Il Corpo Umano


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Elaine N. Marieb

Il corpo umano Anatomia, fisiologia e salute

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 3

SCIENZE

Elaine N. Marieb

Il corpo umano Anatomia, fisiologia e salute Seconda edizione

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Titolo originale: Essentials of Human Anatomy and Physiology, 9/E Copyright © 2009 Pearson Education Inc., publishing as Benjamin Cummings All Rights Reserved Adattamento: Ada Messina Copyright © 2012 Zanichelli editore S.p.A., Bologna [6315der] www.zanichelli.it I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce.

Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico, commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo di riproduzione vanno inoltrate a Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO) Corso di Porta Romana, n.108 20122 Milano e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori del proprio catalogo editoriale, consultabile al sito www.zanichelli.it/f_catalog.html. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, oltre il limite del 15%, non essendo concorrenziale all’opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche.Nei contratti di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all’art. 71 - ter legge diritto d’autore. Maggiori informazioni sul nostro sito: www.zanichelli.it/fotocopie/

Realizzazione editoriale: – Coordinamento redazionale: Elena Bacchilega – Redazione: EDI.MAT, Bologna – Segreteria di redazione: Deborah Lorenzini – Progetto grafico e impaginazione: EDI.MAT, Bologna – Indice analitico: Silvia Cacciari Copertina: – Progetto grafico: Miguel Sal & C., Bologna – Realizzazione: Roberto Marchetti – Immagine di copertina: Iakov Filimonov/Shutterstock Prima edizione: gennaio 2012

L’impegno a mantenere invariato il contenuto di questo volume per un quinquennio (art. 5 legge n. 169/2008) è comunicato nel catalogo Zanichelli, disponibile anche online sul sito www.zanichelli.it, ai sensi del DM 41 dell’8 aprile 2009, All. 1/B. File per diversamente abili L’editore mette a disposizione degli studenti non vedenti, ipovedenti, disabili motori o con disturbi specifici di apprendimento i file pdf in cui sono memorizzate le pagine di questo libro. Il formato del file permette l’ingrandimento dei caratteri del testo e la lettura mediante software screen reader. Le informazioni su come ottenere i file sono sul sito www.zanichelli.it/diversamenteabili Suggerimenti e segnalazione degli errori Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli. Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo libro scrivere al seguente indirizzo: [email protected] Le correzioni di eventuali errori presenti nel testo sono pubblicate nel sito www.online.zanichelli.it/aggiornamenti Zanichelli editore S.p.A. opera con sistema qualità certificato CertiCarGraf n. 477 secondo la norma UNI EN ISO 9001: 2008

Indice

1

IL CORPO UMANO: GENERALITÀ 1

La divisione cellulare 26 La sintesi delle proteine 29 PARTE II I TESSUTI 31

1. Cosa studiano l’anatomia e la fisiologia 2

2. Il tessuto epiteliale 31

L’anatomia 2

Caratteristiche speciali degli epiteli di rivestimento 32

La fisiologia 2

Classificazione degli epiteli di rivestimento 32

Le correlazioni tra anatomia e fisiologia 2

2. I livelli dell’organizzazione strutturale 2

3. Il tessuto connettivo 36 Caratteristiche comuni dei tessuti connettivi 36

Dagli atomi agli organismi 2

La matrice extracellulare 36

Una descrizione generale degli apparati 3

I tipi di tessuto connettivo 36

4. Il tessuto muscolare 40

3. Le funzioni vitali 7

I tipi di tessuto muscolare 40

Le funzioni essenziali per la vita 7 I fattori indispensabili per la vita 8

5. Il tessuto nervoso 42

4. L’omeostasi 9 I meccanismi di controllo omeostatico 9

PARTE III ASPETTI DELLO SVILUPPO DELLE CELLULE E DEI TESSUTI 46

5. Il linguaggio dell’anatomia 10 La posizione anatomica 10

PER SAPERNE DI PIÙ

I termini di posizione 10

La terapia endovenosa e la tonicità cellulare 27 Le specializzazioni della membrana plasmatica 43 Il cancro, il nemico interno 44

I termini relativi alle regioni 12 Piani e sezioni del corpo 13 Le cavità del corpo 13 RIASSUNTO

VERSO LE COMPETENZE

2

RIASSUNTO

47

CONOSCENZE E ABILITÀ

17

CONOSCENZE E ABILITÀ

6. La riparazione dei tessuti (la cicatrizzazione delle ferite) 42

VERSO LE COMPETENZE

18 18

3

LE CELLULE E I TESSUTI 19

48 49

LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO 50

1. Classificazione delle membrane del corpo 51 PARTE I LA FISIOLOGIA DELLA CELLULA 20

1. La diversità delle cellule 20

Le membrane connettivali 51

Il trasporto di membrana 21 I processi di trasporto passivo: la diffusione e la filtrazione 21 I processi di trasporto attivo 22

Le membrane epiteliali 51

2. L’apparato tegumentario (cute) 53 Le funzioni dell’apparato tegumentario 53 La struttura della cute 54

III Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

INDICE Il colore della cute 57 Gli annessi cutanei 58 Gli squilibri omeostatici della cute 61

3. Aspetti dello sviluppo della cute e delle membrane del corpo 64 I tatuaggi 56

Relazioni omeostatiche dell’apparato tegumentario con gli altri apparati 65 66

VERSO LE COMPETENZE

4

I tipi di tessuto muscolare 108

2. Anatomia microscopica del muscolo scheletrico 111

MAPPA DEGLI APPARATI

CONOSCENZE E ABILITÀ

1. Concetti generali sul tessuto muscolare 108 Le funzioni dei muscoli 111

PER SAPERNE DI PIÙ

RIASSUNTO

5

IL SISTEMA MUSCOLARE 107

3. L’attività del muscolo scheletrico 113 La stimolazione e la contrazione di singole fibre muscolari scheletriche 113

67 67

La contrazione di un muscolo scheletrico nel suo insieme 116

IL SISTEMA SCHELETRICO 68

4. Movimenti, tipi e nomi dei muscoli 120 I tipi di movimento del corpo 120 Le interazioni dei muscoli scheletrici nel corpo 121

1. Le ossa: concetti generali 69

L’attribuzione del nome ai muscoli scheletrici 121

Le funzioni delle ossa 69 La classificazione delle ossa 69

5. Aspetti dello sviluppo del sistema muscolare 124

La struttura di un osso lungo 70

PER SAPERNE DI PIÙ

Formazione, accrescimento e rimodellamento dell’osso 74

Gli effetti dell’esercizio sui muscoli 119 Gli atleti hanno un aspetto migliore e migliori prestazioni con gli steroidi anabolizzanti? 129

2. Lo scheletro assiale 76

MAPPA DEGLI APPARATI

Relazioni omeostatiche del sistema muscolare con gli altri apparati 130

Il cranio 76 La colonna vertebrale 82

RIASSUNTO

La gabbia toracica 85

131

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

132 133

3. Lo scheletro appendicolare 86

6

Le ossa della cintura scapolare 86 Le ossa dell’arto superiore 89 Le ossa della cintura pelvica 89 Le ossa dell’arto inferiore 91

IL SISTEMA NERVOSO 134

1. L’organizzazione del sistema nervoso 135

4. Le articolazioni 93

Classificazione strutturale 136

La classificazione morfologica delle articolazioni sinoviali 95

Classificazione funzionale 136

2. Il tessuto nervoso: struttura e funzione 136

5. Aspetti dello sviluppo dello scheletro 100

Le cellule di sostegno 136

PER SAPERNE DI PIÙ

Anatomia dei neuroni 138

Le irregolarità dell’osso 73 Quando l’osso si spezza 75 Proteggi la tua schiena, è l’unica che hai! 98

Relazioni omeostatiche del sistema scheletrico con gli altri apparati 102 103

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

Fisiologia dei neuroni 142

3. Il sistema nervoso centrale 146

MAPPA DEGLI APPARATI

RIASSUNTO

Classificazione dei neuroni 140

104 106

L’anatomia funzionale dell’encefalo 146 Le strutture di protezione del sistema nervoso centrale 152 Il midollo spinale 155

IV Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

INDICE 4. Il sistema nervoso periferico 158

PER SAPERNE DI PIÙ

I nervi cranici 159

I pigmenti visivi: gli effettivi fotorecettori 182 Se non vedo gli oggetti lontani, sono miope o ipermetrope? 184

Nervi spinali e plessi nervosi 159

RIASSUNTO

Il sistema nervoso vegetativo 161

CONOSCENZE E ABILITÀ

La struttura dei nervi 158

VERSO LE COMPETENZE

5. Aspetti dello sviluppo del sistema nervoso 167 PER SAPERNE DI PIÙ

Le malattie dell’encefalo 158 Le malattie di Alzheimer, di Parkinson e di Huntington: le terribili tre 168 MAPPA DEGLI APPARATI

Relazioni omeostatiche del sistema nervoso con gli altri apparati 170 RIASSUNTO

VERSO LE COMPETENZE

7

8

197 198

L’APPARATO ENDOCRINO 199

1. L’apparato endocrino e la funzione degli ormoni: concetti generali 200 La chimica degli ormoni 200

171

CONOSCENZE E ABILITÀ

195

I meccanismi d’azione degli ormoni 200

173 174

La regolazione della liberazione degli ormoni 201

2. I principali organi endocrini 203

GLI ORGANI DI SENSO 175

L’ipofisi 203 La tiroide 207 Le paratiroidi 208

PARTE I L’OCCHIO E LA VISTA 176

Le ghiandole surrenali 209

1. L’anatomia dell’occhio 176 Le strutture esterne e accessorie 176 Le strutture interne: il bulbo oculare 177

2. Il percorso della luce nell’occhio e la rifrazione della luce 183 3. Il campo visivo e le vie ottiche 183 4. I riflessi oculari 184

Le isole pancreatiche 212 L’epifisi 214 Il timo 215 Le gonadi 215

3. Altri tessuti e organi che producono ormoni 215 La placenta 215

PARTE II L’ORECCHIO: UDITO ED EQUILIBRIO 186

4. Aspetti dello sviluppo dell’apparato endocrino 217

5. L’anatomia dell’orecchio 186

PER SAPERNE DI PIÙ

Possibili utilizzazioni dell’ormone della crescita 206

L’orecchio esterno 186

MAPPA DEGLI APPARATI

L’orecchio medio 186

Relazioni omeostatiche dell’apparato endocrino con gli altri apparati 219

L’orecchio interno 187

6. I meccanismi dell’equilibrio 188 L’equilibrio statico 188

RIASSUNTO

220

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

221 222

L’equilibrio dinamico 188

7. Il meccanismo dell’udito, 189 8. I disturbi dell’udito e dell’equilibrio 190 PARTE III I SENSI CHIMICI: GUSTO E OLFATTO 192

9

IL SANGUE 223

1. Composizione e funzioni del sangue 224

9. I recettori olfattivi e il senso dell’olfatto 192

Componenti 224

10. I calici gustativi e il senso del gusto 193

Il plasma 224

PARTE IV ASPETTI DELLO SVILUPPO DEGLI ORGANI DI SENSO 194

Gli elementi corpuscolati 225

Caratteristiche fisiche e volume 224

L’emopoiesi (produzione degli elementi del sangue) 228

V Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

INDICE 5. I meccanismi di difesa adattativi 279

2. L’emostasi 231

Gli antigeni 279

Le alterazioni dell’emostasi 232

3. I gruppi sanguigni e la trasfusione di sangue 233

Le cellule del sistema di difesa adattativo: concetti generali 279

I gruppi sanguigni umani 233

La risposta immunitaria umorale (mediata da anticorpi) 281

La determinazione dei gruppi sanguigni 234

Gli anticorpi 283

4. Aspetti dello sviluppo del sangue 235 RIASSUNTO

236

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

10

237 237

La risposta immunitaria cellulare (mediata da cellule) 286 I disturbi dell’immunità 288 PARTE III ASPETTI DELLO SVILUPPO DEL SISTEMA LINFATICO E DELLE DIFESE DELL’ORGANISMO 294

L’APPARATO CARDIOVASCOLARE 238

PER SAPERNE DI PIÙ

L’AIDS: la peste moderna 292 MAPPA DEGLI APPARATI

Relazioni omeostatiche dell’apparato linfatico con gli altri apparati 291

1. Il cuore 239

RIASSUNTO

L’anatomia del cuore 239

294

CONOSCENZE E ABILITÀ

La fisiologia del cuore 244

VERSO LE COMPETENZE

2. I vasi sanguigni 249 Anatomia microscopica dei vasi sanguigni 249 Anatomia macroscopica dei vasi sanguigni 252

12

296 297

L’APPARATO RESPIRATORIO 298

La fisiologia della circolazione 256

3. Aspetti dello sviluppo dell’apparato cardiovascolare 265 PER SAPERNE DI PIÙ

L’elettrocardiografia 247 Come si misura la pressione arteriosa 258 L’aterosclerosi 260

1. Anatomia funzionale dell’apparato respiratorio 299 Il naso 299 La faringe 300 La laringe 301 La trachea 301

MAPPA DEGLI APPARATI

I bronchi principali 302

Relazioni omeostatiche dell’apparato cardiovascolare con gli altri apparati 264

I polmoni 302

RIASSUNTO

VERSO LE COMPETENZE

11

2. La fisiologia della respirazione 306

265

CONOSCENZE E ABILITÀ

267 268

La meccanica respiratoria 306 I volumi polmonari 308

IL SISTEMA LINFATICO E LE DIFESE DELL’ORGANISMO 269

PARTE I IL SISTEMA LINFATICO 270

La respirazione esterna, il trasporto dei gas respiratori e la respirazione interna 309 Il controllo della respirazione 311

3. Le malattie respiratorie 313

1. I vasi linfatici 270

4. Aspetti dello sviluppo dell’apparato respiratorio 314

2. I linfonodi 272

PER SAPERNE DI PIÙ

Il cancro del polmone: la realtà dietro la cortina di fumo 314

3. Altri organi linfoidi 272 PARTE II LE DIFESE DELL’ORGANISMO 273

4. I meccanismi di difesa innati 274 La barriera delle membrane superficiali 274 Le difese interne: cellule e sostanze chimiche 274

MAPPA DEGLI APPARATI

Relazioni omeostatiche dell’apparato respiratorio con gli altri apparati 316 RIASSUNTO

317

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

319 320

VI Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

INDICE

13

L’APPARATO DIGERENTE E IL METABOLISMO 321

2. Ureteri, vescica urinaria e uretra 366 Gli ureteri 366 La vescica urinaria 366

PARTE I ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE 322

1. Anatomia dell’apparato digerente 322

L’uretra 367 La minzione 368

3. Equilibrio idrico, elettrolitico e acido-base 368

Gli organi del canale alimentare 323 Gli organi annessi al canale alimentare 330

2. Le funzioni dell’apparato digerente 332 Quadro generale dei processi del canale alimentare e della loro regolazione 332 Le attività che si svolgono nella bocca, nella faringe e nell’esofago 333 L’attività dello stomaco: la degradazione del cibo 335 L’attività dell’intestino tenue: la digestione e l’assorbimento 336 L’attività dell’intestino crasso 338

Il mantenimento dell’equilibrio idrico ed elettrolitico del sangue 368 Il mantenimento dell’equilibrio acido-base del sangue 372

4. Aspetti dello sviluppo dell’apparato urinario 375 MAPPA DEGLI APPARATI

Relazioni omeostatiche dell’apparato urinario con gli altri apparati 374 RIASSUNTO

375

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

376 377

PARTE II NUTRIZIONE E METABOLISMO 339

3. La nutrizione 339 Le fonti dietetiche dei costituenti alimentari fondamentali 341

15

L’APPARATO GENITALE 378

1. Anatomia dell’apparato genitale maschile 379

4. Il metabolismo 341 Il metabolismo cellulare dei carboidrati, dei grassi e delle proteine 342

I testicoli 379

Il ruolo centrale del fegato nel metabolismo 345

Le ghiandole annesse e lo sperma 381

Il bilancio energetico dell’organismo 347

I genitali esterni 382

PARTE III ASPETTI DELLO SVILUPPO DELL’APPARATO DIGERENTE E DEL METABOLISMO 351

Le vie spermatiche 379

2. La funzione riproduttiva nel maschio 382

PER SAPERNE DI PIÙ

La spermatogenesi 382

L’obesità: soluzione magica cercasi 352

La secrezione di testosterone 384

MAPPA DEGLI APPARATI

Relazioni omeostatiche dell’apparato digerente con gli altri apparati 354 RIASSUNTO

VERSO LE COMPETENZE

14

Le ovaie 385 I genitali interni 386

355

CONOSCENZE E ABILITÀ

3. Anatomia dell’apparato genitale femminile 385

357 358

L’APPARATO URINARIO 359

1. I reni 360

I genitali esterni 386

4. La funzione riproduttiva nella femmina e i cicli ovarico e mestruale 388 L’oogenesi e il ciclo ovarico 388 Il ciclo uterino (mestruale) 390 La produzione di ormoni da parte delle ovaie 392

Sede e struttura 360

5. Le ghiandole mammarie 392

La vascolarizzazione 362

6. Aspetti generali della gravidanza e dello sviluppo embrionale 394

I nefroni 362 La formazione dell’urina 362

La fecondazione 394

Le caratteristiche dell’urina 365

Gli eventi dello sviluppo embrionale e fetale 394

VII Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

INDICE Gli effetti della gravidanza sulla madre 397

MAPPA DEGLI APPARATI

Il parto 397

Relazioni omeostatiche dell’apparato genitale con gli altri apparati 404

7. Aspetti dello sviluppo dell’apparato genitale 400 PER SAPERNE DI PIÙ

La contraccezione come prevenzione della gravidanza 402

RIASSUNTO

405

CONOSCENZE E ABILITÀ VERSO LE COMPETENZE

407 408

INDICE ANALITICO 409

VIII Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

1. Cosa studiano l’anatomia e la fisiologia Molti di noi sono per natura curiosi a proposito del nostro corpo; vogliamo capire cosa ci fa funzionare. Questa curiosità si osserva anche nei bambini piccolissimi, che possono starsene buoni a lungo osservando le proprie mani o tirando il naso della mamma. I bambini più grandi si chiedono dove vada a finire il cibo quando lo inghiottono, e alcuni credono che crescerà loro un cocomero nella pancia se ne ingoiano i semi. Strillano forte all’avvicinarsi di personale sanitario (per timore delle iniezioni), ma amano giocare al dottore. Gli adulti sono molto turbati da un forte batticuore, da vampate di calore incontrollabili, o dal non riuscire a mantenere basso il proprio peso. L’anatomia e la fisiologia, le branche della biologia che indagano molti di questi argomenti, descrivono come è composto il nostro corpo e come funziona. L’anatomia L’anatomia è la disciplina che studia la forma e la struttura del corpo e delle sue parti e i loro rapporti reciproci. Quando osserviamo il nostro corpo o prendiamo in esame grandi strutture del corpo come il cuore o le ossa, pratichiamo l’anatomia macroscopica, cioè studiamo strutture grandi e facilmente osservabili. L’anatomia microscopica, invece, studia le strutture del corpo che sono troppo piccole per essere visibili a occhio nudo. Le cellule e i tessuti che compongono il corpo sono osservabili soltanto con il microscopio. La fisiologia La fisiologia, che significa studio della natura ( fisio, «natura», e logia, «studio»), è la disciplina che studia come funzionano il corpo e le sue parti. La fisiologia, come l’anatomia, è suddivisa in più rami; per esempio, la neurofisiologia spiega il funzionamento del sistema nervoso, e la fisiologia cardiaca studia le funzioni del cuore, che agisce come una pompa muscolare mantenendo la circolazione del sangue in tutto l’organismo. Le correlazioni tra anatomia e fisiologia L’anatomia e la fisiologia sono sempre correlate. Le parti del corpo formano una unità ben organizzata e ciascuna di queste parti svolge un ruolo per consentire al corpo di operare come un tutto unico. La struttura determina quali funzioni possono essere svolte. Per esempio, i polmoni non sono camere muscolari come il cuore e non possono pompare il sangue in tutto l’organismo, ma, poiché le pareti delle loro cavità contenenti aria sono molto sottili, essi sono in grado di effettuare gli scambi gassosi e di fornire l’ossigeno all’organismo. In questo testo la stretta connessione tra anatomia e fisiologia è posta sempre in evidenza per dare un senso al vostro apprendimento.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Perché non riusciresti a imparare e capire la fisiologia senza avere bene appreso anche l’anatomia?

2. I livelli dell’organizzazione strutturale Dagli atomi agli organismi Il corpo umano presenta molti livelli di complessità strutturale (figura 1.1). Il livello più semplice della scala di organizzazione strutturale è il livello dei costituenti chimici. A questo livello gli atomi, piccolissime unità di materia, si combinano formando le molecole, per esempio di acqua, zucchero, proteine. Le molecole, a loro volta, si associano in modo specifico formando cellule microscopiche, che sono le più piccole unità costitutive di ogni corpo vivente. (Il livello cellulare sarà argomento del capitolo 2.) Alcune funzioni sono comuni a tutte le cellule, tuttavia le singole cellule variano ampiamente per forma e grandezza in rapporto alle funzioni specifiche che esse svolgono nell’organismo. Le creature viventi più semplici sono costituite da una sola cellula, ma negli organismi complessi, come gli alberi o gli uomini, la scala dell’organizzazione strutturale procede al livello successivo, il livello di tessuto. I tessuti sono formati da raggruppamenti di cellule simili che svolgono le stesse funzioni. Come vedremo nel capitolo 2, ciascuno dei quattro tipi fondamentali di tessuto (epiteliale, connettivo, muscolare, nervoso) svolge nell’organismo un ruolo ben definito, ma differente. Un organo è una struttura composta da due o più tipi di tessuto, che svolge una specifica funzione dell’organismo. Nell’organizzazione strutturale, al livello di organo diventano possibili funzioni estremamente complesse. Per esempio, l’intestino tenue, che opera la digestione e l’assorbimento dei cibi, è costituito da tutti e quattro i tipi di tessuto. Un apparato (o sistema) è un raggruppamento di organi che operano insieme per ottenere uno stesso risultato. Per esempio, l’apparato digerente comprende l’esofago, lo stomaco, l’intestino tenue e l’intestino crasso (per nominare soltanto alcuni dei suoi organi); ciascun organo ha una propria funzione, ma operando insieme tutti questi organi fanno progredire il cibo lungo il canale alimentare, così che possa essere adeguatamente degradato e assorbito nel sangue, fornendo materiale «combustibile» a tutte le cellule dell’organismo. Nel complesso, undici apparati compongono il corpo vivente, l’organismo, che rappresenta il livello più alto dell’organizzazione strutturale: il livello di organismo. Gli organi principali di ciascun apparato sono illustrati nella figura 1.2 (pp. 4-5), alla quale si può fare riferimento nel leggere la descrizione che segue.

2 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

Cellula muscolare liscia Molecole 2 Livello cellulare Le cellule sono formate da molecole

Atomi

1 Livello dei costituenti chimici Gli atomi si combinano formando molecole Tessuto muscolare liscio 3 Livello di tessuto I tessuti sono costituiti da cellule di tipo simile

Tessuto epiteliale (endotelio) Tessuto muscolare liscio

Vaso sanguigno

Tessuto connettivo 4 Livello di organo Gli organi sono formati da differenti tipi di tessuto

Apparato cardiovascolare

6 Livello di organismo L’organismo umano è formato da molti apparati

5 Livello di apparato Gli apparati sono composti da organi differenti che funzionano in stretta connessione

Figura 1.1 Livelli dell’organizzazione strutturale I componenti dell’apparato cardiovascolare illustrano i vari livelli di organizzazione strutturale di un organismo umano.

Una descrizione generale degli apparati • L’apparato tegumentario costituisce il rivestimento esterno dell’organismo, cioè la cute. Fornisce al corpo una barriera impermeabile, attutisce gli urti e protegge da danneggiamenti i tessuti più profondi. Inoltre, con la sudorazione elimina sali e urea e contribuisce a regolare la temperatura corporea. I recettori per la temperatura, la pressione e il dolore situati nella cute ci segnalano quello che sta avvenendo alla superficie del corpo. • Il sistema scheletrico è formato da ossa, cartilagini, legamenti e articolazioni. Dà sostegno al corpo e costituisce l’impalcatura su cui agiscono i muscoli scheletrici per effettuare i movimenti. Ha inoltre funzioni di

protezione (per esempio, la scatola cranica racchiude e protegge il cervello). Nelle cavità delle ossa avviene l’emopoiesi, cioè la produzione delle cellule del sangue. La sostanza dura delle ossa agisce da deposito di minerali. • I muscoli del corpo hanno un’unica funzione, quella di contrarsi, accorciandosi; quando ciò avviene si verificano i movimenti. Quindi i muscoli possono essere considerati le «macchine motrici» del corpo. La possibilità di movimento del corpo nel suo insieme è il risultato dell’attività dei muscoli scheletrici, i grandi muscoli attaccati alle ossa. È la loro contrazione che ci consente di stare in piedi, camminare, saltare, afferrare qualcosa, lanciare una palla o sorridere. I muscoli sche-

3 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

Muscoli scheletrici

Cartilagini

Cute Articolazione Ossa

(b) Sistema scheletrico

(a) Apparato tegumentario

Protegge e dà sostegno agli organi del corpo; forma l’impalcatura su cui agiscono i muscoli per determinare i movimenti; nelle ossa si formano le cellule del sangue; è deposito di minerali.

Forma il rivestimento esterno del corpo; protegge i tessuti più profondi; sintetizza vitamina D; è sede dei recettori cutanei (per il dolore, la pressione, ecc.) e delle ghiandole sudoripare e sebacee.

(c) Sistema muscolare Consente il movimento, le espressioni facciali; mantiene la postura; produce calore.

Epifisi Ipofisi

Encefalo

Tiroide (paratiroidi nella faccia posteriore)

Recettore sensoriale Midollo spinale

Timo

Cuore

Ghiandole surrenali Nervi

Pancreas

Testicolo (nel maschio) Ovaio (nella femmina)

(d) Sistema nervoso

(e) Apparato endocrino

Sistema di regolazione rapida dell’organismo; risponde alle variazioni interne ed esterne attivando i muscoli e le ghiandole appropriati.

Le ghiandole secernono ormoni che regolano processi quali l’accrescimento, la riproduzione, l’utilizzazione delle sostanze nutritizie (metabolismo) da parte delle cellule.

Vasi sanguigni

(f) Apparato cardiovascolare Nei vasi sanguigni circola il sangue, che trasporta ossigeno, diossido di carbonio, sostanze nutritizie, prodotti di rifiuto, ecc.; il cuore pompa il sangue.

Figura 1.2 Gli apparati dell’organismo Sono qui illustrati i componenti strutturali di ciascun apparato, o sistema. Sotto ogni figura sono elencate le funzioni principali dell’apparato.

4 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ Cavità nasale

Cavità orale

Faringe Esofago

Laringe

Dotto toracico

Trachea Stomaco

Bronco

Intestino tenue

Polmone sinistro

Linfonodi

Intestino crasso Retto Ano Vasi linfatici

(g) Sistema linfatico

(h) Apparato respiratorio

Raccoglie i fluidi e li reimmette nel sangue; allontana i detriti; è sede dei globuli bianchi coinvolti nella difesa dell’organismo.

(i) Apparato digerente

Fornisce continuamente ossigeno al sangue e ne allontana il diossido di carbonio; gli scambi gassosi avvengono attraverso le pareti delle piccole cavità dei polmoni contenenti aria.

Digerisce il cibo in piccole unità che possono passare nel sangue per essere distribuite a tutte le cellule dell’organismo; i materiali non digeribili sono eliminati con le feci.

Ghiandola mammaria (nella mammella) Tuba uterina

Rene Prostata Uretere

Vescichetta seminale

Vescica urinaria

Ovaio Utero

Uretra

Pene

Dotto deferente Vagina

Testicolo Scroto

(j) Apparato urinario o escretore Elimina dall’organismo i rifiuti azotati; regola l’equilibrio idrico, elettrolitico e acido-base del sangue.

(k) Apparato genitale maschile

(l) Apparato genitale femminile

La funzione complessiva è la riproduzione. I testicoli producono spermatozoi e ormoni sessuali maschili; le vie spermatiche e le ghiandole servono a rilasciare spermatozoi vitali nelle vie genitali femminili. Le ovaie producono oociti e ormoni sessuali femminili; le altre strutture sono sede della fecondazione e dello sviluppo del feto. Le ghiandole mammarie delle mammelle femminili producono latte per la nutrizione del neonato.

Figura 1.2 Segue

5 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

letrici formano il sistema muscolare; sono distinti dalla muscolatura del cuore e degli altri organi cavi, che fa progredire i fluidi (sangue, urina) o altre sostanze (come il cibo) lungo percorsi ben definiti all’interno dell’organismo. • Il sistema nervoso è il sistema di regolazione rapida dell’organismo. È costituito dall’encefalo, dal midollo spinale, dai nervi e dai recettori di senso. L’organismo deve essere in grado di rispondere agli stimoli provenienti dall’esterno del corpo (luce, suoni, variazioni di temperatura) o dal suo interno (per esempio, la diminuzione di ossigeno o la distensione di un tessuto). I recettori di senso individuano tali variazioni e inviano messaggi (tramite segnali elettrici detti stimoli nervosi) al sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) in modo che questo sia costantemente informato di quanto sta avvenendo. Il sistema nervoso centrale valuta poi le informazioni e risponde attivando gli appropriati organi effettori del corpo (muscoli o ghiandole). • L’apparato endocrino regola le attività dell’organismo come il sistema nervoso, ma agisce molto più lentamente. Le ghiandole endocrine producono sostanze chimiche, gli ormoni, e le immettono nel sangue che le trasporta a organi bersaglio relativamente distanti. Sono ghiandole endocrine l’ipofisi, la tiroide, le paratiroidi, le ghiandole surrenali, il timo, il pancreas, l’epifisi, le ovaie (nella femmina) e i testicoli (nel maschio). Le ghiandole endocrine non sono unite anatomicamente allo stesso modo degli organi che compongono gli altri apparati. Quello che hanno in comune è il fatto che tutte secernono ormoni, i quali regolano altre strutture. Le funzioni dell’organismo regolate dagli ormoni sono molte e varie e coinvolgono ogni cellula del corpo. L’accrescimento, la riproduzione, l’utilizzazione del cibo da parte delle cellule sono tutte funzioni regolate almeno in parte da ormoni. • Gli organi principali dell’apparato cardiovascolare sono il cuore e i vasi sanguigni. Utilizzando il sangue come veicolo liquido, l’apparato cardiovascolare trasporta ossigeno, materiali nutritizi, ormoni e altre sostanze alle e dalle cellule dei tessuti, dove avvengono gli scambi. I globuli bianchi e determinate sostanze trasportate dal sangue contribuiscono a proteggere l’organismo da agenti estranei quali batteri, tossine, cellule tumorali. Il cuore serve a pompare il sangue, spingendolo dalle sue cavità nei vasi sanguigni che lo trasportano a tutti i tessuti del corpo. • La funzione del sistema linfatico è di complemento a quella dell’apparato cardiovascolare. Il sistema linfatico comprende i vasi linfatici, i linfonodi e altri organi linfatici come la milza e le tonsille. I vasi linfatici ri-

portano nel circolo sanguigno i fluidi passati dal sangue all’interstizio dei tessuti, contribuendo così alla circolazione continua del sangue nell’organismo. I linfonodi e altri organi linfoidi contribuiscono ad allontanare dal sangue gli agenti nocivi e sono la sede di cellule che prendono parte ai processi immunitari che permettono la difesa dell’organismo. • L’apparato respiratorio ha la funzione di fornire continuamente ossigeno all’organismo e di allontanare il diossido di carbonio. È composto dalle cavità nasali, dalla faringe, dalla laringe, dalla trachea, dai bronchi e dai polmoni. Nei polmoni si trovano minutissime cavità contenenti aria; attraverso le sottili pareti di queste cavità avvengono gli scambi dei gas respiratori che passano nel sangue o ne sono rimossi. • L’apparato digerente è fondamentalmente costituito da un tubo che attraversa il corpo dalla bocca all’ano. Tra i suoi organi sono compresi la cavità orale, l’esofago, lo stomaco, l’intestino tenue, l’intestino crasso e il retto. Il loro ruolo consiste nel degradare il cibo e immettere nel sangue i prodotti della digestione per distribuirli alle cellule dell’organismo. I materiali non digeriti che restano all’interno del canale sono eliminati come feci attraverso l’ano. La digestione, che ha inizio nella cavità orale, è completata nell’intestino tenue. Da questo punto in avanti la funzione principale dell’apparato digerente è quella di riassorbire acqua. Il fegato è considerato un organo dell’apparato digerente in quanto la bile che esso produce contribuisce alla degradazione dei grassi. Dal punto di vista funzionale l’apparato digerente comprende anche il pancreas, che immette enzimi digestivi nell’intestino tenue. • Come conseguenza delle sue normali funzioni, l’organismo produce sostanze di rifiuto che devono essere eliminate. Un tipo di prodotti di rifiuto contiene azoto (per esempio, l’urea e l’acido urico) e deriva dalla degradazione cellulare di proteine e acidi nucleici. L’apparato urinario rimuove dal sangue i rifiuti azotati e li allontana dal corpo con l’urina. Questo apparato, detto anche apparato escretore, è costituito dai reni, gli ureteri, la vescica urinaria e l’uretra. Altre funzioni importanti dell’apparato urinario sono il mantenimento dell’equilibrio idrico e salino (elettrolitico) dell’organismo e la regolazione dell’equilibrio acido-base del sangue. • L’apparato genitale ha la funzione essenziale della riproduzione. Nel maschio, i testicoli producono spermatozoi; le altre strutture dell’apparato genitale maschile sono lo scroto, il pene, le ghiandole accessorie e l’insieme delle vie che trasportano lo sperma fuori dall’organismo. Nella femmina, le ovaie producono oociti; le vie genitali femminili sono costituite dalle tube

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1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

uterine, dall’utero e dalla vagina. L’utero è l’organo in cui si sviluppa il feto quando è avvenuta la fecondazione. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

2. A quale livello dell’organizzazione strutturale è collocato lo stomaco? A quale livello una molecola di glucosio? 3. Di quale apparato fanno parte la trachea, i polmoni, le cavità nasali e i bronchi?

