il giudizio, che consiste nel mette­ re insieme, o separare l ' una dall'altra, le idee nello spirito, quando la loro concordanza o discordanza certa non è percepita, ma presup­ posta: che significa, come la parola comporta, darla per tale prima che tale appaia con certezza142. I fondamenti della probabilità - ossia ciò che ci assicura l a sua con­ vergenza con la verità - sono due: « l ) l ' accordo con l a nostra espe­ rienza; 2 ) la testimonianza dell ' esperienza altrui» 1 43 . In base a que­ sti sarà possibile determinare i vari gradi d i probab i lità e la loro rispettiva d istanza dalla certezza144. Con la probabilità vengono dunque ricuperate all ' u mano intelletto quel­ le ampie zone che erano state riconosciute estranee alla Knowledge. Né questo genere di conoscenza probabile, per quanto di grado e di valore inferiore alla certezza, doveva per ciò stesso veni r rifiutato o disprezzato. Gran parte delle nostre conoscenze , riconosce Locke, sono di questo genere , eppure «noi non n utriamo nessun dubbio circa la loro verità, tanto alcune di esse sono vicine alla certezza, anzi diamo loro un assenso così risoluto e agiamo in conseguenza di quel l ' assenso i n maniera così decisa, come se esse fossero infallibilmente dimostra­ te o avessero la maggior evidenza, e la conoscenza che ne abbiamo

1 65

1 66

Locke Il pensiero

fosse perfetta e certa» I 45 . E questo nostro comportamento non è bia­ simevole , mentre sarebbe assurda la pretesa opposta, quella di chi volesse essere sempre guidato dalla Knowledge: infatti , essendo come si è visto la conoscenza tanto limitata e scar­ sa, spesso egli si troverebbe del tutto all'oscuro e, nella maggior parte degli atti della sua vita, immobilizzato del tutto, se nulla potesse gui­ darlo nell'assenza di una conoscenza chiara e certa. Chi non voles­ se mangiare finché non avesse la dimostrazione che questo lo nutri­ rà; chi non volesse muoversi prima di conoscere infallibilmente che l'attività in cui si i mpegna avrà successo , costui avrà ben poco da fare se non sedere immobile e perire 14 6 . Ben poche cose sono a noi manifeste con chiarezza ed evidenza. Rico­ noscere questi limiti dell'umano intelletto , significa riconoscere pure la volontà e il piano di Dio, il quale «nella maggior parte dei nostri interes­ si ci ha provveduto soltanto il crepuscolo (se così posso dire) della pro­ babilità» 1 47. Vi è poi il caso in cui la testimonianza non è più solamente umana, ma ci proviene da Dio stesso. Così ce ne parla Locke, raccogliendo in sin­ tesi le conclusioni cui era giunto nelle sue meditazioni sulla fede, sulla rivelazione e sul l ' ispirazione: Vi è un'altra specie di proposizioni che reclamano il più alto grado del nostro assenso, sulla base di una semplice testimonianza, sia che la cosa proposta concordi o no con l ' esperienza comune e con l ' ordinario corso delle cose . La ragione di ciò è che la testimo­ nianza viene da uno che non può ingannare , né essere inganna­ to: ossia da Dio stesso . Questo porta con sé una sicurezza supe­ riore ad ogni dubbio, una prova che non tollera eccezioni . Con un nome particolare questo è chiamato rivelazione, ed il nostro assenso ad esso è chiamato fede (Faith); questa determina con altrettanta assolutezza la nostra mente, ed in modo altrettanto per­ fetto escl ude ogni tentennamento, quanto la nostra stessa cono­

scenza (Knowledge); anzi potremmo altrettanto bene dubitare del

Locke Il pensiero

nostro proprio essere, quanto possiamo dubitare che sia vera una qualunque rivelazione proveniente da Dio 1 4 8 . Come si vede , nelle pagine del

Saggio

lockiano la fede

(Faith)

assume un ruolo decisamente particolare , che con la probabi l i tà sembra abbia ben poco da spartire a livello di certezza; pur avendo in comune con essa la derivazione per testimonianza , la supera e la trascende proprio per il particolare genere di questa testimonianza, ottenendo «il grado più alto del nostro assenso» al pari della stes­ sa

Knowledge

nel suo più alto grado, la conoscenza intuitiva. Men­

tre pone la rivelazione divina ad un livello di superi ore valore , Locke non dimentica però di cautelarsi contro ogni possibile devia­ zione fide istica , ribadendo a tal fine la necessità di assic urarsi «che essa sia una rivelazione divina, e che noi la comprendiamo rettamen­ te» . Di nuovo così l ' umana ragione viene richiamata in causa , per­ ché la fede non è in contraddizione con la ragione , né è ad essa com­ pletamente estranea: la fede è assenso fondato «On the highest reason» 1 4 9 . E proprio per evitare tutte le stranezze de l l ' entusia­

smo , ossia del

fide ismo fanatico l50, egli ritenne indispensabile pro­

cedere ad un' indagine particolarmente accurata sulla fede , nei suoi rapporti con la ragione e nel l ' autonomia delle sue proposte di veri­ tà superiori a quelle razionalmente di mostrabili . Per prima cosa viene precisato che cosa si intenda per ragione

san) .

(Rea­

Dalla descrizione fatta nei primi paragrafi del capitolo XVII

del IV li bro del

Saggio sull 'intelletto umano , essa si

presenta come

quella umana facoltà indispensabile «sia per estendere la nostra conosce nza , sia per regolare il nostro assenso» 1 5 1 . La ragione abbraccia per intero l' ambito della

Knowledge e quello dell' Opinion ,

e conduce l ' uomo a scoprire le prove della verità o della probabi­ lità di una proposizione , a ordinare e a percepire la connessione tra le idee , a formulare infine delle rette conclusioni 1 5 2 . Anche essa ha dei limiti in superabili : Sebbene essa penetri nelle profondità del mare e della terra , o innalzi i nostri pensieri ali ' altezza delle stelle e ci porti aura-

1 67

1 68

locke

Il pensiero

verso i vasti spazi e l ' ambito immenso di questa potente costru­ zione , tuttavia essa è ben lontana dal raggiungere anche solo l ' estensione reale deli ' essere corporeo 1 5 3 . La mancanza delle idee , la loro oscurità e d imperfezione, la difficoltà di trovare e di comprendere le idee intermedie, la presenza e l ' influsso di preconcetti o di falsi principi, l 'uso di parole di significato dubbio ed incer­ tol54, sono tutti ostacoli che impediscono alla ragione l' ampliamento della sua zona di competenza. Sebbene alcuni di questi ostacoli siano da essa superabili - e con la sua Condotta dell 'intelletto Locke si sarebbe pro­ posto appunto di indicare i rimedi a molti di questi mali 1 55 - altri stan­ no ad indicare il suo limite radicale, oltre il quale essa da sola non è in grado di procedere.

È sufficiente a questo punto ricorrere alla fede per poter oltrepassare i limi­ ti e le barriere dell' umana ragione? È, in altri termini, giustificata la fede in ogni sua asserzione circa ciò che supera la ragione? Locke mette in guar­ dia contro il pericolo di cadere in una fede irrazionale, indegna sia di Dio che dell'uomo: Chi crede senza avere nessuna ragione per credere, può essere inna­ morato delle proprie fantasie, ma né costui cerca la verità come dovrebbe, né obbedisce al suo Fattore nel modo dovuto, essendo nella intenzione del Fattore stesso che egli impieghi le facoltà di discer­ nimento, che egli gli ha dato, per tenersi fuori dagli inganni e dagli errori 1 56. Pressante diventa allora l ' esigenza della distinzione delle competen­ ze specifiche della Faith e della Reason, nonché del la chiarificazio­ ne del loro reciproco rapporto. A l i vello di pura definizione la fede e la ragione si presentano ch iaramente distinte. La ragione, intesa come «scoperta della certezza o probabi l i tà di quelle proposizioni , o verità, cui lo spirito giunge per deduzione fatta a partire da quel­ le idee che ha ottenuto mediante l ' uso delle sue facoltà naturali , ossia la sensazione e la riflessione)) 1 5 7 , presenta tutta la sua d i stanza dalla fede , definita come « l ' assenso dato ad una proposizione, non

Locke Il pensiero

ottenuta mediante le deduzioni della rag ione , ma sul credito di chi la propone come proveniente da Dio, in una qualche maniera fuori dal i ' ordinario>> 1 5 8 . Se chiaro appare il confine tra fede e ragione a li vello puramente formale e genetico , non altrettanto chiaro esso si mostra a livello di contenuti . Utile pertanto Locke ritiene riprende­ re nel Saggio la classificazione proposta dal Boyle proprio in que­ gli anni di proposizioni «according to Reason» (conformi a ragio­ ne) , «above Reason» (superiori alla ragione) e «Contrary to Reason» (contrarie alla ragione) , al fine di arginare ogni infondato procedi­ mento fantastico , e di segnare , anche a livello di contenuti , la zona della fede l 59. Pur non essendo estranea al l' ambito de l l according to '

Reason - infatti «Dio potrebbe con la rivelazione scoprirei la veri­ tà di qualunque proposizione di Euclide , allo stesso modo come gli uomini , mediante l ' uso naturale delle loro facoltà, vengono a farne scoperta per loro conto» 1 60 -, la fede non trova in questo il suo ambi­ to peculiare. Anzi in questo settore l 'utilità della rivelazione è mini­ ma, «perché Dio ci ha provveduti di mezzi naturali e più sicuri per giungere alla conoscenza di queste cose» l 6 1 : giudice competente per eccellenza è e rimane in tale zona la ragion e . L' ambito di compe­ tenza speci fica della fede è quello de l l ' above-Reason, ossia di «quelle proposizioni la cui verità o probabil ità noi non riusciamo a derivare da quei princìpi [naturali che sono la sensazione e la rifles­ sione] per mezzo della ragione» l 62. Che - come esemplifica Io stesso Locke - una parte degli angeli si sia ribellata a Dio e che in seguito a ciò abbia perso la condizione di felicità originaria, che i corpi umani debbano risorgere e vivere di nuovo , «queste ed altre simili cose , essendo fuori del raggio di ciò che può scoprire la ragione , sono puramente questioni di fede , con le quali la ragione non ha nulla a che fare direttamente» 1 63 . Di fronte a queste verità la ragione umana si trova completamente sprovveduta, e non poten­ do formulare alcun sicuro giudizio in merito , deve riconoscere l a competenza della fede: Dove i principi della ragione non hanno dimostrato che una propo­ sizione è certamente vera o falsa, là una rivelazione chiara, come

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Locke Il pensiero

diverso principio di verità e base dell 'assenso, giustamente potrà determinare lo spirito; e così potrà trattarsi di una questione di fede superiore al tempo stesso alla ragione 1 64 . . L'oggetto dunque della fede è la rivelazione , ed in particolare la rivela­ zione di quelle verità che noi, con il solo uso della nostra ragione, non saremmo stati in grado di raggiungere. Dall'ambito della fede è infine escluso completamente tutto ciò che è contrary to Reason. Per fede l 'uomo non è autorizzato a prestare il suo assenso «a quelle proposizio­ ni che sono incompatibili o inconciliabili con le nostre idee chiare e distin­ te)) 1 65 . La naturale Knowledge non può venir contraddetta da una prete­ sa rivelazione: Nessuna proposizione può essere ricevuta come rivelazione divina o ottenere l ' assenso dovuto a tutte le rivelazioni siffat­ te , se è in contraddizione con la nostra conoscenza intuiti va chiara . Poiché questo significherebbe sovvertire i princìpi e i fondamenti di ogni conoscenza, evidenza ed assenso di qua­ lunque genere; né ri marrebbe nessuna differenza tra il vero e il fal so, nessuna misura del credibile e del l 'i ncredibile se le proposizioni dubbie dovessero prendere posto prima di quel­ le evidenti di per se stesse , e ciò che conosciamo con certez­ za cedere il passo a cose sulle quali possiamo forse essere in errore 1 66 . Fede e ragione in tal modo , anziché in opposizione, sono viste pro­ cedere su li nee parallele e concomitanti : tra loro non c ' è contrad­ dizione, ma non c ' è neppure reciproca ignoranza. Se la ragione rende critica e degna la nostra adesione alla fede - sia garanten­ doci l ' origine divina della rivelazione , sia non permettendoci di cedere al contrary to Reason - la fede a sua volta renderà un pre­ zioso servizio alla ragione: «Senza alcuna violenza ed ostacolo alla rag ione , senza offenderla né turbarla, la fede l ' aiuta e l ' accresce con nuove scoperte di verità che provengono dalla eterna Fonte di ogni conoscenza� l 67 .

Locke IL pensiero

V. I l RIENTRO I N I N G H I LTERRA E I l RITI RO AD OATES : G LI U LTI M I SCRITTI Al ritorno in Inghilterra Locke si stabilì a Londra. La sua salute malfer­ ma lo consigliò di rifiutare la carica di ambasciatore presso la corte di Fede­ rico III , Elettore del Brandeburgo, e di assumere incarichi di minore impe­ gno: fu nominato dapprima commissario d 'appello e qualche anno dopo - per la competenza dimostrata anche in campo di politica economica con le Considerazioni sulle conseguenze che derivano dalla diminuzione

dell 'interesse del denaro e dali'aumento del prezzo della moneta ( 1 692) -

commissario del commercio e delle colonie. Dal 1 69 1 si trasferì ad Oates,

nella campagna deli'Essex, ospite di Sir Francis Masham e di Lady Damaris Masham, figlia del filosofo di Cambridge Rulph Cudworth : Vi aveva trovato un clima così buono, che ritenne di non poteme tro­ vare di migliori. Inoltre la piacevole compagnia che egli trovò nella famiglia del signor cavaliere Masham - compagnia capace di ren­ dere bello anche il luogo più triste - contribuì senza dubbio molto a spingere il signor Locke a chiedere a questo gentiluomo che lo acco­ gliesse nella sua casa, dove egli intendeva fissare stabile dimora e attendere la morte, applicandosi ai suoi studi quanto glielo permet­ teva la malferma salute . Fu accolto alle condizioni che egli stesso aveva posto, perché potesse avere una libertà completa, e potesse con­ siderarsi come a casa sua. In questo ambiente sereno ed ospitale egli passò il resto della sua vita, allontanandosi il meno che gli fosse pos­ sibile, perché ormai l ' aria di Londra gli diventava sempre più insop­ portabile . Vi tornava soltanto d' estate , per tre o quattro mesi , e l ' aria di campagna lo ristabiliva ben presto dai danni eventualmen­ te arrecati dali' aria di LondraI . Furono anni densi di studio e ricchi di produzione, che videro Locke impe­ gnato sia nella difesa e nella chiarificazione delle dottrine esposte nelle sue opere edite e attaccate da numerosi critici , sia in ulteriori approfon­ dimenti speculativi ed esegetici. Rispose con una Seconda lenera sulla tolleranza ( 1 690) agli attachi c mossi

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locke

Il pensiero

contro la sua dottrina della tolleranza dal teologo John Proast. Questi , in un suo scritto di quello stesso anno2, aveva sostenuto che qualche grado di costrizione poteva venir usata dall' autorità politica, la quale «indirectly and at distance» aveva diritto di intervenire anche su questioni religiose, al fine di portare gli eretici ad un ripensamento sui loro errori e alla pratica re l i giosa: a tale scopo i castighi dovevano veni­ re «fitly and reasonably used)) , Ritornò nel 1 692 con la Terza

lettera per la tolleranza a rispondere alle nuove obiezioni che gli erano state mosse con nuovo vigore dal Proast3 . Riunì in un unico volume, che pubblicò nel 1 69 3 col titolo

Some Thoughts concerning Education , quei consigli peda­ gogici richiesti dagli amici Edward e Mary C l arke per l ' educazione del loro fi glio, che egli aveva composto durante l ' esilio olandese e loro inviati in numerose lettere4 . Essi mantengono , nonostante alcuni precedenti interventi loc­ kiani di riunificazione e di rior­ ganizzazione, un chiaro carat­ tere di scritto occasionale e si articolano di preferenza in una serie di consigli minuti e prati­ ci. Anche questa caratteristica,

Locke Il pensiero

permettendo una più agevole lettura, favorì l ' eccezionale diffusione di quest'opera. Ma alla fortuna di questo scritto, anche oltre i confini ingle­ si , molto contribuì la novità della proposta pedagogica. Pur non essen­ do un trattato organico di pedagogia - e anche Locke è cosciente di que­ sto fatto , e si augura che «qualcuno più capace e più idoneo a questo compito voglia in un vero

Trattato dell 'educazione,

adatto alla nobil­

tà inglese, correggere gli errori che ho commesso in questo mio scrit­ to»S - questi pensieri si sviluppano secondo una ben chiara ed unita­ ria visione pedagogica, che da un lato fonde in un unico corpo sia gli elementi tradizionali, sia le proposte innovatric i , e che dal i ' altro per­ mette di tracciare linee direttive che vanno oltre la particolare e con­ tingente situazione . La pedagogia lockiana, radicata profondamente in una concezione anti­ innatistica, è convinta della grande incidenza dell' azione educatrice sulla formazione dell' uomo: «penso di poter affermare che nove su dieci, anzi novantanove su cento degli uomini che ho incontrato, sono quel che sono, buoni o cattivi, utili o no, secondo l'educazione ricevuta.

È l'edu­

cazione che produce le grandi differenze che ci sono tra gli uomini» 6 . Certo le doti naturali - come sottolineerà ancora nella

Condona dell 'intellet­

to - sono indispensabili, ma lo sviluppo di esse dipende in massima parte dall'uso e dall'esercizio: Siamo nati con facoltà e potenze capaci quasi di tutto , o, almeno, tali da condurci assai più lontano di quanto non si possa. immaginare . Però soltanto l' esercizio di queste potenze ci rende capaci di simi­ li cose e ci fa avvicinare alla perfezione [ . . . ] Non nego che le dispo­ sizioni naturali possano sovente favorire il germogliare di queste doti , ma senza la pratica e l' esercizio non si possono avere grandi pro­ gressi. Soltanto l' esercizio è in grado di portare alla perfezione le facoltà , tanto dello spirito quanto del corpo1. [ A coloro che s i scoraggiano] s i può rispondere applicando il pro­ verbio «Usa le gambe ed avrai le gambe)) . Nessuno infatti conosce la forza che le sue membra possiedono, fin tanto che non le avrà messe in uso [ ... ] Nessuno conosce la potenza del suo spirito e la forza che gli deriva da un' applicazione costante e regolare , fin tanto che

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Locke

Il pensiero

non abbia provato. Una cosa è certa: colui che si mette in cammi­ no, pur avendo le gambe deboli , non soltanto andrà più lontano di colui che è dotato di una buona costituzione ed ha un paio di gambe valide, e che tuttavia se ne sta seduto , ma addirittura diventerà più forte di costui8. Compito dell' educazione è quello allora di far sviluppare con l 'eserci­ zio quelle doti , intese non già come patrimonio ma come capacità di azio­ ni , presenti nel bambino. Una severa disciplina fisica è dapprima propo­ sta perché i bambini possano ottenere «una robusta costituzione, capace di sopportare privazioni e fatiche»9: solo attraverso l ' abitudine e l'eser­ cizio graduale e costante il corpo si fortifica. Ma tale rigore si estende pure all 'educazione dello spirito: Dopo aver prodigata ogni cura a conservare forte e vigoroso il corpo, in modo da renderlo idoneo ad obbedire alla mente e ad ese­ guirne gli ordini , il primo e più importante compito è quello di dare alla mente un retto indirizzo, affinché in ogni contingenza non sia disposta a consentire se non a ciò che è conforme alla dignità e all'ec­ cellenza di una creatura ragionevole IO. Tanta severità nell' educazione è richiesta perché il bambino deve diven­ tare un uomo virtuoso: Il grande principio, fondamento di ogni virtù e di ogni merito sta in questo: che l ' uomo sia capace di rinunciare ai propri desideri , di opporsi alle proprie inclinazioni , e di seguire unicamente ciò che la ragione gli addita come migliore, benché gli appetiti tendano all 'al­ •

tra parte 11

L'opera educatrice per raggiungere uno scopo così impegnativo non deve però seguire la strada della costrizione, della punizione, del terro­ re. Essa deve rispettare le esigenze del bambino e, studiate le sue tenden­ ze, favorire quelle migliori:

Locke 1 7 5 Il pensiero

Questo umore allegro che la natura saggiamente assegnò alla loro età e al loro temperamento, più che frenato e represso dovrebbe esse­ re incoraggiato, allo scopo di tener sollevato il loro morale e miglio­ rame le forze e la salute; e l ' arte suprema consiste nel trasformare in diporto ed anche in gioco tutto ciò che i bambini debbono fare 1 2 . Anziché cedere alla tentazione dell'adultismo, così seguita dalla prassi pedagogica del tempo - «Non impedite dunque a loro di essere bambi­ ni, o di giocare e di fare ciò che fanno i bambini; tranne che di fare ciò che è male, ogni altra libertà deve essere loro concessa» sa ammonire Locke 1 3 -, essa deve essere capace di trovare tecniche che rendano l'esercizio delle facoltà più facile, e meno ostico lo studio: Io sono sempre stato proclive a credere che si debba insegnare ai bam­ bini facendo dell' insegnamento un gioco e un divertimento; e che essi siano indotti a desiderare di apprendere , se ciò è proposto a loro come cosa che procura onore , credito, piacere e svago, oppure come premio1 4 . Talora saranno necessari e doverosi i castighi, anche quelli corporali, «ma come ho detto e ripetuto, le frustate sono il peggiore e l 'ultimo rimedio da usarsi per la correzione dei fanciulli, e soltanto in caso di estrema neces­ sità, dopo che tutti i modi persuasivi siano stati sperimentati e si siano mostrati inefficaci» 15. La persuasione razionale è per Locke la strada mae­ stra che deve venir percorsa nel processo educativo del fanciullo. Egli non cessa di ricordare ai genitori e agli educatori che «i bambini vanno trat­ tati come creature ragionevol» 1 6 , infatti i bambini sanno ragionare da quando cominciano a parlare e , se non ho osservato male, amano di essere trattati da creature ragionevoli assai prima di quanto non si immagini.

È questa un'ambizione che

va coltivata in loro, facendone per quanto è possibile, lo strumento più valido della loro educazione l ? . La convinzione razionale però, pur essendo il migliore stimolo anche per

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locke Il pensiero

il fanciullo a seguire una condotta retta , è soggetta a gradualità. Nel bam­ bino essa può venir confortata dall' approvazione e dalla lode che con­ seguono ad un comportamento virtuoso, essendoci per altro tra virtù e buona reputazione uno stretto legame: Infatti la virtù consiste nella conoscenza che l ' uomo ha del proprio dovere e nella soddisfazione che prova obbedendo al Creatore , e seguendo, con la speranza di piacergli e di averne ricompensa, i det­ tami di quella Luce che Dio gli ha data. Ma la buona reputazione, essendo la prova del plauso che gli uomini concedono per comu­ ne consenso alle azioni virtuose e rette, è la guida opportuna e il giu­ sto incitamento per i bambini , fino a quando saranno capaci di giu­ dicare da soli e di scoprire col loro proprio raziocinio ciò che è giusto 1 8 • Sulla gradualità dello sviluppo delle doti del bambino e sulle tecniche che il pedagogo deve seguire per favorire questo sviluppo nel modo miglio­ re e nel tempo più opportuno, sono dirette molte e talora originali con­ siderazioni di Locke . Nel l697 Locke, mentre stava preparando varianti ed aggiunte per la quar­ ta edizione del Saggio sull 'intelletto umano , sentì l'esigenza di tornare su alcuni di questi temi , con l'intenzione di trattame in un ulteriore capi­ tolo da inserire nella sua opera maggiore. Così leggiamo nella lettera del

I O aprile all ' amico William Molyneux: Ho scritto diverse pagine su questo argomento, ma la materia, quan­ to più procedo , diventa sempre più vasta, e non sono ancora in grado di vedeme il termine. Il titolo del capitolo sarà Of the Con­

duct ofthe Understanding , e, sempre che riesca a comporlo con tutta l 'estensione che immagino esso meriti , diventerà, alla fine , il più ampio capitolo del mio Saggio l9. Locke però non portò a termine i l suo manoscritto, né l a Condotta del­

l'intelletto, la quale aveva assunto dimensioni così vaste che solo una riste­ sura completa avrebbe potuto ridurre nei ragionevoli limiti di un capi-

locke Il pensiero

tolo , comparve nella quarta edizione del Saggio, né in alcuna edizione successiva come capitolo di esso. Fu pubblicata postuma da Anthony Col­ lins e da Sir Peter King nel 1 706 nelle Posthumous Works of Mr. John

Locke, e già nel Settecento fu considerata una delle opere più significa­ tive del filosofo inglese. Nella Condotta dell 'intelletto Locke affronta molti temi già trattati con ampiezza maggiore nel Saggio sull 'intelletto umano, ma da un' angola­ tura diversa. Mentre nel Saggio Locke aveva voluto rilevare «historical­ ly» il comportamento dello spirito, aveva cioè compiuto un'opera del gene­ re di quella dell' anatomista e del fisiologo della mente per la descrizione e spiegazione del processo conoscitivo, nella Condotta dell 'intelletto egli passò a studiare la patologia dell 'intelletto , le cause delle sue deviazio­ ni e dei suoi comportamenti anomali , per poi suggerime i rimedi . Una dichiarazione esplicita di questo intento si trova nel paragrafo XLI della

Condotta , dove , affrontando il tema dell ' associazione delle idee , Locke ricorda che questo, come molti altri temi di questo scritto, era già stato trattato nel Saggio; tuttav ia, egli osserva, in quella sede ne ho parlato in modo puramente storico , mostrando come l ' intelletto si comporta in questa sua operazione, come pure nelle altre sue diverse operazioni , e non mi sono invece proposto di cercare i rimedi che gli possono venir applicati. Secondo quest ' ul­ tima ottica proporrò altri elementi di riflessione a coloro che hanno intenzione di istruirsi circa la retta strada lungo la quale condurre il loro intelletto20 . Ritornano molte considerazioni e vengono dati molti consigli già presen­ ti nei Pensieri sull 'educazione: essi però non sono più solo indirizzati all' educazione dei bambini, ma sono riconosciuti validi in ogni momen­ to della vita dell' uomo per la ricerca della verità. Nei capitoli terminali del Saggio sull 'intelletto umano Locke era giun­ to a determinare con chiarezza sufficiente le «measures and boundaries between Faith and Reason » , vale a dire gli ambiti di competenza speci­ fica della ragione e della fede . Questo non fu però il punto terminale della ricerca lockiana, ma la premessa critica indispensabile per poter poi

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accedere con sufficiente serenità all' ascolto della divina rivelazione. La Reasonableness of Christianity, as deliver 'd in the Scriptures, com­ parsa nella sua prima edizione a Londra nel 1695 , è il primo ed il più noto tentativo lockiano di attenta lettura e di meditazione dei testi sacri . Con questa opera Locke si propone di accostarsi alla divina rivelazione - in particolare a quella contenuta nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli - per ascoltare da essa il messaggio deli 'umana salvezza. Non si è più ad una fase puramente critica. L'insegnamento di Cristo e degli apostoli, con­ tenuto negli scritti del Nuovo Testamento, è da Locke riconosciuto di pro­ venienza divina. Egli non mette in dubbio la rivelazione e l' ispirazione dei libri . del Nuovo Testamento, e si accosta ad essi con il solo deside­ rio - espresso nella Preface - «di comprendere la religione cristiana» 2 1 . Chiaramente non ci troviamo di fronte ad uno scritto di filosofia, ma, di teologia, o meglio di esegesi biblica. L'influsso della teologia latitudinaria e razionalistica inglese del Seicen­ to e dell' insegnamento dei pastori rimostranti olandesi è assai forte nella

Ragionevolezza del Cristianesimo, e determina sia l'impostazione sia la soluzione dei principali problemi di natura esegetica e dogmatica. Locke parte dal riconosci mento della Scrittura come unica regola di fede . Que­ sto suo atteggiamento era simile a quello del Chillingworth che, fedele allo spirito originario della Riforma, aveva ribadito che nella Bibbia, e soltanto nella Bibbia, si trovava la vera religione dei protestanti22; simi­ le a quello di John Hales , che non aveva esitato a richiamare i cristiani d' Inghilterra al dovere della lettura diretta della Scrittura23 ; simile anco­ ra a quello di numerosi altri teologi inglesi, che, forti di tale convinzio­ ne, si erano opposti al dogmatismo puritano . Di tutti costoro Locke coglie l 'eredità e su questa linea viene confermato in Olanda dalla let­ tura delle lnstitutiones Theologicae di Episcopio, ove veniva affermata l' assoluta autorità del testo sacro, come unica norma di fede24 . Anche la dottrina della distinzione tra verità di fede fondamentali e non fondamentali - che sorregge la tesi lockiana che la messianicità di Gesù di Nazareth è l'unico articolo di fede richiesto necessariamente per la sal­ vezza - è giunta a Locke dalle medesime fonti . Il Chillingworth nella Pre­

face alla Religion of Protestants aveva già osservato che le verità fonda­ mentali della salvezza «sono manifestate in modo evidente nella Scrittura,

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la quale impone pure l'obbligo della loro predicazione a tutti gli uomi­ ni»25, mentre numerose altre verità di secondaria importanza, insegna­ te dalla Scrittura, ma non necessarie per la salvezza, possono restare oscu­ re. Tale distinzione era comunemente accolta presso i teologi rimostranti. Essa era stata sostenuta da Episcopio26 ed era presente nella Theologia

Christiana del Limborch. Pure Ugo Grozio aveva riconosciuto che accanto a verità di fede, richieste nei primi tempi del Cristianesimo per accedere al battesimo, vi erano anche «altre questioni più intricate , come quella della distinzione e dell ' unità del Padre , del Verbo e dello Spirito

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Locke Il pensiero

Santo, quella delle due nature in Cristo e delle loro proprietà; ma anche se non si ha una perfetta conoscenza di queste cose, non c'è impedimen­ to ad essere cristiano» 27 . Su questa distinzione molto si insisteva, al fine soprattutto di ristabilire l 'unità dei cristiani e di conseguire la pa.x chri­

stiana : «la pietà cristiana - infatti - non si basa sulla conoscenza di tali cose [verità non fondamentali] , e non dipende dal fatto di conoscere più o meno bene questi dogmi l' essere più o meno cri stiani; inoltre non dobbiamo allontanare nessuno dalla comunione della fratellanza cristia­ na a motivo di una più imperfetta conoscenza di tali dottrine, cosa che ci insegna anche S. Paolo nelle sue lettere ai Filippesi e ai Romani e di cui la Chiesa più antica ci dà l'esempio» 28 . Il rispetto che Locke nutriva verso la Sacra Scrittura e il desiderio di com­ prenderla nel suo vero senso si mostrano pure nella opzione che egli fece, nella sua esegesi , del senso letterale. Anche per questa opzione egli fu debitore ai teologi inglesi ed olandesi . John Hales, contro il pericolo di arbitrarie ed interessate interpretazioni dell 'insegnamento biblico, aveva già indicato , nel primo Seicento, come unico rimedio la stretta interpre­ tazione letterale del testo sacro: «Il significato letterale, puro e incontro­ vertibile della Scrittura, senza nessuna aggiunta o supplemento interpre­ tativo, è il solo che fonda quella fede alla quale noi necessariamente dobbiamo aderire»29 . La stessa convinzione animava pure i teologi olan­ desi . Il Limborch, ad esempio, nella Praefatio al Commentarius in Acta

Apostolorum et in Epistolas ad Romanos et ad Hebraeos del 1 7 1 1 , porrà come scopo precipuo della sua opera la scoperta e la fedele esplicazio­ ne del senso letterale della Scrittura: «illum mihi semper primo et ante omnia investigandum credidi»30 . L'interpretazione allegorica è troppo spesso voluta da chi intende oscurare il senso delle Sacre Scritture, a tutto vantaggio delle imposizioni dogmatiche. Locke è convinto di poter scoprire il vero insegnamento delle Scritture per mezzo di una lettura diretta, soprattutto non suggestionata da inter­ pretazioni umane preconcette . Non c'è bisogno di una guida umana per raggiungerlo, la stessa Scrittura lo rivela in modo ovvio e palese anche ali ' intelletto più limitato . Ed è ancora la Scrittura l 'unica capace di togliere ogni oscurità e ogni dubbio interpretativo, purché essa venga letta con un metodo che faccia sempre della Scrittura stessa la sua unica

Locke Il pensiero

guida. Come avverrà nelle successive Parafrasi e Note alle Epistole di

San Paolo, e come sarà codificato nel Saggio per la comprensione delle Epistole di San Paolo consultando lo stesso San Paolo , già in que­ st' opera del 1 695 la Scrittura viene interpretata per mezzo della Scrittu­ ra stessa. Locke - edotto pure dalle Considerations on the Style of the

Scriptures del Boy le - procede attingendo soltanto al racconto e alle spie­ gazioni che la Scrittura dà, e illuminando i vari passi con un continuo con­ fronto reciproco. La lettura dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli , che Locke affronta nella

Ragionevolezza del Cristianesimo, mostra che la rivelazione essenziale del cristianesimo è questa: Gesù di Nazareth è il Messia, l ' inviato di Dio promesso nell'Antico Testamento. Questo è l' unico dogma essenziale e salvifico, ed è espresso nella Scrittura in modo chiaro e indubitabile. La fede in quest'unico dogma è sufficiente per potersi dire cristiani . Locke precisa, sempre continuando la lettura del libro sacro, che la fede in Gesù­ Messia non è richiesta nel Vangelo come una fede storica, ma come una fede salvifica. Alla fede devono seguire le opere della fede: Vediamo dalla predicazione del nostro Salvatore e dei suoi aposto­ li, che egli richiese, a coloro che credevano che egli era il Messia e lo accoglievano come il loro Signore e liberatore, che vivessero secon­ do le sue leggi [ . . . ] Egli non avrebbe riconosciuto come suo chi non avesse rinunciato ai suoi precedenti errori e non vivesse in una sin­ cera obbedienza ai suoi ordini, né lo avrebbe accolto come vero cit­ tadino della nuova Gerusalemme nella eredità della vita eterna, ma lo avrebbe abbandonato alla condanna dell'ingiusto3 I . Con la fede, anzi come condizione essenziale della fede, sono stati sem­ pre richiesti il pentimento e la conversione. Opere degne del pentimen­ to e conformi alla fede devono accompagnare il credente: «Fede e pen­ timento, cioè credere che Gesù è il Messia, e una vita dedita al bene, sono le condizioni indispensabili per il nuovo Patto)) 32 . Sempre leggendo i Vangel i , Locke non può evitare di elogiare la subli­ mità della predicazione morale di Gesù, e di mettere in evidenza la per­ fetta conformità esistente tra i dettami morali della religione cristiana e

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quelli della più pura etica razionale. Non ci poteva essere alcun contra­ sto tra la legge di natura, ossia tra «l 'eterna ed immutabile nonna del giu­ sto» che «Dio rivelò per mezzo della luce di ragione a tutta l 'umanità che volesse far uso di quella luce»33 e la legge rivelata da Gesù Cristo, l ' in­ viato di quello stesso Dio:

È vero, c'è una legge di natura:

ma chi mai la pubblicò e intrapre­

se a darcela tutta intera, come legge, senza aggiunte, mutilazioni , e con tutta la sua forza vincolante? Chi mai portò alla luce tutte le parti di quella legge, le legò insieme, ne mostrò al mondo la forza vin­ colante? Dove ci fu un codice tale che tutta l 'umanità potesse ricor­ rervi come a sua infallibile nonna, prima della venuta del Salvato­ re? Se non ci fu, è chiaro che c'era bisogno di uno che ci desse una tale etica; una legge tale che potesse essere la guida sicura di colo­ ro che desideravano comportarsi rettamente; inoltre , se essi erano dotati di intelligenza, era necessario che non confondessero i loro doveri , ma potessero sapere con sicurezza quando li avevano adem­ piuti e quando erano venuti meno ad essi. Una tale legge morale Gesù Cristo ci ha dato nel Nuovo Testamento , ma attraverso la seconda ed ultima delle vie considerate, attraverso la rivelazione. Noi rice­ viamo da lui una piena e sufficiente nonna di condotta, nonna con­ forme a quella della ragione . Ma la verità e il vincolo di questi pre­ cetti traggono la loro forza e sono sottratti ad ogni dubbio per noi dall'evidenza della sua missione. Egli fu mandato da Dio: i suoi mira­ coli mostrano ciò; e l 'autorità di Dio, nei precetti che egli ci dà, non può essere posta in discussione. Qui la morale ha una nonna sicu­ ra, che la rivelazione garantisce e la ragione non può contraddire, né contestare , ma tutte e due insieme testimoniano che essa provie­ ne da Dio, il grande legislatore. E io penso che il mondo non abbia mai avuto una legge come questa, tratta dal Nuovo Testamento, e che nessuno possa dire che la si debba trovare in qualsiasi altro luogo34 . Questa insistenza di Locke ne li' asserire la perfetta conformità della legge di natura e della legge rivelata - che lo portò più a sottolineare l'opera del­ l ' insegnamento di verità etiche e religiose da parte di Gesù Cristo, che a

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considerare la sua redenzione per mezzo della passione - e la preceden­ te riduzione ad un solo articolo della fede salvi fica, furono intese da John Edwards come espressione di un estremo razionalismo religioso. Questi prima nei Some Thoughts concerning the Severa/ Causes and Occasions

of Atheism ( 1 695) e poi nel Socinianism Unmask 'd ( 1 697}, aveva denun­ ciato la Ragionevolezza del Cristianesimo come una delle principali opere subdolamente intese a destituire la Sacra Scrittura di ogni signifi­ cato, favorire il socinianesimo e aprire la strada all 'ateismo. La sincerità dell 'atteggiamento di fede e di rispetto di Locke nei confronti della Scrit­ tura, ribadito nelle varie Vindications, è fuori discussione. II rifiuto di ogni mediazione autoritaria nell 'ascolto della Scrittura, la distinzione tra veri­

tà fondamentali e non fondamentali, la scelta di un' esegesi conforme al senso letterale che presuppone la facile e diretta comprensione della parola rivelata, non possono essere considerati «segni)) di un tentativo di costringere la rivelazione entro le categorie razionali , quando vengano con­ siderati nel loro preciso contesto storico, che, come si è visto, è quello della teologia latitudinaria e rimostrante del secondo Seicento. Inoltre, istituen­ do il paragone tra contenuto rivelato e contenuto razionale, Locke non inten­ deva aprire un discorso volto a definire la concordanza dei dogmi fonda­ mentali del Cristianesimo con le dottrine etico-religiose raggiungibili dali 'umana ragione, o magari stabilime reciproche dipendenze, bensì ascoltare la parola di Dio in quegli argomenti in cui la filosofia aveva incon­ trato gli ostacoli maggiori. Lo studio della storia umana aveva infatti con­ vinto Locke che proprio nelle cose importanti , nelle cose da cui dipende­ va la nostra eterna sorte, la filosofia, l'umana ragione, aveva mostrato la sua effettuale impotenza: « 'tis too hard a task for unassisted Reason))35 . Anche dal vescovo di Worcester, Edward Stillingfleet, furono mosse a Locke accuse di estremo razionalismo teologico e di socinianesimo. Questo prelato era stato indotto a denunciare nel capitolo decimo del suo

Discourse in Vindication of the Doctrine of the Trinity ( 1 697) l' intrinse­ ca portata anticristiana delle principali tesi sostenute nel Saggio sull 'in­

telletto umano , a motivo dell' uso antireligioso che ne era stato fatto nelle pagine dei deisti inglesi, ed in particolare nel Christianity not

Mysterious ( 1 696) del Toland. Le dottrine lockiane erano denunciate come le premesse su cui quei «fautori della ragione)) stavano fondando i loro

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sistemi, intesi a rovesciare «ali morality and religion». Alla base delle con­ cezioni razionalistiche e deistiche , che stavano divulgandosi in Inghil­ terra, c'era, secondo lo Stillingfleet, la dottrina gnoseologica lockiana, la quale poneva la conoscenza nella «percezione della concordanza o della discordanza delle idee» . Essa, portata alle sue estreme conseguenze, richiedeva che noi «dovessimo avere idee chiare e distinte di qualsiasi cosa che volesse pretendere la certezza», e implicava che «la sola via per giungere a questa certezza fosse il reciproco confronto delle idee». Stan­ do così le cose, la dottrina gnoseologica lockiana veniva a escludere «ogni certezza sia nel campo della fede, sia in quello della ragione, là dove non ci sia possibile avere tali idee chiare e distinte»36 . Applicando poi tale teo­ ria della certezza al dogma trinitario, si giungeva all 'esclusione di que­ sto dogma dall'ambito della razionalità. Infatti, non possedendo noi alcuna idea chiara e distinta di sostanza, di natura, di persona, non pos­ siamo affermare nulla al riguardo della divina Trinità: La nostra conoscenza razionale circa questo dogma si basa sulla nostra conoscenza di ciò che è sostanza e di ciò che è persona e della loro reciproca distinzione; ma se noi non possiamo avere idee chia­ re nella nostra mente relative a queste cose, almeno di una certez­ za pari a quella che ci deriva dalla sensazione, allora ci è escluso l 'uso della ragione circa questo soggetto, e non possiamo pronunciare nes­ sun giudizio in proposito37. La dottrina gnoseologica lockiana - in particolare per quel che riguar­ dava la nostra conoscenza delle sostanze - portava, sempre secondo lo Stillingfleet, a conseguenze eterodosse anche relativamente ad altre dot­ trine di chiaro interesse religioso, quali l ' immortalità del l'anima umana e l'esistenza di Dio. Nello stesso anno in cui lo Stillingfleet condannò le dottrine del Saggio, Locke pubblicò una Letter to the Right Reverend the Lord Bishop of Wor­

cester. Questa polemica continuò con una serie di risposte e di repliche fino al 1699, anno della morte dello Stillingfleet. La linea di difesa che Locke tenne sia in questa Letter, sia nelle successive Replies, fu quella di scindere innanzi tutto la sua dottrina da quella dei deisti , di dichiara-

Locke Il pensiero

re poi la sua completa disponibilità all ' ascolto della Sacra Scrittura, di mostrare infine, con utilissime precisazion i , che nessuna delle sue dot­ trine filosofiche era in contrasto con le dottrine insegnate dalla rivelazio­ ne cristiana. In particolare, sollecitato dai rimproveri del vescovo angli­ cano, Locke mette a fuoco la sua dottrina della sostanza, già proposta nel

Saggio, arricchendola di preziose precisazioni: L'altra cosa di cui mi si accusa, sarebbe quella di aver ritenuto dub­ bia l' esistenza della sostanza, ovvero di averla resa dubbia con quell' idea imperfetta e mal fondata che io ho dato di essa. In rispo­ sta a simile accusa chiedo di poter dire che io fondo non l 'esisten­ za, ma l ' idea di sostanza sull'abitudine nostra di supporre un qual­ che substratum: perciò qui parlo solo dell' idea della sostanza e non del suo essere . Sempre ho affermato che un uomo è una sostanza e ho proseguito nei miei ragionamenti su simile fondamento; non è dun­ que possibile supporre che io metta in questione o che dubiti dell'esi­ stenza della sostanza, fin tanto che non metto in questione o in dubbio il mio proprio essere3 8 . Egli chiarifica ulteriormente quello che intende per essenza reale ed essenza nominale , approfondisce i loro reciproci rapporti e mette a fuoco alcuni aspetti lasciati in ombra nelle pagine del Saggio relativi alla nostra conoscenza di esse. Soprattutto mostra che la nostra conoscenza delle essenze nominali è una conoscenza, se non esaustiva, sufficiente, capa­ ce di portarci a distinguere veramente e a riconoscere le varie specie: Ora, mio Signore , dal momento che corpo, vita e potere di ragiona­ re non sono l 'essenza reale dell' uomo - e credo che in questo la Signo­ ria Vostra concordi -, dirà la Signoria Vostra che essi non sono suf­ ficienti a costituire quell' entità in cui essi si trovano, del genere che si chiama uomo, anziché del genere che si chiama babbuino , perché la differenza fra questi generi è reale? Se questo non è abbastanza reale per costituire la cosa di un genere o di un altro , non vedo come an i­

mal rationale possa essere sufficiente per distinguere un uomo da un cavallo: infatti anche questa non è che l 'essenza nominale, e non reale,

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di quel genere indicato col nome uomo. E tuttavia suppongo che ognu­ no ritenga questo abbastanza reale da costituire una differenza reale tra il genere umano e gli altri generi . E se nulla servirà a costituire le cose di un genere e non di un altro (e ciò significa, come ho mostra­ to, nient'altro che raggrupparle sotto nomi specifici diversi) al di fuori delle loro costituzioni a noi sconosciute, che sono le essenze reali di cui stiamo parlando, temo che dovrà passare ancora un lungo tempo prima che possiamo avere generi di sostanze veramente differenti, o attribuire loro nomi distinti; a meno che non ci sia possibile distin­ guerle per mezzo di quelle differenze di cui non abbiamo alcun con­ cetto distinto. Infatti ritengo che non mi sarebbe facile aver risposta se domandassi qual è la differenza reale tra la costituzione interna di un cervo e quella di un daino, di cui ben si conosce il genere di appartenenza, e per i quali nessuno mette in dubbio che il genere, cui ciascuno di essi appartiene, sia veramente diverso39 . Di estremo interesse sono pure le pagine dedicate al problema della cer­ tezza della nostra conoscenza, ottenibile per mezzo di quella Way ofJdeas che lo Stillingfleet rifiutava. In queste pagine Locke rivendica il grande valore di una conoscenza soltanto probabile e rifiuta a chiare lettere l'uso esclusivo delle idee chiare e distinte, sul quale tanto aveva insisti­ to il Toland nel suo discorso contro i dogmi del Cristianesimo: Infatti , secondo me, la conoscenza e la certezza consi stono nella percezione della concordanza o di scordanza delle idee, di qualun­ que genere esse siano, e non solo e sempre delle idee chiare e distin­ te; anche se - lo devo riconoscere - più esse sono chiare e distin­ te, tanto più favoriscono un ragionamento e un discorso più chiaro e distinto40 . L'atteggiamento di Locke nei confronti della divina rivelazione è con­ fermato anche nel Postscript, dove egli dichiara: La Sacra Scrittura è e sarà sempre la costante guida del mio -assen­ so;

e io le presterò sempre ascolto, perché essa contiene l' infal libi-

locke Il pensiero

le verità riguardo a cose della massima importanza. Vorrei si potes­ se dire che non vi sono misteri in essa; ma devo riconoscere che per me ve ne sono e temo ve ne saranno sempre. Dove però mi manca l'evidenza delle cose, trovo un fondamento sufficiente perché io possa credere: Dio ha detto questo. Condannerò pertanto immediatamen­ te e rifiuterò ogni mia dottrina, non appena mi si mostrerà che essa è contraria ad una qualche dottrina rivelata nella Sacra Scrittura4 1 . Non solo nelle dichiarazioni programmatiche. L'intero discorso di Locke mostra una grande apertura all' ascolto della parola rivelata, ne indica le condizioni e ne giustifica la possibilità. Egli non esita a rimandare per i punti più controversi e per le dottrine più oscure - come avviene ad esem­ pio per la dottrina dell ' immortalità dell'anima - alla lettura della Sacra Scrittura e all' ascolto del suo insegnamento. A tale lettura Locke dedicò gli ultimi anni della sua vita: Egli trovò questa religione così ragionevole e bella da consacrarle il resto della vita, e cercò di comunicare agli altri la grande stima che ne aveva concepito. [ . . . ] La stessa luce che l'aveva guidato nei suoi studi filosofici lo guidò nello studio del Nuovo Testamento , e acce­ se nel suo cuore una pietà perfettamente razionale e degna di Colui che ci ha dato la ragione per comprendere e usare la rivelazione, e la cui volontà rivelata presuppone che noi ci serviamo di tutto il buon senso che egli ci ha dato, per riconoscerla, ammirarla, seguirla42 . Seguendo gli stessi criteri esegetici adottati nella Ragionevolezza del Cri­

stianesimo per comprendere la dottrina contenuta nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli , Locke si accinse alla più ardua e impegnativa lettura delle Epistole di San Paolo43 : Ho ricercato, per quanto sono stato capace , i l vero senso delle epi­ stole , a vantaggio della mia personale conoscenza, ed ho abbraccia­ to senza pregiudizio quello che, dopo una spassionata ricerca, mi è sembrato essere tale. Questo è quanto ho pensato fosse mio dove­ re e mio interesse in una materia di tanta importanza per me44.

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I L PENSI ERO: NOTE I. LA FORMAZIONE AD OXFORD E I PRIMI SCRITII l Correspondence, I, p. 8.

2 J. Locke, Ofthe Conduct ofthe Understanding, S 3 1 , Works, vol. III, pp. 26263; trad. it. S.F.R., p. 743 . II Le Clerc, riportando la testimonianza del Tyrrell, già raccolta da Lady Masham (Amsterdam, Remostrants' Mss. J 27a), conferma questa avversione di Locke per la disputa: «La reputazione che Locke godeva ad Oxford non gli derivava, come ci dice il Signor Tyrrell, dalla disputa pubblica, a quei tempi molto in uso nell'uni­ versità: egli infatti ci assicura che il Signor Locke non aveva mai amato le dispu­ te pubbliche scolastiche, e che aveva sempre sostenuto essere quello un modo o di litigare o di far vana ostentazione di intelligenza, ma completamente inutile al fine della scoperta della verità>> (Elogio del defunto Signor Locke, in S.F.R., pp. 1 1 5 - 1 6) .