3. Le funzioni vitali Le funzioni essenziali per la vita Come tutti gli animali complessi, gli esseri umani mantengono la propria delimitazione rispetto all’ambiente, si muovono, rispondono alle variazioni ambientali, assumono e assimilano materiali nutritizi, attuano un metabolismo, eliminano prodotti di rifiuto, si riproducono, si accrescono. Qui tratteremo brevemente ciascuna di queste funzioni essenziali, per riprenderle con maggiori dettagli nei capitoli successivi. Gli apparati non operano come entità isolate, ma lavorano tutti insieme per realizzare il benessere dell’intero organismo. Poiché questo tema sarà messo in risalto in tutto il testo, è utile individuare gli apparati più importanti che contribuiscono a svolgere ciascuna funzione vitale (figura 1.3). Nel leggere l’esposizione che segue si può fare riferimento alla descrizione degli apparati fornita nelle pagine precedenti e nella figura 1.2. • Ogni organismo vivente deve essere in grado di mantenere la propria delimitazione rispetto all’ambiente, così che il suo «interno» rimanga distinto da ciò che è «esterno». Ogni cellula del corpo umano è circondata da una membrana esterna che ne racchiude il contenuto e consente l’ingresso delle sostanze necessarie, mentre di solito non fa entrare le sostanze potenzialmente dannose o non necessarie. Il corpo nel suo insieme è a sua volta racchiuso dall’apparato tegumentario, o cute. L’apparato tegumentario protegge gli organi interni dalla disidratazione (che sarebbe fatale), dai batteri, dagli effetti dannosi del calore, dalla luce solare e da un numero incredibile di sostanze chimiche presenti nell’ambiente esterno. • Il movimento comprende tutte le attività realizzate dal sistema muscolare, come lo spostarsi da un luogo all’altro (camminando, nuotando, e così via) o la manipolazione di oggetti con le dita. Il sistema scheletrico è composto dalle ossa su cui i muscoli, contraendosi, fanno leva. Si ha movimento anche quando le sostanze come il sangue, il materiale alimentare e l’urina vengono fatte progredire all’interno degli organi rispettivamente dell’apparato cardiovascolare, digerente e urinario.

• L’irritabilità è la capacità di percepire variazioni dell’ambiente (stimoli) e di reagire a esse. Per esempio, se ci tagliamo una mano su un vetro rotto, involontariamente, senza nemmeno pensarci, allontaniamo la mano dallo stimolo doloroso (il vetro rotto). Allo stesso modo, quando nel sangue la quantità di diossido di carbonio aumenta raggiungendo livelli dannosi, il ritmo del respiro si fa più frequente per allontanare il diossido di carbonio in eccesso. Poiché le cellule nervose sono altamente sensibili agli stimoli e possono comunicare rapidamente tra loro tramite impulsi elettrici, l’irritabilità è la funzione principale del sistema nervoso. Tuttavia la sensibilità agli stimoli è una proprietà di tutte le cellule dell’organismo.

Ambiente esterno Apparato tegumentario Bocca

O2

CO2

Cibo

Apparato digerente

Apparato respiratorio S a n g ue

Cuore

Cellule

Sistema circolatorio Sostanze nutritizie Liquido interstiziale

Apparato urinario

Ano Materiale non assorbito (feci)

Rifiuti metabolici azotati (urina)

Figura 1.3 Esempi di interrelazioni tra apparati L’apparato tegumentario protegge l’organismo nel suo insieme dall’ambiente esterno. L’apparato digerente e quello respiratorio, che sono in rapporto con l’ambiente esterno, assumono rispettivamente sostanze nutritizie e ossigeno, che il sangue poi distribuisce a tutte le cellule del corpo. L’apparato urinario e quello respiratorio eliminano dall’organismo i rifiuti metabolici.

7 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

• La digestione è il processo con cui il cibo ingerito viene demolito in molecole semplici che possono passare nel sangue con un processo detto assorbimento. Il sangue ricco di sostanze nutritizie viene poi distribuito a tutte le cellule dell’organismo dall’apparato cardiovascolare. In un organismo semplice, formato da una sola cellula, come un’ameba, la cellula stessa è «officina della digestione», ma negli organismi complessi multicellulari, come l’organismo umano, l’apparato digerente svolge questa funzione per tutto l’organismo. • Metabolismo è un termine generale che si riferisce a tutte le reazioni chimiche che avvengono nelle cellule. Comprende la degradazione di sostanze complesse in composti più semplici con liberazione di energia, e la costruzione di composti più grandi a partire da quelli più piccoli, con consumo di energia. Il metabolismo si basa sull’attività dell’apparato digerente e dell’apparato respiratorio per far passare le sostanze nutritizie e l’ossigeno nel sangue, e sull’attività del sistema cardiovascolare per distribuire queste sostanze in tutto l’organismo. Il metabolismo è regolato principalmente da ormoni secreti dalle ghiandole dell’apparato endocrino. • L’escrezione è il processo con cui i prodotti di rifiuto, o escreti, sono allontanati dall’organismo. Se l’organismo deve continuare a funzionare, deve eliminare le sostanze non utili o dannose prodotte nel corso della digestione e del metabolismo. All’escrezione partecipano diversi apparati. Per esempio, l’apparato digerente elimina dall’organismo i residui non digeribili del cibo con le feci, e l’apparato urinario elimina con l’urina i rifiuti metabolici contenenti azoto. • La riproduzione è la generazione di figli e può avvenire a livello cellulare o a livello di organismo. Nella riproduzione cellulare la cellula d’origine si divide formando due cellule figlie identiche, che possono poi servire per l’accrescimento del corpo o per processi di riparazione. La riproduzione dell’organismo umano, cioè la generazione di un intero nuovo organismo, è la funzione svolta dall’apparato genitale, che produce spermatozoi e cellule uovo. Quando uno spermatozoo si unisce a una cellula uovo, si forma un uovo fecondato che poi si svilupperà all’interno dell’organismo materno fino a diventare un bambino. Le funzioni dell’apparato genitale sono regolate in modo molto preciso da ormoni dell’apparato endocrino. • L’accrescimento è un aumento delle dimensioni dell’individuo, di solito realizzato con un incremento del numero delle cellule. Perché si verifichi accrescimento, l’attività di produzione di nuove cellule deve svolgersi a un ritmo più veloce di quello che porta alla loro distruzione.

I fattori indispensabili per la vita Tutti gli apparati cooperano per mantenere in vita l’organismo e per fare questo richiedono diversi fattori, che chiameremo esigenze vitali. Questi comprendono sostanze nutritizie (cibo), ossigeno, acqua, temperatura e pressione atmosferica adeguate. • Le sostanze nutritizie, che il corpo introduce con il cibo, contengono i materiali chimici impiegati per produrre energia e costruire cellule. I principali materiali energetici delle cellule sono i carboidrati. Per fabbricare le strutture cellulari sono essenziali le proteine e, in minor misura, i grassi, i quali, inoltre, formano cuscinetti di protezione per gli organi del corpo e costituiscono una riserva energetica. Minerali e vitamine sono necessari per le reazioni chimiche nelle cellule e per il trasporto dell’ossigeno nel sangue. • Nessuna sostanza nutritizia può essere utilizzata in assenza di ossigeno. Infatti le reazioni chimiche che liberano energia degradando i cibi richiedono ossigeno; pertanto, in assenza di ossigeno le cellule umane possono sopravvivere soltanto pochi minuti. L’ossigeno costituisce circa il 20% dell’aria che respiriamo e diviene disponibile per il sangue e per le cellule grazie all’attività svolta in collaborazione dall’apparato respiratorio e da quello cardiovascolare. • L’acqua costituisce il 60-80% del peso del corpo. È la sostanza chimica più abbondante dell’organismo e fornisce la base liquida delle sostanze eliminate dal corpo. L’acqua viene assunta principalmente dai cibi o dai liquidi ingeriti e viene perduta per evaporazione dai polmoni, dalla cute e attraverso gli escreti. • Per una buona salute la temperatura corporea deve restare attorno a 37 °C. Infatti, se la temperatura scende bruscamente sotto questo livello, le reazioni metaboliche diventano sempre più lente e infine cessano. Se invece la temperatura corporea è troppo alta, le reazioni chimiche procedono troppo rapidamente e le proteine cominciano a degradarsi. Entrambe queste condizioni possono quindi portare alla morte dell’individuo. • La forza esercitata dal peso dell’aria sulla superficie del corpo è detta pressione atmosferica. La respirazione e gli scambi di ossigeno e diossido di carbonio nei polmoni dipendono da un’adeguata pressione atmosferica. Ad altitudine elevata, dove l’aria è rarefatta e la pressione atmosferica è più bassa, gli scambi gassosi possono essere troppo bassi per sostenere il metabolismo cellulare. La semplice presenza di questi fattori indispensabili non è sufficiente per mantenere la vita; essi devono essere presenti in quantità appropriate: l’eccesso e la carenza posso-

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1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

In generale si ha omeostasi quando le esigenze dell’organismo vengono adeguatamente soddisfatte e le funzioni sono svolte agevolmente. Praticamente tutti gli apparati contribuiscono a mantenere costante l’ambiente interno. Nel sangue devono essere continuamente presenti livelli adeguati di sostanze nutritizie vitali, e l’attività del cuore e la pressione del sangue devono essere continuamente controllate e regolate affinché il sangue sia fatto scorrere con la forza necessaria a raggiungere tutti i tessuti dell’organismo. Inoltre, i prodotti di rifiuto non devono accumularsi e la temperatura corporea deve essere regolata con precisione.

no essere egualmente dannosi. Per esempio, il cibo ingerito deve essere di buona qualità e in quantità adeguata, altrimenti possono verificarsi malattie della nutrizione. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

4. Oltre a essere in grado di attuare il metabolismo, di accrescersi, di digerire il cibo e di eliminare i prodotti di rifiuto, quali altre funzioni deve compiere un organismo per continuare a vivere? 5. L’ossigeno è indispensabile per la vita. Perché è così importante?

4. L’omeostasi

I meccanismi di controllo omeostatico Per l’omeostasi sono essenziali i processi di comunicazione all’interno dell’organismo, effettuati principalmente dal sistema nervoso e dall’apparato endocrino, che per portare informazioni utilizzano, rispettivamente, segnali elettrici trasmessi dai nervi o ormoni trasportati dal sangue. Tratteremo più dettagliatamente come operano questi due sistemi di regolazione nei capitoli successivi; qui spiegheremo le caratteristiche fondamentali dei sistemi di controllo ormonale e neurale che realizzano l’omeostasi. Indipendentemente dal fattore o dall’evento da regolare, tutti i meccanismi di controllo omeostatico hanno almeno tre componenti (figura 1.4). Il primo compo-

Il corpo umano contiene migliaia di miliardi di cellule pressoché continuamente attive e di solito si verificano pochi errori, e questo dà l’idea di quale meravigliosa macchina sia effettivamente questo organismo. Il termine omeostasi indica la capacità dell’organismo di mantenere relativamente stabili le condizioni interne anche in presenza di continue modificazioni dell’ambiente esterno. La traduzione letterale di omeostasi è «assenza di variazioni» (omeo, «uguale»; stasi, «restare»), tuttavia il termine in realtà non ha il significato di stato che non cambia; indica invece uno stato di equilibrio dinamico, cioè un equilibrio in cui le condizioni interne si modificano e variano, però sempre entro limiti relativamente stretti.

?

Che tipo di risposta si avrebbe se uno stimolo aumentasse la temperatura corporea? Specifica di che tipo di feedback si tratta.

3 Input: l’informazione è inviata lungo una via afferente

Centro di controllo

4 Output: l’informazione è trasmessa lungo una via efferente

Effettore

Recettore

2 La modificazione è percepita dal recettore

1

Stimolo: provoca una modificazione

Sq

uili

5 La risposta dell’effettore agisce riducendo l’intensità dello stimolo e ripristina l’omeostasi

bri

o Omeostasi Sq

uili

bri

o

Figura 1.4 Gli elementi di un sistema di controllo omeostatico Per il normale funzionamento del sistema è essenziale la comunicazione tra recettore, centro di controllo ed effettore.

9 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

nente è un recettore, il quale è essenzialmente un tipo di sensore che controlla le variazioni ambientali e risponde a esse. La risposta alle variazioni (dette stimoli) avviene inviando informazioni (input) al secondo componente, il centro di controllo. Le informazioni procedono dal recettore al centro di controllo lungo una via afferente. Il secondo componente, il centro di controllo, analizza le informazioni che riceve e stabilisce poi la risposta adeguata. Il terzo componente è l’effettore, su cui agisce la risposta (output) del centro di controllo allo stimolo. L’informazione procede dal centro di controllo all’effettore lungo una via efferente. I risultati della risposta influenzano allora a ritroso ( feedback) lo stimolo, o riducendolo (feedback negativo), così da arrestare l’intero meccanismo di controllo, o intensificandolo (feedback positivo), così da far continuare la reazione a ritmo ancora più veloce. I meccanismi di controllo omeostatico sono per la maggior parte meccanismi a feedback negativo. In tali sistemi l’effetto finale della risposta allo stimolo è il blocco dello stimolo iniziale o la diminuzione della sua intensità. Un chiaro esempio di sistema a feedback negativo non biologico è dato da un sistema di riscaldamento domestico collegato a un termostato. In questo caso il termostato contiene sia il recettore sia il centro di controllo. Se il termostato è fissato a 20 °C, il sistema di riscaldamento (effettore) si accende quando la temperatura scende sotto il valore stabilito. A mano a mano che la caldaia produce calore, l’aria si riscalda. Quando la temperatura raggiunge o supera di poco i 20 °C, il termostato invia un segnale per spegnere la caldaia. Il «termostato» dell’organismo, situato in una parte dell’encefalo, l’ipotalamo, opera in modo simile nel regolare la temperatura corporea. Altri meccanismi a feedback negativo regolano il ritmo cardiaco, la pressione del sangue, la frequenza del respiro, la concentrazione nel sangue di glucosio, ossigeno, diossido di carbonio e minerali. I meccanismi a feedback positivo nell’organismo sono rari, poiché tendono ad aumentare l’alterazione di partenza. Tali meccanismi controllano eventi poco frequenti, che si verificano in modo esplosivo. Gli esempi più comuni sono la coagulazione del sangue e il parto. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’omeostasi è talmente importante che molte malattie possono essere considerate come il risultato di una sua alterazione, cioè di uno squilibrio omeostatico. Nell’invecchiare i nostri organi diventano meno efficienti e le condizioni interne del nostro organismo diventano sempre meno stabili. Tali eventi ci pongono a rischio crescente di malattia e causano le variazioni associate all’invecchiamento. In tutto il testo forniremo esempi di squilibrio omeostatico per fare meglio capire i normali meccanismi fisiologici.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

6. Quando diciamo che l’organismo è in omeostasi, intendiamo dire che le condizioni del corpo sono immutabili? Motiva la tua risposta. 7. Quando cominciamo a disidratarci di solito abbiamo sete e questo ci induce ad assumere liquidi. Il senso della sete fa parte di un sistema di controllo a feedback negativo o positivo? Motiva la tua risposta.

5. Il linguaggio dell’anatomia Apprendere l’organizzazione del corpo umano è emozionante, ma talvolta l’interesse diminuisce quando ci si trova di fronte alla terminologia usata in anatomia e in fisiologia. Non si può semplicemente prendere un libro di anatomia e fisiologia e leggerlo come se fosse un romanzo; purtroppo la confusione è inevitabile senza la terminologia specialistica. Per esempio, se si guarda una palla, «sopra» significa sempre l’area della palla che sta in alto. Il corpo umano, naturalmente, presenta molte sporgenze e ripiegamenti, così sorge la domanda: sopra cosa? Per evitare malintesi, in anatomia si usa una serie di termini che permettono di localizzare e identificare chiaramente le strutture del corpo utilizzando poche parole. Il linguaggio dell’anatomia è presentato e spiegato qui di seguito. La posizione anatomica Per descrivere accuratamente le parti del corpo e la loro posizione dobbiamo avere un punto di riferimento iniziale e usare termini di posizione. Per evitare confusioni, si presuppone sempre che il corpo sia in una posizione standard, detta posizione anatomica. È importante avere chiara questa posizione, poiché la maggior parte della terminologia utilizzata in questo testo si riferisce a questo posizionamento del corpo, indipendentemente dalla posizione in cui il corpo si trova. La posizione anatomica è illustrata negli schemi della figura 1.5 a pagina 12, e della tabella 1.1. Come si può vedere, il corpo è in posizione eretta, con i piedi paralleli e le braccia distese ai lati del tronco con il palmo delle mani rivolto in avanti. I termini di posizione I termini di posizione consentono al personale sanitario e agli anatomisti di spiegare esattamente dove una struttura si trova rispetto a un’altra. Per esempio, possiamo descrivere in modo informale il rapporto tra le orecchie e il naso dicendo: «le orecchie sono situate a ciascun lato della testa a destra e a sinistra del naso». Usando la terminologia anatomica, questo è sintetizzato in: «le orecchie sono laterali rispetto al naso». La terminologia anatomica fa risparmiare una quantità di descrizione e, una volta appresa, è molto più chiara. Nella tabella 1.1 sono de-

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1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ Tabella 1.1 Termini di posizione

Termine

Definizione

Illustrazione

Esempio

Superiore (craniale o cefalico)

Verso l’estremità dove si trova il capo o la parte superiore di una struttura; in alto

La fronte è situata superiormente al naso

Inferiore (caudale)a

Lontano dall’estremo cefalico o verso la parte inferiore di una struttura; in basso

L’ombelico è situato inferiormente allo sterno

Ventrale (anteriore)b

Alla, o verso la, superficie frontale del corpo; davanti

Lo sterno è situato anteriormente alla colonna vertebrale

Dorsale (posteriore)b

Alla, o verso la, superficie dorsale del corpo; dietro

Il cuore è situato posteriormente allo sterno

Mediale

Verso la, o a livello della, linea mediana del corpo; al lato interno

Il cuore è situato medialmente alle braccia

Laterale

Lontano dalla linea mediana del corpo; al lato esterno

Le braccia sono situate lateralmente al torace

Prossimale

Vicino all’origine della parte o al punto di attacco di un arto al tronco

Il gomito è situato prossimalmente al polso (il gomito è più vicino alla spalla, punto di attacco del braccio, di quanto sia il polso)

Distale

Più distante dall’origine di una parte o dal punto di attacco di un arto al tronco

Il ginocchio è situato distalmente alla coscia

Superficiale (esterno)

Alla, o verso la, superficie del corpo

La cute è superficiale rispetto allo scheletro

Profondo (interno)

Lontano dalla superficie del corpo; più interno

I polmoni sono situati in profondità rispetto alla gabbia toracica

a

Il termine caudale, letteralmente «verso la coda», è sinonimo di inferiore soltanto fino all’estremità inferiore della colonna vertebrale. Nell’uomo ventrale e anteriore sono sinonimi, ma non è così negli animali quadrupedi. Ventrale si riferisce al «ventre» di un animale e così nei quadrupedi indica la superficie inferiore. Allo stesso modo, sebbene nell’uomo la superficie dorsale e quella posteriore siano la stessa cosa, il termine dorsale si riferisce al dorso dell’animale. Quindi nei quadrupedi la superficie dorsale è la loro superficie superiore. b

11 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

?

Studia brevemente la figura per rispondere a due domande. Dove ti faresti male se (1) avessi uno strappo muscolare all’inguine o se (2) ti fratturassi un osso della regione olecranica?

Cefalica

Cefalica

Frontale Orbitaria Nasale Buccale Orale

Occipitale

Arto superiore Cervicale

Acromiale

Toracica Sternale

Deltoidea

Ascellare

Cervicale Dorsale

Brachiale

Scapolare

Antecubitale

Vertebrale

Olecranica

Addominale

Lombare

Antebrachiale (avambraccio)

Sacrale

Ombelicale Carpale

Pelvica

Glutea

Digitale Arto inferiore

Inguinale

Dell’anca Femorale Patellare Poplitea Crurale Surale

Pubica (genitale)

Fibulare Tarsale (caviglia) Calcaneale Digitale Plantare

(a) Anteriore/Ventrale

Legenda:

= Torace

= Addome

(b) Posteriore/Dorsale

= Dorso

Figura 1.5 Posizione anatomica: termini relativi a regioni specifiche del corpo In (b) i calcagni sono leggermente sollevati per mostrare la superficie inferiore, plantare, del piede.

finiti e illustrati i termini di posizione generalmente in uso. Per quanto molti di questi termini siano usati anche nella conversazione comune, il significato anatomico è molto preciso. Prima di andare avanti, fermati a controllare quello che hai imparato leggendo la tabella 1.1. Indica i rapporti tra le seguenti parti del corpo utilizzando i termini anatomici corretti. Il polso è ______ rispetto alla mano. Lo sterno è ______ rispetto alla colonna vertebrale. L’encefalo è ______ rispetto al midollo spinale. Il cuore è ______ rispetto ai polmoni

I termini relativi alle regioni Sulla superficie del corpo si trovano molti punti di riferimento visibili. Una volta imparato il loro esatto nome anatomico, si può essere precisi nel fare riferimento alle differenti regioni del corpo. I punti di riferimento anteriori Osserva la figura 1.5a per trovare le seguenti regioni del corpo. Una volta individuati tutti i punti di riferimento anteriori del corpo, copri le scritte che indicano quali strutture sono. Poi segui di nuovo l’elenco indicando queste regioni sul tuo corpo.

12 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

• acromiale: punta della spalla

• scapolare: regione della scapola

• addominale: parte anteriore del tronco sotto le coste

• surale: superficie posteriore della gamba; polpaccio • vertebrale: area della colonna vertebrale

• dell’anca • antebrachiale: avambraccio • antecubitale: regione anteriore del gomito • ascellare: ascella • brachiale: braccio • buccale: area della guancia • carpale: polso • cervicale: regione del collo • crurale: gamba • deltoidea: curva della spalla formata dall’esteso muscolo deltoide • digitale: dita delle mani e dei piedi • femorale: coscia • fibulare: parte laterale della gamba • frontale: fronte • inguinale: regione di unione delle cosce al tronco; inguine • nasale: area del naso

La regione plantare, o pianta del piede, che in realtà è situata alla superficie inferiore del corpo, è illustrata nella figura 1.5b insieme ai punti di riferimento posteriori. Piani e sezioni del corpo Quando si accingono a osservare le strutture interne dell’organismo, gli anatomisti effettuano una sezione, cioè un taglio. Quando si esegue una sezione attraverso la parete del corpo o attraverso un organo, si procede lungo un piano immaginario. Poiché il corpo ha tre dimensioni, possiamo fare riferimento a tre tipi di sezioni, o piani, tra loro ortogonali (figura 1.6 a pagina seguente). • Una sezione sagittale avviene lungo un piano longitudinale che divide il corpo in una parte destra e in una sinistra. Se la sezione è sul piano mediano e la parte destra e quella sinistra hanno dimensioni uguali, la sezione è mediana, o sagittale mediana. • Una sezione frontale segue un piano longitudinale che divide il corpo (o un organo) in una parte anteriore e una posteriore. È definita anche sezione coronale. • Una sezione trasversale è condotta lungo un piano orizzontale che divide il corpo o l’organo in una parte superiore e una inferiore.

• ombelicale: ombelico • orale: bocca • orbitaria: area dell’occhio • patellare: parte anteriore del ginocchio • pelvica: area che ricopre anteriormente la pelvi • pubica: regione genitale • sternale: dello sterno

Le sezioni del corpo o di un organo secondo i differenti piani danno spesso immagini molto diverse. La figura 1.6 illustra le informazioni sulla posizione degli organi che si possono ricavare dalle immagini in risonanza magnetica secondo piani differenti. Le cavità del corpo

• tarsale: caviglia • toracica: petto I punti di riferimento posteriori Individua le seguenti regioni nella figura 1.5b, poi indicale su te stesso senza guardare il libro.

• calcaneale: calcagno • cefalica: capo • femorale: coscia • glutea: natica • lombare: area del dorso tra le coste e le anche • occipitale: superficie posteriore del capo • olecranica: superficie posteriore del gomito • poplitea: area posteriore del ginocchio • sacrale: area compresa tra le anche

I testi di anatomia e fisiologia descrivono due serie di cavità interne del corpo, la cavità dorsale e quella ventrale, che forniscono un differente grado di protezione agli organi in esse contenuti (figura 1.7 a pagina 15). • La cavità dorsale del corpo è suddivisa in due parti in continuità l’una con l’altra. La cavità cranica è lo spazio all’interno del cranio. L’encefalo è ben protetto perché occupa la cavità cranica. La cavità spinale si estende dalla cavità cranica fin quasi alla fine della colonna vertebrale. Il midollo spinale, che è in continuità con l’encefalo, è protetto dalle vertebre che circondano la cavità spinale. • La cavità ventrale del corpo è molto più ampia di quella dorsale. Contiene tutti gli organi situati all’interno del torace e dell’addome. Come la cavità dorsale, anche quella ventrale è suddivisa. La cavità toracica, situata superiormente, è separata dal resto della cavità

13 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

?

Quale tipo di sezione separa un occhio dall’altro?

(b) Piano frontale

(a) Piano mediano (sagittale mediano)

(c) Piano trasversale

Cuore Polmone destro

Polmone sinistro

Midollo spinale Aorta

Milza

Colonna vertebrale Intestino Retto Fegato Fegato

Stomaco

Milza

Stomaco

Strato di grasso sottocutaneo

Figura 1.6 La posizione anatomica e i piani del corpo (mediano, frontale e trasversale) con le corrispondenti immagini in risonanza magnetica In basso sono riportate le rappresentazioni schematiche con l’indicazione di organi osservabili nelle immagini.

14 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

Cavità cranica Legenda: Cavità dorsale Cavità ventrale

Cavità toracica

Diaframma

Cavità addominale Cavità spinale Cavità addominopelvica

Cavità pelvica

Figura 1.7 Le cavità del corpo

ventrale mediante il diaframma, un muscolo a forma di cupola. Gli organi contenuti nella cavità toracica (polmoni, cuore) sono alquanto protetti dalla gabbia toracica. Una regione centrale, il mediastino, separa i polmoni in una cavità destra e una sinistra all’interno della cavità toracica. A sua volta il mediastino è sede del cuore, della trachea e di altri visceri. Inferiormente al diaframma si trova la cavità addominopelvica. Alcuni preferiscono suddividerla in una cavità addominale posta superiormente, che contiene lo stomaco, il fegato, l’intestino e altri organi, e una cavità pelvica posta inferiormente, contenente gli organi genitali, la vescica urinaria e il retto. Tuttavia non c’è alcuna struttura reale che suddivida fisicamente la cavità addominopelvica.

tiene numerosi organi, è utile suddividerla a scopo didattico in regioni più piccole. Comunemente si suddivide la cavità addominopelvica in quattro quadranti più o meno uguali. I quadranti sono indicati semplicemente con il nome derivato dalla loro rispettiva posizione, vale a dire, quadrante superiore destro, quadrante superiore sinistro, quadrante inferiore destro e quadrante inferiore sinistro (figura 1.8a a pagina seguente). Un altro sistema, impiegato soprattutto dagli anatomisti, suddivide la cavità addominopelvica in nove regioni separate da quattro piani, come illustrato nella figura 1.8b. I nomi delle nove regioni possono apparire inconsueti, ma con un po’ di pazienza e di studio diventeranno più facili da ricordare. Localizza queste regioni nella figura e prendi nota degli organi che esse contengono facendo riferimento alla figura 1.8c.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA

• La regione ombelicale è la regione più centrale, circostante l’ombelico.

Quando il corpo subisce traumi fisici (come spesso accade, per esempio, in un incidente automobilistico), gli organi addominopelvici più vulnerabili sono quelli contenuti nella cavità addominale. Il motivo è che le pareti della cavità addominale sono formate soltanto da muscoli del tronco e non sono rinforzate da strutture ossee. Gli organi pelvici hanno un grado un po’ maggiore di protezione grazie al bacino osseo nel quale sono situati.

Poiché la cavità addominopelvica è piuttosto ampia e con-

• La regione epigastrica è situata superiormente alla regione ombelicale (epi, «sopra»; gastrica, «allo stomaco»). • La regione ipogastrica (pubica) è situata inferiormente alla regione ombelicale (ipo, «sotto»). • Le regioni iliaca destra e iliaca sinistra, o regioni in-

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1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

Regione ipocondriaca destra Quadrante superiore destro

Quadrante superiore sinistro

Quadrante inferiore destro

Quadrante inferiore sinistro

Regione ipocondriaca sinistra

Regione epigastrica

Regione lombare destra Regione iliaca destra

Regione Regione lombare ombelicale sinistra Regione ipogastrica

Regione iliaca sinistra

(b)

(a) Figura 1.8 Superficie e cavità addominopelvica (a) I quattro quadranti. (b) Le nove regioni delimitate da quattro piani. Il piano orizzontale superiore è a livello del margine inferiore delle coste; il piano orizzontale inferiore è a livello del margine superiore delle ossa dell’anca; i piani verticali sono appena mediali rispetto ai capezzoli. (c) Proiezione anteriore della cavità ventrale, che mostra gli organi superficiali.

Cuore

guinali, sono situate lateralmente alla regione ipogastrica (iliaca, dall’ileo, la parte superiore dell’osso dell’anca).

Polmone

• Le regioni lombare destra e lombare sinistra sono situate lateralmente alla regione ombelicale.