3 J . Le Clerc, Elogio cit., S.FR., p . 1 14.

4 lvi, pp. 1 1 4- 1 5 , ed il Ms. cit. di Lady Masham riportato in M. Cranston , John Locke. A Biography , Longmans, London 1 957, p. 38. Su questa corrispondenza tenuta con W. Godolphin, W. Carr, S . Tilly, G. Towerson, W. Uvedale e raccolta nel I vol. della Correspondence, si veda M. Cranston, John Locke cit., cap. IV, Sen­ timentalfriendships, pp. 47-56 e W. Von Leyden , Jntroduction a J. Locke, Essays on the Law ofNature, Clarendon Press, Oxford 1954, pp. 1 8- 1 9.

5 Cfr. H. M. Sinclair - A . T. H. Robb Smith, History of the Teaching ofAnato­ my in Oxford, University Press, Oxford 1 950.

6 Una prima raccolta di appunti lockiani di medicina (Lovelace Collection, Ms. Locke c. 4) risale al 1 652.

7 Robert Boyle fu ad Oxford a partire dal 1 654. Anche se la collaborazione con il Boyle sarà più stretta a partire dal decennio successivo, già negli anni Cinquan­ ta Locke dovette aver stretto amicizia con lui , come ci conferma una lettera del Dr. Ayliffe Ivye a Locke, risalente al 20 maggio 1660, in cui si parla di (Correspondence, I, p. 146).

8 Locke tenne dal 24 giugno 1 666 al 28 marzo 1667 un Registro sulle mutazio­ ni atmosferiche; si servì per queste sue annotazioni di un barometro, di un termo­ metro e di un igrometro. Si vedano per questa collaborazione R. Boyle, The Works , printed for J . and F. Rivington, London 1772, vol. V, pp. 1 36-63, e le let­ tere scambiate negli anni 1 665- 1667 (Correspondence, l) dedicate in prevalenza alla discussione di problemi scientifici .

9 M. Cranston, John Locke cit., pp. 75-76.

L.ocke Il pensiero

IO lvi, pp. 76-77. I l Correspondence, l, p. 1 23 . 1 2 Jbid. 1 3 Lettera di Locke al padre , data approssimativa 9 gennaio 1660, Correspon­ dence, I, pp. 1 36-37.

14 In particolare Correspondence, I, pp. 1 58-59. Di questa lettera si riporterà più

avanti un brano. Il Towerson era fortemente interessato a questi problemi , e pub­ blicò nel 1676 un libro intitolato An Explication of the Decalogue l .. .}. To which are premised by way of Jntroduction Severa[ Generai Discourses conceming God's both Natura[ and Positive Laws.

1 5 Questo Essay fu pubblicato nel settembre del 1 659 e Locke lo lesse subito.

Henry Stubbe, anch'egli nato nel 1 632, passò nel 1649 dalla Westminster Scho­ ol al Christ Church College di Oxford, dove consegui il M.A.

1 6 Correspondence, l, p. 1 1 0. 1 7 C. A . Viano, John Locke. Dal razionalismo all'illuminismo, Einaudi , Torino 1960, p. 35.

18

J. Locke, Scritti editi ed inediti sulla tolleranza , a cura di C. A. Viano, Tay­

lor, Torino 1961 , p. 1 54.

1 9 Cfr. W. Von Leyden, lntroduction cit., pp. 2 1 -23 dove sono presentati anali­

ticamente i vari passaggi dei due Scritti lockiani e messi in relazione con i corri­ spondenti passi del The Great Question del Bagshaw.

20 Lovelace Collection, Ms. Locke e.7, dal titolo Question: whether the Civili Magistrate may lawfully impose and determine the use of indifferent things in refe­ rence to Religious Worship?, ora edito in J. Locke, Scritti editi ed inediti sulla tol­ leranza ci t., e J. Locke, Two Tracts on Govemment, ed. P. Abrams, University Press, Cambridge 1967.

21 Correspondence, l, pp. 1 67-68. 22 Lovelace Collection , Ms. Locke c. 28 , dal titolo An Magistratus Civilis pos­ sit res adiaphoras in divini cultus ritus asciscere, easque populo imponere? Aff. Esso pure è pubblicato nei volumi curati dal Viano e dall' Abrams. Notizie utili per la loro datazione si trovano anche in W. Von Leyden, Jntroduction cit., p. 24.

23 J. Locke, Scritti editi ed inediti sulla tolleranza cit., p. 1 5 8 . 24 lvi , p. 202. 25 lvi , pp. 1 86-87. 26 Jbid.

27 R . Hooker, Ofthe Lawes of Ecclesiasticall Politie Eight Book.s, printed by J. Windet, London 1593- 1 597. Manifesta è pure l' influenza di Robert Sander.ion, in quegli anni vescovo di Lincoln (cfr. W. Von Leyden, lntrcxhJction cit., pp. 30-33).

28 Correspondence, l, pp. 1 58-59. 29 Pubblicata da W. Von Leyden insieme con gli Essays on the Law ofNature; cfr. in particolare le pp. 236-38 dedicate ai Baccalaureis, dove egli dice «Legem

1 89

1 90

locke Il pensiero illam de qua omnis dimicatio saepius amissam frustra quaesiveram, nisi quam lin­ gua Vestra mihi extorsit eandem restitueret vita: adeo ut dubitari possit utrum dispu­ tationes Vestrae legem naturae acrius oppugnarent an mores defenderint».

30 Essays on the Law ofNature ci t., p. 1 1 2. Vengono citati due passi dell Etica '

nicomachea: «La funzione propria dell'uomo è l'attività dell'anima secondo ragione>> (1, 7, 14, 1098a) e (V, 7, l , 1 1 34b).

3 1 Essays on the Law of Nature cit., p. 1 1 6. Viene citato anche un passo della

Summa Theologica (la lae, q. 93 , art. 4): la citazione non è letterale, ma segue una parafrasi trovata neli'Hooker.

32 Essays on the Law of Nature cit., p. 1 1 8 . 33 lvi, p. 1 1 0. E ancora a p. 148: .

34 Sui rapporti Locke-Culverwell , e Locke e la tradizione della teologia e della

filosofia dei Platonici di Cambridge cfr. W. Von Leyden, lntroduction cit., pp. 39 sgg. e M. Sina, L'awento della ragione. «Reason» e (Aph . 76). Per il pensiero del Whi­ chcote cfr. M. Sina, L'awento della ragione cit., pp. 69-89.

Locke Il pensiero

49 Thomas Sydenham, nell'Epistola dedicatoria delle Observationes Medicae

circa morborum acutorum historiam et curationem, impensis Kettilby, Londini 1676, parlerà di Locke con accenti di grande stima: «Voi sapete, oltre a ciò, come il mio metodo sia stato approvato da una persona che l'aveva conosciuto molto bene e che è nostro comune amico; intendo dal singor John Locke, del quale fone nessuna delle persone viventi è superiore, e al quale ben poche son pari sia per quel che riguarda la penetrazione ed esattezza dell'intelligenza e del giudizio, sia per quel che riguarda la saggezza e regolatezza dei costumi» . Il. A LONDRA E IN FRANCIA: LA MATURAZIONE DEL PENSIERO LOCKIANO l J. Le Clerc, Elogio cit., S.F.R., p. 1 2 1 .

2 Queste Constitutions furono stese d a Locke nella sua veste di segretario dei Lords proprietari della Carolina, e rispecchiano i progetti di governo di costoro . L'influenza di Locke compare soltanto nelle pagine in cui si tratta della libertà religiosa nella colonia. Furono edite nel marzo 1 670, poi con modifi­ cazioni ne1 1 682 e nel 1 698 . Nel 1 720 il Desmaizeaux le incluse nella Collec­ tion of Severa/ Pieces of Mr. John Locke . Sono pure raccolte in Works, vol . x. pp. 1 75-99.

3 Il nucleo di queste Considerations, risalente al 1 668, è conservato in Lovela­ ce Collection, Mss. Locke d. 2 e c. 8 . 4 I n Lovelace Collection, Ms. Locke c. 28, edito e tradotto da C. A. Viano in Scrit­

ti editi ed inediti sulla tolleranza ci t.; una nuova traduzione italiana è stata data da D. Marconi nel volume J. Locke, Scritti sulla tolleranza, Utet, Torino 1 977. Questo Essay è stato conservato anche in altri tre manoscritti , ed è stato edito per la prima volta nel 1 876 dal F. Boume, The Life ofJohn Locke, vol. l, pp. 1 74-94.

5 Lettera di Locke a R. Boy le, Clèves 12 dicembre 1 665, Correspondence, l, p .

228.

6 J. Locke, Scritti sulla tolleranza cit., p. 92. 7 lbid. 8 J . Locke, Scritti sulla tolleranza cit., p. 93. 9 lvi, p. 94.

IO lvi , p. 97. I l lvi, p! 102. 12 Nella Lettera al lettore, che apre il Saggio sull'intelletto umano, Locke ricor­ da soltanto che «cinque o sei amici, riuniti nella mia stanza, discorrevano di un argomento assai remoto da quello qui trattato>> . Il Tyrrell, nella sua copia del Sag­ gio, ora posseduta dal British Museum, annotò specificando: «about the princi­ ples of morality and revealed religion».

!3 Essay concerning human understanding, The Epistle to the Reader.

1 91

1 92

Locke Il pensiero 1 4 Per ulteriori notizie cfr. R. I. Aaron, John Locke, Clarendon Press, Oxford 2 1 965 , pp. 50 sgg. 1 5 An Early Draft of Locke s Essay together with Excerpts from his Journals, ed. by R. I. Aaron and J. Gibb, University Press, Oxford 1 936; trad. it. di V. Sai­ nati, in appendice al Saggio sull 'intelletto umano, Laterza, Bari 1 95 1 .

1 6 J . Locke, An Essay concerning the Understanding, Knowledge, Opinion

and Assent, ed. by B. Rand, University Press, Cambridge (Mass.) 1 93 1 ; trad . it. di A. Carlini, La conoscenza umana, Laterza, Bari 1 948, e Saggio sull 'intelligen­

za umana; secondo abbozzo, con introduzione di C. A. Viano, Laterza, Bari 1 968 .

1 7 R. I. Aaron, John Locke cit., p. 52. 18 Fondamentale per la conoscenza deli' attività lockiana in questo periodo è G . Bonno, Les relations intellectuelles de Locke avec la France, University o f Cali­ fornia Press, Berkeley and Los Angeles 1 955. Si vedano inoltre Locke s Travels

in France 1675-1679 As related in his Journals, Correspondence and Other Papers, ed. by J. Lough, University Press, Cambridge 1953.

1 9 Questa Examination, edita solo nel

1 706 in Posthumous Works of Mr. John

Locke, risale con ogni probabilità al 1693, agli anni cioè della polemica con il male­ branchiano John Norris. Cfr. C. Johnston, Locke s «Examination of Malebranche»

and John Norris, in «Joumal of the History of ldeas», XIX ( 1 95 8 ) , pp. 55 1 -5 8 .

20 Edite in An Early Draft cit., pp. 84-90. 2 1 lvi , p. 82. 22 Journal, 23-Vlll- 1676, ed. in appendice agli Essays on the Law ofNature ci t., p. 275 .

23 Journal, 24-VIII- 1 676, ibid. 24 Journal, 25-VIII- 1 676; ivi , p. 277. 25 Jvi, pp. 276-77 . 26 Jvi, p. 277. 27 1bid. 28 Ivi, pp. 277-78 . 29 Journal, 27-VIII- 1 676; ivi , p. 279. 30 lvi , pp. 279-80. 3 1 lvi, p. 280. 32 lbid. 33 Journal, 28-VIII- 1 676; ivi, p. 280. 34 Edite in An Early Draft cit., pp. 1 02 , 1 05 , 1 1 2 . 35 G. Bonno, Les relations cit., p. 239. 36 > (Works, IX, p. 3).

4 1 J. Le Clerc , Elogio ci t., S.F.R. , p. 1 36. 42 De Sacrae Scripturae Authoritate, Lovelace Collection, Ms. Locke c. 27, ff.

69-7 1 v.; ora editi in Testi teologico-filosofici lockiani dal Ms. Locke c. 27 della Lovelace Collection, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica>> , LXIV ( 1 972), pp. 64-68.

43 Cfr. Correspondence, Il, pp. 748-5 1 .

44 Ms. Locke c . 27, f. 69; ed. cit., p . 66.

45 Ms. Locke c. 27, ff. 73-74; ed. cit., pp. 68-73. 46 E precisamente nel Journal del 3 aprile 1 68 1 (ed. in An Early Draft cit., pp. 1 1 4- 16) , del l 9 febbraio 1 682 (ed. ivi , pp. l l 9-2 l ) e 20-21 febbraio 1 682 (ed. ivi . pp. 1 2 1 -25).

47 Journa/ del 3 aprile 168 1 , ed. cit., p. 1 1 4. 48 Jbid. 49 Sul valore dimostrativo dei miracoli e sull'uso critico di essi cfr. Essay, IV,

XIX, 1 5 , e soprattutto A Discourse of Miracles, redatto nel 1 70 l , ma edito per la prima volta solo nel 1 706 in Posthumous Works ofMr. Locke (cfr. Works, IX, pp. 256-65).

50 Essay, IV, XIX, 14.

L.ocke Il pensiero 5 1 È preziosa testimonianza di questa lunga amicizia - favorita sia dalla pro­ fonda affinità spirituale dei due autori , sia dal felice temperamento del Limborch - l'ampia corrispondenza epistolare, che continuò fino alla morte di Locke. Sulle caratteristiche di questa corrispondenza cfr. Co"espondence, n. pp. 648-52.

52 Efes. IV, 1 5 , cit. in Ph. Limborch , Tlu!ologia Christiana ad praxin pietatis ac

promotionem pacis Christianae unice directa, apud H. Wetstenium, Amsteloda­ mi 1 686, Praefatio ad Lectorem.

53 lvi , Praefatio ad Lectorem. 54 lvi , p. 898. 55 lbid. 56 Ph. Limborch , Historia lnquisitionis. Cui subjungitur liber Sententiarum lnqui­

sitionis Tholosanae ab anno Christi MCCCVII ad annum MCCCXXl/1, apud H . Wetstenium, Amstelodarni 1692, pp. 1 -2.

57 Epistola de Tolerantia, Works, VI , p. 5. Tra le numerose traduzioni italiane

di questa Epistola si sono tenute presenti quella di C . A . Viano. in J. Locke. Scrit­ ti editi ed inediti sulla tolleranza cit., pp. 108-5 1 e quella di D. Marconi, in J. Locke, Scritti sulla tolleranza cit., pp. 1 3 1 -83.

5 8 Works, VI, p. 8. 59 lvi , p. 1 3 .

60 Cfr. M. Sina, L'avvento della ragione cit., capp. I e n .

6 1 Works, V I , p . 1 4 . 62 Cfr. Ph. Limborch , Theologia Christiana cit., p. 908. 63 Works, VI, p. 1 5 . 64 lvi, pp. 45-47. 65 lvi, p. 47. IV. IL SAGGIO SULL'INTELLETTO UMANO

l J. Le Clerc, Elogio cit., in SFR., p. 1 32. 2 Lovelace Collection, Ms. Locke c. 28, ff. 52-82v; edito

in P. .King, Tlu! lite J02 oft John Locke, H. Colbum and R. Bentley, London 1 8 , vol . n. pp. 23 1 -95. Tra­

duzione italiana in SFR., pp. 1 67-252.

3 , tome VIII (Janvier 1688), pp .

40- 1 1 6 .

4 Come avremo modo d i vedere, l e edizioni seconda, quarta e quinta del Sag­

gio presentano numerosi perfezionamenti e addirittura il mutamento di qualche sua dottrina (pensiamo alla dottrina della libertà del libro m oltre all' aggiunta di qualche capitolo integrativo (pensiamo a quello sull'identità personale del libro

IV). 5 Essay, Epistle to the Reader. Si sono tenute presenti e sono state utilizzate le traduzioni italiane del Saggio sull'intelletto umana di C . Pellizzi (rev. di C. A . VJaDO, n. o a quello sul fanatismo del libro

1 95

1 96

Locke Il pensiero Laterza, Bari 1 972) e di M. Abbagnano (Utet, Torino 1 97 1 ) , sempre confrontate con il testo inglese della V edizione. 6 Essay, I, I, 2.

7 Essay, I, I, 4. 8 Essay, I, I , 2. 9 lbid. I O /bid.

I l Th. Sydenham, Observationes Medicae ci t., Epistola dedicatoria (cfr. cap. I, nota 49).

1 2 Cfr. Essay, I , I , 5 . 1 3 Essay, I , l, 5 . 14 Extrait, I ; S.F.R., p . 1 73. 1 5 Il primo capitolo è un'introduzione generale del Saggio, motivo per cui alcuni curatori hanno preferito considerarlo autonomamente, dando così a questi tre capitoli la numerazione l , 2, 3. Noi seguiamo la classificazione dello Yolton, conforme alle edizioni curate da Locke, che numera questi capitoli 2, 3, 4. l6 Essay, I, Il, l .

17 Essay, I, Il, 2. 18 Essay, I, Il, 4 . 1 9 Essay, I , I I I , l . 20 Extrait, I; S.F.R., p. 174. 2 1 E. Herbert of Cherbury, De Veritate, Parisi 1624, pp. 2 1 0-220. Questo rife­ rimento polemico è presente già nel Draft B, cap. I.

22 Essay, I, III, 1 5 . 23 Sappiamo che a Montpellier Locke ebbe modo di assistere alle conferenze cartesiane tenute da Sylvain Régis.

24 Cfr. Essay, I, IV, 8 - 1 8 . 25 Essay, I . IV, 9 . 26 H . More, An Antidote against Atheism, i n Opera omnia, Londini 1 679, vol.

U/2, p. 36.

27 Cfr. J. W. Yolton, John Locke and the Way ofldeas, University Press, Oxford 1 956, pp. 26-7 1 .

28 In Essay, I, IV, 8 troviamo alcuni rimandi a questi libri di resoconti di viag­ gi . Locke possedeva nella sua biblioteca numerosi volumi di questo genere: se ne contano ben 275 titoli (cfr. J. Harrison - P. Laslen, The Library ofJohn Locke, Uni­ versity Press, Oxford 1965, pp. 1 8- 1 9 e passim).

29 Essay, I, III, l . 30 R . Descartes, Oeuvrés, ed. Adam-Tannery, Vrin, Paris 1 964, vol . VII, p.

181.

3 1 Essay, I , I , 8 . 32 Essay, II , VIII , 8 .

locke Il pensiero 33 Essay, II , l, l . 34 R. I . Aaron , John Locke cit., pp. 106-07. 35 Cfr. M. Sina, Le tappe della polemica Norris-Locke, e l 'intervento del Collins, in «Nouvelles de la République des Lettres», I ( 1 98 1 ), pp. 1 33-63 .

36 «Bibliothèque Universelle et Historique», tome XX (févr. 1 69 1 ) , pp. 65-66. 37 Extrait, II, l ; ripreso in Essay, II, I, 3. 38 Extrait, I I , l ; ripreso in Essay, n , 1, 4. 39 Essay, II, I , 24.

40 Extrait, II, II.

4 1 Extrait, II, III-VI. 42 Essay , II, VIII, 7. 43 Jbid. 44 R. Boyle, Opere , a cura di C. Pighetti , Utet, Torino 1 977, pp. 3 1 8- 1 9 .

4 5 Essay, II, VIII, 9, prima edizione. 46 Essay , II, VIII, IO, prima edizione. 47 Essay, II, VIII, IO, quarta edizione. 48 Essay, II , VIII, 1 4 . 49 Essay, n, VIII, 22. 50 Essay, II, VIII, 1 5 . 5 1 Cfr. Essay, II, XII, l . 52 Essay, II, XII ; 2. 53 Essay, II, XII, 4. 54 Essay, II, XIII, 27. 55 Jbid. 56 Si veda in particolare il cap. XV del Il libro, dove Locke elabora il concetto di espansione.

57 An Early Draft cit., p. 94. 58 Essay, II, XIV, 2 1 . 59 Essay, I l , XIV, 2. 60 Essay, Il, XXI, l .

6 1 Essay, II, XXI, 5, prima edizione. 62 Essay, II, XXI, 1 5 . 63 Essay, I I , XXI, 3 3 , seconda edizione.

64 Al termine del suo Extrait Locke aveva sol lecitato il lettore «che rite­

nesse di trovare qualche passo in cui l' Autore sia caduto in errore, o qual­ cosa di oscuro o di difettoso in questo sistema, a scrivere, indicando i suoi dubbi e le sue obbiezioni» (S.F.R . , pp. 250-5 1 ) . Questa capacità di Locke di correggere le proprie opinioni e di preferire la verità alle proprie dottri­ ne ricevette un giudizio ammirato da parte del Le Clerc: > , VIII ( 1 967), pp . 1 85-93 . Schankula H. A. S., A Summary, Catalogue of the Philosophical Manu­

script Papers ofJohn Locke, in «The Bodleian Library Record» , IX (1973), pp . 24-35; cui seguirono Additions and Corrections, ivi , pp. 8 1 -82. 2 . Sugli scritti editi di Locke e sugli studi. Christophersen H. 0., A Bibliographical lntroduction to the Study ofJohn

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20 Popple traduce: «così ciechi da non percepire la necessità e il vantag­ gio della tolleranza in una luce così chiara>> .

2 1 Popple traduce: > al punto, è tradotto così da Pop­ ple: «Sono solo la luce e l 'evidenza che possono produrre un cambiamento nelle opinioni umane; e quella luce non può in alcun modo provenire da sof­ ferenze corporali o da qualche altra pena esterna>> .

28 Popple aggiunge: «che ignoranza, ambizione e superstizione hanno stabilito in modo casuale nei paesi nei quali essi sono nati>> .

29 I l testo da «Tra tante diverse . . . >> è reso d a Popple così: .

30 «Entrate per la porta stretta, perché sono la porta larga e la via spazio­ sa che conducono alla perdizione, e sono molti quelli che entrano attraver­ so di essa. Quanto è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita e quanto sono pochi quelli che la trovano ! >> (Matth . V I I , 1 3- 1 4).

3 1 Poppi e traduce il latino libera con «volontaria>> . 3 2 Poppi e traduce « è una società>> . 3 3 Locke allude alle due forme d i Chiesa protestante che i n Inghilterra ave­ vano un' organizzazione territoriale un iforme. La Chiesa d' Inghilterra si reggeva sull ' autorità dei vescovi, considerati i successori degli apostoli . Alla tradizione apostolica si richiamava anche la Chiesa presbiteriana, importa­ ta in Inghilterra dalla Scozia, che poneva l ' autorità nel presbiterio o consi­ glio degli anziani, considerato come l ' erede del gruppo degli apostoli .

34 Matth . XVIII, 20 . 35 La predicazione di Paolo suscitò la protesta degli argentieri efesini che , istigati da un certo Demetrio, il quale costruiva tempieni d ' argento della

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Locke l testi - Lettera sulla tolleranza

dea Artemide, venerata a Efeso, insorsero al grido di «Grande è l 'Artemide degli Efesini !>> (A et. Apostol. XIX, 23-28).

36 Matth . V. 1 1 - 1 2 ; X, 1 6- 1 8; Johan. XVI, 1 -4. 37 Popple omette . 38 Ai due gruppi immaginari, che colloca a Costantinopol i , Locke dà nomi presi dalla vita religiosa ol andese . I Rimostranti erano riformati olande­ si che si rifacevano al l ' i nsegnamento di Arminio, il quale, in polemica con Francesco Gomar, aveva respinto alcune interpretazioni rigidamente cal­ viniste della predestinazione . Oggetto di persecuzione da parte della Chiesa olandese, largamente gomarista , i seguaci di Arminio pubblicaro­ no nel 1 6 1 O una Rimostranza , per chiedere ai governanti delle Province Unite di metter fine alla persecuzione. Al documento degl i arminiani i gomaristi risposero con una Contro-Rimostranza . Di qui i nomi dei due gruppi religiosi .

39 Traducendo gravius Popple omette «più>> . 40 Invece di «tanto meno l ' amicizia>> (nedum amicitia) Popple traduce .

4 1 Sono i nomi con i quali si designano le dignità ecclesiastiche nelle diver­ se Chiese cristiane: i vescovi nella Chiesa cattolica e nella Chiesa d'Inghil­ terra, i sacerdoti nella Chiesa cattolica, i presbiteri nella Chiesa presbiteria­ na e i ministri nelle Chiese calviniste.

42 Matth . XVII I , 22. Questa citazione è omessa da Popple. 43 «Geenna>> , dall 'ebraico Ge Hinnom , era il nome della valle di Ben-Hin­ nom, vicino a Gerusalemme, nella quale si diceva che fossero stati compiu­ ti sacrifici di fanciulli (// Reg. XXIII , 1 0 ) . Veniva usato per indicare il luogo del castigo (Matth . XVIII , 9), equivalente all'inferno.