Fegato

Polmone

Diaframma

Milza Stomaco

• Le regioni ipocondriaca destra e ipocondriaca sinistra sono situate ai lati della regione epigastrica e contengono le coste inferiori (condro, «cartilagine»). ■■ FACCIAMO IL PUNTO

8. Perché è importante conoscere la posizione anatomica? 9. La regione ascellare e la regione acromiale si trovano entrambe nell’area della spalla. A quale specifica area del corpo si riferisce ciascuno di questi termini? 10. Quale tipo di sezione dividerebbe l’encefalo in una parte anteriore e una posteriore? 11. Midollo spinale, intestino tenue, utero e cuore: quale di questi si trova nella cavità dorsale del corpo?

Intestino tenue

Intestino crasso (colon)

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Retto

(c)

1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

■■■ RIASSUNTO 1. Cosa studiano l’anatomia e la fisiologia (p. 2)

1. L’anatomia è lo studio della struttura. Per valutare le dimensioni e i rapporti delle parti del corpo si utilizza l’osservazione. 2. La fisiologia è lo studio di come funziona una struttura (che può essere una cellula, un organo o un apparato). 3. La struttura determina quali funzioni possono essere svolte; quindi, se la struttura si modifica, deve modificarsi anche la funzione. 2. I livelli dell’organizzazione strutturale (pp. 2-7)

1. Vi sono sei livelli di organizzazione strutturale. Gli atomi (al livello della composizione chimica) si combinano e formano l’unità fondamentale dei corpi viventi, la cellula. Le cellule si raggruppano in tessuti, i quali a loro volta si organizzano in modo specifico formando gli organi. Un certo numero di organi forma un apparato che svolge per il corpo una funzione specifica (che nessun altro apparato può svolgere). Tutti insieme, gli apparati formano l’organismo vivente pluricellulare. 2. Per la descrizione degli apparati e l’indicazione dei nomi e delle funzioni dei principali organi, vedi pp. 3-7. 3. Le funzioni vitali (pp. 7-9)

1. Per mantenersi in vita un organismo deve essere in grado di conservare la propria delimitazione dall’ambiente esterno, di muoversi, di rispondere agli stimoli, di assimilare le sostanze nutritizie e di eliminare i prodotti di rifiuto, di attuare il metabolismo, di riprodursi, di accrescersi. 2. I fattori indispensabili per la vita comprendono il cibo, l’ossigeno, l’acqua, una temperatura appropriata e normale pressione atmosferica. Le variazioni estreme di qualcuno di questi fattori possono essere dannose. 4. L’omeostasi (pp. 9-10)

1. Le funzioni dell’organismo interagiscono mantenendo l’omeostasi, vale a dire un ambiente interno relativamente stabile nell’organismo. L’omeostasi è necessaria per la sopravvivenza e per la buona salute; la sua perdita comporta malessere o malattia. 2. Tutti i meccanismi di controllo omeostatico hanno tre componenti: (1) un recettore sensibile alle modificazioni ambientali, (2) un centro di controllo che valuta tali variazioni e provoca una risposta attivando (3) l’effettore. 3. La maggior parte dei sistemi di controllo omeostatico è costituita da meccanismi di feedback negativo, che agiscono riducendo o bloccando lo stimolo iniziale.

5. Il linguaggio dell’anatomia (pp. 10-16)

1. La terminologia anatomica è relativa e presuppone che il corpo sia nella posizione anatomica (stazione eretta, con il palmo delle mani rivolto in avanti). 2. Termini di posizione a) Superiore (craniale, cefalico): sopra; verso il capo. b) Inferiore (caudale): sotto; verso la coda. c) Ventrale (anteriore): verso la superficie frontale del corpo o della specifica struttura. d) Dorsale (posteriore): verso la superficie posteriore del corpo o della specifica struttura. e) Mediale: verso la linea mediana del corpo. f ) Laterale: distante dalla linea mediana del corpo. g) Prossimale: più vicino al punto di attacco. h) Distale: più lontano dal punto di attacco. i) Superficiale (esterno): alla superficie del corpo o vicino a essa. j) Profondo (interno): sotto la superficie del corpo o lontano da essa. 3. Termini relativi alle regioni. Punti di riferimento visibili alla superficie del corpo possono essere impiegati per indicare in modo specifico una parte o un’area del corpo. Per i termini che si riferiscono all’anatomia della superficie anteriore e di quella posteriore, vedi pp. 12-13. 4. Piani e sezioni del corpo a) Sezione sagittale: divide il corpo longitudinalmente in una parte destra e una sinistra. b) Sezione frontale: divide il corpo lungo un piano longitudinale in una parte anteriore e una posteriore. c) Sezione trasversale: divide il corpo secondo un piano orizzontale in una parte superiore e una inferiore. 5. Cavità del corpo a) Cavità dorsale: è ben protetta da strutture ossee; è suddivisa in: 1) cavità cranica, che contiene l’encefalo 2) cavità spinale, che contiene il midollo spinale. b) Cavità ventrale: è meno protetta di quella dorsale; è suddivisa in: 1) cavità toracica, situata superiormente al diaframma; contiene il cuore e i polmoni, protetti dalla gabbia toracica 2) cavità addominopelvica, situata inferiormente al diaframma; contiene gli organi dell’apparato digerente, urinario e genitale; la cavità addominopelvica è spesso suddivisa in quattro quadranti o in nove regioni (vedi figura 1.8).

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1. IL CORPO UMANO: GENERALITÀ

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Considera i seguenti livelli: (1) di composizione chimica; (2) di tessuto; (3) di organo; (4) cellulare; (5) di organismo; (6) di apparato. Quale delle seguenti risposte elenca i livelli in ordine crescente di complessità? a) 1, 2, 3, 4, 5, 6 b) 1, 4, 2, 5, 3, 6 c) 3, 1, 2, 4, 6, 5 d) 1, 4, 2, 3, 6, 5 e) 4, 1, 3, 2, 6, 5 2. Quale (o quali) dei seguenti fattori interviene nel mantenere l’omeostasi? a) effettore b) centro di controllo c) recettore d) feedback e) assenza di variazioni 3. Quale fattore non è essenziale per la sopravvivenza? a) acqua b) ossigeno c) forza di gravità d) pressione atmosferica e) sostanze nutritizie 4. I termini anatomici che si riferiscono al lato dorsale del corpo in posizione anatomica includono a) ventrale e anteriore b) dorso e dietro c) posteriore e dorsale d) testa e laterale 5. Un neurochirurgo prescrive a un paziente una puntura lombare. In quale cavità del corpo verrà introdotto l’ago? a) ventrale b) toracica c) dorsale d) cranica e) pelvica 6. Quale dei seguenti gruppi di regioni addominopelviche è mediale? a) ipocondriaca, ipogastrica, ombelicale b) ipocondriaca, lombare, inguinale c) ipogastrica, ombelicale, epigastrica d) lombare, ombelicale, iliaca e) iliaca, ombelicale, ipocondriaca 7. Utilizzando i termini elencati sotto, riempi gli spazi in bianco con il termine appropriato. Il cuore ha localizzazione ______ rispetto al diaframma. I muscoli sono in una regione ______ rispetto alla cute. La spalla è ______ rispetto al gomito. La regione poplitea è ______ rispetto all’anca.

La regione vertebrale è ____ rispetto a quella scapolare. La regione glutea è situata sulla superficie ____ del corpo. anteriore superiore posteriore inferiore

mediale prossimale laterale distale

superficiale profonda

8. Accoppia il termine anatomico corretto (colonna B) al nome comune (colonna A) delle seguenti regioni del corpo: Colonna A

Colonna B

______ natiche ______ schiena, dorso ______ scapola ______ parte anteriore del gomito ______ dita dei piedi ______ inguine ______ fronte ______ parte inferiore del dorso ______ pianta del piede

a. inguinale b. frontale c. dorsale d. lombare e. glutea f. antecubitale g. plantare h. digitale i. scapolare

Rispondi in cinque righe.

9. Definisci cosa studiano l’anatomia e la fisiologia. 10. Elenca gli undici apparati dell’organismo, descrivi brevemente le funzioni di ciascuno e indica il nome di due organi di ogni apparato. 11. Spiega il significato dell’omeostasi riferita all’organismo vivente. 12. Quali conseguenze ha l’alterazione dell’omeostasi, o squilibrio omeostatico? 13. Molte strutture dell’organismo sono simmetriche. I reni sono simmetrici? E lo stomaco? 14. A quale superficie del corpo è situata ciascuna delle seguenti strutture: naso, polpaccio, orecchie, ombelico, unghie delle dita delle mani? 15. Quali dei seguenti apparati – digerente, respiratorio, genitale, cardiovascolare, urinario, muscolare – occupano tutte e due le cavità in cui è suddivisa la cavità ventrale del corpo? Quali si trovano soltanto nella cavità toracica? Quali soltanto nella cavità addominopelvica?

■■■ VERSO LE COMPETENZE 16. Un’infermiera ha informato Giovanni che stava per fargli un prelievo di sangue dalla regione antecubitale. A quale parte del corpo si riferiva? Più tardi è tornata dicendo che gli avrebbe fatto una iniezione di antibiotico nella regione deltoidea. Per fare l’iniezione Giovanni si è tolto la camicia o ha abbassato i pantaloni? Prima che lasciasse lo studio, l’infermiera ha notato che Giovanni aveva una brutta contusione nella regione surale sinistra. Quale parte del corpo era contusa? 17. In che modo il concetto di omeostasi (o della sua alterazione) è correlato alla malattia e all’invecchiamento? Fornisci degli esempi a sostegno del tuo ragionamento.

18. Giorgia è caduta in motocicletta e si è lesionata un nervo nella regione ascellare. Inoltre si è lacerata dei legamenti nella regione cervicale e in quella scapolare e si è fratturata la regione brachiale destra. Indica dove è localizzata ciascuna delle sue lesioni. 19. L’ormone paratiroideo (PTH) è secreto in risposta a una diminuzione del livello del calcio nel sangue. La secrezione del PTH è regolata da un meccanismo di feedback negativo. Cosa ti aspetti che accada al livello del calcio nel sangue quando aumenta la secrezione di PTH, e perché?

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

PARTE I LA FISIOLOGIA DELLA CELLULA

Fibroblasti

RE rugoso e apparato di Golgi

Organuli assenti

1. La diversità delle cellule L’organismo umano è costituito da migliaia di miliardi di unità strutturali microscopiche: le cellule. (Chi avesse bisogno di ripassare la struttura della cellula può utilizzare il materiale disponibile online.) Ogni cellula è in grado di essere autonoma e sopravvivere in un ambiente in continuo cambiamento. Le migliaia di miliardi di cellule del corpo umano sono composte da circa 200 tipi differenti di cellule che variano grandemente per dimensioni, forma e funzioni. La figura 2.1 illustra come la forma della cellula e il numero relativo dei vari organuli in essa contenuti sono correlati alla specifica funzione svolta. Prendiamo rapidamente in esame alcune di queste cellule specializzate. 1. Cellule che collegano parti del corpo: • I fibroblasti sono cellule di forma allungata presenti nel tessuto connettivo. Hanno abbondante reticolo endoplasmatico (RE) rugoso e apparato di Golgi sviluppato, per produrre e secernere fibre proteiche. • Gli eritrociti (globuli rossi) sono gli elementi che trasportano l’ossigeno nel sangue. La loro forma di disco biconcavo aumenta l’area di superficie per la cattura dell’ossigeno e consente alla cellula di assumere una forma idonea a farla scorrere agevolmente anche nei più piccoli vasi sanguigni. Negli eritrociti è accumulato così tanto pigmento di trasporto dell’ossigeno che tutti gli organuli citoplasmatici (e anche il nucleo) sono andati perduti. 2. Cellule di rivestimento degli organi: • Le cellule epiteliali hanno forma simile a quella di una «cella» dell’arnia di un alveare. Questa forma permette alle cellule epiteliali di unirsi strettamente tra loro. Le cellule epiteliali sono strettamente unite tra loro da specializzazioni della membrana plasmatica chiamate giunzioni (vedi la scheda «Le specializzazioni della membrana plasmatica», p. 43). 3. Cellule deputate al movimento degli organi e di parti del corpo: • Le fibre muscolari scheletriche e le cellule muscolari lisce hanno forma allungata e sono piene di abbondanti filamenti contrattili. La contrazione di queste cellule permette il movimento o la modificazione delle dimensioni degli organi interni. 4. Cellule che accumulano materiali di riserva: • Le cellule adipose hanno forma sferica e grandi dimensioni, dovute a una voluminosa goccia lipidica contenuta nel citoplasma.

Nucleo Eritrociti

(a) Cellule che collegano parti del corpo Cellule epiteliali

Nucleo Filamenti intermedi

(b) Cellule di rivestimento degli organi Fibra muscolare scheletrica

Nuclei Cellule muscolari lisce

Filamenti contrattili

(c) Cellule deputate al movimento degli organi e di parti del corpo Lisosomi Cellula adiposa

Goccia lipidica Macrofago

Pseudopodi

Nucleo

(d) Cellule che accumulano materiali di riserva

(e) Cellule di difesa contro le malattie

Prolungamenti RE rugoso Cellula nervosa Nucleo

(f) Cellule che raccolgono informazioni e regolano le funzioni dell’organismo Nucleo

Flagello

Spermatozoo

(g) Cellule deputate alla riproduzione dell’organismo Figura 2.1 Diversità delle cellule La forma delle cellule umane e la relativa abbondanza dei loro vari organuli sono correlate alla funzione che esse svolgono nell’organismo.

20 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

2. LE CELLULE E I TESSUTI

5. Cellule di difesa contro le malattie: • I macrofagi (fagociti) emettono lunghi pseudopodi per spostarsi all’interno dei tessuti e raggiungere sedi di infezione. I numerosi lisosomi presenti nel loro citoplasma digeriscono i microrganismi infettivi che queste cellule hanno inglobato. 6. Cellule che raccolgono informazioni e regolano le funzioni dell’organismo: • Le cellule nervose (neuroni) hanno sviluppati prolungamenti che servono a ricevere messaggi e a trasmetterli ad altre parti dell’organismo. I prolungamenti sono rivestiti dalla membrana plasmatica, che è quindi molto estesa. È presente un abbondante RE rugoso che attua la sintesi dei componenti di membrana. 7. Cellule deputate alla riproduzione dell’organismo: • Gli oociti (nella femmina), che sono tra le cellule più grandi dell’organismo, contengono diverse copie di tutti gli organuli, da distribuire alle cellule figlie che si originano quando la cellula uovo fecondata si divide formando l’embrione. • Gli spermatozoi (nel maschio) sono cellule allungate e di forma adatta a muoversi verso la cellula uovo per fecondarla. Il movimento del flagello imprime una spinta propulsiva allo spermatozoo. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Quale caratteristica permette alle cellule epiteliali di svolgere la loro funzione di rivestimento? 2. Qual è la funzione principale di un neurone?

Come abbiamo detto in precedenza, ogni parte interna della cellula è deputata a svolgere una funzione specifica per la vita della cellula stessa. La maggior parte delle cellule è in grado di attuare il metabolismo (utilizzare sostanze introdotte come alimenti per costruire nuovo materiale cellulare, degradare sostanze, produrre adenosina trifosfato, ATP), digerire materiali, eliminare prodotti di rifiuto, riprodursi, accrescersi, attuare il movimento, rispondere agli stimoli (irritabilità). Prenderemo in considerazione in maggior dettaglio molte di queste funzioni nei prossimi capitoli; per esempio, nel capitolo 13 tratteremo del metabolismo e nel capitolo 6 tratteremo della capacità di reagire agli stimoli. Qui prenderemo in esame soltanto le funzioni del trasporto di membrana (le modalità con cui le sostanze attraversano la membrana plasmatica), della sintesi proteica e della riproduzione cellulare (divisione cellulare). Il trasporto di membrana L’ambiente liquido che si trova ai due lati della membrana plasmatica è un esempio di soluzione. È importante

avere ben chiaro il concetto di soluzione prima di addentrarci nella spiegazione del trasporto di membrana. Nel senso più essenziale, una soluzione è una miscela omogenea di due o più componenti. Ne sono esempi l’aria che respiriamo (che è una miscela di gas), l’acqua di mare (una miscela di acqua e sali), l’alcol con cui si eseguono frizioni (una miscela di acqua e alcol). In una soluzione la sostanza presente in maggiore quantità è il solvente; l’acqua è il principale solvente dell’organismo. I componenti o le sostanze presenti in quantità minore sono i soluti; in una soluzione i soluti sono davvero piccolissimi e non possono uscire. Il liquido intracellulare è una soluzione che contiene piccole quantità di gas (ossigeno e diossido di carbonio), sostanze nutritizie e sali disciolti in acqua. Così è anche il liquido interstiziale, il liquido con cui è costantemente in contatto la superficie delle nostre cellule. Si può immaginare il liquido interstiziale come un «brodo» ricco, nutriente e piuttosto insolito. Contiene migliaia di ingredienti, tra cui sostanze nutritizie (aminoacidi, zuccheri, acidi grassi, vitamine), sostanze regolatrici come ormoni e neurotrasmettitori, sali e prodotti di rifiuto. Per restare vitale, la cellula deve prelevare da questo «brodo» l’esatta quantità delle sostanze necessarie in determinati momenti e respingere il resto. La membrana plasmatica è una barriera selettivamente permeabile. Permeabilità selettiva vuol dire che la membrana permette ad alcune sostanze di attraversarla, mentre ad altre è proibito l’ingresso. Pertanto le sostanze nutritizie possono entrare nella cellula, mentre molte sostanze indesiderabili sono tenute fuori. Nello stesso tempo preziose proteine cellulari e altre sostanze sono mantenute all’interno della cellula, mentre i prodotti di rifiuto possono uscire. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA La permeabilità selettiva è una proprietà caratteristica soltanto delle cellule vitali e non danneggiate. Quando una cellula muore o è gravemente danneggiata, la sua membrana plasmatica non può più essere selettiva e diviene permeabile praticamente a tutto. Questo fenomeno è evidente nel caso degli ustionati gravi: dalle cellule morte o danneggiate fuoriescono liquidi preziosi, proteine e ioni.

Il movimento di sostanze attraverso la membrana plasmatica avviene fondamentalmente in due modi: passivo e attivo. Nei processi di trasporto passivo le sostanze attraversano la membrana senza alcun dispendio di energia da parte della cellula. Nei processi di trasporto attivo la cellula fornisce l’energia metabolica (ATP) che fa avvenire il trasporto. I processi di trasporto passivo: la diffusione e la filtrazione La diffusione è il processo con cui le molecole e gli ioni si spostano da una regione dove sono più concentrati (pre-

21 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

2. LE CELLULE E I TESSUTI

senti in maggior numero) a una regione dove sono meno concentrati (presenti in numero minore). Tutte le molecole possiedono energia cinetica (energia di movimento) e, poiché si muovono qua e là a caso a velocità elevata, le molecole entrano in collisione, e a ogni collisione cambiano direzione. L’effetto complessivo di questo movimento irregolare è che le molecole si spostano secondo il loro gradiente di concentrazione. Poiché la forza che le spinge è l’energia cinetica delle molecole stesse, la velocità della diffusione è influenzata dalla grandezza delle molecole (quanto più sono piccole tanto più sono veloci) e dalla temperatura (quanto maggiore è la temperatura tanto maggiore è la velocità). Un esempio di laboratorio che potrebbe risultare familiare è illustrato nella figura 2.2. La parte centrale idrofobica della membrana plasmatica costituisce una barriera fisica alla diffusione. Tuttavia le molecole diffondono attraverso la membrana plasmatica se (1) sono abbastanza piccole da passare attraverso i suoi pori (canali formati da proteine di membrana), oppure (2) sono solubili nella porzione lipidica della membrana, o (3) sono aiutate da un trasportatore di membrana. La diffusione semplice è il passaggio dei soluti attraverso una membrana semipermeabile, che non richiede trasportatori di membrana (figura 2.3a). I soluti che vengono trasportati in questo modo sono o liposolubili (lipidi, vitamine liposolubili, ossigeno, diossido di carbonio) o abbastanza piccoli da passare attraverso i pori della membrana (alcuni piccoli ioni, per esempio il cloro). La diffusione dell’acqua attraverso una membrana selettivamente permeabile come la membrana plasmatica è specificamente definita osmosi. Essendo altamente polare, l’acqua è respinta dalla parte centrale del doppio strato lipidico (apolare) della membrana plasmatica, ma può passare facilmente attraverso pori speciali formati da proteine di membrana (aquaporine) (figura 2.3d). Un altro esempio di diffusione è la diffusione facilitata, che permette il passaggio di certe sostanze indispensabili (in particolare il glucosio), sia insolubili nei lipidi sia troppo grandi per passare attraverso i pori della membrana. La diffusione facilitata segue le leggi della diffusione, vale a dire che le sostanze si spostano secondo il loro gradiente di concentrazione, tuttavia per veicolare le molecole vengono utilizzati canali proteici di membrana (figura 2.3c) o proteine trasportatrici (figura 2.3b). Quindi alcune proteine della membrana plasmatica formano canali oppure agiscono come trasportatori per far passare in modo passivo attraverso la membrana il glucosio e certi altri soluti, rendendoli disponibili per l’utilizzazione nella cellula. La filtrazione è il processo per cui l’acqua e i soluti sono spinti attraverso una membrana (o la parete di un capil-

Figura 2.2 Diffusione Le particelle in soluzione si muovono costantemente e entrano continuamente in collisione con altre particelle. Di conseguenza le particelle tendono ad allontanarsi dalle regioni dove sono più concentrate e a distribuirsi uniformemente, come è illustrato dalla diffusione delle molecole di colorante in un recipiente contenente acqua.

lare) dalla pressione del liquido, o idrostatica. Nell’organismo la pressione idrostatica di solito è esercitata dal sangue. Come la diffusione, la filtrazione è un processo passivo e comporta la presenza di un gradiente. Nella filtrazione però si tratta di un gradiente di pressione, che effettivamente spinge il liquido contenente i soluti ( filtrato) da una regione a pressione più elevata a una regione a pressione più bassa. La filtrazione è necessaria per un adeguato svolgimento della funzione dei reni. Nel rene l’acqua e piccoli soluti filtrano (cioè passano) dai capillari ai tubuli renali perché nei capillari la pressione del sangue è maggiore della pressione del liquido presente nei tubuli. Una parte del filtrato così prodotto alla fine diventerà urina. La filtrazione non è molto selettiva: per la massima parte sono trattenute soltanto le cellule del sangue e le molecole proteiche troppo grandi per passare attraverso i pori della membrana. I processi di trasporto attivo Ogni volta che una cellula impiega parte della sua provvista di ATP per spostare sostanze attraverso la membrana, il processo è attivo. Le sostanze che vengono trasportate con modalità attiva di solito non sono in grado di muoversi nella direzione voluta per diffusione. Possono essere troppo grandi per passare attraverso i canali di membrana, oppure devono spostarsi «in salita» contro il loro gradiente di concentrazione. I due meccanismi più importanti del trasporto di membrana attivo sono il trasporto attivo e il trasporto mediante vescicole. Il trasporto attivo Il trasporto attivo è simile alla diffusione facilitata mediata da trasportatori descritta in precedenza, in quanto entrambi i processi necessitano di proteine trasportatrici

22 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

2. LE CELLULE E I TESSUTI

?

Che cosa «facilita» la diffusione facilitata?

Liquido extracellulare Soluti liposolubili

Soluti insolubili nei lipidi

Piccoli soluti insolubili nei lipidi

Molecole di acqua

Doppio strato lipidico

Citoplasma (a) Diffusione semplice direttamente attraverso il doppio strato fosfolipidico

(b) Diffusione facilitata mediata da trasportatori attraverso proteine trasportatrici specifiche per una sola sostanza; il legame con il substrato determina modificazioni di forma della proteina di trasporto

(c) Diffusione facilitata mediata da canali attraverso proteine canale; riguarda principalmente ioni selezionati in base alle dimensioni e alla carica

(d) Osmosi, diffusione di acqua attraverso uno specifico canale proteico (aquaporina) o attraverso il doppio strato lipidico

Figura 2.3 Diffusione attraverso la membrana plasmatica (a) Nella diffusione semplice le molecole liposolubili diffondono direttamente attraverso il doppio strato lipidico della membrana plasmatica, nel quale possono sciogliersi. (b) Nella diffusione facilitata che utilizza proteine trasportatrici, molecole grandi e insolubili nei lipidi (per esempio, il glucosio) attraversano la membrana per mezzo di una proteina di trasporto. (c) Nella diffusione facilitata mediante canali di membrana, piccole particelle polari o dotate di carica diffondono attraverso canali di membrana formati da proteine canale. (d) Nell’osmosi l’acqua attraversa la membrana plasmatica per mezzo di specifici canali (aquaporine) oppure diffonde direttamente attraverso la porzione lipidica della membrana.

che si combinino in modo reversibile con le sostanze da trasportare attraverso la membrana. A differenza della diffusione facilitata, il trasporto attivo utilizza ATP per fornire energia alle proteine che attuano il trasporto, dette pompe dei soluti. Il trasporto degli aminoacidi, di alcuni zuccheri e della maggior parte degli ioni avviene mediante pompe e nella maggior parte dei casi queste sostanze si spostano contro il gradiente di concentrazione. Questa direzione è contraria a quella in cui le sostanze si sposterebbero naturalmente per diffusione, e ciò spiega la necessità di energia sotto forma di ATP. Per esempio, gli aminoacidi servono a fabbricare le proteine cellulari, ma sono troppo grandi per attraversare i canali di membrana e non sono solubili nei lipidi. La pompa sodio-potassio, che trasporta simultaneamente ioni sodio (NaŒ) fuori dalla cellula e ioni potassio (KŒ) dentro alla cellula è assolutamente indispensabile per la normale trasmissione degli stimoli da parte delle cellule nervose (figura 2.4 a pagina seguente). Gli ioni sodio sono molto più abbondanti fuori dalle cellule che al loro interno, cosicché tendono a restare all’interno della cellula a meno che la cellula non utilizzi ATP per spingerli, o «pomparli», fuori. Analogamente gli ioni potassio sono relativamente più

abbondanti all’interno delle cellule che nel liquido interstiziale (extracellulare), e quelli che fuoriescono dalla cellula devono essere attivamente pompati di nuovo dentro. Poiché ciascuna pompa della membrana plasmatica trasporta soltanto sostanze specifiche, il trasporto attivo fornisce alla cellula il modo di essere molto selettiva. Il trasporto mediante vescicole Il trasporto mediante vescicole, che richiede l’impiego di ATP, riguarda alcune sostanze che non sono in grado di attraversare la membrana plasmatica per trasporto passivo o per trasporto attivo. Il trasporto mediante vescicole porta sostanze fuori e dentro la cellula senza far loro attraversare realmente la membrana plasmatica. I due tipi di trasporto mediante vescicole sono l’esocitosi e l’endocitosi. L’esocitosi («fuori dalla cellula») porta sostanze fuori dalla cellula (figura 2.5 a pagina seguente) ed è il mezzo con cui le cellule secernono attivamente ormoni, muco o altri prodotti cellulari, oppure espellono prodotti di rifiuto della cellula. Il prodotto da liberare all’esterno della cellula viene inizialmente «impacchettato» in un piccolo sacco, o vescicola, di membrana. La vescicola migra

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2. LE CELLULE E I TESSUTI ■■ FACCIAMO IL PUNTO

3. Cosa determina se un processo di trasporto di membrana è attivo o passivo? 4. Quale processo di trasporto mediante vescicole fa entrare nelle cellule particelle di grandi dimensioni? 5. Quale processo è più selettivo: la pinocitosi o l’endocitosi mediata da recettori?

Doppia elica di DNA T

G A

G

C

La divisione cellulare Il ciclo vitale della cellula è la serie di modificazioni attraverso cui la cellula passa dal momento in cui si forma fino a quando si divide. Il ciclo è costituito da due periodi principali: l’interfase, in cui la cellula si accresce e svolge le sue abituali attività metaboliche, e la divisione cellulare, durante la quale si riproduce. Per quanto il termine interfase possa indurre a credere che si tratti semplicemente di un periodo di riposo tra due fasi di divisione cellulare, non è affatto così. Durante l’interfase, che è in larga misura la fase più lunga del ciclo cellulare, la cellula è molto attiva ed è in riposo soltanto per quel che concerne la divisione. Per l’interfase un nome più preciso potrebbe essere fase metabolica. La preparazione: la duplicazione del DNA La divisione cellulare serve a produrre altre cellule per i processi di accrescimento e di riparazione. Poiché è essenziale che tutte le cellule dell’organismo abbiano lo stesso materiale genetico, un evento importante precede sempre la divisione cellulare: il materiale genetico (le molecole di DNA che fanno parte della cromatina) si duplica esattamente. Questo avviene verso la fine del periodo di interfase. Il DNA è una molecola molto complessa. È composta da unità strutturali, i nucleotidi, ciascuna delle quali è formata da una molecola dello zucchero deossiribosio, da un gruppo fosfato e da una base azotata. Il DNA è fondamentalmente una doppia elica, cioè una molecola simile a una scala a pioli avvolta a spirale. I montanti della «scala» del DNA sono formati dall’alternanza di unità di fosfato e di zucchero e i pioli della scala sono composti da coppie di basi azotate. Non è noto che cosa esattamente dia l’avvio alla sintesi del DNA, ma una volta iniziata, questa continua fino a quando tutto il DNA è stato duplicato. Il processo comincia con lo svolgimento dell’elica di DNA e la sua graduale separazione nelle due catene nucleotidiche (figura 2.7). Ogni filamento nucleotidico serve da stampo per formare un nuovo filamento nucleotidico. I nucleotidi appaiati si legano in modo complementare: l’adenina (A) si lega sempre alla timina (T), la guanina (G) si lega sempre alla citosina (C). Quindi l’ordine dei nucleotidi sul filamento che serve da stampo determina anche l’ordine del filamento nuovo. Per esempio, una sequenza TACTGC su un filamento stampo legherebbe i

C

T

A

C

G C

G T

A

T

A

C

G

T

A C G T

G

G C

C A

T

T

A T

A

T

A T

A C

A G

C

G T

T

A

A

C

C

G

G G A

T

Filamento vecchio (stampo)

C

C

Filamento neosintetizzato

G

Filamento nuovo in via di formazione

A

Filamento vecchio (stampo)

DNA di un cromatidio Legenda: = Adenina

= Citosina

= Timina

= Guanina

Figura 2.7 Duplicazione delle molecole di DNA durante l’interfase La doppia elica del DNA si svolge (al centro) e i suoi due filamenti nucleotidici si separano. Ciascun filamento agisce poi da stampo per la costruzione di un nuovo filamento complementare. Il risultato è la formazione di due eliche, ciascuna identica all’elica del DNA di partenza.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

Per saperne di più ■■ LA TERAPIA ENDOVENOSA E LA TONICITÀ CELLULARE Perché è fondamentale che il personale medico somministri ai pazienti soltanto le soluzioni endovenose appropriate? Attraverso la membrana plasmatica c’è un traffico continuo di piccole molecole. Sebbene la diffusione dei soluti attraverso la membrana sia piuttosto lenta, l’osmosi, che determina lo spostamento dell’acqua attraverso la membrana, avviene molto velocemente. Chiunque effettui una somministrazione endovenosa deve usare una soluzione corretta per proteggere le cellule del paziente dalla disidratazione, potenzialmente mortale, o dalla rottura dovuta al rapido ed eccessivo ingresso di acqua. La tendenza di una soluzione a trattenere o a richiamare acqua è la pressione osmotica, che è direttamente correlata alla concentrazione dei soluti nella soluzione stessa. Quanto più elevata è la concentrazione dei soluti, tanto maggiore è la pressione osmotica e tanto maggiore è la tendenza dell’acqua a entrare nella soluzione. Molte molecole, in particolare proteine e determinati ioni, non possono diffondere attraverso la membrana plasmatica; di conseguenza ogni variazione della loro concentra-

(a) Eritrociti in una soluzione isotonica

zione a uno dei due lati della membrana spinge l’acqua a spostarsi da un lato all’altro della membrana stessa, facendo sì che la cellula perda o acquisti acqua. La capacità di una soluzione di modificare le dimensioni e la forma delle cellule facendo variare la quantità di acqua che esse contengono è la tonicità (la radice ton della parola corrisponde a «forza»). Una soluzione isotonica (iso, «uguale») ha la stessa concentrazione di soluti e di acqua della cellula. Le soluzioni isotoniche non provocano modificazioni visibili nelle cellule, e quando vengono infuse nella corrente sanguigna gli eritrociti mantengono la loro grandezza normale e la forma discoidale (foto a). Prevedibilmente, il liquido interstiziale e la maggior parte delle soluzioni per infusione endovenosa sono soluzioni isotoniche. Quando sono esposti a una soluzione ipertonica (una soluzione che contiene soluti in maggiore quantità rispetto a quelli presenti nelle cellule) gli eritrociti cominciano a raggrinzirsi. Questo è dovuto al fatto che l’acqua all’interno della cellula è più concentrata che fuo-

(b) Eritrociti in una soluzione ipertonica

ri e segue così il suo gradiente di concentrazione uscendo dalla cellula (foto b). Soluzioni ipertoniche vengono talora somministrate a pazienti con edema (gonfiore dei piedi e delle mani dovuto a ritenzione di liquidi). Tali soluzioni richiamano acqua dagli spazi tessutali nella corrente sanguigna, in modo che i reni possano eliminare i liquidi in eccesso. Una soluzione che contiene meno soluti (e quindi più acqua) della cellula è una soluzione ipotonica. Messe in una soluzione ipotonica, le cellule si gonfiano rapidamente perché viene richiamata acqua al loro interno (foto c). L’acqua distillata costituisce l’esempio più estremo di liquido ipotonico. Poiché non contiene affatto soluti, l’acqua entra nelle cellule fino a determinarne la rottura, o lisi. Soluzioni ipotoniche vengono talvolta infuse per via venosa (lentamente e con attenzione) per reidratare i tessuti di pazienti estremamente disidratati. Nei casi meno estremi di solito serve allo scopo bere liquidi ipotonici. (Sono ipotonici molti dei liquidi che beviamo abitualmente, come tè, cola e bevande per chi pratica sport.)

(c) Eritrociti in una soluzione ipotonica

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

nuovi nucleotidi nell’ordine ATGACG. Il risultato finale è la formazione di due molecole di DNA identiche al DNA della doppia elica originaria, ciascuna costituita da un filamento nucleotidico vecchio e da uno nuovo. Gli eventi della divisione cellulare In tutte le cellule, tranne i batteri e alcune cellule dell’apparato genitale, la divisione cellulare è costituita da due eventi. La mitosi, o divisione del nucleo, avviene per prima. Il secondo evento è la citodieresi, la divisione del citoplasma che inizia quando la mitosi è quasi completata.

• La mitosi porta alla formazione di due nuclei figli contenenti esattamente gli stessi geni del nucleo di partenza. Come abbiamo visto sopra, la mitosi è preceduta dalla duplicazione del DNA, cosicché per un breve tempo il nucleo della cellula contiene una doppia dose di geni. Quando il nucleo si divide, ciascuna delle due cellule figlie risulterà avere esattamente le stesse informazioni genetiche della cellula madre di partenza e dell’originaria cellula uovo fecondata da cui è derivata. Gli stadi della mitosi sono schematizzati nella figura 2.8. • La citodieresi, o divisione del citoplasma, di solito inizia verso la fine dell’anafase e si completa durante la telofase. All’equatore della cellula, a livello della linea mediana del fuso, un anello contrattile di microfilamenti forma un solco di divisione che, contraendosi sempre più, alla fine divide la massa iniziale di citoplasma in due parti. Così, alla fine della divisione cellulare si sono formate due cellule figlie. Ciascuna è più piccola e ha meno citoplasma della cellula madre, ma è geneticamente identica a essa. Le cellule figlie si accrescono e svolgono le loro normali attività finché non si dividono a loro volta. La mitosi e la citodieresi di solito procedono insieme, ma in certi casi il citoplasma non si divide e questo porta alla formazione di cellule binucleate o plurinucleate. Questo è abbastanza comune nel fegato. A seconda del tipo di tessuto la divisione cellulare può impiegare da cinque minuti a diverse ore per completarsi. Alla base di tumori e neoplasie sta un meccanismo di mitosi incontrollato. La sintesi delle proteine I geni: il programma della struttura delle proteine Il DNA ha il ruolo di contenere il programma per la sintesi delle proteine. Tradizionalmente si definisce gene un segmento di DNA che possiede l’informazione per costruire una proteina o una catena polipeptidica. Le proteine sono sostanze chiave per tutti gli aspetti della vita cellulare. Le proteine fibrose (strutturali) sono importanti materiali «da costruzione» delle cellule, le protei-

ne globulari (funzionali) hanno ruoli diversi. Per esempio, sono proteine funzionali tutti gli enzimi, i catalizzatori biologici che regolano le reazioni chimiche delle cellule. L’informazione del DNA è codificata nella sequenza di basi lungo ciascun lato della doppia elica delle molecole di DNA. Ogni sequenza di tre basi (tripletta) codifica un particolare aminoacido (figura 2.9 a pagina seguente). (Gli aminoacidi sono le unità strutturali delle proteine e nella sintesi proteica vengono legati l’uno all’altro.) Per esempio, nel DNA una sequenza di basi AAA specifica la fenilalanina, mentre CCT codifica la glicina. Proprio come differenti composizioni musicali scritte sul pentagramma vengono suonate come melodie differenti, così le variazioni nella composizione di basi A, C, T e G in ciascun gene permettono alle cellule di fabbricare tutti i differenti tipi di proteine necessarie. È stato valutato che un singolo gene comprende da 300 a 3000 coppie di basi. Il ruolo dell’RNA La localizzazione del DNA è nel nucleo mentre i ribosomi, sede della produzione delle proteine, si trovano nel citoplasma. Così il DNA, per effettuare il suo compito di specificare le proteine da sintetizzare sui ribosomi, richiede anche un messaggero. Le funzioni di decifrazione del DNA e di trasporto del messaggio sono svolte da un altro tipo di acido nucleico, l’acido ribonucleico o RNA. L’RNA differisce dal DNA in quanto è formato da un solo filamento, e contiene come zucchero il ribosio, anziché il deossiribosio, e come base azotata l’uracile (U), anziché la timina (T). Nella sintesi delle proteine hanno un ruolo speciale tre tipi di RNA. Le molecole di RNA transfer (tRNA) sono piccole e hanno la forma di un raccordo a quadrifoglio. L’RNA ribosomiale (rRNA) contribuisce a costituire i ribosomi. Le molecole di RNA messaggero (mRNA) sono lunghi filamenti nucleotidici singoli, simili alla metà di un segmento di molecola del DNA, e trasportano il «messaggio» contenente le istruzioni per la sintesi proteica dal gene del DNA nucleare ai ribosomi situati nel citoplasma. La sintesi proteica consta di due fasi principali: la trascrizione, in cui su un gene di DNA si forma l’mRNA complementare, e la traduzione, in cui l’informazione portata nella molecola dell’mRNA viene «decifrata» e utilizzata per costruire la proteina. Questi passaggi sono riassunti in modo semplificato nella figura 2.9 e sono descritti in maggior dettaglio qui di seguito. La trascrizione La parola trascrizione si riferisce spesso a uno dei lavori svolti da un segretario: convertire annotazioni da una forma a un’altra. Nelle cellule, la trascrizione comporta il trasferimento dell’informazione dalla sequenza di basi del DNA alla sequenza di basi complementare dell’mRNA (il

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

Nucleo (sede della trascrizione)

Citoplasma (sede della traduzione)

DNA

A A U TAU C T G G T T AC A T G C A C G G A C C T G A A U

1 Sullo stampo del DNA si forma l’mRNA

A

G

C G A T

Aminoacidi 2 L’mRNA esce dal nucleo e si attacca a un ribosoma, dando inizio alla traduzione

mRNA

Poro nucleare

A ciascun tipo di tRNA si lega l’aminoacido corrispondente ad opera di un enzima

Involucro nucleare Enzima sintetasi Catena polipeptidica che si va allungando

4 Quando il ribosoma si sposta lungo l’mRNA, viene aggiunto un Gly nuovo aminoacido alla catena proteica Ser in allungamento IIe Phe Met

5 Il tRNA tornato libero nel pool citoplasmatico, sarà pronto a ricaricarsi di un altro aminoacido

Legame peptidico

Ala

3 Il tRNA carico dell’amminoacido riconosce il codone complementare dell’mRNA legandosi a esso mediante il suo anticodone

G A A

U

A

Parte del tRNA recante l’anticodone

U

Subunità maggiore del ribosoma

C G G A U U U C G C C A U A G U C C Parte già tradotta dell’mRNA

Codone Subunità minore del ribosoma

Direzione in cui il ribosoma progredisce; il ribosoma si sposta lungo il filamento di mRNA via via che i codoni vengono letti uno dopo l’altro

Figura 2.9 Sintesi delle proteine (①) Trascrizione. (② - ⑤) Traduzione.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

passaggio 1 nella figura 2.9). Nella trascrizione sono implicati soltanto il DNA e l’mRNA. Mentre nel gene di DNA ogni sequenza di tre basi che codifica uno specifico aminoacido è definita tripletta, la corrispondente sequenza di tre basi nell’mRNA è detta codone. La forma è differente, ma l’informazione è la stessa. Così, se la sequenza (parziale) di triplette nel DNA fosse AAT-CGTTCG, nell’mRNA i codoni corrispondenti sarebbero UUA-GCA-AGC. La traduzione Un traduttore prende le parole in una lingua e le esprime in una lingua diversa. Nella fase di traduzione della sintesi proteica il linguaggio degli acidi nucleici (sequenza di basi) è «tradotto» nel linguaggio delle proteine (sequenza di aminoacidi). La traduzione avviene nel citoplasma e comporta l’intervento dei tre tipi principali di RNA. Come è illustrato nella figura 2.9 ai passaggi 2–5, la traduzione è costituita dagli eventi che seguono. Quando l’mRNA si è legato al ribosoma (passaggio 2), entra in azione il tRNA, il quale ha il compito di trasportare al ribosoma gli aminoacidi che, per mezzo di enzimi, vengono qui legati l’uno all’altro nella precisa sequenza specificata dal gene (e dal suo mRNA). Esistono circa 45 tipi comuni di tRNA, ciascuno dei quali è capace di trasportare nella sede della sintesi proteica uno solo dei circa 20 tipi comuni di aminoacidi. Questo però non è il solo compito dei piccoli tRNA: questi devono anche riconoscere il codone dell’mRNA che corrisponde all’aminoacido che stanno trasportando. Sono in grado di farlo perché hanno una specifica sequenza di tre basi, l’anticodone, capace di riconoscere il codone complementare e di legarvisi (passaggio 3). Quando il primo tRNA si è collocato nella posizione corretta all’inizio del messaggio dell’mRNA, il ribosoma si sposta lungo il filamento dell’mRNA mettendo il codone successivo nella posizione idonea per essere letto da un altro tRNA. Quando gli aminoacidi sono stati messi nella posizione appropriata lungo l’mRNA, vengono legati ad opera di un enzima (passaggio 4). Allorché un aminoacido è stato legato alla catena polipeptidica in via di formazione, il suo tRNA si libera e si allontana dal ribosoma per andare a prendere un altro aminoacido (passaggio 5). Quando viene letto l’ultimo codone (il codone di termine o di «stop»), la proteina si stacca dal ribosoma. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

6. In quale fase del ciclo cellulare avviene la duplicazione del DNA? 7. Cosa accade se non si verifica la citocinesi? 8. Qual è il ruolo dell’mRNA nella sintesi delle proteine? 9. Quali sono le due fasi della sintesi delle proteine, e in quale fase le proteine vengono effettivamente sintetizzate?

PARTE II I TESSUTI L’organismo umano, complesso com’è, ha inizio come singola cellula, l’uovo fecondato, che si divide quasi senza fine. I milioni di cellule che ne risultano si specializzano per particolari funzioni. Alcune diventano cellule muscolari, altre il cristallino trasparente dell’occhio, altre ancora cellule dell’epidermide, e così via. Quindi nell’organismo c’è una suddivisione del lavoro, con determinati gruppi di cellule altamente specializzate che svolgono funzioni da cui trae beneficio l’organismo nel suo insieme. Gruppi di cellule che hanno struttura e funzioni simili costituiscono i tessuti. I quattro principali tipi di tessuto (epiteliale, connettivo, nervoso, muscolare) formano gli organi del corpo. Se dovessimo assegnare a ciascun tipo di tessuto principale un termine che ne descriva al meglio il ruolo generale, i termini sarebbero con ogni probabilità rivestimento (tessuto epiteliale), sostegno (tessuto connettivo), movimento (tessuto muscolare), regolazione (tessuto nervoso). Tuttavia questi termini rispecchiano soltanto una piccola parte delle funzioni svolte da ciascuno di questi tessuti. Come abbiamo spiegato nel capitolo 1, i tessuti si organizzano in organi, come il cuore, i reni e i polmoni. Molti organi contengono diversi tipi di tessuti, e la disposizione dei tessuti determina la struttura di ciascun organo e le funzioni che è capace di svolgere. Per ora l’intenzione è di acquistare dimestichezza con le più rilevanti somiglianze e differenze dei tessuti principali. Poiché la trattazione del tessuto epiteliale e di alcuni tipi di tessuto connettivo si esaurisce in questa parte, daremo loro maggior risalto che al tessuto muscolare, a quello nervoso e a quello osseo, che tretteremo in modo più approfondito nei capitoli successivi.

2. Il tessuto epiteliale Il tessuto epiteliale, o epitelio, è il tessuto di rivestimento e ghiandolare dell’organismo. L’epitelio ghiandolare forma le diverse ghiandole; l’epitelio di rivestimento ricopre tutte le superfici libere del corpo e contiene cellule di varia forma. Un tipo di epitelio di rivestimento costituisce lo strato esterno della cute; altri tipi delimitano le cavità interne degli organi. Poiché l’epitelio forma il confine che ci separa dal mondo esterno, pressoché tutte le sostanze che entrano o escono dal corpo devono passare attraverso un epitelio. Le funzioni degli epiteli comprendono la protezione, l’assorbimento, la filtrazione e la secrezione. Per esempio, l’epidermide protegge da agenti batterici e chimici. Per svolgere questa funzione le cellule epiteliali presentano specializzazioni della membrana plasmatica quali le giunzioni occludenti e i desmosomi, che uniscono saldamen-

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

te le cellule l’una all’altra. L’epitelio di rivestimento delle vie respiratorie è invece dotato di ciglia che con il loro movimento allontanano dai polmoni la polvere e altre particelle. Un epitelio specializzato per l’assorbimento riveste organi dell’apparato digerente come l’intestino tenue, in cui vengono assorbite le sostanze alimentari. Per questo l’epitelio intestinale presenta sottili prolungamenti, detti microvilli, che aumentano enormemente la superficie assorbente (vedi la scheda «Le specializzazioni della membrana plasmatica», p. 43). Epiteli con funzioni di assorbimento e di filtrazione si trovano nei reni, mentre le ghiandole tramite la secrezione producono sostanze come il sudore, il sebo, gli enzimi digestivi e il muco. Caratteristiche speciali degli epiteli di rivestimento In generale gli epiteli presentano le caratteristiche qui sotto elencate:

Superficie apicale

Superficie basale

Membrana basale

Semplice

Superficie apicale

Superficie basale

Stratificato o composto

Membrana basale

(a)

• Le cellule epiteliali sono a stretto contatto tra loro così da formare lamine continue. Le cellule adiacenti sono unite l’una all’altra in molti punti per mezzo di giunzioni cellulari specializzate, tra cui i desmosomi e le giunzioni strette.

Pavimentoso o squamoso

• Le lamine epiteliali hanno sempre una superficie libera, detta superficie apicale, esposta verso l’esterno del corpo o la cavità di un organo interno. In alcuni epiteli la superficie esposta è liscia e piana, mentre in altri presenta specializzazioni quali microvilli o ciglia.

Cubico

• La faccia inferiore di un epitelio poggia su una membrana basale, composta da sostanze secrete sia dalle cellule epiteliali sia dalle cellule del tessuto connettivo sottostante. • Gli epiteli non hanno una vascolarizzazione propria (cioè sono privi di vasi sanguigni) e per la loro nutrizione e ossigenazione dipendono dai capillari del tessuto connettivo sottostante. • Se adeguatamente nutrite, le cellule epiteliali si rinnovano facilmente. Classificazione degli epiteli di rivestimento Ogni epitelio è definito con due aggettivi. Il primo si riferisce al numero degli strati cellulari da cui è formato (figura 2.10a). La classificazione in base agli strati di cellule è in epiteli semplici (formati da un solo strato di cellule) ed epiteli stratificati o composti (formati da più strati di cellule). Il secondo criterio di classificazione è la forma delle cellule che lo compongono (figura 2.10b); queste possono essere pavimentose, appiattite come squame; cubiche, come i dadi; prismatiche o colonnari, simili a colonne. La combinazione dei termini relativi alla forma e alla disposizione delle cellule descrive pienamente l’epitelio. Negli epiteli composti per definire l’epitelio si

Prismatico o colonnare

(b) Figura 2.10 Classificazione degli epiteli di rivestimento (a) Classificazione in base al numero degli strati. (b) Classificazione in base alla forma delle cellule; per ogni tipo è illustrata a sinistra l’intera cellula, a destra la sua sezione longitudinale.

fa riferimento alla forma delle cellule della superficie libera, non a quella delle cellule degli strati più profondi. Gli epiteli semplici Gli epiteli semplici sono impegnati soprattutto nell’assorbimento, nella secrezione e nella filtrazione. Poiché sono di solito molto sottili, la protezione non rientra nelle loro funzione.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

L’epitelio pavimentoso semplice è un unico strato di sottili cellule appiattite che poggiano su una membrana basale. Le cellule si adattano strettamente l’una all’altra, in modo assai simile alle piastrelle di un pavimento. Di solito questo tipo di epitelio forma membrane in cui avviene la filtrazione o lo scambio di sostanze per diffusione rapida. Si trova negli alveoli polmonari, dove sono scambiati ossigeno e diossido di carbonio (figura 2.11a a pagina seguente), e forma la parete dei capillari, dove avvengono gli scambi di sostanze nutritizie e di gas respiratori tra le cellule dei tessuti e il sangue che scorre nei capillari stessi. L’epitelio pavimentoso semplice forma anche le membrane sierose, o semplicemente sierose, che rivestono la cavità ventrale del corpo e gli organi in essa contenuti. L’epitelio cubico semplice, formato da un unico strato di cellule cubiche che poggiano su una membrana basale, si trova comunemente nei dotti escretori delle ghiandole (per esempio, le ghiandole salivari e il pancreas). Forma anche la parete dei tubuli renali e riveste la superficie delle ovaie (figura 2.11b). L’epitelio prismatico (o colonnare) semplice è formato da un unico strato di cellule alte a stretto contatto tra loro. In questo tipo di epitelio si osservano spesso cellule caliciformi, che producono muco. L’epitelio prismatico semplice riveste il tubo digerente dallo stomaco all’ano (figura 2.11c). Le membrane epiteliali che rivestono cavità del corpo comunicanti con l’esterno sono dette mucose, o membrane mucose. L’epitelio prismatico (o colonnare) pseudostratificato è composto da cellule che poggiano tutte sulla membrana basale; ma alcune di esse sono più basse delle altre e i loro nuclei sono situati a un’altezza differente sopra la membrana basale. Di conseguenza l’epitelio dà la falsa (pseudo) impressione di essere stratificato: di qui il suo nome. Come nell’epitelio prismatico semplice, le funzioni sono principalmente l’assorbimento e la secrezione. Una sua varietà ciliata (più precisamente l’epitelio prismatico pseudostratificato ciliato) riveste la maggior parte delle vie respiratorie (figura 2.11d a pagina 35). Il muco prodotto dalle cellule caliciformi presenti in questo epitelio trattiene la polvere e altre particelle, ed è spinto dalle ciglia verso l’alto e lontano dai polmoni. Gli epiteli stratificati (o composti) Gli epiteli stratificati sono costituiti da due o più strati di cellule. Poiché sono considerevolmente più resistenti degli epiteli semplici, hanno principalmente funzioni di protezione.

L’epitelio pavimentoso stratificato è il più comune epitelio stratificato dell’organismo. Di solito è composto da parecchi strati di cellule. Le cellule che si trovano alla superficie libera sono pavimentose, mentre quelle vicine alla

membrana basale sono cubiche o prismatiche. L’epitelio pavimentoso stratificato si trova nelle regioni molto soggette a danneggiamenti o usura, come l’esofago, la cavità orale e la parte esterna della cute (figura 2.11e). L’epitelio cubico stratificato e prismatico stratificato sono entrambi abbastanza rari nell’organismo e si trovano soprattutto nei dotti escretori delle grosse ghiandole. L’epitelio cubico stratificato ha normalmente soltanto due strati di cellule, con (almeno) le cellule dello strato superficiale di forma cubica. Nell’epitelio prismatico stratificato le cellule superficiali sono prismatiche, mentre quelle basali hanno grandezza e forma variabili. (Poiché la loro distribuzione è estremamente limitata, questi due tipi di epitelio non sono illustrati nella figura 2.11. Sono descritti qui soltanto per dare l’elenco completo degli epiteli di rivestimento.) L’epitelio di transizione è un epitelio pavimentoso composto estremamente modificato che forma il rivestimento interno di pochi organi soltanto: vescica urinaria, ureteri e parte dell’uretra. Tutti questi organi fanno parte dell’apparato urinario e sono soggetti a una considerevole distensione (figura 2.11f ). Le cellule dello strato basale sono cubiche o prismatiche; quelle della superficie libera hanno un aspetto che varia. Quando l’organo non è disteso, l’epitelio ha molti strati e le cellule superficiali sono rotondeggianti e cupoliformi. Quando l’organo è disteso, perché pieno di urina, l’epitelio si riduce di spessore e le cellule superficiali si appiattiscono diventando molto schiacciate. La capacità dell’epitelio di transizione di scivolare e di cambiare forma permette alla parete degli ureteri di distendersi al passaggio di un maggiore volume di urina; nella vescica permette l’accumulo dell’urina. L’epitelio ghiandolare Una ghiandola è costituita da una o più cellule che producono e secernono una particolare sostanza, il secreto, il quale tipicamente contiene molecole proteiche in un liquido acquoso. La secrezione è un processo attivo in cui le cellule ghiandolari prelevano dal sangue il materiale necessario e lo utilizzano per produrre il secreto, che poi emettono. Dai tessuti epiteliali si sviluppano due tipi principali di ghiandole. Le ghiandole endocrine sono dette ghiandole prive di dotto escretore; i loro secreti (ormoni) passano direttamente nei vasi sanguigni. Sono esempi di ghiandole endocrine la tiroide, le surrenali e l’ipofisi. Le ghiandole esocrine conservano il dotto escretore e attraverso questo versano il loro secreto sulla superficie dell’epitelio. Le ghiandole esocrine, che comprendono le ghiandole sudoripare e quelle sebacee, il fegato e il pancreas, si trovano sia all’interno dell’organismo, sia sulla superficie esterna e saranno trattate nell’ambito degli apparati a cui appartengono.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

Alveoli polmonari Nucleo di una cellula epiteliale pavimentosa

Membrana basale

(a) Schema: Pavimentoso semplice

Nuclei di cellule epiteliali pavimentose

Microfotografia: Epitelio pavimentoso semplice degli alveoli polmonari (ÿ 100).

Cellule epiteliali cubiche

Membrana basale

Nucleo di una cellula epiteliale cubica

Membrana basale Tessuto connettivo Microfotografia: Epitelio cubico semplice dei tubuli renali (ÿ 400).

(b) Schema: Cubico semplice

Nucleo di una cellula epiteliale prismatica

Cellule epiteliali prismatiche

Membrana basale

Membrana basale

Microfotografia: Epitelio prismatico semplice dello stomaco (ÿ 900).

(c) Schema: Prismatico semplice Figura 2.11 Tipi di epitelio di rivestimento e loro comune localizzazione nell’organismo

34 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

2. LE CELLULE E I TESSUTI

Ciglia

Epitelio pseudostratificato

Muco di una cellula caliciforme Epitelio pseudostratificato

Membrana basale Membrana basale Tessuto connettivo

(d) Schema: Epitelio prismatico pseudostratificato (ciliato)

Microfotografia: Epitelio prismatico pseudostratificato della trachea umana (ÿ 700).

Nuclei

Epitelio pavimentoso stratificato

Epitelio pavimentoso stratificato

Membrana basale

Membrana basale Microfotografia: Epitelio pavimentoso stratificato dell’esofago (ÿ 200).

Tessuto connettivo

(e) Schema: Pavimentoso stratificato

Membrana basale Epitelio di transizione

Epitelio di transizione

Membrana basale

Tessuto connettivo

(f) Schema: Di transizione

Microfotografia: Epitelio di transizione della vescica urinaria, in condizioni di rilassamento (ÿ 300); va notato l’aspetto rotondeggiante delle cellule superficiali; queste cellule si distendono e si appiattiscono a mano a mano che la vescica si riempie di urina.

Figura 2.11 Segue

35 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

2. LE CELLULE E I TESSUTI

3. Il tessuto connettivo Il tessuto connettivo, come suggerisce il suo nome, serve a collegare parti del corpo ed è molto diffuso nell’organismo. È il più abbondante e il più ampiamente distribuito dei tipi di tessuto. I tessuti connettivi svolgono numerose funzioni, ma sono primariamente impegnati in attività di difesa, di sostegno e di connessione degli altri tessuti dell’organismo. Caratteristiche comuni dei tessuti connettivi Le caratteristiche dei tessuti connettivi comprendono: • Variazioni nella vascolarizzazione. Molti tessuti connettivi sono riccamente vascolarizzati (hanno cioè un abbondante apporto di sangue), ma alcuni fanno eccezione. I tendini e i legamenti hanno una scarsa vascolarizzazione e la cartilagine è priva di vasi sanguigni. Di conseguenza tutte queste strutture si riparano assai lentamente quando sono danneggiate. (Questa è la ragione per cui alcuni dicono che, potendo scegliere, preferirebbero una frattura ossea alla lacerazione di un legamento.) • Matrice extracellulare. I tessuti connettivi sono costituiti da molti tipi differenti di cellule e da una quantità variabile di materiale nel quale le cellule sono immerse: la matrice extracellulare. La matrice extracellulare La matrice extracellulare merita una spiegazione un poco più approfondita, poiché è ciò che rende i tessuti connettivi tanto differenti dagli altri tipi di tessuto. La matrice, che viene prodotta da cellule del tessuto connettivo, è formata da due componenti principali, la sostanza fondamentale amorfa e le fibre. La sostanza fondamentale della matrice è in larga misura composta da acqua contenente alcune proteine e grandi molecole polisaccaridiche dotate di carica elettrica. Le proteine agiscono come una «colla» che permette a cellule del connettivo di aderire alle fibre della matrice immerse nella sostanza fondamentale. Le molecole polisaccaridiche, elettricamente cariche, trattengono acqua nell’intreccio che formano. Le variazioni della quantità di questi polisaccaridi comportano variazioni della consistenza della matrice che può essere fluida, gelatinosa o solida e dura. La capacità di incorporare grandi quantità di acqua consente alla sostanza fondamentale di funzionare come riserva d’acqua per l’organismo. Fibre di tipo diverso e in quantità variabile sono una componente della matrice. Secondo il tipo di tessuto connettivo, tali fibre comprendono fibre collagene (bianche, che si distinguono per la loro elevata resistenza alla trazione), fibre elastiche (gialle, la cui caratteristica fonda-

mentale è la capacità di lasciarsi distendere e poi tornare alla lunghezza iniziale) e fibre reticolari (sottili fibre collagene che formano l’impalcatura interna di organi molli come la milza). Le unità strutturali, o monomeri, di queste fibre sono prodotte da cellule del connettivo e poi secrete nella sostanza fondamentale dove si assemblano a formare le fibre dei vari tipi. Grazie alla sua matrice extracellulare, il tessuto connettivo è in grado di formare un tessuto morbido che avvolge gli organi in grado di sostenere il peso, di resistere alla distensione e ad altri danni, come l’abrasione, che nessun altro tessuto potrebbe sopportare. Tuttavia presenta delle variazioni. A un estremo il tessuto adiposo è composto prevalentemente da cellule e la matrice è molle. All’estremo opposto l’osso e la cartilagine hanno assai poche cellule e una grande quantità di matrice dura che rende questi tessuti estremamente resistenti. Qui di seguito è fornita la descrizione dei vari tipi di tessuto, rappresentati nella figura 2.12 (pp. 37-39). I tipi di tessuto connettivo Come abbiamo visto sopra, tutti i tessuti connettivi sono costituiti da cellule circondate dalla matrice extracellulare. Le differenze principali riguardano il tipo di fibre e la quantità delle fibre presenti nella matrice. Dal più duro al più fluido, i principali tipi di tessuto connettivo sono l’osso, la cartilagine, il tessuto connettivo denso, il tessuto connettivo lasso e il sangue. • L’osso, o tessuto osseo, è composto da cellule ossee situate in cavità dette lacune e circondate da strati di matrice durissima contenente sali di calcio oltre che un gran numero di fibre collagene (figura 2.12a). Per la sua particolare durezza l’osso è straordinariamente adatto a svolgere funzioni di protezione e sostegno di altri organi (per esempio, il cranio protegge l’encefalo). • La cartilagine è meno dura e più flessibile dell’osso. Si trova soltanto in poche sedi nell’organismo. La più diffusa è la cartilagine ialina, che contiene molte fibre collagene immerse in una matrice gelatinosa. Le sue cellule, dette condrociti, sono spesso riunite a piccoli gruppi all’interno di spazi della matrice detti lacune (figura 2.12b). Forma le strutture di sostegno della laringe, l’organo della fonazione; costituisce la parte delle coste che si attacca allo sterno; ricopre le estremità di molte ossa a livello delle articolazioni. Lo scheletro fetale è in larga misura formato da cartilagine ialina, ma al momento della nascita molta di questa cartilagine è già stata sostituita da osso. La cartilagine ialina è la più abbondante dell’organismo, tuttavia ne esistono altri tipi. La fibrocartilagine costituisce i dischi a forma di cuscinetto interpo-

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

connettivo fibrillare lasso, la lamina propria. La sua matrice fluida contiene tutti i tipi di fibre, disposte a formare una rete a maglie larghe. Infatti, quando la si osserva al microscopio, la maggior parte della matrice si presenta come spazi vuoti (areole, da cui il nome). Per la sua natura lassa e fluida, il connettivo fibrillare lasso funziona da riserva di acqua e sali per i tessuti circostanti, e sostanzialmente tutte le cellule dell’organismo ricevono le sostanze nutritizie e liberano i prodotti di rifiuto attraverso questo «fluido tessutale». In caso di infiammazione il connettivo lasso della regione interessata assorbe i liquidi in eccesso come una spugna e la regione si rigonfia: tale condizione è l’edema. Molti tipi di fagociti migrano attraverso questo connettivo, inglobando e distruggendo batteri, cellule morte e altri detriti. 2. Il tessuto adiposo, comunemente detto grasso, è fondamentalmente un tessuto connettivo lasso in cui predominano le cellule adipose (figura 2.12f ). Una goccia lipidica chiara occupa la maggior parte del volume della cellula adiposa e ne schiaccia il nucleo, spostandolo di lato. Il tessuto adiposo forma il cuscinetto sottocutaneo, dove svolge funzioni di isolamento e protezione dalle eccessive variazioni di temperatura e dai traumi. Inoltre il tessuto adiposo protegge alcuni singoli organi: i reni sono circondati da una capsula adiposa, e sul tessuto adiposo poggiano i bulbi oculari nelle cavità orbitarie. Nell’organismo si trova anche tessuto adiposo di «deposito», per esempio sui fianchi e nelle mammelle, dove il grasso si accumula come riserva energetica da utilizzare in caso di necessità. 3. Il tessuto connettivo reticolare è costituito da una trama delicata di fibre reticolari intrecciate tra loro e associate a cellule reticolari che sono simili ai fibroblasti (figura 2.12g). Il tessuto reticolare è limitato a certe sedi: forma lo stroma, impalcatura interna, di sostegno per molte cellule libere del sangue (in larga misura linfociti) negli organi linfoidi, come linfonodi e milza, e nel midollo osseo. • Il sangue è considerato un tessuto connettivo perché è costituito da cellule del sangue (o ematiche) immerse in una matrice fluida, il plasma sanguigno (figura 2.12h). Nel plasma non sono presenti fibre, ma molecole proteiche solubili che formano fibre visibili soltanto durante la coagulazione del sangue. Bisogna tuttavia riconoscere che come tessuto connettivo il sangue è piuttosto atipico. Agisce come veicolo nel sistema cardiovascolare, trasportando in tutto l’organismo sostanze nutritizie, prodotti di rifiuto, gas respiratori e numerose altre sostanze. Ne discuteremo più dettagliatamente nel capitolo 9.