44 Invece di Popple traduce «ma>> . 45 Ginevra, la città in cui Calvino instaurò il più rigoroso regime protestan­ te, è contrapposta al Vaticano, sede del papa.

46 Popple omette «e che si dirigono nello stesso luogo>> . 4 7 L'allusione alla veste bianca potrebbe essere u n riferimento all' impo­ sizione della cotta bianca durante le cerimonie, preteso dalla Chiesa d' In­ ghilterra, e intorno al quale tanto si discusse dopo la Restaurazione, quan­ do si profi lò la possibilità del l ' instaurazione di un regime, se non di libertà di culto, almeno di allentamento della disciplina anglicana. La mitra era il copricapo tipico dei vescovi. Perciò Locke potrebbe alludere alla guida del vescovo. Ma mitra e veste bianca potrebbero anche esser viste come le insegne tipiche del papa.

48 Popple traduce ex bis circumstantiis diversas et in diversas tendentes nasci vias con .

49 «tra tanti altri>> è omesso da Popple.

Locke I testi - Lettera sulla tolleranza 50 Baal era divinità maschile adorata in particolare dai Cananei , il cui culto idolatrico si diffuse anche presso gli ebrei (Judic. XXII I , 1 1 - 1 3).

5 1 Fausto Sozzini (Socinus, 1 539- 1 604) era un protestante senese , che da Basilea, dove si era recato dal l ' Italia, aveva raggiunto la Polonia, nella quale si era realizzata la libertà d i espressione per gruppi estremistici pro­ testanti , come gli anabattisti , e per quei teologi protestanti che, come Soz­ zini stesso, avevano intrapreso la critica dei dogmi (a cominciare da quello della Trinità) e delle pratiche liturgiche tradizional i. I seguaci di Sozzini, detti appunto «sociniani>>, si diffusero in Olanda, soprattutto dopo l 'espulsione dalla Polonia nel 1 65 8 . E dali 'Olanda il socinianesimo passò in Inghilterra. I sociniani condivisero con altre sètte protestanti il culto della libertà religio­ sa e la diffidenza verso ogni forma di intervento statale in materia religio­ sa; ma diventò un loro tratto caratteristico il ri fiuto dei dogmi e soprattutto della Trinità.

5 2 Gli ariani erano i seguaci di Ario, un prete di Alessandria d'Egitto, che dal 3 1 5-3 1 7 incominciò a sostenere una propria interpretazione della Trini­ tà, in modo particolare del rapporto tra il Padre e il Figlio . Ario considera­ va il Figlio strettamente subordinato al Padre , dal quale è creato, anche se è creato prima del mondo e del tempo stesso. Perciò il Figlio non ha la stes­ sa sostanza del Padre e non è simile a esso. La disputa sulla Trinità solle­ vata da Ario divise profondamente il cristianesimo del IV secolo, e. lo stes­ so imperatore Costantino cercò di comporre il conflitto, ma senza successo. Nel Concilio di Nicea del 325 l a dottrina ariana fu dichiarata eretica e fu sta­ bilita la dottrina ortodossa che consacrava la somiglianza sostanziale tra Padre e Figlio. Tuttavia l ' arianesimo si diffuse largamente e riuscì anche ad avere l ' appoggio di imperatori come Costanzo e Valente. Con l ' imperatore Teo­ dosio I l ' arianesimo conobbe il declino nel territorio del l ' i mpero romano, mentre continuò a essere accolto tra le popolazioni germaniche, sopr_a ttut­ to tra i Goti , ma anche fra i Vandali e i Longobardi . Locke si richiama alla divi sione tra ortodossi e ariani per mostrare quanto le dispute teologiche e gli orientamenti del clero, nella Chiesa che aveva da poco ottenuto l' appog­ gio de li ' i mpero, dipendessero dal volere del sovrano.

53 Sono i sovrani che hanno più agito sull' assetto religioso dell'Inghilter­ ra moderna. Enrico VIII promosse la separazione del suo paese dalla Chie­ sa di Roma. Edoardo VI, che gli succedette nel 1 547 , avviò la vera e pro­ pria riforma religiosa, ispirandosi ampiamente al calvinismo. Salita al trono nel 1 55 3 , Maria I restaurò il cattolicesimo. E solo alla sua morte, nel 1 55 8 , Elisabetta I incominciò a dare l ' assetto definitivo alla Chiesa d ' Inghilterra. Locke suggerisce che ciascuno di questi sovrani fece valere progetti politi­ co-religiosi divers i , trovando di volta in volta ecclesiastici pronti a piegar­ si ai loro voleri .

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Locke l testi - Lettera sulla tolleranza 54 In luogo di (externos . . . mores) Poppi e tradu­

ce «I' apparenza esterna di ciò che un altro professa>> . 55 Popple traduce licitum con «buono in sé>> . 56 Tutto il periodo, da «E contraddittorio ...>> al punto, è reso da Popple così:

«Imporre perciò a chiunque cose di questo genere, contro il suo giudizio, equi­ vale di fatto a comandargli di offendere Dio; il che, considerando che il fine di ogni religione è di piacere a Dio, e che la libertà è necessaria in modo essen­ ziale a questo fine, risulta assurdo oltre ogni dire>> . 5 7 Sulle cose indifferenti cfr. n. 2 5 al Primo opuscolo, in John Locke, Sulla

tolleranza, a cura di C.A. Viano, Roma-Bari 1 989. 58 L' interrogativa «O che fossero ... religiosa?>> è omessa da Popple. 5 9 /sa . l, 1 2. 60 La distinzione tra circostanza e parte del culto divino ricorda quella fatta

da Bagshaw, che aveva distinto tra tempi e luoghi del culto, sui quali era disposto a riconoscere la competenza del magistrato, e i riti veri e propri , che aveva sottratto alla legislazione civile perché essi possono dar luogo alla superstizione. Nel Primo opuscolo Locke non aveva accettato quella distin­ zione. Qui Locke fa rientrare nelle circostanze, oltre al tempo e al luogo, anche aspetti quali l ' abbigliamento sacro e i riti. Il che non vuoi dire che ricono­ sca un potere legislativo incondizionato del magistrato civile su questi aspetti . Essi non sono fondati sulla Scrittura. E tuttavia in queste materie il magistrato è tenuto a intervenire il meno possibile, e solo se l ' interesse pubblico lo richiede. Locke perciò continua a considerare il dominio civile potenziale assai più ampio di quanto lo considerasse Bagshaw, includendo tra le circostanze aspetti cultual i , che Bagshaw escludeva . Locke si rifà alla discussione protestante sul fondamento scritturale del culto, e tende a ritenere che molti aspetti rituali non abbiano un fondamento scritturale, né positivo né negativo. Ma non contesta la possibilità di singoli gruppi cristia­ ni di intendere a loro piacere le prescrizioni rituali bibliche, ed eventualmen­ te di innovare su di esse. Purché questo non rappresenti un ostacolo all' in­ tervento del magistrato, quando sia in gioco l 'interesse della collettività politica . In generale Locke tende a un 'interpretazione minima/e sia della legi­ slazione civile in campo religioso sia della base scrittura/e del culto. Si apre

così una zona intermedi a , quella delle circostanze, nella quale un esercizio prudente della legislazione ecclesiastica può evitare confl itti . 6 l Gli ebrei vivevano sotto il dominio della legge cerimoniale, che dava

una base direttamente divina a un ' ampia zona di culto religioso. 6 2 La libertà cristiana trasforma in pure circostanze molte di quelle che

erano parti del culto per gli ebre i . Questo le rende disponibili come mate­ ria di legislazione ecclesiastica; senonché il magistrato deve attenersi ai limi­ ti intrinseci al proprio potere (cfr. n. 60).

Locke l testi - Lettera sulla tolleranza

63 Invece di «il giorno del Signore» Popple traduce «il primo o il settimo giorno>> .

64 Invece di «Il magistrato non può proibire» Popple scrive: «Come il magi­ strato non ha alcun potere di imporre con le sue leggi l ' uso di riti e cerimonie qualsiasi in qualsiasi chiesa, così egli non ha neppure alcun potere di vietarli».

65 Invece di «e altre cose del genere» Popple traduce: «altre enormità così odiose» .

66 Si tratta di una reminiscenza di Virgilio, Ecloghe I I I , l : «Di chi è l ' ani­ male? di Melibeo?» .

67 I temi antidolatrici della Bibbia, soprattutto del i ' Antico Testamento, furo­ no molto utilizzati dalla Riforma, in modo particolare come strumento di cri­ tica contro la Chiesa di Roma. Ma la lotta all 'idolatria di ventò anche la base principale per una legislazione ecclesiastica repressiva all ' interno delle comunità protestanti , soprattutto calviniste (Calvino, Jnstitutio religionis chri­ stianae IV, XX, 3). 68 Locke partecipò attivamente, accanto a Shaftesbury, alla trattazione dei

problemi connessi con l 'espansione inglese ne l i ' America settentrionale. In particolare s' interessò della Carolina, dal momento che S haftesbury era uno dei Lords proprietari della colonia. Shaftesbury raccomandò sempre che s' intrattenessero con gli indigeni rapporti pacifici , basati su relazioni com­ merciali, che nessuno di loro fosse fatto schiavo, che la loro terra fosse rego­ larmente acquistata, che gl'insediamenti coloniali fossero abbastanza lon­ tani da quelli dei nativi , che questi dovessero essere aiutati a recintare le proprie coltivazioni per proteggerle dal bestiame dei colon i , che nessun indigeno fosse convertito a forza al cristianesimo (Haley, op. cit., pp. 246, 250-52, 706-707). Locke considerò sempre gl' indiani d' America come una popolazione organizzata in comunità ristrette, ordinate e sostanzialmente paci­ fiche, interpretabili in termini di «stato di natura» (Ashcraft, Locke 's Two Trea­ tises ci t . , pp. 1 43-45 , 1 62-65 ) . Del resto il principio per cui la religione non

deve interferire con i diritti civili di nessuno e non deve fungere da prete­ sto per cacciare qualcuno dalle sue proprietà era sancito nelle Costituzioni fondamentali della Carolina (artt. 96, 1 07 e 1 08); una copia di esse redatta

da Locke si trova nelle carte di Shaftesbury, con il quale probabilmente Locke coll aborò alla preparazione del progetto (Haley, op. cit., p. 242). Del resto è significativo che Locke, il quale ammise la legittimità della schiavitù, rico­ nobbe entro certi limiti la libertà religiosa perfino per gli schiavi (Seliger. op. cit. , p. 1 1 6) .

69 «Riportiamo la questione a l fondo» traduce Popple. 70 Il testo latino «mutato nomine de te fabula narratur>> è una citazione da Orazio (Sermones l, l , 69-70). 7 1 «in questo caso inutile» è omesso da Popple, il quale sembra suggerì-

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locke l testi - Lettera sulla tolleranza

re che la Lettera ritenga inutile la !ripartizione della legge ebraica in senso assoluto. Invece Locke respinge qui quella distinzione che, concessa l ' abo­ lizione della legge cerimoniale, in nome della libertà cristiana, ritiene anco­ ra valida la repressione legale del l ' idolatria in nome della legge giudiziaria ebraica. Locke ritiene che la legge morale ebraica coincida con la legge mora­ le in generale e sia tuttora valida, mentre ritiene che la legge giudiziaria ebrai­ ca valesse solo per il popolo ebreo . Proprio perché la legge morale ebraica ha una validità diversa da quella giudiziaria e da quella cerimoniale, Locke ritiene che in generale la !ripartizione abbia significato. 72 Deuter. V,

I.

7 3 lvi , VII , l ; Num. XXXII I , 50 sgg . 74 Deuter. I I , 9. 7 5 Gli Emi m erano una popolazione di uomini di alta statura, che abitava­

no nel territorio che sarà poi dei Moabiti (Deuter. II, 9 - 1 1 ) . Essi furono scon­ fitti da Cherdolaomer, al tempo di Abramo (Gen . XIV, 5). Gli Hurriti erano una popolazione che abitava I ' Idumea e che furono sconfitti da Cherdolao­ mer, come gli Emim (Gen. XIV, 6). Più tardi furono soggiogati dai figli di Esaù , fratello di Giacobbe (Deuter. I I , l 2) . 7 6 Locke allude a due distinti episodi biblici . Il primo è l ' episodio d i

Raab, una meretrice di Gerico, che ospitò e nascose l e spie ebree inviate da Giosuè in città prima dell 'attacco. In cambio ottenne la promessa di aver salva la vita per sé e la propria famiglia; e la promessa fu mantenuta (Jos. I I , 1 24; V I , 25). Il secondo episodio è quello degli abitanti di Gabdon che, spa­ ventati dalle imprese di Giosuè, lasciarono la loro città e si recarono nel campo degli ebrei, fingendo di giungere da molto lontano, per chiedere di stringe­ re alleanza e per offrire i propri servizi . Giosuè stipulò con loro un patto, in cui promise di garantire le loro vite; e mantenne fede al patto, anche quan­ do ebbe scoperto il loro inganno (ivi, I X , 3 - 1 8) . 7 7 Invece d i «anche se non h a l e loro giuste credenze religiose>> Popple tra­

duce: . 7 8 La frase è tradotta da Popple così: . 79 Sulla teoria della resistenza passiva cfr. n. 1 8 del Saggio sulla tolleranza. 80 La resistenza passiva si applica secondo Locke ai casi nei quali il magi­

strato legifera in materie di sua competenza, credendo di perseguire l ' inte­ resse comune, ma imponendo atti che la coscienza di qualcuno ritiene il le­ citi per ragioni religiose. Quando invece il magi strato esce dalla sfera della propria competenza, passando p. es. a imporre credenze religiose o riti reli­ giosi , perché li ritiene più veri di altre credenze e riti , o quando il magistra­ to interviene nella regolamentazione dei beni materiali dei cittadini facen-

locke I testi - Lettera sulla tolleranza

dosi guidare da motivazioni religiose, allora i cittadini non sono più tenuti all ' obbedienza delle leggi. 8 1 La frase «Bisogna avere . . . pace» è resa così da Popple: «La preoccupa­

zione principale e somma per ciascuno deve essere in primo luogo la pro­ pria anima e successi vamente la pace pubbl ica » . 82 Il testo latino «quamquam pauci sint qui ubi solitudinem factam vident

pacem credant>> è una reminiscenza di un testo di Tacito: «atque ubi solitu­ dinem faciunt, pacem appellant>> (Agricola 30, 6 ) . 83 Locke evita d i pronunciarsi apertamente qui in favore del diritto d i ribel­

lione, ma distingue nettamente i casi in cui è legittima una semplice resisten­ za passiva da quelli nei quali si può passare a una resistenza attiva, cioè alla vera e propria disobbedienza (nn . 79 e 80) . In sostanza la resistenza passi­ va entra in funzione quando la coscienza sposta molto in avanti i propri con­ fini, sino a non riconoscere che le esigenze della società civile possono i mpor­ re li miti sui comportamenti dei singoli, comunque motivati . La resistenza attiva entra in funzione quando il magistrato esce dalla propria sfera, inva­ dendo quella religiosa, per motivi religiosi, e agendo sui beni materiali per motivi religiosi. In questo caso il magistrato è certamente in difetto di fron­

te a Dio. Ma egli inoltre mette in crisi la regolamentazione dei comportamen­ ti umani in base al diritto, e apre la prospettiva che essi siano decisi solo con la forza. Un magistrato che promulghi leggi fuori dalla propria competen­ za usa già la forza. Ma a questo punto, secondo Locke si entra nella sfera delle cose dubbie, e non dei principi che devono reggere i comportamenti uman i . Ma sono questi i casi nei quali il Secondo trattato sul governo civi­ le prevede il diritto alla ribellione ( § § 1 68 , 240 e 24 1 ) . 8 4 Questa dottrina fu enunciata da Tommaso d' Aquino (Summa theologi­

ca Ila Ilae, q . XII, a. 2) e fu ripetuta da Bellarmino (De controversiis Chri­ stianae Fidei l , I I I , V, 7). Essa ebbe particolare importanza in Inghilterra,

perché Pio V la invocò nella bolla Regnans in Excelsis per proclamare la depo­ sizione di Elisabetta l . 8 5 Nel 1 580 Gregorio XIII modificò la bolla d i Pio V, emessa dieci anni prima,

e dichiarò che al momento i cattolici dovevano comportarsi come sudditi fedeli, fino a quando i dettami di quella bolla non si fossero potuti realizzare. 8 6 I cattolici potevano essere considerati sudditi di un sovrano straniero ,

in quanto il papa era titolare di una sovranità politica, e inoltre riteneva di detenere un potere superiore a quello degli altri sovran i . 8 7 Popple considera ecclesiae di ecclesiae i n quibus docentur come un dati­

vo, e perciò traduce il periodo che incomincia con «Quanto alle altre creden­ ze pratiche ...>> com'è nel testo fino a , poi continua con «per la chiesa nella quale sono insegnate>> e infine prosegue come nel testo, omettendo ovviamente la parte finale Poppi e traduce la frase «che gli altri . . . tollerati>>

così: «che la libertà di coscienza è un diritto naturale di ciascun uomo, che appartiene in egual misura ai di ssenzienti come a se stessi>> . 90 Popple omette . 9 1 Dopo i l punto e virgola Popple traduce la proposizione «altri . . . i n allegria>>

con «altri , per mancanza di occupazioni , hanno i loro circoli per bere>> . 92 Poppi e omette «perché appartengono alla medesima ci ttà>> . 93 Il testo latino contiene due reminiscenze classiche. Hoc est, quod que­

ror, hoc malifons ricorda isfons mali huiusce fuit (Li v io XXXIX, 15) efundi nostri calamitas ricorda nostri fundi calamitas (Terenzio, Eunuco l, I, 34) .

La seconda reminiscenza è omessa da Popple. 94 II periodo «Se durante ... in piazza>> è omesso da Popple. 95 All'enumerazione dei gruppi religiosi data dal testo, che tien conto della situa­

zione in Olanda, dove la Lettera è stata scritta, Popple sostituisce questo elen­ co: «Presbiteriani, Indipendenti, Anabattisti, Quaccheri>>. Per i rimostranti e anti­ rimostranti cfr. n. 38; per i sociniani cfr. n. 5 1 . Gli indipendenti erano nati nel 1 644 all ' interno della Chiesa congregazionalista, che vedeva nelle assemblee dei fedeli , appartenenti alle singole comunità, la vera fonte dell'autorità eccle­ siastica. All 'interno dell' Assemblea di Westminster il gruppo dei Congregazio­ nalisti , che sarebbero poi stati chiamati «indipendenti>> , rivendicò la propria liber­ tà rispetto alle pretese presbiteriane di regolamentazione, e si rivolse al potere politico del Parlamento, per chiedere la garanzia della libertà. Gli arminiani sono i rimostranti e coloro che in Inghilterra si ispirano a essi. 96 Invece di «O la loro concordia è più pericolosa>> Popple reca «O la pace

civile è messa più in pericolo>> . 97 A «desiderio di potere>> Popple premette «insaziabile>> . 9 8 Popple traduce populum superstitione semper vanum con «la supersti­

zione credu lona della moltitudine incostante>> . 99 Pudet haec opprobria nobis l Et dici potuisse et non potuisse refe/li (Ovi­

dio, Metamorfosi I, 758-59). Il primo verso è citato testualmente nel testo latino di Locke .

Locke l testi - Lettera sulla tolleranza 1 00 Si tratta di un'antica setta caldea, che pretendeva di discendere

da quel­

li che erano stati battezzati da S . Giovanni Battista. Gough (n. 68) suggeri­ sce la possibilità che Locke ne abbia letto di essi in M. Thevenot, Relations de divers voyages curieux, Paris 1 663 .

1 0 1 L'espressione avaÀ.oyia tfjç 1ttO"tEcoç o ratiofidei è usata da Paolo in relazione all'esercizio della profezia. Egli dice che ciascuno ha funzioni diver­ se secondo i doni della grazia che ha ricevuto. Uno di questi doni è appun­ to la profezia secondo l ' analogia della fede (Rom . X I I , 6). Con questa espressione la tradizione intese la capacità di cogliere il significato dei sin­ goli passi della Scrittura alla luce di un'interpretazione generale della Rive­ lazione. A questo modo in ogni tratto della Bibbia la fede poteva far risplen­ dere la propria luce e poteva arricchirsi di contenuti e di dettagl i , ma al prezzo di aggiungere ai contenuti espliciti della Scrittura quell i che potevano esser ricavati elaborando il testo. Proprio su questo terreno si delineava la possi­ bilità di un dissidio tra la disciplina ecclesiastica, che doveva accogliere una sola interpretazione generale della Scrittura, e la pretesa di ciascun creden­ te di proporre nuove interpretazioni scritturali . In Inghilterra furono soprat­ tutto gli autori che saranno poi detti latitudinari (cfr. n. 45 del Saggio) , come Hales e Chillingworth , che contestarono l a possibilità d i costruire una Chiesa con la regola del l ' analogia, già rifiutata dagli arminiani olande­ si , cioè con l ' accrescimento degli articoli di fede in base al l ' interpretazio­ ne dei passi oscuri della Scrittura. La fede deve basarsi sui soli passi eviden­ ti della Rivelazione dai quali si devono ricavare le credenze fondamentali; poi ciascuno è libero di elaborare l ' interpretazione che crede del testo sacro. ma non può imporla come articolo di fede ad altri , senza rendersi respon­ sabile di eresia e correre il rischio di promuovere uno scisma.

1 02 Le tesi di Locke sullo scisma e sul l ' eresia riprendono quelle classica­ mente latitudinarie espresse da John Hales nel Tract Concerning Schism and Schismatics, scritto prima del 1 639 e pubblicato nel 1 642. Forse H ales

aveva composto la propria operetta su richiesta di William Chill ingworth che in The Religion of Protestants a Safe Way to Salvation del 1 637 sosteneva in materia posizioni simil i .

1 0 3 Usus, quem penes arbitrium e t jus e t norma loquendi (Orazio, Ars poe­ tica 7 1 -72) .