4. Il tessuto muscolare Il tessuto muscolare è altamente specializzato per la contrazione, con produzione di movimento. I tipi di tessuto muscolare I tre tipi di tessuto muscolare sono illustrati nella figura 2.13. Osservandola si possono evidenziare le loro somiglianze e differenze, descritte qui di seguito. • Il tessuto muscolare scheletrico è avvolto da tessuto connettivo a formare i muscoli scheletrici che si inseriscono sullo scheletro. Questi muscoli, che si contraggono in maniera volontaria (o cosciente), compongono il sistema muscolare (vedi cap. 5). Quando si contraggono, i muscoli scheletrici agiscono sulle ossa o sulla cute e il risultato della loro azione sono movimenti macroscopici del corpo o modificazioni delle espressioni mimiche. Le «cellule» del muscolo scheletrico sono lunghe, cilindriche, con più nuclei e al microscopio presentano evidenti striature; essendo molto allungate, sono più correttamente definite fibre muscolari. • Il tessuto muscolare cardiaco, che tratteremo più a fondo nel capitolo 10, si trova soltanto nel cuore. Nel contrarsi il cuore agisce come una pompa che spinge il sangue nei vasi sanguigni. Anche il muscolo cardiaco presenta striature, come il muscolo scheletrico, però le cellule cardiache hanno un solo nucleo, sono relativamente corte, ramificate e strettamente connesse tra loro (come le dita delle mani intrecciate) a livello di giunzioni dette dischi intercalari. I dischi intercalari contengono giunzioni serrate che consentono il libero passaggio di ioni da una cellula all’altra e quindi la rapida conduzione dello stimolo elettrico in tutto il cuore (vedi la scheda «Le specializzazioni della membrana plasmatica», p. 43). La contrazione del muscolo cardiaco è involontaria, e ciò significa che non possiamo coscientemente controllare l’attività cardiaca (anche se alcuni rari individui pretendono di avere tale capacità). • Il tessuto muscolare liscio, o viscerale, non presenta striature evidenti (di qui il termine «liscio»). Le singole cellule sono mononucleate e di forma fusata (appuntite alle estremità). Il muscolo liscio si trova nella parete degli organi cavi come stomaco, utero e vasi sanguigni. Per l’attività contrattile del muscolo liscio, la cavità di un organo cavo alternativamente si riduce (si restringe quando il muscolo si contrae) e si amplia (si dilata quando il muscolo si rilassa), determinando lo spostamento del contenuto lungo l’organo secondo un percorso specifico. La peristalsi, un’onda di movimento che fa spostare il materiale alimentare lungo l’intestino tenue, è un esempio caratteristico dell’attività del muscolo liscio.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

Encefalo Cellule di sostegno

Midollo spinale

Corpo cellulare di un neurone

Nuclei di cellule di sostegno Corpo cellulare di un neurone

Prolungamenti del neurone

Prolungamenti del neurone Schema: Tessuto nervoso

Microfotografia: Neuroni (ÿ 200).

Figura 2.14 Tessuto nervoso I neuroni e le cellule di sostegno formano l’encefalo, il midollo spinale e i nervi.

5. Il tessuto nervoso Quando pensiamo al tessuto nervoso, pensiamo alle sue cellule fondamentali, i neuroni. Tutti i neuroni ricevono e conducono stimoli elettrochimici da una parte all’altra del corpo, quindi le loro due principali caratteristiche funzionali sono l’irritabilità e la conducibilità. La struttura dei neuroni è unica (figura 2.14). Il loro citoplasma si estende in prolungamenti, lunghi fino anche a un metro o più nella gamba, che conducono lo stimolo a grande distanza nell’organismo. I neuroni, insieme a un gruppo speciale di cellule di sostegno che li isolano e danno loro supporto e protezione, formano le strutture del sistema nervoso: l’encefalo, il midollo spinale e i nervi.

6. La riparazione dei tessuti (la cicatrizzazione delle ferite) L’organismo ha molti modi di proteggersi da ospiti indesiderati o da danneggiamenti. L’integrità di barriere fisiche come la cute e le mucose, le ciglia vibratili, la forte acidità del secreto delle ghiandole gastriche sono soltanto tre esempi delle funzioni di difesa svolte dai tessuti. Quando si verifica un danno tessutale vengono stimolate le risposte infiammatorie e immunitarie dell’organismo e il processo di riparazione inizia quasi immediatamente. La riparazione dei tessuti avviene in due modi principali: per rigenerazione e per fibrosi. La rigenerazione è la sostituzione del tessuto distrutto con cellule dello stesso tipo, mentre la fibrosi comporta la riparazione ad opera

di tessuto connettivo denso (fibroso), cioè con la formazione di tessuto cicatriziale. Quale sia il processo che avviene dipende (1) dal tipo di tessuto danneggiato e (2) dalla gravità del danno. Il danno tessutale dà l’avvio a una serie di eventi: • I capillari diventano molto permeabili. Questo consente a proteine della coagulazione e ad altre sostanze circolanti nel sangue di penetrare nella zona danneggiata. Le proteine fuoriuscite dalla corrente sanguigna formano poi un coagulo che impedisce l’ulteriore perdita di sangue, tiene uniti i margini della ferita e forma una barriera attorno all’area danneggiata impedendo ai batteri o ad altri agenti dannosi di diffondersi nei tessuti circostanti. Dove è esposto all’aria, il coagulo si asciuga rapidamente e si indurisce formando una crosta. • Si forma un tessuto di granulazione. Il tessuto di granulazione è un tessuto delicato, di colore roseo, composto in larga misura da nuovi capillari che si accrescono all’interno dell’area danneggiata. Questi capillari sono fragili e sanguinano con grande facilità, come quando si stacca una crosta da una ferita cutanea. Il tessuto di granulazione contiene anche fagociti, che alla fine eliminano il coagulo di sangue, e fibroblasti, le cellule del connettivo che sintetizzano le unità strutturali delle fibre collagene formando il tessuto cicatriziale che occuperà la zona lesa. • Si rigenera l’epitelio di superficie. Quando comincia a rigenerarsi, l’epitelio superficiale si fa strada a rico-

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

Per saperne di più ■■ LE SPECIALIZZAZIONI DELLA MEMBRANA PLASMATICA Le specializzazioni della membrana plasmatica, come i microvilli e le giunzioni intercellulari, sono generalmente osservabili nelle cellule (epiteliali) che formano il rivestimento interno di organi cavi, come l’intestino tenue (figura). I microvilli sono minuti prolungamenti digitiformi che aumentano enormemente l’area assorbente, così da rendere molto più rapido il processo. Le giunzioni intercellulari presentano una struttura che varia secondo il loro ruolo.

• Le giunzioni strette (o occludenti)

• I desmosomi sono giunzioni anco-

sono giunzioni impermeabili che uniscono le cellule l’una all’altra formando lamine a tenuta perfetta che impediscono alle sostanze di attraversare lo spazio extracellulare compreso tra le cellule. Nelle giunzioni strette le membrane plasmatiche adiacenti si fondono saldamente come una chiusura lampo. Nell’intestino tenue, per esempio, tali giunzioni impediscono agli enzimi digestivi di penetrare nella corrente sanguigna.

ranti che impediscono alle cellule sottoposte a tensioni meccaniche (come le cellule dell’epidermide) di essere separate. Dal punto di vista strutturale sono ispessimenti (placche), simili a bottoni, della membrana plasmatica di due cellule adiacenti, connessi tra loro da sottili filamenti proteici. Filamenti proteici più spessi si estendono dalla placca all’interno della cellula fino al lato opposto della cellula stessa, formando un sistema interno di cavi resistenti.

• Le giunzioni serrate (gap junction),

Giunzione stretta (occludente)

Microvilli

che si osservano comunemente nel miocardio e tra le cellule embrionali, sono essenzialmente giunzioni comunicanti. Attraverso tali giunzioni piccole molecole o ioni possono passare da una cellula all’altra. Nelle giunzioni serrate le cellule adiacenti sono connesse l’una all’altra mediante connessoni, cilindri cavi composti da proteine che attraversano a tutto spessore le membrane confinanti.

Desmosoma (giunzione ancorante) Membrana plasmatica delle cellule adiacenti

Connessone

Membrana basale Spazio extracellulare tra le cellule

Giunzione serrata (comunicante)

prire il tessuto di granulazione, immediatamente al di sotto della crosta. Ben presto la crosta cade spontaneamente e il risultato finale è un epitelio di superficie completamente rigenerato che copre un’area sottostante fibrotica (la cicatrice). La cicatrice può essere non visibile, oppure visibile come una sottile linea bianca, a seconda della gravità della ferita.

Giunzioni cellulari Una cellula epiteliale è rappresentata unita a cellule adiacenti mediante i tre tipi comuni di giunzioni cellulari: giunzioni strette, desmosomi, giunzioni serrate. Sono raffigurati anche i microvilli (che sporgono alla superficie libera della cellula).

La capacità di rigenerazione dei differenti tipi di tessuto varia ampiamente. I tessuti epiteliali come l’epidermide e gli epiteli delle mucose si rigenerano benissimo, e così anche molti tessuti connettivi e l’osso. La rigenerazione del muscolo scheletrico è scarsa o nulla, e il muscolo cardiaco e il tessuto nervoso dell’encefalo e del midollo spinale sono largamente sostituiti da tessuto cicatriziale.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

Per saperne di più ■■ IL CANCRO, IL NEMICO INTERNO La parola cancro suscita grande timore quasi in tutti. Perché il cancro colpisce alcuni e non altri? Prima di cercare di rispondere a questa domanda, definiamo alcuni termini. Una massa abnorme di cellule che si sviluppa quando sono alterate le funzioni di controllo del ciclo cellulare e della divisione cellulare è definita neoplasia («nuova crescita») o tumore. Tuttavia non tutte le neoplasie sono cancri. Le neoplasie benigne sono problemi strettamente locali. Tendono a essere circondate da una capsula, si accrescono lentamente, raramente portano a morte il paziente se vengono asportate prima di determinare la compressione di organi vitali. Al contrario, le neoplasie maligne (cancro) sono masse non incapsulate che si accrescono in modo più inesorabile e possono portare a morte. Le loro cellule sono simili alle cellule immature e invadono i tessuti circostanti, anziché spostarli, come lascia intendere il termine cancro, dalla parola latina che significa «granchio». Mentre le cellule normali diventano mortalmente «nostalgiche di casa» e muoiono quando perdono il contatto con la matrice circostante, le cellule maligne tendono a staccarsi dalla massa di origine e a diffondersi attraverso il sangue in parti distanti del corpo, dove formano nuove masse. Queste nuove formazioni sono le metastasi. Inoltre le cellule maligne consumano una quantità straordinaria di sostanze nutritizie del corpo, portando al dimagrimento e al deterioramento dei tessuti, che contribuiscono a causare la morte. Qual è la causa della trasformazione, cioè delle modificazioni che trasformano una cellula da normale a maligna? È noto che le radiazioni, i traumi meccanici, certe infezioni virali e molte sostanze chimiche (catrami del tabacco, saccarina) possono essere agenti cance-

rogeni. Quello che accomuna tutti questi fattori è il fatto che tutti causano mutazioni, modificazioni del DNA che alterano l’espressione di determinati geni. Tuttavia la maggior parte degli agenti cancerogeni viene eliminata dagli enzimi dei perossisomi o dei lisosomi, o dal sistema immunitario. Inoltre una sola mutazione non serve: ci vuole una serie di diverse modificazioni genetiche per trasformare una cellula normale in cellula totalmente maligna (figura a). Informazioni sul ruolo dei geni sono state ottenute dalla scoperta degli oncogeni (geni che causano tumori; onco, «tumore») e successivamente dei proto-oncogeni. I proto-oncogeni codificano le proteine necessarie per la normale divisione e per l’accrescimento cellulare. Molti però hanno siti fragili che si rompono quando vengono esposti ad agenti cancerogeni, e questo li trasforma in oncogeni. Un esempio di un problema che potrebbe derivare da tale conversione è l’attivazione di geni quiescenti che permettono alle cellule di divenire invasive (che è una capacità delle cellule embrionali e delle cellule neoplastiche maligne, ma non delle cellule normali adulte). Oncogeni, tuttavia, sono stati scoperti soltanto nel 15-20% delle forme di cancro umano, e così non ha destato grande sorpresa la scoperta più recente di geni soppressori dei tumori, o antioncogeni, che agiscono reprimendo o impedendo il cancro. I geni soppressori dei tumori (come p53 e p16 ) favoriscono la riparazione del DNA, mettono un freno alla divisione cellulare, aiutano a inattivare agenti cancerogeni, o accrescono la capacità del sistema immunitario di distruggere le cellule neoplastiche. Quando i geni soppressori dei tumori sono danneggiati o in qualche modo alterati, gli oncogeni sono liberi di agire. Una delle forme meglio conosciute di cancro

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umano, il cancro del colon, illustra questo principio (figura b). Il primo segno di un cancro del colon è un polipo (un tumore benigno) che si forma quando il ritmo di divisione di cellule apparentemente normali dell’epitelio di rivestimento del colon subisce un incremento insolito. Con il passare del tempo compare in quella sede una neoplasia maligna. Nella maggior parte dei casi queste modificazioni corrispondono a modificazioni a livello del DNA e comprendono l’attivazione di un oncogene e l’inattivazione di due geni soppressori dei tumori. Qualunque sia il preciso fattore genetico in azione, il principio primo del cancro sembra proprio essere nei nostri geni. Così, come si può vedere, il cancro è davvero un nemico interno. Negli Stati Uniti quasi la metà della popolazione sviluppa un cancro nel corso della vita e un quinto della popolazione muore per questo. Un cancro può originarsi da pressoché tutti i tipi cellulari, ma le forme più comuni insorgono nella cute, nel polmone, nel colon, nella mammella e, nel maschio, nella prostata. Mentre l’incidenza del cancro dello stomaco e del colon è bassa, è alta la frequenza del cancro della cute e del tessuto linfoide. I metodi di controllo, come l’autoesame delle mammelle o dei testicoli per la presenza di eventuali noduli e la ricerca del sangue nelle feci, sono di aiuto nel riconoscere precocemente un cancro. Purtroppo nella maggior parte dei casi il cancro viene diagnosticato soltanto quando sono già comparsi dei sintomi (dolore, emorragie, masse, ecc.). In questo caso il metodo diagnostico maggiormente utilizzato è la biopsia. Con questo esame si preleva chirurgicamente (o per raschiamento) un campione del tumore primitivo e lo si osserva al microscopio ricercando le mo-

2. LE CELLULE E I TESSUTI

Cromosomi

1 mutazione

2 mutazioni

3 mutazioni

4 mutazioni

Cellula normale

Cellula maligna

(a) Accumulo di mutazioni nello sviluppo di una cellula neoplastica maligna.

Parete del colon

1

2

3

Modificazioni cellulari:

Aumento delle divisioni cellulari

Crescita di un polipo

Crescita di un tumore maligno (carcinoma)

Modificazioni del DNA:

Attivazione di un oncogene

Inattivazione di un gene soppressore dei tumori

Inattivazione di un secondo gene soppressore dei tumori

(b) Sviluppo passo dopo passo di un tipico cancro del colon.

dificazioni strutturali tipiche delle cellule maligne. Sempre più di frequente la diagnosi viene posta mediante l’analisi genetica o chimica di campioni di tessuto, nei quali le cellule neoplastiche vengono tipizzate per stabilire quali sono i geni attivati o inattivati, o quali farmaci risultano più efficaci. Per rivelare tumori di grandi dimensioni si possono impiegare la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata. Il trattamento di elezione per le neoplasie dell’uno e dell’altro tipo è l’asportazione chirurgica. Se questa non è possibile, come nel caso di un cancro molto diffuso o inoperabile, si utilizzano la terapia radiante e quella farmacologica (chemioterapia). I farmaci antineoplastici hanno sgradevoli effetti col-

laterali perché per la maggior parte sono diretti contro tutte le cellule che si dividono rapidamente, comprese quelle normali. Tra gli effetti collaterali si annoverano la nausea, il vomito, la caduta dei capelli. Anche i raggi X, pur se altamente localizzati, danno effetti collaterali, perché nel passare attraverso il corpo uccidono le cellule sane che si trovano sul loro percorso, oltre che le cellule neoplastiche. I trattamenti attuali del cancro – «tagliare» (chirurgia), «bruciare» (radioterapia) e «avvelenare» (chemioterapia) – sono riconosciuti come grezzi e dolorosi. Nuovi promettenti metodi puntano sui seguenti principi: Somministrare con maggiore precisione le radiazioni o i farmaci anti-

neoplastici al tumore maligno (attraverso anticorpi monoclonali che riconoscano un tipo di proteina sulla cellula neoplastica). Aumentare la capacità del sistema immunitario di combattere il cancro. Far «morire di fame» il tumore impedendogli di attirare un ricco rifornimento di sangue. Distruggere le cellule neoplastiche con dei virus. Inoltre è in sperimentazione clinica un vaccino anticancro. Rendendo sempre più specifiche le tecniche di diagnosi e di trattamento del cancro, diventa sempre più probabile curare molti tipi di cancro.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Il tessuto cicatriziale è resistente, ma privo della flessibilità di molti tessuti normali. E ancora più importante è forse la sua incapacità di svolgere le funzioni normali del tessuto che sostituisce. Così, se si forma nella parete della vescica urinaria, nel cuore o in un altro organo muscolare, il tessuto cicatriziale può ostacolare gravemente l’attività funzionale dell’organo. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

10. Quali sono i due criteri impiegati per classificare i tessuti epiteliali? 11. Quali sono le differenze di struttura e di funzione tra le ghiandole endocrine e quelle esocrine? 12. Perché i tessuti connettivi differiscono in modo significativo dagli altri tessuti? 13. Quale dei tre tipi di tessuto muscolare è striato? E quale è volontario?

PARTE III ASPETTI DELLO SVILUPPO DELLE CELLULE E DEI TESSUTI Tutti noi cominciamo la nostra vita come singola cellula che si divide migliaia di volte per formare il nostro corpo embrionale pluricellulare. Le cellule cominciano a specializzarsi molto precocemente nel corso dello sviluppo embrionale, formando i principali tessuti, e alla nascita la maggior parte degli organi è completamente formata e funzionante. Il corpo continua ad accrescersi e ingrandirsi formando nuovo tessuto per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Nel periodo di accrescimento dell’organismo la divisione cellulare è estremamente importante. La maggior parte delle cellule (ad eccezione dei neuroni) si divide fino al termine della pubertà, quando l’organismo ha raggiunto le sue dimensioni adulte e cessa l’accrescimento complessivo del corpo. Dopo questa epoca soltanto determinate cellule si dividono abitualmente, per esempio le cellule soggette ad abrasione che si sfaldano continuamente, come quelle dell’epidermide e dell’epitelio intestinale. Le cellule epatiche cessano di dividersi, ma conservano questa capacità nel caso che una parte di esse muoia o sia danneggiata e debba essere rimpiazzata. Altri gruppi di cellule (per esempio il tessuto muscolare cardiaco e i neuroni) quando raggiungono il pieno sviluppo perdono quasi completamente la capacità di dividersi, cioè diventano amitotiche. I tessuti amitotici sono fortemente svantaggiati in caso di danneggiamento, poiché le cellule perdute non possono essere sostituite con cellule dello stesso tipo. Questa è la ragione per cui una persona che abbia avuto parecchi gravi attacchi cardiaci diventa sempre più debole. Il muscolo cardiaco danneggiato non si rigenera e viene sostituito da tessuto cicatriziale che non è in grado di contrarsi, cosicché il cuore diventa sempre meno capace di pompare il sangue in modo efficiente.

Il processo dell’invecchiamento inizia una volta raggiunta la maturità. (Qualcuno dice che comincia alla nascita.) Nessuno è in grado di chiarire quale esattamente sia la causa dell’invecchiamento, ma sono state avanzate diverse ipotesi. Alcuni ritengono che sia il risultato di piccoli «insulti chimici» che si verificano continuamente nel corso della vita, per esempio la presenza nel sangue di sostanze tossiche (come l’alcol, certe droghe, il monossido di carbonio), o l’assenza transitoria di sostanze necessarie come il glucosio e l’ossigeno. Forse l’effetto di questi insulti chimici è cumulativo e infine riesce a sconvolgere il delicato equilibrio chimico delle cellule dell’organismo. Altri pensano che nei processi di invecchiamento abbiano un ruolo fattori fisici esterni come le radiazioni (raggi X o radiazioni ultraviolette). Un’altra teoria sostiene che l’«orologio» dell’invecchiamento sia programmato in via genetica, cioè scritto nei nostri geni. Non c’è dubbio che determinati eventi fanno parte del processo di invecchiamento. Per esempio, con il progredire dell’età le membrane epiteliali si assottigliano e diventano più vulnerabili, la cute perde la sua elasticità e comincia ad afflosciarsi. Le ghiandole esocrine (anch’esse formate da tessuto epiteliale) riducono la loro attività e l’organismo comincia a «inaridirsi» poiché il sebo, il muco e il sudore vengono prodotti in minore quantità. Alcune ghiandole endocrine producono sempre meno ormoni, e i processi dell’organismo sottoposti alla loro regolazione (come il metabolismo e la riproduzione) diventano meno efficienti o cessano del tutto. Anche la struttura dei tessuti connettivi si modifica con l’età. Le ossa diventano porose e meno resistenti, e rallenta la riparazione dei danni tessutali. I muscoli cominciano a deperire. Una dieta carente può contribuire a determinare alcune di queste modificazioni, ma non c’è dubbio che uno dei fattori principali sia la diminuita efficienza del sistema circolatorio che riduce l’apporto di sostanze nutritizie e di ossigeno ai tessuti. Oltre alle modificazioni dei tessuti associate all’invecchiamento che avvengono più velocemente nell’età avanzata, altre modificazioni delle cellule e dei tessuti possono verificarsi a qualunque età. Quando, per esempio, le cellule sfuggono alla normale regolazione della divisione cellulare e si dividono in modo incontrollato, si forma una massa abnorme di cellule proliferanti (neoplasia). La neoplasia può essere benigna o maligna (cancro). Per maggiori informazioni sul cancro, vedi la scheda «Il cancro, il nemico interno» (p. 44). Tuttavia non tutte le proliferazioni con aumento di numero delle cellule comportano neoplasie. Certi tessuti (o organi) possono aumentare per qualche causa irritante locale o per condizioni che stimolano le cellule; questa risposta è l’iperplasia. Per esempio, nella donna durante la gravidanza le mammelle si ingrandiscono in risposta all’aumento di ormoni; è una situazione normale

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

ma transitoria che non richiede alcun trattamento. Al contrario la perdita della normale stimolazione può provocare l’atrofia, una riduzione delle dimensioni, in un organo o in una parte del corpo. Per esempio, i muscoli non utilizzati o che hanno perduto la loro innervazione cominciano ad atrofizzarsi e a deperire rapidamente.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

14. Quale dei quattro tipi principali di tessuto ha le maggiori probabilità di rimanere mitotico per tutta la vita? 15. Cos’è una neoplasia? 16. Come si modifica l’attività delle ghiandole endocrine con l’invecchiamento dell’organismo?

■■■ RIASSUNTO PARTE I. LA FISIOLOGIA DELLA CELLULA (pp. 20-31)

1. Tutte le cellule presentano irritabilità, degradano sostanze nutritizie, eliminano prodotti di rifiuto, sono in grado di riprodursi, accrescersi, muoversi e attuare il metabolismo. 2. Trasporto di sostanze attraverso la membrana plasmatica: a) I processi di trasporto passivo comprendono la diffusione e la filtrazione. (1) La diffusione è il movimento di una sostanza da una regione in cui è più concentrata a una regione in cui è meno concentrata. La diffusione semplice è la diffusione attraverso la membrana plasmatica di soluti presenti in soluzione. La diffusione dell’acqua attraverso la membrana plasmatica è l’osmosi. La diffusione che richiede una proteina canale o una proteina trasportatrice è detta diffusione facilitata. (2) La filtrazione è il movimento di sostanze attraverso una membrana da una regione a elevata pressione idrostatica a una regione in cui la pressione del liquido è minore. Nell’organismo, la forza che spinge la filtrazione è la pressione del sangue. b) Il trasporto attivo e quello mediante vescicole impiegano energia (ATP) fornita dalla cellula. (1) Nel trasporto attivo le sostanze attraversano la membrana contro il loro gradiente elettrico o di concentrazione per mezzo di proteine definite pompe dei soluti. (2) I due tipi di trasporto mediante vescicole attivato dall’ATP sono l’esocitosi e l’endocitosi. L’esocitosi porta secreti o altre sostanze fuori dalla cellula; una vescicola delimitata da membrana si fonde con la membrana plasmatica, si apre ed emette il contenuto all’esterno della cellula. L’endocitosi, in cui dalla cellula vengono assunte particelle avvolte in un’invaginazione, che poi si richiude, della membrana plasmatica, comprende la fagocitosi (assunzione di particelle solide), la pinocitosi (assunzione di liquidi) e l’endocitosi mediata da recettori, che è altamente selettiva. 3. La pressione osmotica, che dipende dalla concentrazione dei soluti in una soluzione, determina il fatto che le cellule assumano o perdano acqua. a) Le soluzioni ipertoniche contengono più soluti (e meno acqua) delle cellule. Immerse in queste soluzioni, le cellule perdono acqua per osmosi e si raggrinziscono. b) Le soluzioni ipotoniche contengono meno soluti (e più acqua) delle cellule. Immerse in queste soluzioni, le cellule si rigonfiano e possono rompersi (lisi) perché in esse entra acqua per osmosi. c) Le soluzioni isotoniche, che hanno la stessa proporzio-

ne di soluti e di solvente che ha la cellula, non causano modificazioni della forma cellulare. 4. La divisione cellulare consta di due fasi, la mitosi (divisione del nucleo) e la citodieresi (divisione del citoplasma). a) La mitosi inizia dopo che il DNA è stato duplicato (durante l’interfase) ed è costituita da quattro stadi: profase, metafase, anafase e telofase. Il risultato è la formazione di due nuclei figli, ciascuno identico al nucleo di partenza. b) La citodieresi di solito inizia durante l’anafase, con la progressiva strozzatura del citoplasma che infine si divide in due. c) La divisione mitotica aumenta il numero delle cellule per i processi di accrescimento e di riparazione. 5. Nella sintesi delle proteine intervengono sia il DNA (i geni) sia l’RNA. a) Un gene è un segmento di DNA che contiene le istruzioni per fabbricare una proteina. L’informazione è insita nella sequenza delle basi nei filamenti nucleotidici. Ogni sequenza di tre basi (tripletta) codifica un aminoacido nella proteina. b) L’RNA messaggero porta le istruzioni per la sintesi proteica dal DNA (gene) ai ribosomi. L’RNA transfer trasporta gli aminoacidi ai ribosomi. L’RNA ribosomiale fa parte della struttura dei ribosomi e contribuisce a coordinare il processo di costruzione della proteina. PARTE II. I TESSUTI (pp. 31-46)

1. Il tessuto epiteliale può essere epitelio di rivestimento o tessuto ghiandolare. Svolge funzioni di protezione, assorbimento e secrezione. Gli epiteli di rivestimento sono classificati in base alla loro organizzazione (semplici, stratificati o composti) e alla forma delle cellule (pavimentosi, cubici, prismatici o colonnari). 2. Il tessuto connettivo ha funzioni di sostegno, protezione e collegamento. È caratterizzato dalla presenza di una matrice extracellulare (composta da sostanza fondamentale e fibre) che è prodotta e secreta dalle cellule e che varia in quantità e consistenza. Il tessuto adiposo, i legamenti e i tendini, l’osso e la cartilagine sono tutti tessuti connettivi o strutture formate da tessuto connettivo. 3. Il tessuto muscolare è specializzato per la contrazione (nella quale si accorcia) che determina il movimento. Se ne distinguono tre tipi: scheletrico (che prende connessione con lo scheletro), cardiaco (che si trova nel cuore) e liscio (situato nella parete degli organi cavi).

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

4. Il tessuto nervoso è composto da cellule di sostegno e da neuroni, cellule specializzate nel ricevere e trasmettere gli stimoli nervosi. Il tessuto nervoso si trova nel sistema nervoso: encefalo, midollo spinale e nervi. 5. La riparazione dei tessuti (cicatrizzazione delle ferite) può comportare la rigenerazione, la fibrosi, o entrambi i processi. PARTE III. ASPETTI DELLO SVILUPPO DELLE CELLULE E DEI TESSUTI (pp. 46-47)

1. L’accrescimento mediante la divisione cellulare continua fino a tutta la pubertà. I tessuti soggetti a sfregamento (come l’epitelio di rivestimento) sostituiscono durante tutta la vita le cellule che vengono perdute. Anche il tessuto

connettivo conserva le capacità mitotiche e forma tessuto di riparazione. Salvo alcune eccezioni, il tessuto muscolare diviene amitotico alla fine della pubertà, e il tessuto nervoso diviene amitotico poco dopo la nascita. 2. Le cause dell’invecchiamento sono sconosciute, ma vengono ipotizzati insulti chimici e fisici, e fattori genetici. 3. Le neoplasie, benigne o maligne, sono masse cellulari abnormi nelle quali la normale regolazione della divisione cellulare non funziona più. L’iperplasia (aumento delle dimensioni) di un tessuto o di un organo può verificarsi quando un tessuto è fortemente stimolato o irritato. L’atrofia (diminuzione delle dimensioni) di un tessuto o di un organo si verifica quando non c’è più una normale stimolazione.

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Perché avvenga la diffusione, ci deve essere a) una membrana selettivamente permeabile b) un’uguale quantità di soluti c) una differenza di concentrazione d) qualche tipo di sistema di trasporto e) tutte le risposte precedenti 2. Un epitelio adatto a resistere allo sfregamento è quello a) pavimentoso semplice b) pavimentoso stratificato c) cubico semplice d) prismatico semplice e) pseudostratificato 3. Quale tipo di tessuto connettivo agisce come una spugna, assorbendo liquidi in caso di edema? a) connettivo lasso b) tessuto adiposo c) connettivo denso d) tessuto reticolare e) sangue 4. Quale tipo di tessuto connettivo impedisce ai muscoli di staccarsi dalle ossa durante la contrazione? a) connettivo denso b) connettivo lasso c) tessuto elastico d) cartilagine ialina 5. Quale dei seguenti termini serve a descrivere il muscolo cardiaco? a) striato b) dischi intercalari c) plurinucleato d) involontario e) ramificato 6. Quale dei seguenti processi implica specifici recettori di membrana? a) la fagocitosi b) l’endocitosi mediata da recettori c) l’esocitosi d) la pinocitosi Rispondi in cinque righe.