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Locke

SAG G I O S U LLA TO LLE RAN ZA

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SAGGIO SULLA TOLLERANZA Nel problema della libertà di coscienza, che per alcuni anni ha tanto cir­ colato tra noi , ciò che ha principal mente confuso la questione, mante­ nuto viva la discussione e accresciuto l ' animosità è stato, credo, que­ sto: entrambi i partiti hanno, con uguale zelo ed errore , troppo esteso le loro pretese. Mentre una parte predica l 'obbedienza assoluta, l ' altra pretende una libertà universale nelle questioni di coscienza, senza sta­ bilire quali sono le cose che hanno diritto alla libertà o mostrare i limiti dell'i mposizione e del l ' obbedienza. Per aprire la strada a questo chiarimento, porrò come fondamento quanto segue l , che credo non sarà posto in dubbio o negato . Tutto il mandato, il potere e l ' autorità del magistrato gli sono devoluti perché non li usi se non per il bene , la conservazione e la pace degli uomi­ ni nella società alla quale è preposto. Questo solo perciò è e dovrebbe esse­ re la regola e la misura sulla base delle quali egli dovrebbe ritagliare e commisurare le proprie leggi, modellare e strutturare il suo governo. Per­ ché, se gli uomini potessero vivere pacificamente e quietamente insie­ me, senza unirsi sotto certe leggi ed entrare in uno Stato , non ci sareb­ be affatto bisogno di magistrati o di politica, che furono fatti solo per salvaguardare gli uomini dal reciproco inganno e dalla reciproca violen­ za in questo mondo. Sicché l 'unica misura dei procedimenti di un gover­ no dovrebbe essere quello che fu il fine della sua istituzione . Alcuni ci dicono che la monarchia è jure divino2 . Non voglio ora discutere questa opinione, ma soltanto ricordare ai suoi sostenitori che se intendono3 , come certamente devono, che l' unico e supremo pote­ re di disporre arbitrariamente di tutte le cose è e deve essere per dirit­ to divino in un ' unica persona, bisogna sospettare che essi abbiano dimenticato in che paese sono nati, sotto quali leggi vivano, e certamen­ te non possono sfuggire all'obbligo di dichiarare la Magna Charta una completa eresia. Se intendono per monarchia jure divino non una monarchia assoluta, ma una monarchia limitata (che è, io penso, un' as­ surdità, se non una contraddizione), dovrebbero mostrarci la carta che deriva dal cielo, e farci vedere dove Dio ha dato al magistrato un pote­ re di fare qualsiasi cosa, ma soltanto per la preservazione e il benesse-

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re dei suoi sudditi in questa vita4 . Altrimenti devono ]asciarci la liber­ tà di credere ciò che vogliamo, perché nessuno è tenuto a sottostare a un potere o può ammettere le pretese di chicchessia a un potere 5 (che egli stesso riconosce limitato) al di là di quello che il suo titolo mostra. Altri affermano che tutto il potere e l ' autorità del magistrato sono derivati dalla concessione e dal consenso del popolo. A questi dico che non si può supporre che il popolo dia, a uno o a più dei suoi compo­ nenti, un' autorità su se stesso per un fine diverso dalla propria6 con­ servazione, o che estenda i limiti della loro giurisdizione al di là dei limi­ ti di questa vita7 . Premesso questo, cioè che il magistrato non dovrebbe far nulla o pre­ occuparsi di nulla se non al fine di assicurare la pace civile e la proprie­ tà dei suoi sudditi , consideriamo ora le opinioni e le azioni degli uomi­ ni che , dal punto di vista della tolleranza, si dividono in tre specie. Nella prima specie sono comprese tutte le opinioni e azioni che in se stesse non riguardano affatto né il governo né la società; e tali sono le opinioni puramente speculative e il culto divino. Nella seconda specie ci sono le opinioni e azioni che per la loro pro­ pria natura non sono né buone né cattive, ma che tuttavia riguardano la società e i rapporti reciproci tra gli uomini; e queste sono tutte le opi­ nioni pratiche e le azioni che concernono cose indifferenti. Nella terza specie ci sono le opinioni e azioni che concernono la socie­ tà, ma che sono anche buone e cattive nella loro natura; e queste sono le virtù e i vizi mora]i S .

l. Dico che solo le opinioni e le azioni della prima specie, c i oè soltan­ to le opinioni speculative e il culto divino, hanno9 un diritto assoluto e uni versale alla tolleranza. Per prime vengono le opinioni puramente speculative , come la creden­ za nella Trinità, nel purgatorio, nella transubstanziazione, negli antipo­ di , nel regno personale di Cristo sulla terra ecc. Che in queste cose ogni uomo abbia illimitata libertà appare dal fatto che IO semplici specula­ zioni non pregiudicano i miei rapporti con gli uomini: poiché non hanno nessuna influenza sulle mie azioni come membro di una socie­ tà, ma rimangono identiche nelle loro conseguenze pratiche anche se

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non ci fosse al mondo nessun' altra persona oltre a me, non possono in nessun modo o disturbare lo Stato o recar danno al mio vicino, e per­ ciò non vengono a conoscenza del magistrato. Inoltre, nessun uomo può dare a un altro uomo (e non si vede perché Dio dovrebbe darglielo) i l potere sopra ciò s u cui egli stesso non h a nessun potere. Ora che u n uomo non possa comandare al proprio intelletto , o decidere oggi quale sarà la sua opinione domani , è evidente dall'esperienza e dalla natura del­ l ' i ntelligenza, che non può apprendere le cose in modo diverso da come le appaiono, più di quel che l'occhio possa vedere nell'arcoba­ leno colori diversi da quelli che vede, sia che quei colori in realtà ci siano sia che non ci siano l i . L'altra cosa che ha una giusta pretesa alla tolleranza illimitata è il luogo, il tempo e il modo di adorare il mio Dio, perché questa è una fac­ cenda che riguarda soltanto Dio e me e ha un ' i mportanza eterna al di sopra deli' ambito e deli' estensione della politica e del governo, i quali hanno come scopo soltanto il mio benessere in questo mondo . Il magi­ strato è arbitro solo tra uomo e uomo: può rendermi giustizia contro il mio vicino, ma non può difendermi contro il mio Dio. Qualunque male io soffra per obbedirgli in altre cose, egli può risarcirmi in que­ sto mondo; ma se mi costringe ad abbracciare una religione fal sa, non può riparare il suo atto nell' altro mondo l 2 . Lasciatemi aggiungere che anche nelle cose di questo mondo sulle quali ha autorità il magistrato non fa mai nul la, e sarebbe ingiusto se lo facesse, al di là di ciò che concerne il bene di tutti, per imporre agli uomini la cura delle loro faccende civili private o per spingerli al per­ seguimento dei loro interessi privati , ma li protegge soltanto dalle vio­ lenze e dai torti che potrebbero subire da parte degli altri . In questo con­ si ste la tolleranza perfetta . Perciò possi amo ben supporre che il magistrato non abbia assolutamente nulla da fare in relazione ai miei privati interessi in un altro mondo, e che egli non mi debba prescrive­ re il modo per perseguire il bene che per me è di i mportanza molto più alta di tutto ciò che è in suo potere , né debba pretendere da me diligen­ za nel perseguirlo. Infatti egli non ha una conoscenza più certa e più infallibile della mia del modo di raggiungere quello scopo: qui noi siamo due ricercatori uguali , due sudditi uguali e qui egli non può darmi

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alcuna sicurezza che io non sbaglierò, né alcun risarcimento, se sbaglio. Può essere ragionevole che colui il quale non può costri ngermi a com­ perare una casa mi imponga la sua strada per tentare il conseguimen­ to del paradiso? che colui il quale non può prescrivermi con giustizia regole per conservare la mia salute mi imponga metodi per salv are la mia anima? che colui il quale non può scegliermi una moglie mi scel­ ga una religione? Ma se Dio (questo è il punto in questione) avesse volu­ to che gli uomini fossero spinti a forza in cielo, questo sarebbe avve­ nuto non per opera della forza esterna esercitata dal magistrato sul corpo degli uomini, ma attraverso la costrizione interiore del suo spirito sugli spiriti degli uomini, sui quali non può operare nessuna costrizione umana, perché la via della salvezza è non un atto esterno imposto, ma una scelta segreta e volontaria dello spirito , e non si può supporre che Dio faccia uso di un mezzo che potrebbe non raggiungere , ma anzi potrebbe intralci are , il raggiungimento del fi ne . Né si può pensare che gli uomini diano al magistrato un potere di scegl iere per loro la loro via verso la salvezza, che è troppo importante perché si possa rinunciarvi 13, s e addirittura non è impossibile separarsi d a esso; poiché, qualunque cosa il magistrato abbia imposto nel culto di Dio , gli uomini devono in questo seguire necessariamente ciò che essi hanno pensato che sia migliore, dal momento che nessuna considerazione potrebbe essere suf­ ficiente a distogliere l' uomo da quella che abbia, con piena persuasio­ ne , ritenuto essere la via verso l ' i nfinita felicità o l ' i nfinita disgrazia, o a spi ngerlo verso di essa. Il culto religioso è l'omaggio che rendo a quel Dio che adoro in un modo che io ritengo accettabile a lui , ed è perciò un' azione o una relazione che sussi ste soltanto tra Dio e me. Perciò il culto non ha, nella sua pro­ pria natura, alcun riferimento al mio governante o al mio vicino, sic­ ché necessariamente non produce alcuna azione che disturbi la comu­ nità. Infatti l ' i nginocchiarsi o il sedersi al sacramento non può di per sé tendere a disturbare il governo o a recare un torto al mio vicino più del sedersi o dello stare in piedi alla mia tavola. Indossare una cappa o una cotta in chiesa non può costituire per la sua natura una preoccu­ pazione o una minaccia per la pace dello Stato più che l' indossare un soprabito o un mantello al mercato. L'essere ribattezzati non provoca

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una tempesta nello Stato più di quel che la provochi in un fiume, né più di quel che la provocherebbe nello Stato e nel fiume il semplice lavar­ si 1 4. Che io osservi il Venerdì con i maomettani o il Sabato con gli ebrei o la Domenica con i cristiani , che preghi con o senza un formulario, che adori Dio nelle cerimonie varie e pompose dei papisti o nel modo più semplice dei calvinisti , non scorgo nulla in nessuna di queste cose, se esse sono fatte sinceramente e dettate dalla coscienza, che possa di per sé rendermi o il peggior suddito del mio principe o il peggior vicino per chi è suddito al pari di me; a meno che io voglia, per orgoglio o pre­ sunzione concernenti la mia credenza o perché mi creda segretamen­ te infal libile, attribuendomi qualcosa come un potere divino, forzare e costringere gli altri a condiv idere le mie idee, o criticarli e danneggiar­ li se essi non le condividono. Questo , in realtà, spesso accade; ma è colpa non del culto, bensì degli uomini, e non è conseguenza di questa o quel­ la forma di devozione, ma è il prodotto della natura umana, depravata e ambiziosa, che a questo scopo usa una dopo l ' altra tutte le specie di religione. Questo uso fece Acab del digiuno, che fu non la causa, ma il mezzo e lo strumento per togliere la vigna a Nabot l 5 . Questi errori di alcuni seguaci di una religione non discreditano quella religione (per­ ché la stessa cosa accade in tutte) più di quel che la ruberia di Acab discrediti la pratica del digiuno. Da queste premesse segue, penso, che nelle speculazioni e nel culto reli­ gioso ogni uomo ha una perfetta e incontrollabile libertà e può libera­ mente usarla senza o contro il comando del magistrato, non commet­ tendo per questo assolutamente alcuna colpa o alcun peccato, purché faccia sempre tutto per Dio , sinceramente e secondo la guida della coscienza, con la migliore conoscenza e persuasione che può raggiun­ gere. Ma se ci fossero ambizione, orgoglio, vendetta, spirito di parte o qualche altro elemento estraneo di questo genere , che si mescola con ciò che egli chiama coscienza, allora per quanto c'è di colpa, di altret­ tanto risponderà nel giorno del giudizio. l ) Devo l 6 soltanto notare, prima di lasciare questa parte dedicata alle opinioni speculative, che la credenza in una divinità non deve essere annoverata tra le opinioni puramente speculative: essa è il fondamen­ to di tutta la moralità e influenza totalmente vita e azioni degli uomi-

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ni, e senza di essa un uomo deve essere considerato alla stregua di una delle più pericolose specie di animali selvatici , cioè incapace di qual­ siasi forma di società.

2) Si dirà che, se la tolleranza sarà concessa come cosa dovuta a tutte le parti del culto religioso, si impedirà al magi strato di fare leggi intor­ no alle cose sulle quali si riconosce, da tutte le parti , che egli ha un pote­ re , cioè le cose indifferenti, come sono molte di quelle di cui si fa uso nel culto religioso, cioè indossare un paramento bianco o nero, inginoc­ chiarsi o non inginocchiarsi ecc. A questo rispondo che nel culto reli­ gioso nulla è indifferente, perché io penso che l' uso di quegli abiti , di quei gesti ecc . e non altri è accettabile a Dio nel culto che gli è rivol­ to, sebbene essi possano essere nella loro natura perfettamente indif­ ferenti . E quando adoro il mio Dio in un modo che penso sia stato pre­ scritto da lui e che egli approvi, non posso mutare , omettere o aggiungere alcuna circostanza in quello che considero il vero culto. Perciò se

il magi­

strato mi permette di essere di una professione o di una Chiesa diver­ sa dalla sua, è incoerente che egli prescriva una qualsiasi circostanza del mio culto, ed è difficile dire come potrebbe rifarsi a qualche crite­ rio di uniformità per proibire in un paese cristiano una professione dis­ senziente di cristiani , mentre la religione ebraica (che è direttamente opposta ai princìpi della cristianità) è tollerata; e non sarebbe irragio­ nevole che dove la religione ebraica è permessa il magi strato cristia­ no; con la pretesa di avere potere nelle cose indifferenti , imponesse o proibisse qualche cosa o in qualche modo si interponesse nei modi e nelle loro maniere del culto ebraico? I I . Dico che hanno anche diritto alla tolleranza tutti i princìpi pratici o le opinioni con le quali gli uomini pensano di essere obbligati a rego­ lare le loro azioni reciproche: p. es. la convinzione di poter allevare i figli o di poter disporre delle loro ricchezze come preferiscono , di poter lavorare o riposare quando lo ritengono più opportuno, la creden­ za che la poligamia e il divorzio sono legittimi o illegittimi ecc . Que­ ste opinioni, e le azioni che ne derivano, con tutte le altre cose indif­ ferenti , hanno anche diritto alla tolleranza, ma solo nella misura in cui non tendono a disturbare lo Stato o non causano più danni che vantag-

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gi alla comunità. Tutte queste opinioni, eccetto quelle che tra esse sono evidentemente distruttive della società umana, sono cose o indif­ ferenti o dubbie, sul conto delle quali né il magistrato né il suddito pos­ sono prendere infallibilmente partito. Il magistrato perciò dovrebbe pren­ derle in considerazione non oltre la misura entro la quale il far leggi sul loro conto e l'interporre in esse la propria autorità può condurre al benes­ sere e alla salvezza del suo popolo. E tuttavia nessuna opinione di questo genere ha diritto alla tolleranza perché materia di coscienza e perché alcuni uomini ne fanno questio­ ne di peccato o dovere . La coscienza o la convinzione del suddito non possono essere la misura con la quale il magistrato possa o debba costruire le sue leggi , che debbono essere adatte al bene di tutti i suoi sudditi, non alle convinzioni di una sola parte: infatti , poiché spesso acca­ de che le parti siano l ' una contraria all' altra, ciò produrrebbe necessa­ riamente leggi contrarie tra loro . E poiché non c'è cosa tanto indiffe­ rente che l a coscienza di questo o di quello non la sottoponga a disciplina, una tolleranza in tutto ciò che in nome della coscienza si pre­ tende di sottrarre alla volontà eliminerà completamente tutte le leggi civili e tutto il potere del magistrato. Non ci saranno allora né legge né governo, se negate l' autorità del magistrato nelle cose indifferenti , sulle quali si riconosce da tutte le parti che egli ha giurisdizione. Per­ ciò gli errori o gli scrupoli della coscienza di chicchessia, che lo con­ ducono a far qualcosa o lo distolgono dal far qualcosa, non distruggo­ no il potere del magistrato , né alterano la natura della cosa, che rimane indifferente: infatti non esiterò qui a chiamare indifferenti dal punto di vista del legislatore tutte queste opinioni pratiche, sebbene forse esse non lo siano in se stesse. Il magistrato, sebbene sia persuaso in se stesso della ragionevolezza o del­ l ' assurdità, della necessità o dell'illegittimità di alcune cose indifferen­ ti , e sebbene possa essere nel giusto, tuttavia, mentre riconosce se stes­ so come non infal libile , facendo le sue leggi , deve considerarle semplicemente come cose indifferenti, a meno che esse, se imposte , tol­ lerate o proibite , non portino con sé il bene e il benessere del popolo. Tut­ tavia, nello stesso tempo, egli è strettamente obbligato ad adattare le pro­ prie azioni personali ai comandi della propria coscienza e alla propria

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convinzione a proposito di quelle opinioni . Infatti , non essendo stato fatto infallibile nei confronti degli altri per essere stato fatto loro governante, il magistrato come uomo dovrà render conto a Dio nella vita futura del­ l ' accordo delle sue azioni con la sua coscienza e convinzione; ma sarà responsabile, come magistrato , per le sue leggi e la sua amministrazio­ ne, secondo che esse siano state intese al bene , alla conservazione e alla pace di tutti i suoi sudditi in questo mondo, nella maggior misura pos­ sibile. Si tratta di una regola così certa e così chiara, che difficilmente il magistrato può trasgredirla, a meno che lo voglia fare di proposito. Ma prima di procedere a mostrare i limiti della costrizione e della libertà in relazione a quelle cose, sarà necessario elencare i diversi gradi di imposizione che sono o possono essere usati in materia di opinione:

l) la proibizione di pubblicare o divulgare qualsiasi opinione; 2) la costrizione a rinunci are a un 'opinione o ad abiurarla; 3) la costrizione a dichiarare l ' assenso all ' opinione contraria. Corrispondenti a questi ci sono gli stessi gradi di tolleranza . Dal che concludo:

l . Il magistrato può proibire la pubblicazione di una di queste opinioni quando , in se stesse l 7 , esse tendono a disturbare il governo , perché in que­ sto caso sono sotto la competenza e la giurisdizione del magistrato.

2 . Nessuno deve essere costretto con la forza a rinunciare alla propria opinione o ad accettare l'opinione contraria alla propria , perché una costrizione di questo genere non può produrre alcun effetto reale

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per il quale è impiegata. La costrizione non può cambiare la mente degli uomini: li può soltanto costringere ad essere ipocriti . A questo modo il magi strato !ungi dal condurre gli uomini ad abbracciare quella che egli ritiene verità, li può soltanto costringere a mentire. Né una costri­ zione di questo genere conduce affatto alla pace e alla sicurezza del governo, ma ottiene l' effetto del tutto contrario , perché con questo meto­ do i l magistrato non aumenta di uno iota il consenso al suo parere , ma anzi fa crescere l ' ostilità.

3. Il magi strato ha il potere di comandare o proibire tutte le azioni che derivano da una di queste opinioni, così come tutte le altre cose indif­ ferenti, nella mi sura in cui esse concernono la pace , la conservazione o la sicurezza del suo popolo. Sebbene a lui spetti giudicare queste cose,

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tuttavia egli deve avere una gran cura che non sia fatta alcuna legge, che non sia stabilita alcuna costrizione se non perché la necessità dello Stato e il benessere del popolo lo richiedano. E forse non sarà neppu­ re sufficiente che pensi soltanto che queste imposizioni e questo rigo­ re siano necessari o convenienti , a meno che abbia seriamente e impar­ zialmente dibattuto se essi lo siano o no . La sua opinione (nel caso che sbagli) non sarà titolo di giustificazione per aver fatto leggi sbagliate, più di quanto la coscienza o l ' opinione del suddito lo siano per giusti­ ficare la disobbedienza a quelle leggi , nei casi nei quali la considera­ zione e la ricerca avrebbero potuto rendere meglio informati il magi­ strato o il suddito. Credo si concederà facilmente che il far leggi per un qualsiasi altro scopo, diverso dalla sicurezza del governo e dalla pro­ tezione del popolo nella vita, ricchezza e libertà, cioè dalla conserva­ zione del tutto, incontrerà la più severa condanna al grande tribunale, non solo perché l ' abuso del potere e del mandato, che è nelle mani del legislatore, produce all 'umanità, per il cui bene soltanto i governi furo­ no istituiti , danni più grandi e più irreparabili di qualsiasi altro, ma anche perché il magistrato non è responsabile di fronte a nessun tribunale ter­ reno. Non ci può essere maggiore accusa di questa, di fronte al supre­ mo conservatore dell' umanità: che il magistrato faccia del potere che gli è stato dato solo per la conservazione di tutti i suoi sudditi e, tra essi , di ogni persona particolare , nella misura in cui ciò è possibile, un uso distorto al servizio del proprio piacere, della propria vanità o della pro­ pria passione, e lo impieghi per distruggere la pace dei suoi simili, rispet­ to ai quali egli è diverso, di fronte al Re dei re , soltanto per una diffe­ renza piccola e accidentale, o per opprimerli .

4. Se il magistrato interviene in queste opinioni o azioni con leggi e imposizioni per tentare di costringere e indirizzare gli uomini in senso contrario alle sincere convinzioni della loro coscienza, essi debbono fare ciò che la loro coscienza richiede, nella misura in cui lo possono fare senza ricorrere alla violenza, ma sono tenuti nello stesso tempo a sot­ tomettersi pacificamente alla pena che la legge infligge per una disob­ bedienza di questo genere 1 8 • A questo modo essi assicurano a se stes­ si il loro grande interesse fondamentale nell' altro mondo e non turbano la pace di questo, non vengono meno alla loro obbedienza o verso Dio

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o verso il re, ma danno ad entrambi ciò che è loro dovuto , e tanto l ' in­ tere sse del magistrato quanto il loro è salvo.

È certamente un ipocrita,

usa la coscienza soltanto come pretesto e mira a qualche altra cosa in questo mondo, chi non vuole , obbedendo alla propria coscienza e sot­ tomettendosi anche alla legge , procurare il paradiso per sé e la pace per il proprio paese , magari a prezzo del patrimonio, della libertà o della vita stessa. Ma anche la persona privata qui , come il magistrato nel caso precedente, deve avere gran cura di non esser traviato dalla propria coscienza o dalla opinione nella ricerca ostinata di qualcosa inteso come necessario o nell'ostinato rifiuto di qualcosa come illegittimo, men­ tre in realtà né l ' uno né l' altro sono tali : deve essere trattenuta dal timo­ re di essere punita sia in questo sia nell' altro mondo per la disobbedien­ za dovuta a errore o ostinazione . La libertà di coscienza è il gran privilegio del suddito, come il diritto di imposizione è la grande pre­ rogativa del magistrato: perciò bisogna vigilare il più strettamente possibile perché essi non sviino il magistrato o il suddito con le loro giuste pretese. Questi errori , essendo i più pericolosi , devono essere evi­ tati con la maggiore cura, e sono quelli che Dio punirà con la maggio­ re severità, perché sono errori commessi sotto le speciose sembianze e apparenze del diritto.

m. Dico che, oltre alle prime due, c'è una terza specie di azioni che sono 1 9 buone o cattive in se stesse, cioè i doveri della Seconda Tavola20 o le vio­ lazioni contro di essa, ossia le virtù e i vizi 2 I morali dei quali parlano i filosofi . Queste , sebbene costituiscano la parte vigorosamente attiva della religione , e in esse la coscienza degli uomini sia molto impegna­ ta, tuttavia, a quel che mi risulta, hanno solo una piccola parte nelle discus­ sioni sulla libertà di coscienza. Non so se sia vero che gli uomini , se fos­ sero più zelanti per queste cose, lo sarebbero meno per le altre; ma è certo che l' incoraggiamento della virtù è un sostegno così necessario a uno Stato e il cedere ad alcuni vizi porta alla società turbamento e rovina così

certi,

che non si è mai trovato magistrato che potesse essere sospettato di voler stabil ire o che stabilisse il vizio con una legge o proibisse la pra­ tica della virtù. Questa per la propria autorità e per i vantaggi che porta a tutti i govemi 22 merita ovunque l'incoraggiamento del magistrato.

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E tuttavia !asciatemi dire, per strano che possa sembrare , che il legi­ slatore non ha nulla da fare in relazione alle virtù e ai vizi morali, né deve imporre i doveri della Seconda Tavola, se non soltanto in quan­ to essi sono utili al bene e alla conservazione dell'umanità sotto un gover­ no . Perché, se le società pubbliche potessero sussi stere bene o se gli uomini potessero godere pace e sicurezza senza l ' imposizione di que­ sti doveri con le ingiunzioni e le pene della legge, è certo che i legisla­ tori non dovrebbero prescrivere alcuna regola a loro riguardo, ma dovrebbero )asciarne la pratica interamente alla discrezione e alla coscienza del loro popolo. Virtù e vizi morali , se potessero essere separati dalla relazione che hanno con il pubblico benessere e potes­ sero non essere più i mezzi per stabilire o compromettere la pace e le proprietà degli uomini, diventerebbero allora soltanto una faccenda pri­ vata e superiore alla politica tra Dio e l ' anima dell' uomo, dove l ' au­ torità del magistrato non ha da interporsi . Dio ha stabilito il magistra­ to come vicario in questo mondo, con il potere di comandare; ma si tratta soltanto, in questo come in altri affidamenti , del potere di comandare solo in faccende che concernono il luogo nel quale egli è vicario. Chi si occupa dell ' al di là ha solo il potere di pregare e di persuadere. Il magistrato , come magistrato23 , non ha nulla da fare in relazione al bene delle anime umane o ai loro interessi in un'altra vita, ma è stabi­ lito e gli è affidato il potere soltanto in relazione a una vita pacifica e agevole degli uomini riuniti in mutua società, come è già stato suffi­ cientemente provato. Ed è ancor più evidente che il magistrato coman­ da la pratica delle virtù, non perché esse sono comportamenti virtuosi e obbligano la coscienza, o perché sono i doveri dell' uomo verso Dio e la via per ottenere il suo perdono e il suo favore , ma perché esse sono vantaggiose ai rapporti dell ' uomo con l'uomo e la maggior parte di esse costituisce forti legami e vincoli di associazione, che non possono essere allentati senza che sia spezzata tutta la costruzione. Infatti alcu­ ni comportamenti , che non hanno quell' influenza sullo Stato e che tuttavia sono vizi e sono riconosciuti per tali quanto gli altri (come la cupidigia, la disobbedienza ai genitori , l ' ingratitudine, la cattiveria, la vendetta e parecchi altri ), non sono colpiti dalla spada del magistrato. Né si può dire che essi sono trascurati perché non possono essere

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conosciuti : il più segreto di essi , la premeditazione e la vendetta; infat­ ti , stabili scono la distinzione giudiziaria tra omicidio preterintenziona­ le e assassinio 24 . Io penso perciò che dal potere che il magistrato ha sopra le azioni buone e cattive consegue:

l . Il magistrato non è tenuto a punire tutti i vizi, cioè può tollerame alcu­ ni; del resto, vorrei sapere , quale governo non lo fa?