7. Dai la definizione di diffusione, osmosi, diffusione semplice, filtrazione, pompa dei soluti, esocitosi, endocitosi, fagocitosi, pinocitosi e endocitosi mediata da recettori.

8. Quali due caratteristiche strutturali delle membrane cellulari determinano se le sostanze possono attraversarle passivamente? Cosa determina se una sostanza può essere, oppure no, trasportata attivamente attraverso la membrana? 9. Spiega l’effetto sulle cellule viventi delle seguenti soluzioni: ipertoniche, ipotoniche e isotoniche. 10. Descrivi brevemente il processo di duplicazione del DNA. 11. Dai la definizione di mitosi. Perché la mitosi è importante? 12. Qual è il ruolo del fuso nella mitosi? 13. Descrivi i ruoli rispettivi del DNA e dell’RNA nella sintesi delle proteine. 14. Dai la definizione di tessuto. Elenca i quattro tipi principali di tessuto. Quale di questi tipi è il più ampiamente distribuito nell’organismo? 15. Descrivi le caratteristiche generali del tessuto epiteliale. Elenca le funzioni più importanti del tessuto epiteliale e fa un esempio di ciascuna. 16. Dove si trova un epitelio ciliato e quali funzioni svolge? 17. Quali sono le caratteristiche strutturali generali dei tessuti connettivi? Quali sono le funzioni dei tessuti connettivi? In che modo le loro funzioni trovano corrispondenza nella loro struttura? 18. Indica il nome di un tessuto connettivo con (1) una matrice fluida molle, e (2) una matrice dura come sasso. 19. Qual è la funzione del tessuto muscolare? 20. Indica la localizzazione nell’organismo di ciascuno dei tre tipi di tessuto muscolare. Cosa si intende quando si dice: «il muscolo liscio è involontario»? 21. Qual è la differenza tra riparazione dei tessuti per fibrosi e riparazione per rigenerazione? 22. Dai la definizione di atrofia.

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2. LE CELLULE E I TESSUTI

■■■ VERSO LE COMPETENZE 24. Qui di seguito vengono dati due esempi di farmaci chemioterapici (impiegati nel trattamento del cancro) con l’indicazione della loro azione sulle cellule. Spiega perché ciascun farmaco potrebbe essere fatale per una cellula. • Vincristina: danneggia il fuso mitotico. • Adriamicina: si lega al DNA e blocca la sintesi dell’RNA messaggero. 25. Giovanni si è fatto molto male a un ginocchio nel giocare a calcio. Gli è stato detto che si è rotto una cartilagine del ginocchio e che il recupero e la riparazione richiederanno molto tempo. Perché ci vorrà molto tempo?

26. In una unità di terapia intensiva tre pazienti sono visitati dal medico interno. Un paziente ha avuto un ictus cerebrale, un altro ha avuto un attacco di cuore che ha danneggiato gravemente il muscolo cardiaco, il terzo ha riportato gravi danni da schiacciamento al fegato (che è una ghiandola) in un incidente automobilistico. Tutti e tre i pazienti si sono stabilizzati e sopravviveranno, ma soltanto uno avrà un pieno recupero funzionale mediante la rigenerazione. Quale e perché?

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

Le membrane del corpo rivestono le superfici, delimitano le cavità del corpo e formano lamine con funzione protettiva (e spesso di lubrificazione) attorno a determinati organi. Esse rientrano in due gruppi principali: (1) le membrane epiteliali, che comprendono la cute, le membrane mucose e quelle sierose; (2) le membrane connettivali, rappresentate dalle membrane sinoviali. Alla cute o apparato tegumentario sarà dedicata la maggior parte di questo capitolo; prima però prenderemo in esame le altre membrane.

1. Classificazione delle membrane del corpo Le due principali categorie di membrane del corpo (epiteliali e connettivali) sono parzialmente classificate in base ai tessuti che le compongono. Le membrane epiteliali Le membrane epiteliali, dette anche membrane di rivestimento, comprendono la cute, le mucose e le sierose (figura 3.1 a pagina seguente). Definire «epiteliali» queste membrane è impreciso, in quanto tutte contengono una lamina epiteliale unita a uno strato sottostante di tessuto connettivo. Rimandiamo la trattazione della cute al paragrafo 2, ricordando che, a differenza delle altre membrane epiteliali, la cute è una membrana asciutta perché esposta all’aria. • Una membrana mucosa (o mucosa) è composta da un epitelio (che può essere di differenti tipi a seconda della sede) che poggia su una membrana di tessuto connettivo lasso, la lamina propria. Membrane di questo tipo rivestono tutte le cavità del corpo che si aprono all’esterno, come quelle degli organi cavi delle vie respiratorie, digerenti, urinarie e genitali (figura 3.1b). Va notato che il termine mucosa si riferisce soltanto alla localizzazione della membrana epiteliale e non al tipo di epitelio che la costituisce. Tuttavia la maggior parte delle mucose ha un epitelio pavimentoso stratificato (come nella cavità orale e nell’esofago) o un epitelio prismatico semplice (come nel resto del canale digerente). In tutti i casi sono membrane umide, pressoché costantemente bagnate da secreti o, nel caso delle mucose urinarie, da urina. L’epitelio delle mucose è spesso adattato a svolgere funzioni di assorbimento o di secrezione. Sebbene molte mucose secernano muco, questo non vale per tutte. Le mucose delle vie respiratorie e del canale digerente producono abbondante muco, che serve come protezione e lubrificazione; la mucosa delle vie urinarie no. • Una membrana sierosa (o sierosa) è composta da uno strato di epitelio pavimentoso semplice, che poggia su un sottile strato di tessuto connettivo fibrillare lasso.

Al contrario delle membrane mucose, le membrane sierose rivestono le cavità del corpo che non comunicano con l’esterno. Le membrane sierose sono formate da due foglietti (figura 3.1c); lo strato parietale riveste la cavità, poi si ripiega su se stesso formando lo strato viscerale che ricopre esternamente gli organi contenuti in quella cavità. Si può visualizzare il rapporto tra i due strati della sierosa spingendo il pugno in una palla sgonfia riempita soltanto in parte con acqua o aria (figura 3.1d). La parte della palla che aderisce strettamente al pugno può essere paragonata alla sierosa viscerale, che aderisce alla superficie esterna dell’organo. La parete esterna della palla rappresenta la sierosa parietale che riveste la parete della cavità. Nell’organismo i due strati delle sierose sono separati non da aria, ma da una esigua quantità di liquido chiaro e molto fluido, il liquido sieroso, secreto da entrambi gli strati della sierosa. Pur essendo separate da uno spazio potenziale, le due membrane tendono a stare vicinissime l’una all’altra. Il liquido sieroso permette agli organi di scivolare agevolmente sulle pareti della cavità e l’uno sull’altro senza attrito favorendo lo svolgere delle loro abituali funzioni. Questo fatto è di estrema importanza quando sono interessati organi mobili, come il cuore che svolge la sua attività di pompa, o lo stomaco che si contrae mescolando il suo contenuto. La denominazione specifica delle membrane sierose dipende dalla loro localizzazione. La sierosa che riveste la cavità addominale e ricopre gli organi in questa contenuti è il peritoneo. Nel torace le membrane sierose isolano ciascuno dei due polmoni e il cuore. La sierosa che circonda il polmone (figura 3.1c) è la pleura; quella che circonda il cuore è il pericardio. Le membrane connettivali Le membrane sinoviali sono composte da tessuto connettivo fibrillare lasso e non contengono cellule epiteliali. Queste membrane rivestono la faccia interna delle capsule fibrose che circondano le articolazioni (figura 3.2 a pagina 53), dove formano una superficie liscia e secernono un liquido lubrificante. Rivestono anche la superficie interna di piccoli sacchi di tessuto connettivo, le borse, e delle guaine dei tendini. Queste strutture agiscono tutte da cuscinetti per organi che si muovono l’uno contro l’altro per effetto dell’attività muscolare, come accade per il movimento di un tendine lungo una superficie ossea. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Qual è la differenza di localizzazione delle membrane mucose e sierose nell’organismo? 2. Cos’è la pleura e quale funzione svolge? 3. Dove puoi trovare una membrana sinoviale?

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

Mucosa della cavità nasale Mucosa della cavità orale

Cute (membrana cutanea)

Mucosa esofagea

Mucosa bronchiale

(a) Membrana cutanea

(b) Membrane mucose

Peritoneo parietale

Pleura parietale

Peritoneo viscerale

Pleura viscerale

Pericardio parietale

Pericardio viscerale

(c) Membrane sierose

Parete esterna (paragonabile alla sierosa parietale) Aria o acqua (paragonabile al liquido sieroso) Parete interna (paragonabile alla sierosa viscerale)

(d) Figura 3.1 Classi di membrane epiteliali (a) Cute, o membrana cutanea. (b) Le membrane mucose (in giallo) rivestono le cavità del corpo che si aprono all’esterno. (c) Le membrane sierose (in rosso) rivestono le cavità ventrali del corpo, che sono chiuse. (d) Un pugno spinto in una palla sgonfia serve a esemplificare il rapporto tra il foglietto parietale e quello viscerale di una membrana sierosa.

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

2. L’apparato tegumentario (cute)

Legamento

Cavità articolare (contiene il liquido sinoviale) Cartilagine articolare (ialina) Capsula fibrosa Membrana sinoviale

Capsula articolare

Figura 3.2 Una tipica articolazione sinoviale

Si potrebbe essere attratti dalla pubblicità di un soprabito impermeabile, elastico, lavabile, sempre stirato, che ripara in modo invisibile piccoli tagli, strappi e bruciature e la cui durata, con una ragionevole attenzione, è garantita per tutta la vita? Sembra troppo bello per essere vero, eppure abbiamo già tutti un soprabito di questo tipo: la membrana cutanea, cioè la cute. La cute, insieme ai suoi annessi (ghiandole sudoripare e sebacee, peli e unghie), svolge numerose funzioni, per la maggior parte di protezione. Nell’insieme questi organi formano l’apparato tegumentario. Le funzioni dell’apparato tegumentario La cute, detta anche tegumento, che semplicemente significa «rivestimento», è molto più che un rivestimento esterno del corpo. È assolutamente indispensabile in quanto trattiene nell’organismo l’acqua e altre molecole preziose. E mantiene anche fuori dall’organismo l’acqua (e altri agenti). (Questa è la ragione per cui si può nuotare per ore senza impregnarsi d’acqua.) Dal punto di vista strutturale la cute è prodigiosa: è flessibile ma resistente, e questo le permette di sopportare le continue aggressioni degli agenti esterni. Senza la cute, saremmo rapidamente preda dei batteri e moriremmo per la perdita di acqua e di calore. Il sistema tegumentario ha numerose funzioni, la maggior parte delle quali, anche se non tutte, sono funzioni di protezione (tabella 3.1). Esso isola gli organi situati in

Tabella 3.1 Funzioni dell’apparato tegumentario

Funzioni Protegge i tessuti sottostanti da • Danni meccanici (traumi) • Danni chimici (acidi e basi) • Danni da batteri

• Radiazioni ultraviolette (effetti dannosi della luce solare) • Danni termici (da caldo o da freddo) • Essiccamento Contribuisce alla dispersione del calore o a mantenere il calore (sotto il controllo del sistema nervoso) Contribuisce all’escrezione di urea e acido urico Sintetizza vitamina D

Modalità di svolgimento Barriera fisica contenente cheratina che indurisce le cellule; le cellule adipose attutiscono i colpi; i recettori di pressione avvertono il sistema nervoso dei possibili danni. Le cellule cheratinizzate sono relativamente impermeabili; i recettori dolorifici avvertono il sistema nervoso dei possibili danni. La superficie è integra e rivestita da un «mantello acido» (le secrezioni cutanee sono acide e così inibiscono i batteri). I fagociti inglobano le sostanze estranee e gli agenti patogeni, impedendo la loro penetrazione nei tessuti sottostanti. La melanina prodotta dai melanociti protegge dai danni da UV. Presenza di recettori per il caldo e per il freddo. Presenza di glicolipidi impermeabili e di cheratina. Perdita di calore: attivazione delle ghiandole sudoripare e aumento dell’afflusso di sangue nel letto capillare cutaneo, cosicché il calore può essere irradiato dalla superficie cutanea. Ritenzione di calore: riduzione dell’afflusso di sangue nel letto capillare cutaneo. Eliminazione di queste sostanze nel sudore prodotto dalle ghiandole sudoripare. Molecole di colesterolo modificate vengono convertite in vitamina D ad opera della luce solare.

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

profondità e fa loro da cuscinetto, e protegge l’intero organismo dai danni meccanici (urti e tagli), dai danni chimici (come quelli da acidi e da basi), dai danni termici (caldo e freddo), dalle radiazioni ultraviolette (dei raggi solari) e dai batteri. Lo strato più superficiale della cute, lo strato corneo, è ricchissimo di cheratina ed è indurito, contribuendo a impedire la perdita di acqua dalla superficie del corpo. La ricca rete capillare della cute e le ghiandole sudoripare (l’una e le altre controllate dal sistema nervoso) hanno un ruolo importante nel regolare la perdita di calore dalla superficie corporea. La cute agisce come un sistema escretore in miniatura: con il sudore vengono perduti urea, sali minerali e acqua. Inoltre la cute produce diverse proteine importanti per l’immunità e sintetizza vitamina D. (Le molecole modificate di colesterolo localizzate nella cute sono convertite in vitamina D dalla luce solare.) Infine nella cute sono localizzati i recettori cutanei di senso, che in realtà fanno parte del sistema nervoso. Questi piccoli sensori, che comprendono recettori tattili, di pressione, recettori per la temperatura e per il dolore, ci forniscono una grande quantità di informazioni sull’ambiente esterno; ci avvertono degli urti e della presenza di fattori dannosi per i tessuti, così come delle sensazioni del vento nei capelli e di una carezza. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

4. Quale funzione svolge lo strato corneo della cute? 5. Quali sono tre importanti funzioni dell’apparato tegumentario?

La struttura della cute La cute è composta da due tipi di tessuto. All’esterno si trova l’epidermide, costituita da epitelio pavimentoso stratificato capace di cheratinizzazione, che lo rende duro e resistente. Il derma sottostante è formato prevalentemente da tessuto connettivo denso. Epidermide e derma sono uniti saldamente; tuttavia una scottatura o l’attrito (come lo sfregamento di una scarpa poco adatta) possono causarne la separazione, permettendo al liquido interstiziale di accumularsi nello spazio interposto formando una vescica. Sotto al derma si trova il tessuto sottocutaneo, o ipoderma, essenzialmente costituito da tessuto adiposo, che non è considerato una parte della cute, ma serve ad ancorare la cute agli organi sottostanti. Il tessuto sottocutaneo ha la funzione di ammortizzare gli urti e di isolare i tessuti più profondi dalle variazioni di temperatura estreme che si verificano all’esterno del corpo. È anche responsabile del contorno curvilineo del corpo, più caratteristico dell’anatomia femminile che di quella maschile. Qui di seguito descriveremo le principali aree e strutture della cute (figure 3.3 e 3.4).

Epidermide • Strato

corneo • Strato

lucido • Strato

granuloso • Strato

spinoso • Strato

basale

Derma

Figura 3.3 Epidermide di una regione a cute spessa (Ž 150) Fonte: Henry Gray, Gray’s Anatomy. Churchill Livingstone, UK. [Trad. it. Anatomia del Gray, Zanichelli, Bologna, 2001.]

L’epidermide L’epidermide è formata da cinque strati. Procedendo dall’interno verso l’esterno gli strati sono: strato basale, spinoso, granuloso, lucido e corneo (vedi figura 3.3). Come tutti gli altri epiteli di rivestimento, l’epidermide è priva di vasi, cioè non ha una vascolarizzazione propria. Questo spiega perché un uomo può radersi ogni giorno senza sanguinare, anche se asporta molti strati di cellule a ogni rasatura. Le cellule dell’epidermide sono per la maggior parte cheratinociti, che producono cheratina, una proteina fibrosa che fa dell’epidermide un resistente strato di protezione. Lo strato cellulare più profondo, lo strato basale, è quello situato più vicino al derma. Questo strato basale contiene le cellule dell’epidermide che sono nutrite più adeguatamente attraverso la diffusione delle sostanze dal derma. Tali cellule sono continuamente soggette alla divisione cellulare, producendo ogni giorno milioni di nuove cellule; si spiega così la denominazione alternativa di questo strato: strato germinativo. Le cellule figlie sono sospinte verso l’alto, allontanandosi dalla fonte di nutrizione e andando a far parte di strati dell’epidermide più prossimi alla superficie cutanea. Nell’allontanarsi dal derma e nell’andare a far parte degli strati più superficiali, lo strato spinoso e poi lo strato granuloso, vanno progressivamente appiattendosi e riempiendosi di cheratina. Infine muoiono, formando lo strato lucido, chiaro.

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

Per saperne di più ■■ I TATUAGGI I tatuaggi sono eseguiti impiegando un ago per depositare pigmento nel derma. Il tatuaggio è una pratica antica che si ritiene abbia avuto origine circa 10 000 anni fa. Al giorno d’oggi i tatuaggi sono per alcuni uomini simbolo di appartenenza a un club (bande di strada, militari, associazioni studentesche); altre persone vedono in essi un simbolo di individualità. In questi ultimi anni ai tatuaggi ha fatto ricorso un sempre maggior numero di donne, come mezzo di espressione e a scopi cosmetici; negli Stati Uniti l’eye-liner permanente e i contorni delle labbra tatuati rappresentano oltre 125 000 tatuaggi all’anno. Ma cosa accade se un tatuaggio non è più di moda o il pigmento migra? L’eliminazione di un tatuaggio è stata ed è ancora una sofferenza, dal punto di vista sia fisico sia economico. Fino a poco tempo fa un tatuaggio, una volta fatto, vi rimaneva per sempre, perché i tentativi di toglierlo (tramite dermoabrasione, criochirurgia o applicazione di sostanze chimiche caustiche) lasciavano brutte cicatrici. Con le nuove tecnologie che impiegano il laser i dermatologi non hanno problemi a distruggere i pigmenti neri o

blu nei tatuaggi effettuati una generazione fa, ma i tatuaggi più recenti a molti colori sono più problematici. Il gran numero di pigmenti nei tatuaggi richiede oggi l’impiego di parecchi laser differenti nel corso di sette-nove trattamenti a intervalli di circa un mese, che costano ciascuno da 75 a 150 dollari. Il costo in sofferenza fisica è approssimativamente uguale a quello dell’essersi fatti tatuare nella sede iniziale. Nondimeno in tutto il territorio degli Stati Uniti il numero delle rimozioni dei tatuaggi sta salendo vertiginosamente. I tatuaggi presentano altri rischi. Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha sancito alcune norme concernenti la composizione dei pigmenti per tatuaggi, ma la loro sicurezza non è provata. Infatti gli studi effettuati sui coloranti nei locali dove si effettuano tatuaggi hanno dimostrato la presenza di agenti cancerogeni che potrebbero essere attivati durante la rimozione del tatuaggio. Le norme statutarie variano ampiamente (da nessuna alla totale proibizione) da uno Stato all’altro. Inoltre, in ogni caso vengono usati aghi e si ha sanguinamento, e la competenza degli esecutori

nina forma sopra la parte superficiale del nucleo un «ombrello» di pigmento che ripara il materiale genetico (DNA) dagli effetti dannosi dei raggi ultravioletti della luce solare. Quando la melanina è concentrata in una chiazza compaiono le lentiggini e i nei (o nevi). SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Nonostante l’azione protettiva della melanina, l’eccessiva esposizione solare finisce per causare danni alla cute; determina l’ammassarsi delle fibre elastiche, rendendo coriacea la cute. Inoltre deprime il sistema immunitario. Questo può servire a spiegare perché molte persone affette da herpes simplex, o herpes labiale, hanno con maggiore probabilità un’eruzione dopo un bagno di sole. Un’eccessiva esposizione solare può provocare anche alterazioni del DNA delle cellule cutanee, portando a un cancro della cute. Gli individui di pelle nera hanno raramente un cancro della cute, attestando così la sorprendente efficienza della melanina come schermo solare naturale.

varia in modo rilevante. Se chi effettua i tatuaggi non segue procedure rigorosamente sterili, il tatuaggio può diffondere infezioni. Il rischio di contrarre l’epatite C (un’infezione cronica del fegato) è 15 volte maggiore nelle persone tatuate rispetto a quelle senza tatuaggi. Pertanto, nel valutare l’ipotesi di farsi fare un tatuaggio, è necessario soppesate attentamente questa scelta.

Il derma Il derma è la nostra «pelle». È un involucro robusto ed elastico che serve a tenere insieme il corpo. Quando compriamo oggetti di cuoio (borse, cinture, scarpe e simili), stiamo acquistando il derma trattato di animali. Il tessuto connettivo denso (fibroso) che forma il derma è costituito da due regioni principali: la regione papillare e quella reticolare. Come l’epidermide, il derma ha spessore variabile. Per esempio, è particolarmente spesso nel palmo della mano e nella pianta del piede, mentre è molto sottile nelle palpebre. Lo strato papillare è la regione superficiale del derma. È irregolare e la sua superficie superiore presenta sporgenze simili a picchetti, le papille del derma, che si insinuano nella soprastante epidermide. Molte papille del derma contengono anse capillari, che forniscono sostan-

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

ze nutritizie all’epidermide. In altre sono situati recettori dolorifici (terminazioni nervose libere) e recettori tattili (corpuscoli di Meissner). Nel palmo della mano e nella pianta del piede le papille sono disposte secondo modelli definiti che formano creste ad ansa e a spirale sulla superficie dell’epidermide, le quali aumentano l’attrito e accrescono la capacità di presa delle dita delle mani e dei piedi. Il modello di disposizione delle papille è determinato geneticamente. Le creste della punta delle dita sono ricche di pori e lasciano su quasi tutto ciò che toccano sottili, unici, strati di sudore che consentono l’identificazione: le impronte digitali. Lo strato reticolare è la parte più profonda della cute. Contiene vasi sanguigni, ghiandole sudoripare e sebacee, e recettori profondi per gli stimoli pressori, i corpuscoli di Pacini (vedi figura 3.4). I fagociti qui presenti agiscono impedendo ai batteri che sono riusciti ad attraversare l’epidermide di entrare più in profondità nell’organismo. In tutto il derma si trovano fibre sia collagene sia elastiche. Alle fibre collagene si deve la resistenza del derma; inoltre queste fibre attraggono e legano acqua e così contribuiscono a mantenere idratata la cute. Le fibre elastiche conferiscono elasticità alla cute quando si è giovani; con il progredire dell’età il numero delle fibre collagene ed elastiche si riduce, e il tessuto sottocutaneo perde grassi. Ne consegue che la cute perde elasticità e comincia ad afflosciarsi e a raggrinzirsi. Il derma è ricco di vasi sanguigni che contribuiscono a mantenere l’omeostasi della temperatura corporea. Quando la temperatura è elevata, i capillari del derma appaiono congestionati e la cute diventa arrossata e calda; questo consente al calore del corpo di disperdersi per irradiazione dalla superficie cutanea. Se l’ambiente esterno è freddo e si deve conservare il calore del corpo, la quantità di sangue che arriva ai capillari del derma diminuisce temporaneamente in modo da evitare dispersione di calore, consentendo alla temperatura interna del corpo di restare elevata. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Qualunque riduzione del normale afflusso di sangue alla cute comporta la morte di cellule e, se è grave o sufficientemente prolungata, la formazione di ulcere cutanee. Le ulcere da decubito si verificano nei pazienti costretti a letto che non sono stati regolarmente girati per cambiare posizione, o che sono ripetutamente trascinati o tirati da una parte all’altra del letto. Il peso del corpo esercita una pressione sulla cute, specialmente in corrispondenza delle protuberanze ossee; poiché tale pressione limita l’apporto di sangue, la cute diviene pallida nei punti in cui agisce la pressione. Inizialmente, quando la zona non è più soggetta a pressione, la cute ritorna rosea, ma se la condizione non viene corretta le cellule cominciano a morire e nelle zone compresse compaiono piccole fessure o rotture della cute. Un danno permanente dei vasi sanguigni e dei tessuti superficiali porta infine alla degenerazione e all’ulcerazione della cute (figura 3.5).

Il derma è anche riccamente innervato. Molte termina-

Figura 3.5 Fotografia di un’ulcera da decubito profonda (III stadio)

zioni nervose hanno organi terminali recettori specializzati che, quando sono stimolati da fattori ambientali (pressione, temperatura, e simili), inviano al sistema nervoso centrale i messaggi da interpretare. Di questi recettori cutanei tratteremo più a fondo nel capitolo 6. Il colore della cute A determinare il colore della cute contribuiscono tre pigmenti: 1. La quantità e il tipo (giallo, bruno rossiccio o nero) della melanina presente nell’epidermide. 2. La quantità di carotene depositato nello strato corneo e nel tessuto sottocutaneo. (Il carotene è un pigmento giallo-arancio presente in abbondanza nelle carote e in altri vegetali di colore arancione o giallo intenso, o a foglia verde.) La cute tende ad assumere una sfumatura giallo-arancio quando si consumano grandi quantità di alimenti ricchi di carotene. 3. La quantità di emoglobina (pigmento contenuto nei globuli rossi del sangue) ossigenata nei vasi sanguigni del derma. Gli individui che producono molta melanina hanno una cute a sfumatura bruna. Negli individui a cute chiara (caucasici), che hanno meno melanina, il colore rosso acceso dell’emoglobina ossigenata nei vasi sanguigni del derma traspare attraverso gli strati cellulari soprastanti e conferisce alla cute un colorito roseo. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Quando l’emoglobina è poco ossigenata, nei caucasici il sangue e la cute appaiono di colore bluastro; tale condizione è la cianosi. La cianosi è comune nell’insufficienza cardiaca e nelle malattie respiratorie gravi. Nelle stesse condizioni, negli individui di pelle nera la cute non appare cianotica perché il colore è mascherato dalla melanina, ma la cianosi è evidente nelle mucose.

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

Anche le emozioni influenzano il colore della cute e molte alterazioni del colorito cutaneo sono segno di determinati stati morbosi: • Rossore, o eritema. Una cute arrossata può essere indice di imbarazzo (quando si arrossisce), di stato febbrile, di ipertensione arteriosa, di infiammazione o di allergia. • Pallore. In certi tipi di stress emotivo (paura, collera o altro) alcuni individui diventano pallidi. Un pallore cutaneo può anche essere segno di anemia, bassa pressione del sangue o difficoltà di circolazione del sangue in quella regione. • Ittero. Un anomalo colorito giallo della cute di solito indica un’alterazione del fegato, che può liberare i pigmenti biliari in eccesso nel sangue. Questi quindi circolano in tutto l’organismo e si depositano nei tessuti. • Lividi. Le tracce di lividi segnalano zone in cui il sangue è fuoriuscito dai vasi e si è coagulato negli spazi tessutali. Questi grumi di sangue sono gli ematomi. Un’insolita tendenza alla comparsa di lividi può essere segno di carenza di vitamina C nella dieta o di emofilia (una malattia della coagulazione del sangue). ■■ FACCIAMO IL PUNTO

6. Qual è il tipo cellulare più abbondante nell’epidermide? 7. Quale strato dell’epidermide produce nuove cellule che rimpiazzano quelle morte? 8. L’eccessiva desquamazione dello strato superficiale della cute del cuoio capelluto provoca la forfora. Qual è il nome di questo strato della cute? 9. Quali pigmenti determinano il colore della cute?

Gli annessi cutanei Gli annessi cutanei comprendono le ghiandole cutanee, i peli e i follicoli piliferi, le unghie (vedi figura 3.4). Ciascuno di questi annessi si origina dall’epidermide e svolge un ruolo unico nel mantenere l’omeostasi dell’organismo. Le ghiandole della cute Le ghiandole della cute sono tutte ghiandole esocrine che, per mezzo dei loro dotti escretori, emettono il secreto sulla superficie cutanea. Esse rientrano in due gruppi: le ghiandole sebacee e le ghiandole sudoripare. Queste ghiandole si spingono nelle regioni più profonde della cute e alla fine si trovano pressoché interamente nel derma.

Le ghiandole sebacee sono distribuite su tutta la superficie cutanea, ad eccezione del palmo delle mani e della pianta dei piedi. I loro dotti escretori di solito sboccano in un follicolo pilifero (vedi figure 3.4 e 3.6), ma alcuni si aprono direttamente sulla superficie della cute.

Il secreto delle ghiandole sebacee, il sebo, è una miscela di materiali oleosi e di cellule frammentate. Il sebo è un materiale lubrificante che mantiene morbida e umida la cute. Contiene inoltre sostanze chimiche che uccidono i batteri, e quindi è importante nell’impedire ai batteri presenti sulla superficie cutanea di invadere le regioni più profonde della cute. L’attività delle ghiandole sebacee aumenta considerevolmente quando aumenta la produzione di ormoni sessuali maschili (in entrambi i sessi) durante l’adolescenza. Perciò in questo periodo della vita la cute tende a divenire più grassa. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Quando il dotto escretore di una ghiandola sebacea è bloccato dal sebo, sulla superficie cutanea compare un punto bianco. Se il materiale accumulato si ossida e si secca, annerisce, formando un punto nero. L’acne è un’infezione delle ghiandole sebacee che si accompagna a pustole sulla cute. Può essere lieve o estremamente grave fino a causare cicatrici permanenti. La seborrea, detta «crosta lattea» nei bambini piccolissimi, è dovuta a un’eccessiva attività delle ghiandole sebacee. All’inizio si presenta sul cuoio capelluto come lesioni rosee rilevate, che gradualmente formano una crosta giallobruna da cui si sfaldano squame untuose. Spesso è utile l’accurato lavaggio per eliminare l’eccesso di grasso.

Le ghiandole sudoripare sono largamente distribuite nella cute; il loro numero è incredibile: più di 2,5 milioni a persona. Esistono due tipi di ghiandole sudoripare: le ghiandole eccrine e quelle apocrine. Le ghiandole eccrine sono di gran lunga le più numerose e si trovano su tutta la superficie del corpo. Producono il sudore, un secreto chiaro essenzialmente composto da acqua contenente sali (cloruro di sodio), vitamina C, tracce di rifiuti metabolici (ammoniaca, urea, acido urico) e acido lattico (una sostanza che si accumula durante un’intensa attività fisica). Il sudore è acido (pH da 4 a 6) e questa caratteristica inibisce la crescita dei batteri, che sono sempre presenti sulla superficie cutanea. Il sudore arriva alla superficie della cute per mezzo di un dotto escretore che si apre all’esterno in un poro imbutiforme (figura 3.6; vedi anche figura 3.4). Va tuttavia notato che i «pori» della faccia a cui ci riferiamo comunemente nel parlare del nostro viso non sono questi pori sudoripari, ma sbocchi all’esterno di follicoli piliferi. Le ghiandole sudoripare eccrine sono una componente importante e altamente efficiente del sistema di termoregolazione dell’organismo. Sono dotate di terminazioni nervose che le stimolano a secernere sudore quando la temperatura esterna o quella corporea è elevata. L’evaporazione del sudore provoca un’ampia dispersione di calore. In una giornata calda si possono perdere in questo modo fino a 7 litri di acqua. La termoregolazione dell’organismo è importante: se la temperatura interna subisce variazioni oltre qualche grado rispetto ai normali 37 °C, si verificano nell’organismo alterazioni che fanno

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO Cuticola

Fusto del pelo

Corticale Midollare

Muscolo erettore del pelo Ghiandola sebacea Radice del pelo

(b) Pelo

Bulbo all’interno del follicolo pilifero Figura 3.8 Fotografia al microscopio elettronico a scansione che mostra il fusto di un pelo che emerge dal follicolo a livello della superficie cutanea

(a)

Va notata la parziale sovrapposizione delle cellule squamose della cuticola l’una sull’altra (‰ 1300).