2 . Il magistrato non deve comandare la pratica di alcun vizio, perché un'ingiunzione di questo genere non può essere utile al bene del popo­ lo o alla conservazione del govemo 25 . Questi , io penso, sono i limiti dell' imposizione e della libertà, e que­ ste tre specie di cose, nelle quali la coscienza degli uomini è interes­ sata, hanno diritto a una tolleranza non più ampia di quella che ho indi­ cato, se esse sono considerate in se stesse separatamente e astrattamente. Ma c'è ancora un caso 26 che può modificare, sulla base degli stessi fon­ damenti , il trattamento da parte del magi strato di coloro che pretendo­ no il diritto alla tolleranza. Poiché gli uomini di solito assorbono all' ingrosso la loro religione e pren­ dono su se stessi le opinioni del loro partito tutte insieme in blocco, acca­ de spesso che essi mescolino con il culto religioso e le opinioni spe­ culative altre dottrine, completamente distruttive della società in cui vivono, come è evidente nei cattolici romani , che non sono soggetti a nessun principe all'infuori del papa. Costoro , che mescolano queste opi­ nioni con la loro religione, che le rispettano come verità fondamenta­ li, che si assoggettano ad esse come ad articoli di fede , non devono esse­ re tollerati dal magistrato nell' esercizio della loro religione, a meno che egli abbia la sicurezza di poter concedere una parte senza che si diffon­ da l ' altra, e sappia con certezza che quelle opinioni 27 non saranno assorbite e sposate da tutti coloro che comunicano con essi nel culto reli­ gioso; il che, suppongo, è molto difficile che avvenga. E28 ciò che può render costoro ancora p i ù inadatti alla tolleranza è che ci sia un principe vicino, appartenente alla loro stessa religione, dispo­ sto a incoraggiare e aiutare in ogni occasione queste dottrine pericolo­ se al govemo 29 . Contro l a tolleranza di solito s i obbietta che i l magistrato, avendo

il com-

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pito di conservare la pace e la tranquillità del governo, è obbligato a non tollerare differenti religioni nel suo paese, perché esse, essendo distin­ zioni sotto le quali gli uomini si uni scono e si raggruppano in corpi sepa­ rati dal corpo pubblico, possono dar occasione a disordini , cospirazio­ ni e sedizioni nello Stato, e mettere in pericolo il governo. Rispondo che, se tutte le cose che possono dar occasione a disordini o cospirazioni in uno Stato dovessero non essere sopportate , tutti gli uomini scontenti e attivi dovrebbero essere allontanati , e il bisbiglia­ re

dovrebbe essere tollerato meno del predicare , in quanto molto più adat­

to a promuovere e a fomentare una cospirazione. E se qualunque rag­ gruppamento di uomi ni , riuniti in unione o corporazione, distinto dal corpo pubblico, dovesse non essere sopportato, tutte le carte delle città30 , specialmente di quelle grandi, dovrebbero essere immediatamen­ te revocate . Gli uomini uniti in una fede rel igiosa hanno scarso interes­ se a contrastare il governo, forse meno di quel li uniti sotto il privile­ gio di una corporazione. Di questo sono sicuro , che essi sono meno pericolosi in quanto sono più disuniti e non organizzati . Le teste degli uomini sono così varie in fatto di religione, così puntigliose e scrupo­ lose in cose che hanno interessi etern i , che, quando c ' è tolleranza indifferenziata e la persecuzione e la forza non spingono gli uomini a raggruppars i , essi tendono a dividersi e a suddividersi in molti picco­ li corp i , e sempre con la più grande ostilità nei confronti degli ultimi dai quali si sono staccati o ai quali stanno più vicino, tanto che un grup­ po sorveglia l' altro e il corpo dei cittadini può non preoccuparsene, fino a quando essi partecipano ugualmente alla comune giustizia e protezio­ ne . E se l ' esempio di Roma antica (dove tante differenti opinioni, dèi e tipi di culto erano promiscuamente tollerati ) ha qualche valore , abbia­ mo ragione di immaginare che nessuna religione può diventare , agli occhi dello Stato, sospetta di cattive intenzioni nei confronti dello Stato stesso, fino a quando il governo per primo, con un trattamento par­ ziale dei suoi seguaci, differente da quello riservato al resto dei suddi­ ti , non dichiari le proprie cattive intenzioni nei loro confronti , e così fac­ cia della loro religione un affare di Stato . E se un uomo ragionevole può immaginare che forza e costrizione possano in qualunque momento esse­ re il giusto modo per elimi nare dal mondo un'opinione o una religio-

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ne , o per spezzare un gruppo di uomini che si uniscono nella profes­ sione di essa, ebbene io oso affermare che questo è il metodo peggio­ re, l 'ultimo da essere usato , e che richiede la maggiore cautela, per que­ ste ragioni: l . Perché applica all' uomo la violenza, mentre l ' unica ragione per cui esso è membro di uno Stato è proprio la possibilità di essere Iiberato3 1 da essa. Infatti, se non ci fosse paura della violenza, non ci sarebbe gover­ no nel mondo e neppure ce ne sarebbe bisogno.

2. Perché il magistrato , usando la forza, contrasta in parte ciò che pre­ tende di fare , che è il perseguimento della sicurezza di tutti. La conser­ vazione , nella maggior misura poss ibile, della proprietà, della pace e della vita di ogni individuo è il suo dovere: perciò egli è obbligato a non disturbare o distruggere alcuni per la pace e la sicurezza degli altri , fino a quando non è stata fatta la prova se esi stano modi per salvare tutti . Infatti nella misura in cui minaccia o elimina uno dei suoi sudditi per la sicurezza di tutto il resto, nella stessa misura il magi strato va con­ tro il proprio intento esplicito che è e deve essere soltanto la conser­ vazione , alla quale anche i più umili hanno diritto. Sarebbe un meto­ do di cura non caritatevole né accorto , che nessuno userebbe e al quale nessuno si sottoporrebbe , quello di tagliare un dito del piede ulcerato, sia pure tendente alla cancren a, prima che altri rimedi più blandi siano risultati inefficaci, anche se si tratta di una parte che sta al livello della terra ed è ben di stante dal capo. Mi riesce di scorgere una sola abbie­ zione che potrebbe essere fatta a questa posizione: i metodi lenti , che prevedono l' applicazione di rimedi più blandi possono farvi perdere l'oc­ casione di usare i rimedi che, se adottati tempestivamente , sarebbero efficaci, mentre nel vostro modo di procedere poco energico, la malat­ tia cresce , la fazione si fa forte , guadagna il capo e diventa il vostro padrone . A questo rispondo che partiti e fazioni crescono lentamente e per gradi , hanno il loro tempo di infanzia e di debolezza, come quel­ lo di piena maturità e di forza, e non diventano temibili in un attimo, ma dànno tempo sufficiente per sperimentare altre specie di cura, senza che il ritardo diventi pericoloso. Ma se il magistrato corre il rischio di trovare i dissenzienti così numerosi da essere in grado di competere con lui, non vedo che cosa possa guadagnare con la forza e la severità, dal

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momento che, a questo modo, dà loro il bel pretesto per unirsi in un sol corpo ed armarsi e farsi , tutti uniti , più fermi contro di lui. Ma rinvio a un luogo più opportuno questa faccenda, che per qualche cosa con­ fina con quella parte del problema che concerne più gli interessi che i doveri del magistrato . Finora ho soltanto tratteggiato i limiti che Dio ha posto al potere del magistrato e all 'obbedienza del suddito. Entrambi sono sudditi del grande Re dei re e gli devono obbedienza. Egli si aspetta l' esecuzione dei doveri ai quali sono tenuti secondo i diversi ranghi e condizioni nei quali si trovano. Ecco in sommi capi tutto ciò che abbiamo detto. l . Ci sono alcune opinioni e azioni che sono completamente separate dall' interesse dello Stato, e non hanno alcuna diretta influenza sulla vita degli uomini in società: si tratta di tutte le opinioni speculative e degli atti di culto religioso. Queste cose hanno un chiaro diritto alla tolleran­ za universale, che il magistrato non deve impedire . 2 . Ci sono alcune opinioni e azioni che, nella loro tendenza naturale, sono assolutamente distruttive della società umana: p. es ., la credenza che si può rompere la promessa con gli eretici32 , che se i l magistrato non promuove una pubblica riforma della religione la possono promuo­ vere i sudditi , che si è obbligati a insegnare pubblicamente e a diffon­ dere ogni opinione nella quale si crede e così via; nel campo delle azio­ ni, tutti i tipi di inganno e di ingiustizia ecc. Il magistrato non deve affatto tollerare le cose di questo genere . 3. C'è una terza specie di opinioni e di azioni, che in se stesse non reca­ no né danno né vantaggio alla società umana, ma che possono agire in senso buono o cattivo secondo la costituzione dello Stato e la con­ dizione delle sue faccende. Si tratta di credenze di questo genere: che la poligamia è legittima o il legittima, che la carne e il pesce devono essere mangiati o evitati in certi periodi e altre opinioni pratiche di questo genere . Tutte le azioni che concernono materie indifferenti hanno diritto alla tolleranza, ma solo nella misura in cui non pregiu­ dicano l ' interesse del pubblico o servono in qualche modo a di stur­ bare il governo. E tanto basti sulla tolleranza in quanto concerne il dovere del magi­ strato. Avendo mostrato che cosa egli è tenuto a fare in coscienza, non

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sarà male considerare un po ' che cosa egli deve fare dal punto di vista del l a saggezza. Poiché i doveri degli uomini sono contenuti in regole generali stabili­ te, mentre la loro saggezza si riferisce a circostanze particolari , sarà necessario, per mostrare quanto la tolleranza costituisca l ' interesse del magistrato , venire ai particolari . A considerare pertanto lo stato presente dell ' Inghilterra , tutta la que­ stione si risolve in una sola domanda: se la tolleranza o l ' imposizione siano la via più facile per garantire la sicurezza e la pace e per promuo­ vere il benessere di questo regno . Per assicurare la pace, c ' è soltanto una via, ed è che gli amici in patria siano molti e vigorosi, i nemici pochi e trascurabili o che almeno la spro­ porzione tra gli uni e gli altri renda molto pericoloso e difficile agli scon­ tenti recare molestia. Per far crescere il benessere del regno, che consiste in ricchezze e pote­ re, i l mezzo più immediato è il numero e l ' industriosità dei sudditi. Quale influenza abbia su tutto ciò la tolleranza non può essere v isto molto bene senza prendere in considerazione i partiti che ora ci sono tra noi , e che possono essere compresi sotto questi due cap i , papisti e fanatic i . Per quel che riguarda i papisti , è certo che di molte delle loro perico­ lose opinioni, che sono completamente distruttive di tutti i governi , eccet­ to il governo del papa, non deve essere tollerata la propagazione. n magi­ strato è tenuto a impedire a chiunque di diffondere o pubblicare una di quelle opinion i , nella misura sufficiente per impedirne la propagazio­ ne . Questa regola colpisce non solo i papisti , ma anche qualsiasi altro tipo di persone tra noi , perché una limitazione di questo genere impe­ dirà in qualche modo la diffusione delle dottrine come quelle che avranno sempre cattive conseguenze e, come serpenti , non si possono privare del loro veleno con un trattamento gentile. I papisti non devono godere del beneficio della tolleranza, perché , dove hanno il potere , si ritengono obbligati a negare la tolleranza agli altri . Ed è irragionevole che abbia la piena libertà di praticare la pro­ pria religione chiunque non riconosca come uno dei propri princìpi che nessuno debba perseguitare o molestare un altro perché dissente da lui

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nella religione. Infatti poiché la tolleranza è istituita dal magistrato come un fondamento sul quale costruire la pace e la tranquillità del suo popolo, tol lerare chiunque goda del beneficio di questa indulgenza, pur condannandola nello stesso tempo come illecita, è soltanto blandire colo­ ro che si professano obbligati a disturbare il governo non appena ne saranno in grado.

È impossibile rendere i papi sti , fino a che restano papisti , amici del governo con l ' indulgenza o con la severità, dal momento che essi sono suoi nemici sia per principio sia per interesse. Perciò, considerandoli come nemici inconciliabili, della fede dei quali non si può mai essere sicuri, fino a che sono tenuti a una cieca obbedienza a un papa infalli­ bile, che ha le chiavi della loro coscienza attaccate alla cintura e può, se l'occasione lo richiede, dispensarli da giuramenti, promesse e obbli­ gazioni che essi hanno nei confronti del loro principe, specialmente quan­ do questi è, nel loro senso33, un eretico , e armarli ai danni del gover­ no, io penso che essi non debbano godere del beneficio della tolleranza. Perché la tolleranza non potrà mai diminuire il loro numero, mentre potrà farlo la costrizione, o almeno potrà non farlo aumentare , come fa di soli­ to con le altre credenze, che crescono e si diffondono con la persecu­ zione e che, con le difficoltà che incontrano, si fanno apprezzare da chi vi assiste: infatti gli uomini sono disposti a provare compassione per i sofferenti , e considerano pura la religione che può reggere alla prova delle persecuzioni e sinceri i suoi seguaci . Ma penso che sia ben diver­ so il caso dei cattolici che meno di altri possono meritare pietà, perché ricevono un trattamento non diverso da quello che la crudeltà dei loro principi e delle loro pratiche merita, secondo il comune riconoscimen­ to. La maggior parte degli uomini giudica le severità delle quali si lamen­ tano come giuste punizioni che essi meritano, in quanto nemici dello Stato, piuttosto che come persecuzioni di chi ubbidisce alla coscienza, per la religione che pratica, il che non è; né si può pensare che essi siano puniti soltanto per la loro coscienza, se essi si ritengono nello stesso tempo sudditi di un principe straniero e nemico. Inoltre i principi e le dottrine di quella religione sono meno adatti ad attirare teste curiose e spiriti inquieti. Di solito gli uomini, quando cambiano volontariamen­ te , cercano libertà e invasamento, nei quali continuare a essere liberi

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e padroni di sé, piuttosto che autorità e imposizione. Questo è certo: la tolleranza non può far sì che i papisti si dividano in gruppi interni , né una mano dura può avere su di essi lo stesso effetto che avrebbe su altri partiti dissenzienti , cioè di farl i unire con i fanatici (i cui princìpi, il cui culto e il cui temperamento sono cosl incompatibili con quelli dei papisti), rendendo più grande il pericolo che un numero maggiore di mal­ contenti si uniscano tra loro. Si aggiunga che il papato, essendo stato imposto in un mondo fanatico e i gnorante con l ' astuzia e l' intrigo del suo clero, essendo stato mantenuto in vita con gli stessi artifici ed essendo fondato sul potere e sulla forza, è esposto alla decadenza più di qualsiasi religione, dove il potere secolare tratta severamente i suoi seguaci o almeno toglie loro quegli incoraggiamenti e appoggi che essi hanno ricevuto dal proprio clero . Ma la repressione dei papisti , anche se non diminuisce il numero dei nostri nemici, portando qualcuno di essi nel nostro campo, tuttavia accre­ sce il numero dei nostri amici, li rafforza e lega più saldamente tutto il partito protestante a nostra assistenza e difesa. Infatti l ' interesse del re d ' Inghilterra , come capo dei protestanti , sarà molto avvantaggiato dallo scoraggiamento del papismo tra noi : i diversi partiti si uniranno presto in una comune alleanza con noi quando riscontreranno che noi siamo realmente separati dal comune nemico della nostra Chiesa e, insie­ me, di tutte le professioni protestanti , e che siamo schierati contro di esso; e questo sarà un pegno della nostra alleanza con loro e una garan­ zia che essi non saranno ingannati nella fiduci a che hanno in noi e che noi siamo sinceri nell' accordo che stipuliamo con loro. Tutti gli altri dissenzienti sono designati con il nome ingiurioso di «fanatici»34 che, tra parentesi, io penso si potrebbe più prudentemen­ te mettere da parte e dimenticare . Perché che razza di uomo intelligen­ te è quello che, in una condizione di disordine, si mette a cercare e a fissare distinzioni (una cosa che soltanto dei faziosi possono desidera­ re) o, dando un unico nome comune a differenti partiti, insegna a riu­ nirsi a coloro che egli ha interesse a dividere e a tenere lontani gli uni dagli altri? Ma veniamo a quello che conta di più . Da tutte le parti è riconosciuta, io penso, la necessità che i fanatici siano trasformati in elementi utili

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di aiuto e, per quanto è possibile, rafforzino il governo quale è ora, per garantirlo contro le minacce interne e difenderlo contro gli attacchi ester­ ni. Nulla può promuovere una cosa di questo genere, se non ciò che può mutare le intenzioni dei fanatici e portarl i alla nostra fede o, se essi non si privano delle loro credenze, ciò che può tuttavia persuaderli a met­ tere da parte le loro animosità e a diventare amici dello Stato, pur senza essere figli della Chiesa. Per quanto riguarda l 'efficacia che forza e severità hanno nel mutare le credenze dell' umanità (sebbene la storia sia piena di esempi e sia dif­ ficile trovare anche un solo caso in cui una credenza sia stata cacciata dal mondo con la persecuzione, a meno che la violenza esercitata con­ tro di essa non abbia spazzato via anche tutti coloro che la professava­ no) mi basta che ciascuno guardi in se stesso, per stabilire se mai la vio­ lenza ebbe qualche successo sulle sue credenze, se mai gli argomenti maneggiati con foga non perdano qualcosa della loro efficacia e non lo abbiano reso più ostinato nella sua opinione: tanto gelosa è la natura umana nel conservare la libertà di quella parte in cui giace la dignità di un uomo, che l ' accettare un' imposizione renderebbe l ' uomo ben poco diverso da una bestia! Chiedo a coloro che negli ultimi tempi soppor­ tarono essi stessi con tanta fermezza la forza inefficace delle persecu­ zioni e riscontrarono quanto poco successo esse ebbero sulle loro cre­ denze, e tuttavia sono ora così propensi a provarle sugli altri , se tutta la severità di questo mondo avrebbe potuto tirarli un passo più vicino a una convinta e sincera accettazione delle credenze che erano allora dominanti35 . Non mi dicano che allora essi sapevano di essere nel giusto, perché ogni uomo è altrettanto convinto di essere nel giusto in ciò in cui crede. Ma quanto poco questa ostinazione o questa costan­ za dipendano dalla conoscenza si può vedere in quei galeotti che tor­ nano dalla Turchia, i quali, sebbene abbiano sopportato tutte le specie di miseria piuttosto di rinunciare alla propria religione, tuttavia, per quel che si può indovinare dalla vita e dai princìpi della maggior parte di essi, non avevano alcuna conoscenza della dottrina e della pratica del cri­ stianesimo. Chi non pensa che quei poveri prigionieri i qual i , rinuncian­ do a una religione nella quale non erano molto istruiti e della quale, men­ tre godevano la propria libertà in patria , non erano molto zelanti ,

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avrebbero potuto riottenere la propria libertà mutando le proprie cre­ denze, non avrebbero, se le loro catene glielo avessero permesso , tagl iato la gola a quei crudeli padroni che li trattavano così duramen­ te, mentre non avrebbero usato alcuna violenza verso di loro, se li avessero trattati civilmente , come normali prigionieri di guerra? Dal che si vede che sarebbe un tentativo temerario36, se mai qualcuno l ' aves­ se in mente, quello di portare quest'isola nella condizione di una galea, dove la maggior parte dei suoi abitanti sarebbe ridotta alla condizione di schiavi, sarebbe costretta a colpi di frusta a spingere a forza di remi la nave, ma non avrebbe nessuna parte del carico né avrebbe alcun dirit­ to ad essere protetta, a meno che volesse apprestar le catene per tutti coloro che devono essere trattati come turchi e persuaderli a star tran­ quilli mentre essi mettono loro le catene addosso. Predichino pure gli ecclesiastici il dovere quanto a lungo vogliono, ma non si è mai sapu­ to che gli uomini si sottomettessero tranquillamente all 'oppressione e sottoponessero la loro schiena ai colpi altrui, quando pensavano di avere la forza sufficiente per difendersi . Dico questo non per giustificare i comportamenti che penso d i aver suf­ ficientemente condannato nella parte precedente di questo di scorso, ma per mostrare qual è la natura e il comportamento degli uomini , e qual è stata di solito la conseguenza della persecuzione. Inoltre l ' introduzio­ ne forzata di credenze trattiene la gente dal consentire ad esse, metten­ do negli uomini l ' inevitabile sospetto che con quei modi , facendo pro­ seliti con la forza, non si voglia far progredire la verità, ma si abbiano di mira l ' interesse e il dominio. Chi mai segue questo metodo per con­ vincere qualcuno della verità certa delle matematiche? Probabilmente si dirà che queste sono verità dalle quali non dipende la mia felicità. Lo concedo , e riconosco di dover molto a chi si prende cura della mia feli­ cità; ma è difficile pensare che ciò che comporta un così cattivo trat­ tamento del mio corpo derivi da amore per la mia anima, o che è dav­ vero così interessato alla mia felicità nell'altro mondo colui che si compiace di vedermi disgraziato in questo. Io mi stupisco che quelli che hanno una così zelante attenzione per i l bene degli altri non badino un po' di più al soccorso dei poveri o non pensino di essere tenuti a pro­ teggere le sostanze dei ricchi , le quali certamente sono anch'esse cose

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buone e fanno parte della felicità di una persona, se possiamo dar cre­ dito al modo di vita di coloro che ci parlano delle gioie del paradiso, ma tentano, tanto quanto gli altri , di accumulare le più grandi proprie­ tà sulla terra . Ma, dopo tutto questo, se la persecuzione potesse conquistare, non soltanto sporadicamente, un delicato, timido fanatico (cosa che tut­ tavia avviene raramente e, per giunta , di solito con la perdita di due o tre ortodoss i), se potesse , dico , attirare di colpo tutti i dissenzien­ ti nel recinto della Chiesa, non con questo essa garantirebbe , ma anzi minaccerebbe il governo e renderebbe il pericolo tanto più grave quan­ to lo è avere un nemico subdolo, segreto, ma esasperato , piuttosto che un avversario aperto e leale. Infatti punizioni e paura possono far sì che gli uomini sciolgano le loro unioni, ma, poiché non convincono la ragione di nessuno , non possono proporsi di indurre gli uomini a dare il loro assenso a una credenza: anzi li indurranno a odiare i loro persecutori e metteranno in essi una maggiore avversione per le loro persone e le loro credenze . In questa situazione gli arrendevo­ li preferiscono l ' impunità alla dichiarazione delle proprie opinion i , m a non per questo approvano le nostre. L a paura del potere, non l ' amore per il governo, è ciò che li trattiene; e se questa fosse l a cate­ na che li lega a voi , li vincolerebbe certamente con maggior sicurez­ za se essi fossero aperti dissenzienti , piuttosto che segreti sconten­ ti, perché essa sarebbe non soltanto qualcosa di più facile da mettere , ma anche qualcosa di più difficile da togliersi di dosso . Al meno questo è certo: se si tratta di spingere gli uomini ad adottare le vostre opinion i , tutti i metodi diversi dal tentativo di convincerli che sono opinioni vere non li rendono vostri amici , più di quello che lo spingere i poveri indiani nei fiumi, perché fossero battezzati , li abbia resi cristian i . La forza non può padroneggiare le credenze degli uomini n é piantarne di nuove nei loro petti; possono farlo la cortesia, l ' amicizia e un tratta­ mento delicato. Infatti molti uominiJ7 ai quali le occupazioni o la pigri­ zia impediscono di esaminarle, accettano molte delle loro opinioni , anche in fatto di religione , sulla fiducia degli altri , ma non le prendono mai da qualcuno di cui non conoscano con sicurezza38 il sapere , l ' ami-

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cizia e la sincerità; ora, è impossibile che riconoscano queste cose in chi li perseguita. Ma gli uomini che hanno spirito di ricerca, sebbene non accettino le idee di un altro per la gentilezza che questi dimostra, tuttavia sono più disposti a farsi convincere e sono più pronti ad esaminare le ragioni che possono persuader li ad abbracciare l'opinione di colui che essi si sen­ tono obbligati ad amare . Poiché la forza è un metodo sbagliato per staccare i dissenzienti dalle loro convinzioni, mentre, conducendoli alla vostra credenza, voi li legate stabilmente allo Stato, la forza riuscirà molto meno a rendere vostri amici quelli che mantengono risolutamente la loro convinzione39 e per­ sistono in un'opinione diversa dalla vostra. Chi differisce da voi sol­ tanto in un'opinione è separato da voi soltanto da una distanza; ma se voi lo trattate male per quello che egli crede essere giusto, allora egli diventa un vostro nemico completo: la prima è soltanto una separazio­ ne, il secondo è un litigio. Né è questo tutto il danno che la durezza pro­ vocherà tra noi , dato l ' attuale stato di cose, perché la forza e il cattivo trattamento accresceranno non solo l ' animosità, ma anche il numero dei nemici . Infatti i fanatici, presi tutti insieme, pur essendo numerosi, e forse più numerosi degli amici affezionati della religione di Stato, sono tuttavia frazionati in partiti diversi, i quali hanno tra loro la stes­ sa distanza che li separa da voi , se voi non li allontanate ulteriormen­ te con il cattivo trattamento che essi ricevono, perché le loro semplici credenze sono reciprocamente tanto incompatibili quanto lo sono con quella della Chiesa d' Inghi lterra. Gente che è così polverizzata è man­ tenuta più sicura con la tolleranza, perché, stando sotto di voi nella con­ dizione migliore che essi possano sperare, non è verisimile che essi si riuniscano per mandar su un'altra persona, dalla quale non possono esse­ re certi di ricevere un trattamento così buono. Ma se li perseguitate, li fate riunire tutti in un unico partito con un unico interesse contro di voi , li mettete nella tentazione di scuotere il vostro giogo e di tentar l ' av­ ventura di un nuovo governo, dove ciascuno h a la speranza di prende­ re direttamente il potere o di ottenere un miglior trattamento con nuovi governanti, i quali non possono fare a meno di vedere che la stessa durez­ za del precedente governo, che li aiutò ad impadronirsi del potere e che

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aiutò i loro partigiani a riunirsi, darà ad altri lo stesso desiderio e la stes­ sa forza di abbatterli ; sicché ci si può aspettare che essi saranno cauti nell 'esercizio del potere. Ma se pensate che i diversi partiti siano già arrivati a una certa consistenza e si siano già costituiti in un unico corpo, intorno a un comune interesse contro di voi , sia o non sia il duro trat­ tamento subìto sotto di voi che li ha fatti unire, quando essi sono così numerosi da essere uguali o superiori a voi in numero , come forse acca­ de ora in Inghilterra, la forza sarà soltanto un metodo cattivo e perico­ loso per sottometterli . Se l'uniformità in Inghilterra fosse così neces­ saria come molti pretendono e se la costrizione fosse la strada per giungere ad essa, io chiedo a quelli che sono così fanatici per essa, se essi realmente intendano conseguirla con la forza oppure no. Se no, costi­ tuisce non solo imprudenza, ma malafede, togliere con quel pretesto la pace ai loro fratelli e tormentarli con punizioni inefficaci. Per mostra­ re quanto poco la persecuzione, non spinta agli estremi, sia stata capa­ ce di stabilire l 'uniformità, formulerò soltanto questa semplice doman­ da: ci fu mai una libera tolleranza in questo regno? Se non ci fu , desidero sapere da uno di quei membri del clero che un tempo furono rimossi, come essi furono spogliati delle loro rendite vitalizie e se la costrizione e la durezza furono in grado di conservare la Chiesa d'In­ ghilterra e di impedire l'accrescersi dei puritani, anche prima della guer­ ra40 . Se, perciò, la violenza dovesse stabilire l'uniformità, è inutile smi­ nuire il problema: la durezza che deve produrla deve subito arrivare alla totale distruzione ed estirpazione di tutti i dissenzienti . E quanto que­ sto possa andare d' accordo con la dottrina del cristianesimo, con i princìpi della nostra Chiesa e con la liberazione dal papismo, lascio giu­ dicare a quelli che si sentono di ritenere i massacri di Francia4I meri­ tevoli di imitazione; ma desidero che essi considerino quanto una legge che ponesse la morte (perché una pena minore non produrrebbe l 'uniformità) come pena per la non adozione della preghiera comune4 2 e per la non partecipazione al culto della nostra Chiesa stabilirebbe la pace in questo regno e ne garantirebbe il governo . La religione romana è stata impiantata solo recentemente in Giappo­ ne, dove ha avuto un modesto sviluppo, perché i poveri convertiti hanno ricevuto ben poco della verità efficace e della luce del cristia-

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nesimo, portate loro da maestri che fanno dell' ignoranza la madre della devozione, e hanno conosciuto ben poco oltre l' Ave Maria o il Pater

Noster; ma essa non ha potuto essere estirpata se non con la morte di molte migliaia di persone . Neppure questo provvedimento tuttavia riu­ scì a far dimi nuire il numero dei convertiti , fino a quando la durezza di trattamento non fu estesa al di là dei colpevoli e fu comminata la morte, non solo alla famiglia che ospitava un prete, ma anche a tutti i membri di entrambe le famiglie che stavano immediatamente vicino, da una parte e dall' altra, sebbene esse fossero estranee o nemiche della nuova religione. E furono inventate torture raffinate e lungh issime, peg­ giori di mille morti; tanto che, per quanto alcuni avessero sufficiente forza per sopportarle quattord ici giorni di seguito , molti rinunciarono alla loro religione . I loro nomi furono registrati con questo intento: quan­ do i seguaci del cristianesimo fossero stati tutti distrutti , anche questi sarebbero stati massacrati, tutti in un sol giorno. Si pensava che que­ sta credenza non sarebbe mai stata estirpata in modo tale da elimina­ re perfino la possibilità di diffondersi di nuovo, fmo a quando fosse rima­ sto vivo qualcuno che la conoscesse , anche solo un poco , o che almeno avesse sentito dire del cristianesimo qualcosa di più del semplice nome . Neppur ora si tollera che i cristiani , che commerciano là, parli­ no, giungano le mani o usino qualche gesto che possa mostrare un carat­ tere tipico della loro religione. Se qualcuno pensa che l ' un iformità debba essere restaurata nella nostra Chiesa, anche a costo di usare metodi come questo, farà bene a considerare quanti sudditi il re vorrà lasciare in vita dopo che essi saranno stati applicati. Ma c'è ancora una cosa da osservare nel caso che abbiamo citato, ed è che la persecuzio­ ne non nacque dall'intento di stabilire l ' uniformità religiosa (perché i giapponesi tollerano sette o otto sètte , ed alcune così di verse tra loro come lo è la credenza nella mortalità da quella ne li' immortalità de li ' ani­ ma), il magistrato non cerca di sapere a quale setta i suoi sudditi

appar­

tengano e non fa il minimo tentativo di costringerli a seguire la propria religione; né la persecuzione fu dovuta ad una qualche avversione per il cristianesimo, tanto che essi sopportarono per un bel po' di tempo che esso si sviluppasse tra loro, fino a quando la dottrina dei preti

papisti

diede loro il sospetto che la religione fosse soltanto un pretesto, ma che

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il potere politico fosse l ' intento reale, e fece loro temere un sovverti­ mento dello Stato. I loro preti fecero tutto il possibile per far crescere questo sospetto , fino a provocare l 'estirpazione di questa religione nascente43. Ma ecco i pericoli che porta con sé lo stabilire l ' uniformità. Per dare un quadro completo di questo argomento restano ancora qui questi par­ ticolari da trattare: l . Mostrare quale influenza è verisirnile che la tolleranza abbia sul nume­ ro e l'i ndustriosità della popolazione, fattori dai quali dipende il pote­ re e la ricchezza del regno44 . 2. Se è la forza che deve costringere tutti a entrare in una struttura uni­ forme in Inghilterra, considerare quale partito da solo o quali partiti pos­ sono costituirsi per fornire la forza capace di costringere gli altri. 3 . Mostrare che tutti coloro i quali parlano contro la tolleranza sembra­ no presupporre che durezza e forza siano le sole arti di governo e i soli modi per sopprimere qualsiasi fazione; il che è un errore .

4. Che per la maggior parte le questioni che dànno luogo alle contro­ versie e sulla base delle quali si distinguono le sètte non sono parti della vera religione o ne sono parti molto trascurabili e appendici. 5 . Considerare come sia avvenuto che la religione cristiana ha prodot­ to più fazioni , guerre e turbamenti nelle società civili di ogni altra, e se la tolleranza e il latitudinarismo45 prevengano quei mal i . 6. Che la tolleranza conduce alla fondazione di un governo solo dando alla maggioranza uniformità di intenti , e incoraggia in tutti la virtù . Ciò si ottiene facendo e applicando leggi rigorose concernenti la virtù e il vizio, ma rendendo i termini della comunità ecclesiastica più larghi pos­ sibili, cioè facendo sì che i vostri articoli nelle credenze speculative siano pochi e larghi , e le cerimonie nel culto poche e sempl ici: il che costi­ tuisce il latitudinarismo. 7. Definire e tentare di dimostrare molte dottrine , che si riconosco­ no come incomprensibili , che non devono essere conosciute se non per rivelazione e che richiedono l ' assenso degli uomini nei termini pro­ posti dai dottori delle vostre diverse Chiese, fa di necessità un gran numero di atei . Ma di queste cose, quando avrò più tempo.

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SAG G I O SU LLA TOLLE RANZA: NOTE

I M2 dice «porrò questo come fondamento sicuro e inalterabile» e omette il testo

fino a «potere». 2 M2 aggiunge , ma poi omette la parole fino a «Dio ha dato ... >> (dieci righe più sotto). Poi, dopo «in questa vita» (p. 64, r. 1 7), M2 con­ tinua: «essi sono tenuti ad esibirci il suo mandato che deriva dal cielo». Rispetto alla redazione definitiva M2 dà una presentazione più semplice della dottrina del diritto divino. In M2 si suppone che i sostenitori del diritto divino ammettano una concezione limitata della sovranità, sicché si può obiettare loro che dovrebbero essere in grado di esibire la carta fondamentale di una sovranità che pretende di avere regole, perché queste dovrebbero essere contenute nel documento istituti­ va. Nella redazione definitiva Locke ha introdotto un'alternativa. La sovranitàjure divino può essere concepita come assoluta o come limitata; e Locke tende a cre ­

dere che i sostenitori del jus divinum la concepiscano come assoluta. Ma questa posizione è del tutto incompatibile con le istituzioni inglesi e con la Magna Char­ ta. L'altra alternativa, quella della sovranitàjure divino, ma limitata, pare a Locke inverosimile, ed egli pare sostenerla solo per scopi dialettici . Probabilmente in M2 tutto il discorso di Locke aveva un andamento più dialettico: egli cioè attribuiva agli avversari posizioni scelte in funzione del ragionamento, cercando cioè quel­ le che rendevano la confutazione più difficile, e perciò più efficace. In questo senso la versione più debole della teoria della sovranitàjure divino è più difficile da con­ futare, partendo dalle posizioni di Locke; ma la confutazione è più efficace. Pas­ sando alla redazione definitiva, Locke ha introdotto allusioni a temi politici pre­ cisi: il riferimento alla tradizione politica inglese e alla Magna Charta.

4 Qui s'inserisce una piccola aggiunta di M2, di cui alla n. prec. 5 La parentesi manca in M2 che, dopo «il suo titolo mostra>> , alla riga succes­ siva, continua con «Ma se Dio (questo è il punto in questione) avesse voluto che gli uomini fossero spinti a forza>> (che è il testo definitivo, cfr. p. 66, ultima riga); dopo di che M2 inserisce la variante . Senonché in M2 dopo «forzati>> c'è un richiamo, e in un foglio inserito dopo la p. 9 di M2, questo continua con «in cielo>>, riprendendo il testo definitivo prima abbandonato a p . 67, r. 2, per seguirlo fino a «il raggiungimen­ to del fme>> (p. 67, r. lO). Poi l'aggiunta rli M2 continua con le parole del testo defi­ nitivo da «Lasciatemi aggiungere ... » (p. 66, r. 1 2) a «sceglierrni una religione?» (p. 66, ultima riga). A questo punto s'inserisce il capoverso successivo di questa pagina (p. 64): «Alni affermano ... >> .

6 Qui l' aggiunta di M2 reca «per un fine diverso dal proprio» e termina. Poi

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M2 continua su alcune righe trasversali aggiunte alla prima pagina di M3, e pro­ segue sostanzialmente con il testo definitivo, fino a «le virtù e i vizi morali>> (p. 65, r. IO).

7 Qui M2 inserisce: «O dia al magistrato un diritto a scegliere per i membri del popolo la loro via alla salvezza>> e doveva forse continuare con «che è un potere troppo importante perché si possa rinunciarvi , se addirittura non è impossibile sepa­ rarsi da esso>> , un testo che nella redazione definitiva risulta inserito a p. 67, r. 1 3 .

8 Qui termina M2, che costituisce essenzialmente il tentativo di mettere a punto la premessa politica del Saggio sulla tolleranza. Locke aveva incominciato a ela­ borare questa premessa prendendo in considerazione soltanto l'ipotesi di un pote­ re jure divino, ma limitato. A Locke pareva che la debolezza di questa posizione consistesse nell'incapacità di esibire il proprio fondamento divino. Comunque anche questa posizione escludeva l 'intervento del magistrato in materia di fede, perché la fede non può esser prodotta con la forza. Nell'aggiunta a M2 questo punto veni­ va ulteriormente sviluppato e veniva aggiunta la considerazione de li' origine con­ sensuale della sovranità. 9 M3 incomincia premettendo «Dico che ci sono soltanto due specie di cose

che hanno nella propria natura>> a . A M3 manca pertan­ to tutta la premessa politica presente nella redazione definitiva, che si è forma­ ta attraverso M2.

IO Il testo definitivo da fino a (p. 65, r. 25 ) è trasposto in M3 e collocato alla fine del capoverso.

I l Qui M3 colloca il testo trasposto di cui alla n. prec. Fin da M3 sono presen­

ti entrambe la ragioni in favore della tolleranza per le opinioni speculative. Ma la redazione definitiva elenca per prima la ragione consistente nella mancanza di conseguenze esterne di quelle credenze. Questa ragione non è assente in M3, ma viene posposta alla ragione costituita dall'impossibilità di esercitare un' autorità puramente esterna sull'intelletto.

1 2 Il passo da fino a (p.

67, r. IO) è omesso in M3, che dopo continua fino alla fine sostanzialmente fedele al testo definitivo. Il passo mancante in M3, da qui fino a p. 67, r. IO, è stato elaborato in M2, ma come motivazione della limitazione della sovranità, anche nel caso che essa siajure divino (cfr. n. 5).

13 Qui termina M l , che è lo stadio nel quale ha preso forma definitiva la prima parte del Saggio sulla tolleranza, con la formazione della premessa politica, attraverso l'elaborazione di M2 e con il passaggio di alcune considerazioni dalla premessa politica alle argomentazioni concernenti la seconda sottoclasse di cose da tollerare. Nel passaggio da M2 a M i le due ipotesi sull'origine della sovrani­ tà (jure divino o per consenso) sono state accostate e la prima ipotesi (jure divi­ no) si è sdoppiata in due sotto-alternative (sovranità illimitata e sovranità origi­

nariamente limitata); inoltre alcune argomentazioni sulla tolleranza sono passate

Locke I testi - Saggio sulla tolleranza

dalle considerazioni generali sui limiti della sovranità alle considerazioni sulla tol­ leranza delle materie della seconda sotto-classe. 1 4 Gli esempi sono affini a quelli spesso citati da Locke nei due Opuscoli. C'è

il riferimento alle modalità di culto, con l 'alternativa tra l' inginocchiarsi, che era richiesto dal rito anglicano, e lo stare seduti , preferito dai puritani; il riferimento agli abiti religiosi; il riferimento alla pratica della ribattezzazione degli adulti, pro­ pria dapprima degli anabattisti e poi anche di altri gruppi. 15 Acab, re d ' Israele, chiese a Nabot, suo suddito, di cedergli la vigna, per­

ché voleva fame un orto. Nabot rifiutò. Allora Gezabele, moglie di Acab, fece bandire un digiuno e fece accusare Nabot di aver maledetto Dio e il re. In seguito a queste accuse Nabot fu lapidato e il re ebbe la sua vigna (l Reg . XXI , ,

1 - 16). 1 6 I capoversi segnati con i numeri l e 2 compaiono solo in LC. 1 7 «in se stesse>> è un'aggiunta di LC.

1 8 Si tratta di quella che è conosciuta come teoria della obbedienza passiva (Hob­

bes, De ci ve XIV, 23). Essa consiste nell'obbedienzaparziale alla legge, cioè nel­ l 'obbedienza alla sola parte che commina pene in caso di disobbedienza a prescri­ zioni o divieti. Nei due Opuscoli Locke aveva sostenuto che alle leggi politiche è sempre dovuta l 'obbedienza totale . Nel Secondo opuscolo Locke aveva tratta­ to la materia formalmente, stabilendo che il suddito è tenuto sempre ali' obbedien­ za attiva e passiva delle leggi positive, cioè ad eseguire quel che esse impongo­

no e a subire quel che esse infliggono; se le leggi sono ingiuste, per la materia o per la forma, il magistrato ne risponde di fronte a Dio (Secondo opuscolo, pp. 7778). Locke arrivava anche a sostenere che la libertà di giudizio è sempre salva­ guardata, perché le leggi civili impongono obbligazioni nuove rispetto alla legge divina solo in materie che concernono situazioni esterne e accessorie, nelle quali interviene soltanto la volontà, e non il giudizio (i vi, pp. 92-94). Qui invece Locke legittima l'obbedienza passiva, cioè la disobbedienza alle leggi del magistrato, e non in nome della legge divina, ma proprio nelle materie nelle quali il magistra­ to ha potere in linea di principio. A questo modo Locke legittima la pratica dei grup­ pi religiosi non-conformisti, cioè che non accettavano le pratiche della Chiesa d'In­ ghilterra e si esponevano alle misure repressive conosciute come il «codice Clarendon>> .

1 9 RO, H e M dopo «sono>> recano «ritenute>> .

20 Cfr. n. 140 del Primo opuscolo. 2 1 «e i vizi>> è un'aggiunta di LC. 22 Invece di .

23 «come magistrato>> è un'aggiunta di LC.

24 A questo punto RO, H e M continuano con il seguente brano. omesso in LC:

«Neppure la carità stessa, che certamente è il gran dovere, al quale è tenuto un uomo

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locke l testi - Saggio sulla tolleranza e un cristiano, non ha ancora, in tutta la sua estensione, un diritto universale alla tolleranza. Ci sono infatti alcune parti di essa e dei casi che rientrano in essa, che tuttavia il magistrato ha proibito in modo assoluto e, per quel che io possa veni­ re a sapere, senza alcuna offesa alle coscienze più delicate. Nessuno dubita che soccorrere i poveri con elemosine, anche quando si tratta di mendicanti (se uno li vede in stato di bisogno), sia una virtù e un dovere di ogni singola persona, se si considera la cosa in astratto. Tuttavia questo è punito da noi con una legge e con il rigore di una pena. Eppure in questo caso nessuno si lamenta della violazione della propria coscienza o della perdita della propria libertà, mentre certamente, se si trattasse di una restrizione illegittima della coscienza, questo provvedimento non potrebbe sfuggire a tante persone delicate e scrupolose. Talvolta Dio, che ha cosl cura della conservazione del governo, fa sì che la sua legge in qualche misura si subordini alla legge umana e stabilisca con questa un compromesso. La legge divi­ na proibisce il vizio, ma la legge umana spesso indica in quale misura è proibi­ to. In alcuni Stati il furto è stato reso legale, per quelli che non erano colti sul fatto, e forse era una cosa altrettanto innocente rubare un cavallo a Sparla quanto vin­ cere una corsa di cavalli in Inghilterra. Il magistrato ha il potere di trasferire [H e M recano «di stabilire i modi per trasferire>> ] le proprietà da una persona ali ' al­ tra, e perciò può istituire un modo qualsiasi di trasferimento di proprietà, purché si tratti di una procedura universale, uniforme e priva di violenza, oltre che adat­ ta all' interesse e al benessere della sua società. Così avveniva a Sparta che, aven­ do una popolazione guerriera, trovò quel tipo di provvedimento un modo non cat­ tivo per insegnare ai suoi cittadini vigilanza, ardimento e prontezza. Faccio questa osservazione.incidentalmente, solo per mostrare quanto il bene della comunità sia la misura di tutte le leggi umane, quando sembra che esso limiti e alteri l'obbli­ go stabilito perfino da alcune leggi divine e cambi la natura del vizio e della virtù. Ecco perché il magistrato, che potrebbe rendere il furto un fatto innocente, non potrebbe tuttavia rendere legittimi lo spergiuro o la rottura della promessa, per­ ché questi comportamenti distruggono la società umana» .

25 RO, H e M recano un terzo punto: > manca in H e M. 40 Locke vuoi sostenere che la mancanza di uniformità da molti lamentata

come un male dell' Inghi lterra, deriva non da una politica di tolleranza, che non ci fu mai, ma dalle persecuzioni. Esse furono blande, quali quelle subite dal clero anglicano durante l 'Interregno, attraverso la sua cacciata da molte parrocchie e la perdita delle rendite e dei benefici inflitta ai suoi membri, o rigorose, quali quel­ le subite dai puritani prima delle guerre civili. Ma né le une né le altre riusciro­ no a produrre l'uniformità religiosa.

41 L'editto di Nantes aveva posto fine alle guerre di religione in Francia e aveva consentito la sopravvivenza di una forte comunità protestante , sostan­ zialmente isolata territorialmente. Ma contro le comunità protestanti Luigi XIV condusse una repressione costituita da violenti interventi militari , noti come dragonnades .

42 II 19 maggio 1 662 Carlo Il approvò l' Act of Uniformity che imponeva all'In­ ghilterra la disciplina della Chiesa anglicana, come si era configurata sotto Eli­ sabetta e poi per opera de li' arcivescovo Laud. In particolare il clero doveva adot­ tare il Common Prayer Book, rinunciando a praticare qualsiasi altra liturgia.

43 Furono i mercanti portoghesi che scoprirono il Giappone, probabilmente nel 1 543 . I gesuiti li seguirono e vi furono molto attivi e con successo, se verso il 1 580 c'erano 85 missionari e 150.000 convertiti . Il successo delle missioni cat­ toliche suscitò l'opposizione giapponese, e ordini di espulsione furono emessi nel 1564 e soprattutto nel l 587, anche perché i gesuiti si erano impegnati nella lotta contro i buddisti e avevano cercato di stringere vere e proprie amicizie politiche con le famiglie giapponesi più importanti . Tuttavia la fortuna dei gesuiti porto­ ghesi continuò ad aumentare, anche proprio per il loro intervento nell'azione di contenimento dei buddisti . Le cose peggiorarono quando arrivarono i missiona­ ri spagnoli, sia per la loro rivalità con i portoghesi , sia perché la loro azione, sco­ pertamente politica, nelle Filippine suscitava timori. Frattanto nel l 60 1 gli olan­ desi avevano raggiunto il Giappone, e si offrirono di sostituire i portoghesi nel commercio estero. L'occasione decisiva si presentò nel l 637, quando una rivol­ ta contadina prese l ' aspetto di una rivolta cristiana: i portoghesi furono caccia­ ti . Ma già nel 1 6 1 6 e nel 1 622 la comunità cattolica giapponese era stata affl it­ ta da divieti e da sanguinose persecuzioni . La vicenda si chiuse con l' interdizione

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del Giappone agli stranieri nel 1 639 e con l 'emigrazione di una parte della comunità cattolica. 44 E stato suggerito che il collegamento tra tolleranza e prosperità economica

fosse un tema al quale l 'incontro con Shaftesbury poteva aver reso sensibile Locke (Haley, op. cit., p. 226).