Follicolo pilifero

do tutti i diversi colori dei peli, dal biondo pallido al nero pece. I peli si presentano con varie forme e dimensioni. Sono corti e rigidi nelle sopracciglia, lunghi e flessibili sul capo e di solito quasi invisibili in quasi tutte le altre sedi. A seconda della forma del fusto i peli e i capelli saranno lisci, ondulati, sottili o doppi. I peli sono distribuiti su tutta la superficie del corpo, tranne che nel palmo delle mani, nella pianta dei piedi, nei capezzoli e nelle labbra. Alla nascita sono già presenti tutti i follicoli piliferi che un individuo avrà nella vita e i peli sono tra i tessuti dell’organismo che si accrescono più rapidamente. Lo sviluppo delle regioni dotate di peli – il cuoio capelluto e, nell’adulto, la regione pubica e quella ascellare – dipende dagli ormoni.

Guaina esterna (formata dal derma) Guaina interna (formata dall’epidermide)

Matrice (zona di accrescimento) del bulbo pilifero Melanocito Papilla di tessuto connettivo contenente vasi sanguigni

(c) Figura 3.7 Struttura del pelo e del follicolo pilifero (a) Sezione longitudinale di un pelo all’interno del suo follicolo pilifero. (b) Ingrandimento della sezione longitudinale del pelo. (c) Ingrandimento della sezione longitudinale del bulbo pilifero espanso all’interno del follicolo, che mostra la matrice, la regione di cellule epiteliali in attiva divisione che produce il pelo.

cheratina delle regioni interne del pelo si increspino: un fenomeno noto come «doppie punte». Il pigmento del pelo è prodotto da melanociti situati nel bulbo pilifero, quantità variabili dei differenti tipi di melanina (gialla, color ruggine, bruna e nera) si combinano determinan-

I follicoli piliferi sono in realtà strutture composte. La guaina interna è composta da tessuto epiteliale e forma il pelo. La guaina esterna è costituita dal tessuto connettivo del derma. La regione costituita dal derma fornisce i vasi sanguigni per la parte formata da epidermide e la rinforza. La papilla contiene i vasi sanguigni per la matrice del bulbo pilifero. Minuti fascetti di cellule muscolari lisce, i muscoli erettori del pelo, connettono ogni lato del follicolo pilifero al tessuto del derma. Quando questi muscoli si contraggono (per esempio, quando abbiamo freddo o siamo spaventati) i peli si raddrizzano, increspando la superfi-

60 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO Matrice ungueale

Radice dell’unghia

Cuticola

Corpo dell’unghia

Corpo dell’unghia

Margine libero dell’unghia

Osso della falange distale Lunula Strato basale

Cuticola

(a) Superficie dorsale

(b) Sezione longitudinale della parte distale di un dito

Figura 3.9 Struttura dell’unghia

cie cutanea nella «pelle d’oca». Negli animali questo effetto serve per tenersi caldi durante l’inverno, aggiungendo alla pelliccia uno strato isolante di aria. Ciò è particolarmente evidente in un gatto spaventato, il cui pelo è realmente tutto ritto per farlo sembrare più grande e far fuggire il nemico per lo spavento. Tuttavia questo fenomeno dell’erezione dei peli non ha molta utilità per gli individui della specie umana. Le unghie L’unghia è una modificazione dell’epidermide a forma di lamina che corrisponde allo zoccolo o all’artiglio di altri animali. Ogni unghia ha un margine libero, un corpo (la parte attaccata visibile) e una radice (inserita nella cute). La spessa piega cutanea prossimale è detta cuticola (figura 3.9). La regione ispessita che si estende al di sotto dell’unghia, detta matrice ungueale, è responsabile dell’accrescimento dell’unghia. A mano a mano che vengono prodotte dalla matrice, le cellule dell’unghia diventano fortemente cheratinizzate e muoiono. Quindi le unghie, come i peli, sono per la maggior parte materiale non vivente. Le unghie sono trasparenti e quasi prive di colore, ma appaiono rosee per la ricca vascolarizzazione del derma sottostante. Fa eccezione la regione soprastante la matrice ispessita dell’unghia, la lunula, che si presenta come una semiluna bianca. Quando l’ossigenazione del sangue è scarsa, il letto ungueale assume un colore cianotico (bluastro). ■■ FACCIAMO IL PUNTO

10. Quali sono le tre regioni concentriche del fusto del pelo, dall’esterno all’interno? 11. Cos’è il sebo? 12. Qual è la differenza tra il secreto delle ghiandole sudoripare apocrine e il secreto di quelle eccrine?

Gli squilibri omeostatici della cute Le alterazioni della cute non possono passare inosservate data la loro manifestazione molto vistosa. La cute può presentare oltre mille alterazioni differenti; i disturbi cutanei più comuni sono dovuti ad allergie o a infezioni batteriche, virali o fungine. Meno comuni, ma di gran lunga più lesive, sono le ustioni e il cancro della cute. Qui di seguito sono brevemente compendiati alcuni degli squilibri omeostatici della cute. Infezioni e allergie

• Piede d’atleta. È un’affezione pruriginosa, con arrossamento e desquamazione della cute interdigitale del piede, dovuta a un’infezione da funghi. È detta anche tinea pedis. • Foruncoli e favi. I foruncoli sono un’infiammazione dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee, comuni nella parte dorsale del collo. I favi sono agglomerati di foruncoli dovuti a un’infezione batterica (spesso da Staphylococcus aureus). • Herpes labiale. Si manifesta con vescicole piene di liquido, con prurito e bruciore, dovute a infezione da herpes simplex. Il virus si localizza in un nervo cutaneo, dove rimane silente finché non viene attivato da un grave turbamento emotivo, da febbre o da radiazioni ultraviolette (UV). Compare di solito attorno alle labbra e nella mucosa orale (figura 3.10a a pagina seguente). • Dermatite da contatto. Si manifesta con prurito, arrossamento ed edema della cute, che progrediscono fino alla formazione di vescicole. È dovuta all’esposizione della cute a sostanze chimiche che provocano risposte allergiche negli individui sensibilizzati. • Impetigine. Si manifesta con lesioni bollose, rosee, pie-

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

rie e guariscono in genere in due o tre giorni senza alcuna attenzione particolare. L’eritema solare è di solito un’ustione di primo grado. Le ustioni di secondo grado comportano danni dell’epidermide e della parte superiore del derma. La cute è arrossata e dolente e compaiono vesciche. Poiché è ancora presente un numero adeguato di cellule epiteliali, si può avere la rigenerazione dell’epitelio. Di solito, se si ha cura di impedire le infezioni non si formano cicatrici permanenti. Le ustioni di primo e secondo grado sono dette ustioni a spessore parziale. Le ustioni di terzo grado distruggono l’intero spessore della cute, quindi sono dette anche ustioni a tutto spessore. La regione ustionata appare pallida (di colore bianco-grigio) o annerita, e non è dolente, poiché le sue terminazioni nervose sono state distrutte. Nelle ustioni di terzo grado la rigenerazione non è possibile ed è necessario effettuare trapianti di cute per ricoprire i tessuti sottostanti esposti. In generale le ustioni sono considerate critiche se sussiste una qualunque delle seguenti condizioni: 1. ustioni di secondo grado in oltre il 25% del corpo 2. ustioni di terzo grado in oltre il 10% del corpo 3. sono presenti ustioni di terzo grado della faccia, delle mani o dei piedi Le ustioni del volto sono particolarmente pericolose per la possibilità di ustioni delle vie respiratorie, che possono diventare edematose e provocare soffocamento. Le ustioni a livello delle articolazioni sono fastidiose perché il tessuto cicatriziale può limitare gravemente la mobilità dell’articolazione stessa. Il cancro della cute Nella cute possono formarsi molti tipi di neoplasie. Per la maggior parte i tumori cutanei sono benigni e non danno metastasi in altre regioni del corpo. (Esempi di

?

questo tipo sono le verruche, causate da un virus.) Tuttavia alcune neoplasie della cute sono maligne e tendono a invadere altre regioni del corpo. In realtà il cancro della cute è il tipo più comune di cancro negli individui della nostra specie. Il fattore di rischio più importante è l’eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti della luce solare. Sembra essere un fattore predisponente anche l’irritazione della cute causata da infezioni, agenti chimici o traumi fisici. • Il carcinoma basocellulare è il cancro della cute meno maligno e più comune. Le cellule dello strato basale, alterate in modo da non potere più produrre cheratina, non rispettano più il confine tra epidermide e derma e proliferano invadendo il derma e il tessuto sottocutaneo. Le lesioni neoplastiche insorgono più spesso nelle regioni esposte della faccia e si presentano come noduli lucenti cupoliformi (figura 3.12a). Il carcinoma basocellulare ha crescita relativamente lenta e raramente dà metastasi prima che lo si noti. Il trattamento risulta radicale nel 99% dei casi in cui la lesione è asportata chirurgicamente. • Il carcinoma a cellule squamose si origina dalle cellule dello strato spinoso. La lesione si presenta come un piccolo rilievo arrotondato arrossato, squamoso, che gradualmente forma un’ulcera (figura 3.12b). Questa varietà di cancro della cute compare più spesso sul cuoio capelluto, sulle orecchie, sul dorso delle mani, sul labbro inferiore. Si accresce rapidamente e se non è asportato dà metastasi ai linfonodi adiacenti. Si ritiene che anche questo cancro dell’epidermide sia indotto dall’esposizione diretta alla luce solare. Se diagnosticato all’inizio e asportato chirurgicamente o trattato con radioterapia, le probabilità di guarigione completa sono buone. • Il melanoma maligno è un cancro dei melanociti. Rappresenta soltanto il 5% circa dei tumori maligni della

Quale di questi tumori risulta il meno maligno? Quale strato di cellule interessa?

(a) Carcinoma basocellulare

(b) Carcinoma a cellule squamose

(c) Melanoma maligno

Figura 3.12 Fotografie di tumori maligni della cute

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

cute, ma la sua incidenza sta rapidamente aumentando ed è spesso mortale. Il melanoma può insorgere ovunque sia presente pigmento; per la maggior parte compare spontaneamente, ma in alcuni casi si sviluppa da un nevo pigmentato. Si origina per l’accumulo di danni del DNA in una cellula della cute e di solito si presenta come una macchia bruno-nera che si espande (figura 3.12c) e dà rapidamente metastasi ai linfonodi circostanti e ai vasi sanguigni. La probabilità di sopravvivenza è del 50% circa ed è importante la diagnosi precoce. Di solito si consiglia alle persone che si espongono molto alla luce solare diretta o frequentano i saloni di abbronzatura di esaminare periodicamente la propria cute per scoprire eventuali nuovi nevi o chiazze pigmentate. La terapia abituale del melanoma maligno è l’asportazione chirurgica associata a immunoterapia. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

13. Quali sono le due conseguenze di una grave ustione che mettono in pericolo la vita? 14. Quali sono i criteri di classificazione delle ustioni in ustioni di primo, secondo e terzo grado? 15. Qual è il più comune fattore di rischio per il cancro della cute?

3. Aspetti dello sviluppo della cute e delle membrane del corpo Nel quinto e sesto mese dello sviluppo fetale il nascituro è completamente rivestito da una peluria sottile, detta lanugine, che di solito però viene perduta prima della nascita. Alla nascita la cute del bambino è coperta da una sostanza grassa biancastra, prodotta dalle ghiandole sebacee, che protegge la cute del feto finché questo è immerso nel liquido amniotico all’interno dell’organismo materno. La cute del neonato è sottilissima e lascia facilmente trasparire i vasi sanguigni. Intanto che il neonato cresce, la sua cute diventa più spessa e umida e progressivamente si deposita il grasso sottocutaneo. Durante l’adolescenza la cute e i capelli divengono più grassi perché sono stimolate le ghiandole sebacee e può comparire l’acne. Di solito l’acne regredisce all’inizio dell’età adulta e la cute raggiunge il suo aspetto ottimale tra i venti e i quarant’anni di età. Poi cominciano a manifestarsi modificazioni visibili della cute, poiché è continuamente soggetta all’abrasione, agli effetti di agenti chimici, del vento, dei raggi solari e di altri fattori irritanti, e i suoi pori vengono ostruiti da agenti inquinanti dell’aria e da batteri. Di conseguenza diventa più comune la comparsa di piccoli foruncoli, di desquamazioni e di varie forme di infiammazione cutanea, o dermatite.

Nell’età avanzata il grasso sottocutaneo si riduce, portando all’intolleranza al freddo così comune negli anziani. La cute diviene anche più secca (per la ridotta produzione di sebo) e di conseguenza può causare prurito e fastidio. L’assottigliarsi della cute, un’altra conseguenza del processo di invecchiamento, la rende più suscettibile alla comparsa di lividi e ad altri tipi di lesioni. La diminuita elasticità della cute, insieme alla perdita di grasso sottocutaneo, permette la formazione di borse sotto gli occhi, e le guance cominciano ad afflosciarsi. Tale perdita di elasticità è accelerata dal fumo e dall’esposizione ai raggi solari, quindi due ottime cose che si possono fare per la propria cute sono: (1) non fumare e (2) proteggere la cute dalla luce solare con creme schermanti e abbigliamento protettivo. Così facendo si ridurrà anche il rischio di cancro della cute. Non vi è modo di evitare l’invecchiamento della cute, ma una buona alimentazione, l’abbondanza di liquidi e la pulizia aiutano a ritardare il processo. Nell’invecchiare, i capelli perdono lucentezza e verso i cinquant’anni il numero dei follicoli piliferi si è ridotto di un terzo e continua a diminuire, portando in molte persone a un impoverimento della capigliatura e a un certo grado di calvizie, o alopecia. Molti uomini nell’invecchiare diventano calvi in modo evidente, e questo fenomeno è definito alopecia androgenetica. Un uomo calvo non è realmente glabro: nella regione calva ha effettivamente dei peli. Però, dato che questi follicoli piliferi hanno cominciato a degenerare, i peli sono privi di colore e sottilissimi (e possono anche non emergere dal follicolo). Tali peli (simili a lanugine) sono definiti vellus. Un altro fenomeno dell’invecchiamento è l’incanutimento dei peli. Questo processo, come la calvizie, è di solito controllato geneticamente da un gene «ad azione ritardata». Una volta che il gene ha cominciato ad agire, la quantità di melanina depositata nei peli diminuisce o manca del tutto, cosicché i peli diventano grigi o bianchi. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Certi eventi possono causare prematuramente l’incanutimento o la caduta dei capelli. Per esempio, molte persone sostengono di essere incanutite quasi improvvisamente per una forte crisi emotiva. Sappiamo inoltre che l’ansia, una dieta carente di proteine, il trattamento con determinati farmaci (chemioterapia), le radiazioni, l’eccesso di vitamina A e certe malattie causate da funghi (tinea) possono essere causa sia di incanutimento sia di perdita dei capelli. Tuttavia, quando la causa di queste condizioni non è genetica, la caduta dei capelli di solito non è permanente. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

16. Quale modificazione dovuta all’invecchiamento della cute è responsabile delle rughe e dell’intolleranza al freddo delle persone anziane?

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

MAPPA DEGLI APPARATI RELAZIONI OMEOSTATICHE DELL’APPARATO TEGUMENTARIO CON GLI ALTRI APPARATI Sistema nervoso • La cute protegge gli organi del sistema nervoso; nella cute sono localizzati recettori di senso • Il sistema nervoso regola il diametro dei vasi sanguigni cutanei; attiva le ghiandole sudoripare, contribuendo alla termoregolazione; interpreta le informazioni sensoriali provenienti dalla cute; attiva i muscoli erettori dei peli

Apparato endocrino • La cute protegge gli organi endocrini • Gli androgeni prodotti dall’apparato endocrino attivano le ghiandole sebacee e contribuiscono a regolare la crescita dei peli; gli estrogeni contribuiscono a mantenere l’idratazione della cute

Apparato respiratorio • La cute protegge gli organi dell’apparato respiratorio • L’apparato respiratorio fornisce l’ossigeno per le cellule della cute e allontana il diossido di carbonio attraverso gli scambi gassosi con il sangue

Sistema linfatico/immunità • La cute protegge gli organi linfatici; impedisce l’invasione da parte di agenti patogeni • Il sistema linfatico impedisce l’edema riprendendo i liquidi fuoriusciti in eccesso dai vasi sanguigni; il sistema immunitario protegge le cellule della cute

Apparato cardiovascolare • La cute protegge gli organi dell’apparato cardiovascolare; impedisce la perdita di liquidi dalla superficie del corpo; agisce da bacino di riserva del sangue • L’apparato cardiovascolare trasporta alla cute ossigeno e sostanze nutritizie e ne allontana i prodotti di rifiuto; fornisce alle ghiandole della cute le sostanze necessarie a produrre il loro secreto

Apparato digerente • La cute protegge gli organi dell’apparato digerente; fornisce la vitamina D necessaria per l’assorbimento del calcio • L’apparato digerente fornisce alla cute le sostanze nutritizie necessarie

Apparato genitale

Apparato urinario • La cute protegge gli organi dell’apparato urinario; elimina sali e alcuni rifiuti azotati con il sudore • L’apparato urinario attiva la vitamina D prodotta dai cheratinociti; elimina i rifiuti azotati del metabolismo cutaneo

• La cute protegge gli organi dell’apparato genitale; ghiandole sudoripare altamente modificate (le ghiandole mammarie) producono il latte. Durante la gravidanza la cute si tende per adattarsi all’accrescimento del feto; possono comparire variazioni della pigmentazione cutanea

Apparato tegumentario (cute) Sistema scheletrico

Sistema muscolare • La cute protegge i muscoli • Con la loro attività i muscoli producono grandi quantità di calore che aumentano il flusso di sangue alla cute e possono attivare la stimolazione delle ghiandole sudoripare cutanee

• La cute protegge le ossa; sintetizza la vitamina D necessaria per il normale assorbimento del calcio e il deposito nelle ossa dei sali (di calcio) che conferiscono durezza all’osso • Il sistema scheletrico dà sostegno alla cute

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

■■■ RIASSUNTO 1. Classificazione delle membrane del corpo (pp. 51-53)

1. Epiteliali: organi semplici; le componenti sono epitelio e tessuto connettivo. a) Cute (membrana cutanea): l’epidermide (epitelio pavimentoso stratificato) è situata sopra al derma (tessuto connettivo denso); protegge la superficie corporea. b) Mucose: la lamina epiteliale poggia su una lamina propria (tessuto connettivo fibrillare lasso); rivestono le cavità del corpo comunicanti con l’esterno. c) Sierose: epitelio pavimentoso semplice che poggia su un esile strato di tessuto connettivo; rivestono le cavità chiuse che fanno parte della cavità ventrale del corpo. 2. Connettivali: membrane sinoviali; formano il rivestimento interno delle cavità articolari. 2. L’apparato tegumentario (cute) (pp. 53-64)

1. Le funzioni della cute comprendono la protezione dei tessuti sottostanti dagli agenti chimici, dai batteri, dai traumi e dall’essiccamento; la regolazione della temperatura corporea attraverso la dispersione del calore per irradiazione e la sudorazione; la sintesi di proteine di difesa e della vitamina D. Nella cute sono localizzati recettori di senso. 2. L’epidermide, la parte più superficiale della cute, è formata da epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato ed è priva di vasi sanguigni. Procedendo dalla superficie in profondità, gli strati che la compongono sono: strato corneo, strato lucido (soltanto nelle regioni in cui la cute è spessa), strato granuloso, strato spinoso e strato basale. Le cellule superficiali sono cellule morte che si sfaldano continuamente e vengono rimpiazzate mediante la divisione delle cellule dello strato basale. A mano a mano che si spostano dallo strato basale verso la superficie, le cellule accumulano cheratina e muoiono. La melanina, un pigmento prodotto dai melanociti, protegge i nuclei delle cellule epiteliali dai raggi solari dannosi. 3. Il derma è composto da tessuto connettivo denso. In esso sono situati i vasi sanguigni, i nervi e i derivati dell’epidermide. È costituito da due regioni: lo strato papillare e lo strato reticolare. Lo strato papillare presenta delle creste che premono sull’epidermide determinando le impronte digitali. 4. Gli annessi cutanei si formano dall’epidermide, ma sono situati nel derma. a) Le ghiandole sebacee producono un secreto untuoso (il sebo), che di solito è immesso in un follicolo pilifero. Il sebo mantiene morbidi la cute e i peli e contiene sostanze battericide.

b) Le ghiandole sudoripare, soggette alla regolazione da parte del sistema nervoso, producono il sudore che emettono alla superficie dell’epidermide. Fanno parte del sistema di termoregolazione dell’organismo e sono di due tipi: eccrine (le più numerose) e apocrine (il cui secreto contiene acidi grassi e proteine che vengono metabolizzati dai batteri che stanno sulla superficie cutanea). c) Un pelo è essenzialmente costituito da cellule cheratinizzate morte ed è prodotto dalla matrice situata nel bulbo pilifero. La sua radice è racchiusa in una guaina, il follicolo pilifero. d) Le unghie sono derivati cornei dell’epidermide. Come i peli, sono fondamentalmente costituite da cellule cheratinizzate morte. 5. La maggior parte delle alterazioni cutanee di minore importanza è dovuta a infezioni o a reazioni allergiche; le affezioni più gravi sono le ustioni e il cancro della cute. Poiché interferiscono con le funzioni di protezione della cute, le ustioni rappresentano un’importante minaccia per l’organismo. a) Le ustioni hanno come conseguenza la perdita di liquidi dell’organismo e l’invasione da parte di batteri. La gravità (profondità) delle ustioni è classificata in ustioni di primo grado (è danneggiata soltanto l’epidermide), di secondo grado (con danni all’epidermide e a parte del derma), di terzo grado (distruzione totale dell’epidermide e del derma). Per le ustioni di terzo grado è necessario il trapianto di cute. b) La causa più comune del cancro della cute è l’esposizione alle radiazioni ultraviolette. La cura del carcinoma basocellulare e del carcinoma a cellule squamose è completa se il tumore è asportato prima che abbia dato metastasi. Il melanoma maligno, un tumore dei melanociti, è ancora abbastanza raro, ma è fatale in circa la metà dei casi. 3. Aspetti dello sviluppo della cute e delle membrane del corpo (p. 64)

1. La cute è spessa, elastica e bene idratata in gioventù, ma con il progredire degli anni perde la sua elasticità e si assottiglia. Il cancro della cute è una minaccia grave per la cute esposta in modo eccessivo ai raggi solari. 2. Con l’invecchiamento compaiono la calvizie e l’incanutimento. L’una e l’altro sono determinati geneticamente, ma possono essere dovuti ad altri fattori (farmaci, stress emotivi, e così via).

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3. LA CUTE E LE MEMBRANE DEL CORPO

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Trova l’unica affermazione falsa sulle membrane mucose e sierose. a) Il tipo di epitelio è lo stesso in tutte le membrane sierose, mentre mucose differenti hanno tipi di epitelio differenti. b) Le membrane sierose tappezzano cavità chiuse del corpo, mentre le mucose tappezzano cavità del corpo comunicanti con l’esterno. c) Le membrane sierose producono sempre un liquido sieroso e le mucose secernono sempre muco. d) Entrambi i tipi di membrane sono formate da un epitelio e da uno strato di tessuto connettivo lasso. 2. Le membrane sierose a) tappezzano la cavità orale b) hanno uno strato parietale e uno viscerale c) sono costituite da epidermide e derma d) hanno uno strato di tessuto connettivo detto lamina propria e) secernono un fluido lubrificante 3. Quale componente non si trova nel sudore? a) acqua b) cloruro di sodio c) sebo d) ammoniaca e) vitamina D 4. Quale struttura non è associata a un pelo? a) fusto b) corticale c) lunula d) matrice e) cuticola 5. Quale dei seguenti termini non è associato alla produzione del sudore? a) ghiandole sudoripare b) pori sudoriferi c) muscoli erettori dei peli d) ghiandola eccrina e) ghiandola apocrina

6. Quale delle seguenti non è una struttura della cute? a) corpuscolo di Pacini b) papilla del derma c) pelo d) unghia 7. Abbina le strutture indicate a destra con le funzioni o caratteristiche elencate a sinistra. 1) Protegge dai raggi a) Strato reticolare del ultravioletti derma 2) Isola e ammortizza b) Strato papillare del gli urti derma 3) Protegge dalla c) Ipoderma disidratazione d) Melanina 4) Contiene corpuscoli e) Strato corneo di Pacini f ) Ghiandola sudoripara 5) Secerne acqua, sali eccrina e urea 6) Presenta papille dermiche Rispondi in cinque righe.

8. Qual è il nome della membrana connettivale che riveste le cavità articolari? 9. Da quali tipi di danni la cute protegge l’organismo? 10. Spiega perché ci si abbronza dopo essere stati esposti ai raggi solari. 11. In che modo la cute contribuisce a regolare la temperatura corporea? 12. Cosa sono i muscoli erettori dei peli? Qual è la loro funzione? 13. Quale tipo di cancro della cute si origina dalle cellule dello strato spinoso? 14. Perché i capelli diventano bianchi? 15. Indica tre modificazioni che si verificano nella cute quando si invecchia.

■■■ VERSO LE COMPETENZE 16. Un’infermiera riferisce al medico che un paziente è cianotico. Cos’è la cianosi? Cosa indica la sua presenza? 17. I neonati e gli anziani hanno pochissimo tessuto sottocutaneo. Come influisce questo sulla loro sensibilità alla temperatura ambientale fredda? 18. Un bagnino quarantenne rimpiange la sua abbronzatura che lo aveva reso popolare quando era giovane; ora però il suo volto è pieno di rughe ed egli ha parecchi nevi pigmentati neri che stanno aumentando rapidamente e sono grandi come monete. Perché dovrebbe preoccuparsi? 19. Marta, la madre di un bambino di 13 mesi, porta il figlio

in clinica perché la sua cute ha assunto colorazione arancione. Perché il pediatra fa domande sulla dieta del bambino? 20. L’acqua di una piscina è ipotonica rispetto alle nostre cellule. Perché non ci gonfiamo e non scoppiamo quando andiamo a fare una nuotata? 21. Il signor Salvatore, un pescatore quasi settantenne, va in clinica lamentando piccole ulcere su entrambi gli avambracci, oltre che sul volto e sulle orecchie. Le ha da diversi anni, non finora ha avuto problemi. Qual è la probabile diagnosi, e quale la probabile causa?

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Il termine scheletro deriva da una parola greca che significa «corpo disseccato», ma la nostra impalcatura interna è invece così meravigliosamente disegnata e costruita da fare sfigurare qualunque grattacielo moderno. Solida, eppure leggera, è perfettamente adatta alle sue funzioni di protezione e di movimento del corpo. In effetti il nostro scheletro è una torre di ossa disposte in modo tale che possiamo stare eretti e in equilibrio. Nessun altro animale ha gambe così relativamente lunghe (in confronto alle braccia o agli arti anteriori) o un piede così strano, e pochi hanno mani così straordinariamente prensili. Nel bambino piccolo la colonna vertebrale ha forma arcuata, ma ben presto assume una forma incurvata a S, che è la struttura necessaria per la stazione eretta. Lo scheletro è suddiviso in due parti: lo scheletro assiale, costituito dalle ossa che formano l’asse longitudinale del corpo, e lo scheletro appendicolare, costituito dalle ossa degli arti e delle rispettive cinture. Oltre alle ossa, il sistema scheletrico comprende articolazioni, cartilagini e legamenti (cordoni fibrosi che tengono unite le ossa a livello delle articolazioni). Le articolazioni conferiscono flessibilità al corpo e consentono il movimento.

1. Le ossa: concetti generali In qualche occasione tutti abbiamo udito le espressioni «ossa stanche», «secco come un osso», «pelle e ossa»: rappresentazioni assai poco lusinghiere e imprecise di alcuni dei nostri organi più straordinari. È il cervello, e non le ossa, a trasmettere il senso di stanchezza, e le ossa non sono affatto secche; quanto a «pelle e ossa», è vero che in alcuni di noi le ossa sono più evidenti, ma senza lo scheletro interno che esse formano strisceremmo sul terreno come lumache. Vediamo in che modo le ossa contribuiscono all’omeostasi generale dell’organismo. Le funzioni delle ossa Oltre a contribuire a dare forma al corpo e determinarne l’aspetto, le ossa svolgono nell’organismo diverse importanti funzioni: 1. Sostegno. Le ossa, «travi d’acciaio» e «cemento armato» del corpo, formano l’impalcatura interna che dà sostegno all’organismo e ne contiene gli organi molli. Le ossa degli arti inferiori funzionano da colonne sostenendo il tronco quando stiamo in piedi, e la gabbia toracica sostiene la parete del torace. 2. Protezione. Le ossa proteggono gli organi molli. Per esempio, le ossa del cranio racchiudono l’encefalo, riparandolo, e consentono che si colpisca di testa un pallone da calcio senza temere lesioni cerebrali. Le vertebre circondano il midollo spinale e la gabbia toracica contribuisce alla protezione degli organi vitali contenuti nel torace.

3. Movimento. I muscoli scheletrici, inseriti sulle ossa per mezzo dei tendini, usano le ossa come leve per attuare il movimento del corpo e delle sue parti. Il risultato è che siamo in grado di camminare, di nuotare, di lanciare una palla e di respirare. Prima di continuare, immaginiamo per un momento che le nostre ossa diventino di mastice; cosa accadrebbe se questa trasformazione avvenisse mentre stiamo correndo? Immaginiamo ora che le nostre ossa formino una rigida impalcatura metallica all’interno del nostro corpo, qualcosa di simile a un sistema di tubi verticali; quali problemi potremmo dover affrontare con questo tipo di situazione? Queste rappresentazioni dovrebbero aiutarci a capire quanto bene il nostro sistema scheletrico fornisca sostegno e protezione consentendo al tempo stesso il movimento. 4. Deposito. Nelle cavità interne delle ossa è accumulato tessuto adiposo. Il tessuto osseo vero e proprio è una riserva di sali minerali, i più importanti dei quali sono calcio e fosforo. Una piccola quantità di calcio in forma ionica (Ca2Œ) deve essere costantemente presente nel sangue perché possano aver luogo la trasmissione degli impulsi nervosi, la contrazione muscolare e la coagulazione del sangue. Poiché la maggior parte del calcio dell’organismo è depositata nelle ossa sotto forma di sali di calcio, tali depositi sono utili per immettere nel sangue nuovi ioni calcio quando il loro livello si riduce. I problemi si pongono non soltanto quando nel sangue il calcio è troppo poco, ma anche quando è troppo. Il passaggio del calcio dalle ossa al sangue e viceversa è regolato da ormoni in rapporto alle necessità dell’organismo. In realtà il «deposito» e il «prelievo» di calcio (e di altri minerali) nell’osso avviene costantemente. 5. Formazione delle cellule del sangue. La produzione delle cellule del sangue, o emopoiesi, avviene all’interno delle cavità midollari di determinate ossa. La classificazione delle ossa Lo scheletro dell’adulto è composto da 206 ossa. Esistono fondamentalmente due tipi di tessuto osseo. L’osso compatto è denso e appare liscio e omogeneo. L’osso spugnoso è composto da sottili trabecole ossee che delimitano numerose cavità. Le ossa si presentano con molte forme e dimensioni diverse (figura 4.1 a pagina seguente). Per esempio, il minuscolo osso pisiforme del polso ha la forma e la grandezza di un pisello, mentre il femore, l’osso della coscia, può arrivare a misurare quasi 60 centimetri di lunghezza e ha una larga testa sferica. La caratteristica forma esclusiva di ciascun osso soddisfa esigenze particolari. In base alla forma, le ossa sono classificate in quattro gruppi: lunghe, brevi, piatte e irregolari (vedi figura 4.1).