45 Per Locke i termini e «latitudinarismo>> significano due cose diver­ se ma collegate , come egli spiega subito sotto. La tolleranza concerne propriamen­ te l 'assetto politico: essa consente la formazione di una maggioranza concorde, perché depura l 'azione politica da contenuti religiosi troppo specifici , sui quali sareb­ be difficile trovare il consenso dei cittadini. La politica della tolleranza esige per­ ciò che l'azione legislativa si limiti a promuovere la virtù. Il latitudinarismo è inve­ ce un progetto religioso di promozione di una Chiesa fondata su poche credenze, per giunta formulate in modo largo , cioè non troppo rigoroso, sicché molti le pos­ sano accettare, e su pochi culti semplici, cioè tali da non urtare la sensibilità dei praticanti. In realtà il termine , che cominciò a entrare nell'uso con questo significato dopo il 1660, indicava un indirizzo della cultura anglica­ na, legato all'idea di una Chiesa capace di comprendere credenti non concordi su tutti i punti della fede. Restringendo a poche credenze fondamentali gli articoli della fede e considerando le pratiche rituali più una questione di opportunità che un imperativo religioso diretto, sarebbe stato possibile far convivere credenti non del tutto concordi su ciascun punto di fede. In questo indirizzo agiva l 'idea che le disposizioni religiose concernenti atti esterni fossero in sé indifferenti, e per­ ciò, da un lato, potessero essere accolte senza la convinta adesione riservata agli articoli di fede e, dall'altro, potessero essere modificati per non urtare la suscet­ tibilità religiosa dei credenti. Ispiratori di questo indirizzo erano considerati per­ sonaggi eminenti della cultura anglicana, come Hales e Chillingworth . Per que­ sti autori la Bibbia era pur sempre l 'unica regola del cristianesimo, e nella Bibbia il credente doveva cercare il contenuto della propria fede. Ma nello stesso tempo la Scrittura era considerata un testo non suscettibile ovunque di lettura uniforme, ancorché capace di rivelare i punti fondamentali della fede. Sulla possibilità di inte­ grare il messaggio scritturale con pratiche religiose puramente umane si fonda­ va il tentativo dei teologi anglicani liberali di riprendere, dopo la Restaurazione, un progetto di Chiesa largamente comprensiva. Questo era un indirizzo diverso da quello fondato essenzialmente sulla libertà di coscienza, che riteneva inviola­ bile l ' interpretazione individuale della Scrittura in tutti i suoi punti e considera­ va la Scrittura una regola di fede autosufficiente. Locke riprende questo ideale, ma in modo negativo, dandone un equivalente politico, che consiste in una legi­ slazione civile dalla quale sia assente ogni prescrizione religiosa. A questo primo stadio, che Locke considera della , se ne può aggiungere un secon­ do, il , consistente nella creazione di una comunità ecclesiasti­ ca larga, che però non dovrebbe essere promossa con mezzi coercitivi.

locke

AB BOZZO D E L SAG G I O S U LLA TO LLE RANZA

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Locke l testi - Abbozzo del saggio sulla tolleranza

ABBOZZO DEL SAGGI O SULLA TOLLERANZA Per formulare correttamente la questione della tolleranza, l . Suppongo che ci siano soltanto due specie l di cose che hanno dirit­ to alla tolleranza. La prima specie è costituita da tutte le opinioni puramente speculative, come la fede nella Trinità, nel peccato origi­ nale, negli antipodi , negli atomi; tutte cose che non hanno alcun rife­ rimento alla società. 2. Luogo, tempo e modo dell' esercizio del culto del mio Dio. In entrambe queste cose i papisti e tutta l ' umanità sembrano aver tito­ lo alla tolleranza .

l ) Le speculazioni pure non prescrivono alcuna regola alle mie azioni che si riferiscono ad altre persone . Esse resterebbero quali sono , anche se nel mondo non esistessero altre persone oltre me stesso, e perciò non possono o disturbare lo Stato o produrre inconvenienti al mio vicino2 . 2) Dovrei aver libertà nel mio culto religioso, perché è una cosa tra Dio e me, e ha un'importanza eterna, mentre il magistrato è arbitro solo tra uomo e uomo. Egli può renderrni giustizia contro il mio vicino, ma non può difendermi contro il mio Dio . Qualunque male io soffra per obbe­ dirgli in altre cose, egli può risarcirmi in questo mondo; ma se mi costringe ad abbracciare una religione falsa, non può riparare il suo atto nell ' altro mondo . Perciò non si può supporre che gli uomini diano al magistrato un potere di scegliere per loro la loro via verso la salvezza, che è troppo importante perché si possa rinunciarvi, se addirittura non è impossibile separarsi da esso, poiché, qualunque cosa il magistrato abbia imposto in fatto di religione, gli uomini devono in questo segui­ re necessariamente ciò che essi stessi hanno pensato che sia migliore, dal momento che nessuna considerazione potrebbe esser sufficiente a distogliere l'uomo da quella che abbia, con piena persuasione ritenu­ to esser la via verso l' infinita felicità o l' infinita disgrazia, o a spinger­ lo verso di essa3 . Suppongo che tutte le altre azioni, eccetto quelle appartenenti al culto religioso, o le opinioni che hanno efficacia diretta nelle azioni relati­ ve ad altri uomini, non abbiano alcun diritto alla tolleranza, per quan­ to azioni o opinioni del genere possano essere per me materia di

Locke I testi - Abbozzo del saggio sulla tolleranza

coscienza. Infatti la persuasione della verità di un'opinione o del carat­ tere buono o cattivo di un 'azione obbligano la coscienza, per banale che sia la cosa in sé4. L'interesse totale della società è affidato al potere del magistrato , e la parte morale di esso è sufficientemente garantita. Infat­ ti la distinzione tra virtù e vizio è conosciuta con tanta perfezione e cer­ tezza in tutta l ' umanità e l ' instaurazione del vizio porta disturbo e rovina così sicuri a ogni società, che non si può supporre che un magi­ strato stabilisca d ' imporre il vizio per legge o di punire la virtù; né si è mai trovato un magistrato del genere . I doveri (o piuttosto la religio­ ne , perché questa è la parte importante e attiva della religione) della Seconda Tavola si affermano in misura sufficiente da soli ovunque, per la propria autorità e per i benefici che essi recano ai governi5. Restano allora soltanto le cose indifferenti , eccetto quelle costituenti parti o circostanze del culto che presto a Dio. Esse, per quanto la coscien­ za delle persone private possa approvarle o disapprovarle, ricadono tut­ tavia indubbiamente sotto il potere coercitivo del magistrato. Altrimen­ ti non ci possono essere né legge né governo. Gli errori e gli scrupoli della mia coscienza, che m ' inducono a fare una cosa o mi distolgono dal farla, non distruggono il potere del magistrato , non alterano la natura della cosa e non mutano il mio obbligo di obbedirgJ i6. 3) Suppongo che, poiché la preservazione del popolo e la sua pace sono la regola e la misura secondo le quali il magistrato deve fare le leggi e formare il governo, egli non ha nulla da fare nel campo delle opinioni speculative o del culto rel igioso, perché queste cose in se stesse non hanno affatto tendenze che possano disturbare il governo, non più di quanto lo possano d isturbare esser bruni o indossare abiti grigi. E tut­ tavia, se quelli che professano un qualche culto mescolano alla propria religione altre opinioni , alla luce delle quali regolano il proprio rappor­ to con i vicini (p. es. che sono tenuti a costringere gli altri ad aderire alla propria opinione, che non si deve tener fede alle promesse fatte agli eretici, cioè a quelli che hanno un' altra convinzione ecc .), e conside­ rano queste opinioni sacre e necessarie come qualsiasi altra parte della loro religione, il che in realtà non è, cionondimeno questa parte rica­ de assolutamente sotto il potere del magistrato, e su di essa egli può usare la propria giurisdizione, nei modi che riterrà opportuni , senza recare

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alcun danno a quei suoi sudditi , perché egli non interviene nella loro religione, se non per quel che appartiene puramente al dominio civile, sebbene essi pensino di essere in coscienza obbligati ad aderire a quel­ la parte della loro religione 7. Sulla base di questo fondamento suppon­ go che i papisti , per il modo in cui hanno ora costituito la loro religio­ ne, non abbiano diritto alla tolleranza, al di là di quello che il magistrato considererà conveniente. Altrimenti8 , se coloro che professano un certo culto diventeranno così numerosi e inquieti da minacciare di costituire un ostacolo per lo Stato, il magistrato può usare tutti i modi che considererà convenien­ ti , per prevenire il danno, con qualche artificio o con l ' esercizio diret­ to del potere . Pur usando forza e durezza, se queste fossero un modo adatto per indebolire quelle persone, egli in realtà non perseguitereb­ be la loro religione, né li punirebbe per la religione che professano, non più di quanto in una battaglia il comandante uccida degli uomini per­ ché portavano nastri bianchi sul cappello o perché hanno un qualsia­ si altro distintivo, e non perché si trattava di un segno che erano nemi­ ci e pericolosi . La rel igione, cioè questa o quella forma di culto, è solo la causa della loro unione e della loro solidarietà , non della loro fazio­ sità o della loro irrequietezza . Pregare Dio in un luogo o in un altro, in una posizione o in un' altra o qualsiasi altra parte della religione in sé non rende gli uomini reciprocamente ostili o produce sedizioni più di quel che faccia il portare cappelli o turbanti . E tuttavia quei modi di pregare o questi modi di vestire possono avere quegli effetti , essen­ do un segno di distinzione e dando alle persone l 'opportunità di con­ tare le loro truppe , di conoscere la propria forza, di riconoscersi gli uni con gli altri e di radunarsi prontamente alla prima occasione . Perciò su di essi i vincoli vengono imposti non per un ' opinione piuttosto che un' altra, ma perché il dissenso di un numero così rilevante di perso­ ne , che seguono una qualsiasi opinione, sarebbe pericoloso. La mede­ sima cosa perciò accadrebbe se una moda di abbigliamento , diversa da quella seguita dal magistrato e da coloro che gli sono fedeli, fosse segui­ ta prima da pochi e poi gradatamente si diffondesse e diventasse il segno di una parte molto considerevole della popolazione, che avesse una stret­ tissima sol idarietà e rapporti di amicizia interna. Non potrebbe tutto

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questo dare a buon diritto al magistrato ragione di sospetto e indurlo a proibire quella moda, non perché illegittima, ma per la conseguen­ za pericolosa che può avere? Così un mantello può avere gli stessi effet­ ti che ha una veste o qualsiasi altro abito di significato religioso. E forse se i quaccheri fossero così numerosi da essere pericolosi per lo Stato, il magi strato dovrebbe mettere tanta cura e attenzione per scioglierli e sopprimerli , anche se si disti nguessero dagli altri sudditi solo per­ ché tengono il cappello in testa, quanta ne dovrebbe impiegare se essi avessero un sistema religioso separato dagli altri . In questo caso nessuno penserebbe che il non stare a capo scoperto sia una cosa con­ tro la quale il magistrato ha diretto la propria severità, se non perché quella circostanza aveva unito un gran numero di persone che , sebbe­ ne dissentissero dal magistrato per una circostanza del tutto indiffe­ rente e banale, tuttavia potevano attraverso di essa mettere in perico­ lo il suo governo. E in questo caso il magistrato ha indubbiamente potere e diritto di indebolire, limitare o sciogliere qualsiasi gruppo di perso­ ne che la religione o qualsiasi altra cosa abbia unito fino a costituire un pericolo evidente per il suo governo. Ma solo il magi strato può giu­ dicare se la durezza e la forza, o il semplice divieto delle loro opinio­ ni e pratiche , o l ' imposizione rigorosa del proprio culto o qualche altro metodo più blando è il modo più diretto per eliminarl i . E il magi stra­ to non sarà imputabile nell' altro mondo per quel che fa allo scopo diret­ to di preservare il proprio popolo e la sua pace secondo le sue cono­ scenze migliori . Allora concludo l . I papisti e tutti gli altri uomini hanno diritto alla tolleranza del culto rel igioso e delle opinioni speculative. 2. I papisti non hanno titolo alla tolleranza, perché hanno assunto come verità fondamentali nella loro religione alcune opinioni che sono incompatibili con qualsiasi governo diverso da quello del papa e lo distruggono. 3. Supponiamo che i papisti costituiscano una certa percentuale della popolazione inglese attuale, diciamo un decimo o un quinto o la metà. Tollerati o perseguitati, essi non sono meno pericolosi per lo Stato, se non nella misura in cui sono armati , perché sono proprio i loro princì-

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pi che li rendono incompatibili con lo Stato . Per questo non devono esse­ re tollerati . 4. Consideriamo i papisti come una sezione variabile di popolazione, che può crescere o diminuire. Allora essi devono essere tollerati o soppressi proporzionalmente alla misura in cui una di queste procedu­ re può servire a diminuire il loro numero e indebolire il loro partito . 5. Quanto agli altri che dissentono da voi , se essi sono superiori a voi in numero , ma polverizzati in gruppi diversi , la sicurezza maggiore si ottiene con la tolleranza, perché, essendo sotto di voi in una condizio­ ne così buona, che non potrebbero sperare di attenerne una migliore da un altro , non è verosimile che essi si uniscano per sostenere qualcun altro, dal momento che non possono esser sicuri che un altro li tratti altrettanto bene . Ma se li perseguitate , allora fate di loro un unico par­ tito e date loro un solo interesse ostile a voi: scuotere il giogo e corre­ re l ' avventura di un nuovo governo , nel quale ciascun gruppo spera di esercitare esso stesso il dominio o di esser trattato meglio, se deve accet­ tare il dominio di altri . Se i dissenzienti seguissero tutti un 'unica cre­ denza e fossero meno numerosi di voi , bisognerebbe tollerarli nel loro culto religioso e nelle opinioni speculative, se non condividono anche pericolosi princìpi pratici . E se essi fossero più numerosi di voi , la forza potrebbe essere soltanto un modo cattivo e azzardato per ricondurli alla sottomissione.

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ABBOZZO DEL SAG G I O S U LLA TO LLERANZA: NOTE l Rispetto alla redazione definitiva del Saggio l 'abbozzo, esattamente come

M3 (n. 9), presenta una classificazione a due voci delle cose che hanno diritto alla tolleranza: le credenze speculative e il culto. Nel Saggio compare prima di tutto una classificazione a tre voci (pp. 64-65), e nella prima voce compaiono entrambe le voci dell' abbozzo. In realtà la classificazione dell' abbozzo compa­ re come sotto-classificazione interna della prima voce del Saggio. L'abbozzo tende a presentare i comportamenti che entreranno nella seconda e nella terza voce del Saggio nella discussione delle due voci della propria classificazione. Emergo­

no così , ma senza una classificazione formale, le azioni o opinioni che si rife­ riscono anche ad altri, i vizi, e le virtù e le cose indifferenti . Nel Saggio ci sarà l'unificazione delle due voci dell' abbozzo in una sola voce (la prima), la sepa­ razione in una terza voce dei vizi e virtù e la formazione di una seconda voce con opinioni e azioni moralmente indifferenti.

2 Questa argomentazione in favore delle credenze speculative si trova in tutte le redazioni del Saggio; ma in M3 essa è preceduta dall'argomentazione che fa appello alla spontaneità dell'assenso dell'intelligenza, mentre in tutte le altre reda­ zioni l 'argomentazione dell'abbozzo va al primo posto (n. I l del Saggio) .

3 Questo capoverso è sostanzialmente identico alla parte corrispondente d i M3. Le argomentazioni a favore della tolleranza del culto, che si sono aggiunte nella redazione definitiva, sono state elaborate in M2, ma come giustificazioni della sovranità limitata, e sono diventate argomentazioni di questo punto della teoria della tolleranza solo in M l (nn. 5, 8, 12 e 13 del Saggio).

4 Questo tema è ripreso e argomentato nel Saggio (p. 70, r. 20). 5 Questo testo dell' abbozzo è affine al testo del Saggio all'inizio del punto III di p. 74. Tuttavia solo le redazioni di RO, H e M conservano una traccia più carat­ teristica dell' abbozzo, perché parlano della virtù come capace d'imporsi da sé ovunque (n . 22 del Saggio), mentre in LC questo accenno è caduto e Locke insi­ ste soltanto sulle conseguenze positive che la virtù ha per il governo. Nella reda­ zione del Saggio si sono poi aggiunte le considerazioni sui limiti dell'azione del magistrato perfino nella promozione della virtù.

6 Questo capoverso va letto come continuazione della prima parte del capo­ verso precedente, che introduce la categoria globale delle cose che non hanno diritto alla tolleranza. Dopo un accenno al fatto che l ' intervento della coscien­ za rende delicata la trattazione di queste cose, Locke passa a parlare della prima sotto-classe delle cose che non hanno diritto alla tolleranza, cioè dei vizi e delle virtù. La seconda sotto-classe è quella delle cose indifferenti , delle quali

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prende a trattare in questo capoverso. Questa classificazione implicita ha dato luogo alla seconda e alla terza voce del Saggio , dopo che le prime due voci del­ l'abbozzo hanno dato luogo alla prima voce del Saggio, divisa in due sotto-clas­ si (n. l ) . Per questo il tema della coscienza, trattato ali ' inizio del capoverso pre­ cedente e in questo, si trova unificato nel Saggio nella trattazione delle cose indifferenti (p. 69; cfr. qui n. 4).

7 Il nucleo dell'argomentazione contenuta in questo capoverso si trova nel Sag­ gio al punto 2 di p. 80 (dove rimane l ' esempio della rottura della promessa con

gli eretici, ma cambiano gli altri) . In realtà però la trattazione del Saggio si è allargata e si è espansa dall'ultimo capoverso di p. 76 al punto 3 di p. 80 con la trattazione del problema posto dalle religioni che non sempre sono analiz­ zabili secondo le categorie proposte dal Saggio. Non è detto cioè che una reli­ gione effettivamente esistente si possa riconoscere nelle tre voci del Saggio e possa accettare le limitazioni che la proposta lockiana di tolleranza contiene. Nello sviluppo di questa problematica più ampia Locke colloca la negazione della tolleranza ai cattolici, che costituisce la conclusione di questo capover­ so dell'abbozzo . 8 Tutto questo capoverso è riflesso in un brano presente nelle redazioni RO,

H e M del Saggio, ma assente in LC (n. 28 del Saggio). L'argomentazione è diret­ ta in gran parte contro i cattolici , ma sembra che Locke giustifichi una politica di durezza quando in generale un gruppo religioso rischia di diventare una minaccia politica. Nella redazione LC l' impostazione pare più liberale, e Locke sostiene che si deve perfino accettare un certo grado di rischio. La posizione di LC nei confronti dei cattolici non è meno dura; ma Locke preferisce usare solo argomentazioni che si riferiscono specificamente a essi.

Locke l testi - Nota editoriale

NOTA EDITORIALE Al «SAG G I O,, E All' «AB BOZZO» Tra le carte Shaftesbury al Public Record Office c'è il manoscritto (30/24/47/ 1 ) di mano di Locke di An Essay concerning Toleration, che fu pubblicato in H .R. Fox Bourne, op. cit., pp. 1 74-94. Un altro mano­ scritto della stessa opera si trova in un quaderno, sul quale Locke inco­ minciò a prendere note dal 1 66 1 . Questa versione termina con le paro­ le «si c cogitavit J. Locke» e con la data del 1 667; la sua parte finale fu pubblicata in King, op. cit., ed. in 2 volumi, 1 830, I, pp. 289 , 290. Que­ sto manoscritto è passato in possesso di Mr. Arthur Houghton , negli Stati Uniti. Un terzo manoscritto è in possesso della Henry E. Huntington Libra­ ry di San Marino (California) , con la segnatura HM 584. Un quarto manoscritto infine è conservato nella Lovelace Collection, con la segna­ tura Ms Locke c. 28, foll. 2 1 -32. Non è di mano di Locke , ma di Locke sono correzioni , aggiunte e cancellature, e reca la data del 1 667. Chia­ meremo il primo manoscritto RO, il secondo H, il terzo M e il quarto LC. M contiene un' appendice, che costituisce con ogni verosimiglianza l ' abbozzo del Saggio sulla tolleranza e che abbiamo dato, in traduzio­ ne, di seguito al Saggio. L'abbozzo è del tutto privo dell 'introduzione del Saggio, dedicata alla natura e i limiti del potere politico, entra subito nel merito della teoria della tolleranza, classifica le materie oggetto della tol­ leranza in modo diverso dalla redazione definitiva e dedica larga parte alla discussione dei problemi di sicurezza e compatibilità politica, che possono esser posti da gruppi religiosi. Rispetto alla mole dello scritto una parte rilevante dell'interesse di Locke è dedicato alla politica nei con­ fronti dei cattolici , soprattutto in relazione al trattamento degli altri gruppi protestanti. Il corpo vero e proprio di M contiene tre inizi diversi del Saggio. ll corpo vero e proprio di M è privo della «premessa politica» e incomincia pres­ s'a poco come l'abbozzo (cfr. n. 9). All ' abbozzo si mantiene assai vici­ na anche l a parte relativa alla tolleranza del culto (cfr. n. 3 dell ' abboz­ zo). Poi , a partire dalla ta riga di p. 222, M continua con un testo che si trova più o meno in tutte le altre versioni del Saggio. Chiameremo que­ sto stadio di M , privo dell'introduzione politica e assai vicino all ' abboz­ zo nella formulazione della teoria della tolleranza, M 3 .

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Se si confronta M3 con le altre stesure del Saggio, si vede che esso è assai affine a H e RO, rispetto ai quali LC presenta delle difformità. Esistono aggiunte in LC: nn. 16, 17, 2 1 , 23 , 33 e 39; delle eliminazioni in LC rispet­

to a M, H e RO: nn. 24, 25 e 37; delle variazioni: nn. 19, 22, 26 , 27 , 28 e 3 1 . Le eliminazioni più significative operate da LC rispetto agli altri Mss sono quelle delle nn. 24 e 25 . Nel primo dei passi omessi Locke si dilungava sul potere, che il magistrato ha, di scostarsi dalla legge mora­ le, soprattutto in fatto di regole relative alla proprietà e ai beni materia­ li. Nel secondo dei passi omessi (n. 25) Locke prevede un caso a sé di resistenza passiva legittima, quando il magistrato ingiunge la pratica di un vizio. In LC Locke tende a sottovalutare i casi di contrasto tra la legge civile e quella morale, sostenendo che la legge civile può non contene­ re tutta la legge morale, tollerando alcuni casi di comportamento vizio­ so, ma non può mai entrare in contrasto con la legge morale, perché ciò condurrebbe lo Stato a sicura rovina. La variazione più importante è quel­ la documentata alla n. 28. Qui M, H e RO si tengono molto vicini all'ab­ bozzo (cfr. n. 8 dell' abbozzo) e recepiscono la preoccupazione di Locke per i gruppi religiosi, che possono diventare un pericolo politico, come i cattol ici, ma eventualmente anche i Quaccheri . In LC Locke, da un lato, pensa che i pericoli politici siano connaturati in generale a ogni forma di autonomia, dali ' altro, che un regime di tolleranza tenda a far dimi mli ­ re i pericoli politici di origine religiosa.

Le

aggiunte di LC sono meno

clamorose, e si limitano a sottolineare certe sfumature. La più importan­ te è quella indicata nella n. 1 6 , nella quale tra l ' altro viene esclusa la pos­ sibilità di tolleranza per gli atei. M , H e RO appartengono a un medesimo gruppo, perché variano nello stesso modo rispetto a LC. Tuttavia, da un certo punto in poi, compaio­ no varianti, nelle quali H risulta più vicino a M che a LC (cfr. nn. 36-39). La parte più tormentata nei manoscritti del Saggio è però l' introduzio­ ne politica e la formazione della teoria della tolleranza a tre voci (pp. 6365) . Esiste uno stadio di M , che chiameremo M2, costituito da un foglio che incomincia come la redazione definitiva (H, RO e LC), con alcune variazioni (cfr. nn. 1 -5). La prima variazione importante è costituita dalla teoria semplificata della sovranità jure divino, caratteristica di M2 rispetto a H , RO e LC (cfr. n . 3). M2 sostiene con argomentazioni intrin-

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secamente religiose i limiti della monarchiajure divino . Quelle argomen­

tazioni nella redazione H, RO, LC sono spostate all' interno delle consi­ derazioni relative alla tolleranza delle azioni della seconda sotto-classe della prima voce (cfr. n. 5). Poi M2 annovera l' ipotesi contrattuale, sul­ l 'origine del potere politico, alternativa a quella jure divino, e presenta la classificazione a tre voci dei comportamenti, in relazione al problema della tolleranza (cfr. n. 6). Anche qui M2 presenta motivi che passeran­ no in seguito alla trattazione della seconda sotto-classe della prima voce (cfr. n. 7). Un ulteriore stadio di M, che chiameremo MI , costituisce la formazio­ ne della prima parte del Saggio, così come si trova in H, RO e LC , con la complicazione dell' ipotesi della monarchia jure divino e con lo spo­ stamento di alcune argomentazioni di M2 dalla premessa alla trattazio­ ne della seconda sotto-classe della prima voce (cfr. n. 1 3). Il Saggio è stato pubblicato per la prima volta nel testo di LC, con tutte le varianti rispetto agli altri Mss e con l'abbozzo, in Locke, Scritti editi e inediti cit., dove è stato per la prima volta tradotto in italiano. In segui­

to esso e l 'abbozzo sono stati tradotti in italiano in John Locke, Scritti sulla tolleranza , a cura di Diego Marconi, Torino 1 977. Abbiamo qui ripre­

so la prima traduzione italiana, rivedendola, riferendo a essa le varianti dei Mss , tenendo anche conto della collazione tra LC e RO data in J .W. Gough, op . cit. (pp. 1 97-200) e aggiungendo la traduzione dell'abboz­ zo e dei principali passi non presenti in LC. Dopo una considerazione sull'origine del potere politico e una triparti­ zione delle opinioni e delle azioni umane in funzione della tolleranza (pp. 364-365 ), il Saggio tratta partitamente i tre tipi di credenze e azioni, pre­ cisando per ciascuna limiti del magistrato e obblighi dei sudditi (pp. 365375). Questa parte termina con la discussione dell ' obbiezione di coloro i quali vedono nella tolleranza un pericolo politico (pp. 375-378). La secon­ da parte del Saggio tratta della tolleranza, non come dovere del magistra­ to, ma come regola di saggezza del suo comportamento (p. 379), e divi­ de il problema nella politica da seguire nei confronti dei cattolici (pp. 379-38 1 ) e quella da seguire nei confronti dei protestanti dissenzienti (pp. 38 1 -388). L'opera si chiude con un elenco di problemi che restano anco­ ra da trattare (p. 388).

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C ro n o l og i a Q) � u o ....J

1 668

1 632 Entra a far parte della Royal Society

Nasce a Wrighton nel Somerset

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Carlo l viene giustiziato

Carlo I l viene incoronato re d'Inghi lterra

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Cartesio scrive Le Monde

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Rubens affresca il soffino

Prima edizione del Paradise Lost

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