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

(c) Osso piatto

(a) Osso lungo

(sterno)

(omero)

(d) Osso irregolare (vertebra)

(b) Osso breve (osso carpale) Figura 4.1 Classificazione delle ossa in base alla forma

• Le ossa lunghe, come la denominazione lascia intendere, sono di regola più lunghe che larghe. Normalmente hanno una parte allungata che si espande alle due estremità. Le ossa lunghe sono costituite prevalentemente da osso compatto. Tutte le ossa degli arti sono ossa lunghe, fatta eccezione per la patella (rotula) e le ossa del polso e della caviglia. • Le ossa brevi sono generalmente cubiformi e sono costituite principalmente da osso spugnoso. Sono ossa brevi le ossa del polso e della caviglia. • Le ossa piatte sono sottili, appiattite e di solito curve. Hanno due sottili strati esterni di osso compatto che racchiudono uno strato interposto di osso spugnoso. Sono ossa piatte la maggior parte delle ossa del cranio, le coste e lo sterno. • Le ossa irregolari sono ossa che non rientrano nei gruppi precedenti. Fanno parte di questo gruppo le vertebre, che compongono la colonna vertebrale, e le ossa dell’anca.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Quale relazione c’è tra la funzione dei muscoli e le ossa? 2. Dove sono situate le ossa più lunghe dell’organismo?

La struttura di un osso lungo Anatomia macroscopica La struttura macroscopica di un osso lungo è illustrata nella figura 4.2. La diafisi costituisce la gran parte della lunghezza dell’osso ed è formata da osso compatto. È rivestita e protetta da una membrana di tessuto connettivo fibroso, il periostio. Centinaia di fibre collagene, le fibre perforanti o di Sharpey, ancorano il periostio all’osso sottostante. Le estremità dell’osso lungo sono le epifisi, ciascuna delle quali è costituita da un sottile strato di osso compatto che racchiude osso spugnoso. La superficie esterna di ogni epifisi è ricoperta da cartilagine articolare, anziché da periostio. La cartilagine articolare, che è cartilagine ialina, forma una superficie liscia che riduce l’attrito

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Osso spugnoso Osso spugnoso Osso compatto Epifisi prossimale

Cartilagine articolare

Cartilagine articolare Commessura epifisaria

Endostio

Periostio Osso compatto Canale midollare

(b) Midollo osseo giallo

Diafisi

Osso compatto Periostio Fibre perforanti Arterie nutritizie

Epifisi distale

(a)

(c)

Figura 4.2 Struttura di un osso lungo (omero) (a) Vista anteriore con sezione longitudinale della parte prossimale. (b) Vista tridimensionale dell’osso spugnoso e dell’osso compatto in un settore dell’epifisi. (c) Sezione trasversale della diafisi. Va notato che la superficie esterna della diafisi è rivestita da periostio, mentre la superficie articolare dell’epifisi (in b) è ricoperta da cartilagine ialina.

e permette lo scivolamento delle superfici a livello delle articolazioni. Nell’adulto l’epifisi è attraversata da una sottile linea di tessuto osseo che ha un aspetto un poco differente dal resto dell’osso di quella regione. Questa linea, la commessura epifisaria, è un residuo della piastra epifisaria (una piastra piana di cartilagine ialina) visibile nell’osso in accrescimento di un individuo giovane. Le piastre epifisarie determinano l’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe. Alla fine della pubertà, quando gli ormoni inibiscono l’accrescimento delle ossa lunghe, le piastre epifisarie vengono sostituite da osso, lasciando soltanto la commessura epifisaria come segno della loro precedente localizzazione. Nell’adulto la cavità della diafisi (canale midollare) è essenzialmente una sede di accumulo di tessuto adiposo (grasso), il midollo giallo. Nel bambino, invece, in questa sede si trova midollo rosso emopoietico. Nell’adulto il midollo rosso si trova soltanto nelle cavità dell’osso spu-

gnoso delle ossa piatte e nelle epifisi di alcune ossa lunghe. Anatomia microscopica A occhio nudo l’osso spugnoso ha l’aspetto di sottili lamine interposte tra piccoli spazi, mentre l’osso compatto appare molto denso. Tuttavia, osservando l’osso compatto al microscopio si può vedere che ha una struttura complessa (figura 4.3 a pagina seguente). Presenta una grande quantità di canali in cui passano i nervi e i vasi sanguigni che consentono alle cellule dell’osso di ricevere le sostanze nutritizie e di eliminare i prodotti di rifiuto. Le cellule ossee mature, gli osteociti, sono situate nella matrice all’interno di piccole cavità, le lacune. Le lacune sono disposte lungo linee circolari interposte tra lamelle concentriche attorno ai canali centrali (di Havers). Ogni complesso costituito da un canale centrale con le sue lamelle concentriche di matrice è un osteone, o sistema haversiano. I canali centrali decorrono longitudi-

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Lamella Osteocito

Osteone (sistema haversiano)

Lamelle Canalicolo Lacuna

(b)

Canale centrale (di Havers) Vaso sanguigno che continua entro il canale midollare contenente il midollo Osso spugnoso Fibre perforanti

Osteone

Osso compatto Vaso sanguigno del periostio Canale centrale (di Havers) Periostio

Canale perforante (di Volkmann)

(a)

Vaso sanguigno Lacuna

Figura 4.3 Struttura microscopica dell’osso compatto (a) Rappresentazione schematica tridimensionale dell’osso compatto di un settore della diafisi; a maggiore ingrandimento in (b). Va notata la posizione degli osteociti all’interno delle lacune (cavità della matrice). (c) Immagine al microscopio ottico.

nalmente nella matrice ossea, portando vasi sanguigni e nervi in tutte le regioni dell’osso. Minuscoli canali, i canalicoli, si distribuiscono a raggiera dai canali centrali a tutte le lacune, e attraverso la matrice dura dell’osso formano un sistema di trasporto che connette tutte le cellule ossee con il rifornimento nutritizio. Grazie a questa elaborata rete di canali le cellule ricevono un’adeguata nutrizione nonostante la durezza della matrice e le lesioni dell’osso guariscono rapidamente e bene. Il collegamento tra il sistema dei canali centrali si compie per mezzo dei canali perforanti (di Volkmann), che penetrano nell’osso compatto perpendicolarmente alla diafisi. L’osso è uno dei materiali più duri dell’organismo e,

(c)

Canale centrale

Lamelle interstiziali

pur essendo relativamente leggero, ha una considerevole capacità di resistere alla tensione e ad altre forze che agiscono su di esso. I sali di calcio depositati nella matrice conferiscono all’osso la durezza che determina la resistenza alla compressione. La componente organica (specialmente le fibre collagene) della matrice assicura la flessibilità dell’osso e la grande resistenza alla rottura. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

3. Con quale termine anatomico è indicata la parte centrale di un osso lungo? E le estremità? 4. Qual è la differenza di struttura tra l’osso compatto e l’osso spugnoso osservati a occhio nudo?

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Per saperne di più ■■ LE IRREGOLARITÀ DELL’OSSO Anche guardando le ossa senza particolare attenzione, si può notare che la loro superficie non è liscia, ma segnata da sporgenze, fori e creste. Queste irregolarità dell’osso, descritte e illustrate nella tabella, indicano i punti che davano attac-

co a muscoli, tendini e legamenti e le zone dove passavano vasi sanguigni e nervi. Le irregolarità dell’osso rientrano in due categorie: (a) protuberanze, o processi, che sporgono sulla superficie dell’osso; (b) depressioni, o cavità, che sono rien-

tranze nell’osso. Non è necessario imparare adesso questi termini, che però possono essere utili per ricordare alcune formazioni specifiche delle ossa che saranno trattate più avanti in questo capitolo.

Irregolarità dell’osso

Nome

Descrizione

Illustrazione

Protuberanze che sono sede di attacco di muscoli e legamenti Tuberosità Protuberanza grossa e arrotondata; può essere scabra Cresta

Stretta striscia in rilievo; di solito pronunciata

Trocantere

Prominenza molto grande, smussata, di forma irregolare (gli unici esempi si trovano nel femore)

Linea

Stretta striscia in rilievo; meno pronunciata di una cresta

Tubercolo

Piccola protuberanza arrotondata

Epicondilo

Area rilevata sopra a un condilo

Spina

Protuberanza angolosa, sottile, spesso appuntita

Processo

Qualunque prominenza ossea

Protuberanze che contribuiscono a formare articolazioni Parte espansa dell’osso in continuità Testa con un collo ristretto Superficie articolare liscia, quasi piatta Faccetta Prominenza articolare arrotondata Condilo Prolungamento del corpo principale Ramo dell’osso

Cresta iliaca Linea intertrocanterica Trocantere Spina ischiatica Tuberosità ischiatica

Osso dell’anca

Tubercolo dell’adduttore Femore

Vertebra

Epicondilo mediale

Processo spinoso

Testa Condilo Faccette

Ramo

Costa

Depressioni e aperture che permettono il passaggio di vasi sanguigni e nervi Meato Via di passaggio simile a un canale Seno Cavità situata all’interno dell’osso, contenente aria e rivestita da una Meato membrana mucosa Fossa Avvallamento osseo poco profondo, che spesso serve come superficie Fossa articolare Incisura Solco Scanalatura Solco Fessura Stretta apertura longitudinale Forame Foro rotondo o ovale

Mandibola

Seno Fessura orbitaria inferiore Forame

Cranio

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Formazione, accrescimento e rimodellamento dell’osso Lo scheletro è formato da due dei tessuti più robusti e solidi dell’organismo: la cartilagine e l’osso. Nell’embrione lo scheletro è inizialmente formato da cartilagine ialina, mentre nel bambino gran parte della cartilagine è stata sostituita da osso. Alla fine la cartilagine rimane soltanto in regioni isolate come il dorso del naso, parte delle coste e le articolazioni.

?

Generalmente lo sviluppo delle ossa comporta la progressiva sostituzione di tessuto cartilagineo con tessuto osseo. Questo processo di formazione dell’osso, o ossificazione, comporta due fasi principali (figura 4.4a). In primo luogo il modello di cartilagine ialina viene completamente rivestito da matrice ossea (manicotto osseo) ad opera delle cellule che formano l’osso, gli osteoblasti. Così, per un breve periodo il feto ha «ossa» fatte di cartilagine avvolte da tessuto osseo. In seguito il tessuto car-

(a) Quale specifico tipo cellulare forma il manicotto osseo? (b) A cosa pensi che assomiglierebbe un osso lungo alla fine dell’adolescenza se non si verificasse il rimodellamento osseo?

Cartilagine articolare Cartilagine ialina

Osso spugnoso

Nuovo centro di ossificazione

Formazione di nuovo osso

Cartilagine della piastra epifisaria

Accrescimento in larghezza dell’osso

Canale midollare Osso che comincia a sostituire la cartilagine

Vasi Accresci- sanguigni mento in lunghezza Formazione dell’osso di nuovo osso

Manicotto osseo Modello di cartilagine ialina Nell’embrione

Cartilagine della piastra epifisaria Nel feto

Nel bambino

(a)

Accrescimento

Cartilagine articolare

La diafisi in accrescimento è rimodellata perché:

L’osso si accresce in lunghezza perché: 1 Qui la cartilagine si accresce 2 Qui la cartilagine è sostituita da osso

Rimodellamento

1 Qui l’osso viene riassorbito Piastra epifisaria

3 Qui la cartilagine si accresce

2 Qui viene aggiunto osso mediante accrescimento per apposizione

4 Qui la cartilagine è sostituita da osso

3 Qui l’osso viene riassorbito

(b)

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Figura 4.4 Formazione e accrescimento delle ossa lunghe (a) Stadi della formazione di un osso lungo nell’embrione, nel feto e nel bambino. (b) Gli eventi indicati a sinistra descrivono il processo di ossificazione che avviene a livello delle cartilagini articolari e delle piastre epifisarie intanto che l’osso si accresce in lunghezza. Gli eventi indicati a destra illustrano il processo di accrescimento per apposizione che avviene durante l’accrescimento dell’osso lungo per mantenere le adeguate proporzioni dell’osso aumentandone il diametro.

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

tilagineo viene sostituito dall’osso lasciando uno spazio interno che diventerà il canale midollare, all’interno dell’osso di nuova formazione. Alla nascita la maggior parte della cartilagine ialina è stata sostituita da osso, tranne che in due regioni: le cartilagini articolari (che rivestono le estremità delle ossa) e le piastre epifisarie. Nuova cartilagine si forma continuamente alla superficie esterna della cartilagine articolare e nella superficie della piastra epifisaria che è rivolta verso l’estremità dell’osso (e che è più distante dal canale midollare). Contemporaneamente la vecchia cartilagine con-

tigua alla faccia interna della cartilagine articolare e al canale midollare viene distrutta e sostituita da matrice ossea (figura 4.4b). Mentre si allungano, le ossa in accrescimento devono anche allargarsi. Come fanno a crescere in larghezza? Gli osteoblasti del periostio aggiungono tessuto osseo sulla superficie esterna della diafisi, mentre contemporaneamente gli osteoclasti dell’endostio distruggono osso sulla superficie interna della diafisi (vedi figura 4.4b). Dal momento che questi due processi si verificano circa allo stesso ritmo, la circonferenza dell’osso aumenta e l’osso

Per saperne di più ■■ QUANDO L’OSSO SI SPEZZA Se si tiene conto della loro massa relativamente ridotta, le ossa sono sorprendentemente robuste; consideriamo, per esempio, le spinte sopportate nel football americano e nell’hockey professionale. Nonostante la loro considerevole resistenza, le ossa sono sempre soggette a fratture. Nella giovinezza la maggior parte

delle fratture consegue a traumi eccezionali che causano torsione o frantumazione delle ossa. Le attività sportive come il calcio, il pattinaggio e lo sci mettono a repentaglio l’incolumità delle ossa, così come gli incidenti automobilistici. Nella vecchiaia le ossa diventano più sottili e più fragili e le fratture sono più frequenti.

Una frattura in cui l’osso si rompe in modo netto ma non penetra nella cute è una frattura chiusa (o semplice). Quando le estremità fratturate dell’osso penetrano nella cute, la frattura è aperta o esposta (o composta). Alcuni dei molti tipi comuni di frattura sono illustrati e descritti nella tabella.

Tipi comuni di fratture

Tipo di frattura

Illustrazione

Descrizione

Commento

Comminuta

L’osso si rompe in molti frammenti

Particolarmente comune nelle persone anziane, le cui ossa sono più fragili

Da compressione

L’osso viene schiacciato

Comune nelle ossa porose (cioè le ossa osteoporotiche delle persone anziane)

Con infossamento

La parte di osso fratturata è spinta verso l’interno

Tipica delle fratture del cranio

Con incuneamento

I capi ossei fratturati sono incastrati l’uno nell’altro

Si verifica di solito quando si cerca di attutire una caduta con il braccio disteso

Spiroide

Quando su un osso agisce una forza di torsione eccessiva interviene una frattura a margini frastagliati

Frattura comune nella pratica sportiva

A legno verde

L’osso si rompe in modo incompleto, come si rompe un ramoscello verde

Comune nei bambini, le cui ossa sono più flessibili di quelle degli adulti

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

cresce in larghezza. Il processo mediante il quale le ossa aumentano il loro diametro è detto accrescimento per apposizione. Il processo di accrescimento delle ossa lunghe è regolato da ormoni, i più importanti dei quali sono l’ormone della crescita e, durante la pubertà, gli ormoni sessuali. Tale processo termina durante l’adolescenza, allorché le piastre epifisarie sono completamente sostituite da osso. Molti ritengono erroneamente che le ossa, una volta concluso l’accrescimento delle ossa lunghe, siano strutture inerti che non si modificano più. Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà: l’osso è un tessuto dinamico e attivo. Le ossa sono continuamente rimodellate in risposta a modificazioni di due fattori: (1) il livello del calcio nel sangue, (2) la forza esercitata sullo scheletro dalla gravità e dai muscoli. Vediamo a grandi linee in che modo questi fattori agiscono sulle ossa. Quando la concentrazione del calcio nel sangue scende sotto il livello omeostatico, le paratiroidi (ghiandole situate nel collo) sono stimolate a immettere in circolo l’ormone paratiroideo (PTH). Il PTH attiva gli osteoclasti, cellule ossee giganti che distruggono l’osso liberando ioni calcio nel sangue. Quando la concentrazione del calcio nel sangue è troppo elevata (ipercalcemia) il calcio viene depositato nella matrice ossea sotto forma di cristalli di sali di calcio. Il rimodellamento dell’osso è essenziale perché le ossa possano conservare le normali proporzioni e la resistenza durante l’accrescimento delle ossa lunghe a mano a mano che il corpo aumenta di dimensioni e di peso. Al contrario, le ossa delle persone costrette a letto o che non praticano attività fisica tendono a perdere massa e ad atrofizzarsi, non essendo più sottoposte a tensione. I due meccanismi di regolazione – assunzione e liberazione di calcio e rimodellamento osseo – operano insieme. Il PTH determina quando (o se) si deve demolire o formare osso in risposta alla necessità di aumentare o diminuire gli ioni calcio nel sangue. L’azione esercitata sullo scheletro dalla contrazione muscolare e dalla forza di gravità determina dove deve avvenire la distruzione o la formazione di matrice ossea, in modo che lo scheletro rimanga il più possibile forte e vitale. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Il rachitismo è una malattia infantile in cui si ha un difetto di calcificazione delle ossa; di conseguenza si verifica un rammollimento osseo e le ossa delle gambe che sostengono il peso del corpo si presentano chiaramente arcuate. Di solito il rachitismo è dovuto a carenza di calcio nella dieta o a carenza di vitamina D, necessaria per l’assorbimento del calcio. Negli Stati Uniti non è frequente: il latte, il pane e altri alimenti sono arricchiti di vitamina D, e la maggior parte dei bambini assume in misura sufficiente latte ricco di calcio. Tuttavia il rachitismo può comparire in bambini allattati da madri divenute carenti di vitamina D nel corso di un lungo inverno grigio e rimane un problema in altre parti del mondo.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

5. In cosa consiste il processo di ossificazione? 6. Quale stimolo è importante nel mantenere il livello del calcio nel sangue? 7. Se in un osso lungo gli osteoclasti sono più attivi degli osteoblasti, quali modificazioni della massa ossea è probabile che si verifichino?

2. Lo scheletro assiale Come abbiamo osservato in precedenza, lo scheletro si divide in due parti, lo scheletro assiale e lo scheletro appendicolare. Lo scheletro assiale, che forma l’asse longitudinale del corpo, è illustrato nella parte colorata in verde della figura 4.5. Può essere suddiviso in tre parti: cranio, colonna vertebrale e ossa del torace. Il cranio Il cranio è formato da due gruppi di ossa: il neurocranio, che racchiude e protegge l’encefalo, e le ossa della faccia, che permettono alla muscolatura facciale di esprimere i nostri sentimenti, per esempio sorridendo o aggrottando le sopracciglia. Tutte le ossa del cranio, ad eccezione della mandibola, che è unita con un’articolazione mobile, sono unite da suture, articolazioni fisse che tengono unite le ossa craniche. Il neurocranio La scatola cranica è composta da otto ampie ossa piatte. Tranne due ossa pari (parietale e temporale), sono tutte ossa impari.

• L’osso frontale (ê) forma la fronte, le prominenze ossee sotto le sopracciglia e la parte superiore delle due cavità orbitarie (figura 4.6 a pagina 78). • Le ossa parietali (ê) formano la maggior parte della parete superiore e laterale del cranio (vedi figura 4.6). • Le ossa temporali (ê) sono situate inferiormente alle ossa parietali. Nell’osso temporale sono evidenti diverse irregolarità ossee (vedi figura 4.6): • Il meato uditivo esterno è un condotto che porta al timpano e all’orecchio medio. È la via d’ingresso dei suoni nell’orecchio. • Il processo stiloideo, allungato e appuntito, è situato immediatamente sotto al meato uditivo esterno e serve come punto di attacco di molti muscoli del collo. • Il processo zigomatico è un sottile ponte osseo che si unisce anteriormente con l’osso zigomatico. • Il processo mastoideo ha superficie rugosa, è situato posteriormente e inferiormente al meato uditivo esterno e fornisce un punto di attacco ad alcuni muscoli del collo.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Osso frontale

Sutura coronale Osso parietale

Sfenoide

Osso temporale

Etmoide

Sutura lambdoidea

Osso lacrimale

Sutura squamosa Osso nasale

Osso occipitale

Osso zigomatico

Processo zigomatico

Osso mascellare Meato uditivo esterno Processo mastoideo

Margini alveolari

Processo stiloideo Mandibola (corpo) Forame mentoniero Ramo della mandibola

Figura 4.6 Cranio umano: vista laterale

Osso frontale

Lamina cribrosa Crista galli

Sfenoide

Canale ottico Sella turcica Forame ovale Osso temporale Forame giugulare Meato uditivo interno

Osso parietale

Osso occipitale

Gran forame occipitale Figura 4.7 Cranio umano: base cranica vista dall’alto (dopo rimozione della calotta cranica)

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Etmoide

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Palato duro

Osso mascellare (processo palatino) Osso palatino

Osso mascellare

Osso zigomatico

Sfenoide (grande ala)

Osso temporale (processo zigomatico)

Forame ovale

Vomere Fossa mandibolare

Canale carotico Processo stiloideo Forame giugulare

Processo mastoideo

Condilo occipitale

Osso temporale

Osso parietale Gran forame occipitale Osso occipitale Figura 4.8 Cranio umano: base cranica vista dal basso (dopo rimozione della mandibola)

• L’osso occipitale (ê), come possiamo vedere nelle figure 4.6, 4.7 e 4.8, è l’osso posteriore del cranio. Si unisce anteriormente alle ossa parietali. Nella base dell’osso occipitale si trova un’ampia apertura, il gran forame occipitale, che permette che l’encefalo si continui con il midollo spinale. Ai due lati del gran forame occipitale sono situati i condili occipitali (piccole prominenze arrotondate come nella figura 4.8), che poggiano sulla prima vertebra della colonna vertebrale, con cui si articolano.

Seno frontale

• Lo sfenoide (ê), che ha la forma di una farfalla, si estende in ampiezza nel cranio e forma parte del pavimento della cavità cranica (vedi figura 4.7). La parte centrale dello sfenoide contiene cavità piene d’aria, i seni sfenoidali (figura 4.9). Sulla linea mediana lo sfenoide presenta un solco trasversale, la sella turcica, che forma una fossa in cui è accolta l’ipofisi. L’osso sfenoide presenta alcune aperture (i forami) dalle quali passano i nervi destinati ai muscoli masticatori o al bulbo oculare (canale ottico; figura 4.10 a pagina seguente).

Seno sfenoidale

Seno frontale

Seno etmoidale Seno etmoidale Seno mascellare

Seno sfenoidale

Seno mascellare

(a)

(b)

Figura 4.9 Seni paranasali (a) Vista anteriore. (b) Vista mediale.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

?

Quale osso si articola con tutte le altre ossa della faccia, tranne la mandibola?

Osso frontale Osso parietale

Osso nasale

Fessura orbitaria superiore

Sfenoide Canale ottico Etmoide

Osso temporale

Osso lacrimale Osso zigomatico Conca nasale media dell’etmoide Osso mascellare

Conca nasale inferiore Vomere

Mandibola

Figura 4.10 Cranio umano: vista anteriore

• L’etmoide (ê) ha forma molto irregolare ed è situato anteriormente allo sfenoide (vedi figure 4.6, 4.7 e 4.10); forma il tetto della cavità nasale e parte delle pareti mediali delle orbite. Dalla sua superficie superiore sporge la crista galli (vedi figura 4.7), a cui si attaccano le meningi che ricoprono l’encefalo. A ciascun lato della crista galli si trovano numerosi minuscoli fori; questa regione, la lamina cribrosa, consente il passaggio delle fibre nervose che conducono gli stimoli dai recettori olfattivi del naso all’encefalo. Le sporgenze dell’etmoide, dette conca nasale superiore e media, formano parte delle pareti laterali della cavità nasale (vedi figura 4.10) e aumentano la turbolenza dell’aria che passa nelle vie nasali. Le ossa della faccia Le ossa che compongono la faccia sono quattordici: dodici ossa pari, e due ossa impari, la mandibola e il vomere. Tutte sono illustrate nelle figure 4.6 e 4.10.

• Le ossa mascellari (ê), o mascelle, sono due ossa unite l’una all’altra sulla linea mediana. Tutte le ossa della faccia, ad eccezione della mandibola, si articolano con le mascelle, che sono quindi le ossa fondamentali della faccia. Le ossa mascellari danno impianto ai denti dell’arcata superiore. I processi palatini, espansioni delle mascelle, formano la parte anteriore del palato duro che separa la cavità buccale da quella nasale (vedi figura 4.8). Come molte altre ossa della faccia, le mascelle contengono seni che comunicano con la cavità nasale (vedi figura 4.9). Questi seni paranasali, così chiamati per la loro posizione adiacente alla cavità nasale, alleggeriscono le ossa del cranio e amplificano i suoni che vengono prodotti quando si parla. Per molte persone sono anche causa di sofferenza: poiché la mucosa che riveste questi seni è in continuità con quella delle prime vie respiratorie, le infezioni di queste ultime tendono a propagarsi ai seni, provocando sinusiti. A seconda dei seni

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

colpiti, la conseguenza può essere una cefalea o dolore alle mascelle. • Le ossa palatine (ê) sono situate posteriormente ai processi palatini delle mascelle e formano la parte posteriore del palato duro (vedi figura 4.8). • Le ossa zigomatiche (ê) sono comunemente dette «ossa delle guance» e formano anche una buona parte delle pareti laterali delle cavità orbitarie. Grande corno

• Le ossa lacrimali (ê) sono piccole ossa della grandezza di un’unghia che formano parte della parete mediale di ciascuna cavità orbitaria. • Le ossa nasali (ê) sono piccole ossa rettangolari che formano il dorso del naso. (La parte inferiore dello scheletro del naso è formata da cartilagine.) • Il vomere (ê) è l’osso impari mediano che divide la cavità nasale nel lato destro e sinistro. (Il nome vomere è dovuto alla sua forma, simile alla lama di un aratro.) Il vomere forma la maggior parte del setto nasale osseo. • Le conche nasali inferiori (ê) (o cornetti, o turbinati) sono sottili ossa incurvate che sporgono medialmente dalle pareti laterali della cavità nasale. (Come accennato in precedenza, le conche superiori e medie hanno forma simile, ma fanno parte dell’etmoide.) • La mandibola (ê), o mascella inferiore, è l’osso più grande e più robusto della faccia. Ai due lati della faccia si articola con le ossa temporali, formando l’unica articolazione mobile del cranio. Si possono sentire queste articolazioni ponendo le dita sulle ossa zigomatiche e aprendo e chiudendo la bocca. La porzione orizzontale della mandibola (il corpo) forma il mento. Dal corpo partono due prolungamenti (i rami) che si portano verso l’alto e si connettono con l’osso temporale. Il bordo superiore della mandibola contiene gli alveoli che danno impianto ai denti dell’arcata inferiore. L’osso ioide e il cranio fetale Anche se in realtà non fa parte del cranio, l’osso ioide (figura 4.11) è in stretto rapporto con la mandibola e le ossa temporali. L’osso ioide è unico in quanto è il solo osso del corpo che non si articola direttamente con alcun altro osso; è invece sospeso nella regione media del collo, circa 2 cm sopra la laringe, ancorato per mezzo di legamenti alle ossa temporali. L’osso ioide, che ha una forma a ferro di cavallo con un corpo e due paia di corna, serve come base mobile della lingua e come punto di attacco per i muscoli del collo che sollevano e abbassano la laringe quando deglutiamo o parliamo. Il cranio del feto e del neonato differisce per molti aspetti dal cranio dell’adulto (figura 4.12). Come è illu-

Piccolo corno

Corpo Figura 4.11 Localizzazione anatomica e morfologia dell’osso ioide Vista anteriore.

Osso frontale

Fontanella anteriore

Osso parietale

Fontanella posteriore Osso occipitale

(a) Fontanella anteriore Fontanella sfenoidale

Osso parietale Fontanella posteriore

Osso frontale

Osso occipitale Fontanella mastoidea Osso temporale

(b) Figura 4.12 Il cranio fetale (a) Vista dall’alto. (b) Vista laterale.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

strato nella figura 4.12b, nel neonato la faccia è molto piccola rispetto alle dimensioni del cranio, che risulta grande in confronto alla lunghezza totale del corpo. Alla nascita lo scheletro non è ancora completato. Come abbiamo sottolineato in precedenza, restano ancora da ossificare alcune aree di cartilagine ialina. Il cranio del neonato presenta inoltre regioni fibrose che devono ancora essere sostituite da osso; queste membrane fibrose connettono le ossa craniche e sono dette fontanelle. In questi «punti molli» si può sentire il ritmo del polso del neonato. La fontanella più grande è la fontanella anteriore, che ha forma romboidale. Le fontanelle consentono una lieve compressione del cranio fetale durante il parto; inoltre, essendo flessibili, permettono l’accrescimento dell’encefalo nell’ultima parte della gravidanza e nella prima infanzia e questo non sarebbe possibile se le ossa craniche fossero fuse a livello delle suture come avviene nel cranio dell’adulto. Le fontanelle vengono gradualmente ossificate nella prima parte dell’infanzia e non sono più apprezzabili tra i 22 e i 24 mesi dopo la nascita. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

8. Quali sono le tre parti principali dello scheletro assiale? 9. Quale osso (ossa) del cranio forma la parte fondamentale della faccia? 10. In quale osso si trovano la lamina cribrosa e la crista galli?

La colonna vertebrale Poiché serve da asse di sostegno del corpo, la colonna vertebrale si estende dal cranio, che sostiene, alla pelvi, dove trasferisce il peso del corpo sugli arti inferiori. Alcuni pensano alla colonna vertebrale come a un’asta di sostegno rigida, ma questa raffigurazione è inesatta. La colonna vertebrale è invece formata da 26 ossa irregolari collegate e rinforzate da legamenti in modo tale da risultare una struttura incurvata e flessibile (figura 4.13). All’interno della cavità centrale della colonna passa il midollo spinale, che è circondato e protetto dalla colonna vertebrale. Prima della nascita la colonna vertebrale è composta da 33 ossa distinte, le vertebre, ma alla fine 9 di queste si fondono, formando il sacro e il coccige, che costituiscono la porzione inferiore della colonna vertebrale. Delle 24 ossa singole, le 7 vertebre situate nel collo sono le vertebre cervicali, le 12 che seguono sono le vertebre toraciche, le 5 restanti che sostengono la parte inferiore del dorso sono le vertebre lombari. Le singole vertebre sono separate da cuscinetti flessibili di fibrocartilagine, i dischi intervertebrali, che agiscono da ammortizzatori e attutiscono i traumi, consentendo al tempo stesso la flessibilità della colonna. Nei gio-

Anteriore 1a vertebra cervicale (atlante) 2a vertebra cervicale (epistrofeo)

Posteriore

Curva cervicale (concava) 7 vertebre, C1 – C7

1a vertebra toracica Processo trasverso Processo spinoso

Disco intervertebrale

Curva toracica (convessa) 12 vertebre, T1 – T12

Forame intervertebrale

1a vertebra lombare Curva lombare (concava) 5 vertebre, L1 – L 5

Curva sacrale (convessa) 5 vertebre fuse

Coccige 4 vertebre fuse Figura 4.13 La colonna vertebrale I dischi intervertebrali sottili tra le vertebre toraciche consentono la grande flessibilità della regione toracica; i dischi spessi interposti alle vertebre lombari riducono la flessibilità. Va notato che i termini convessa e concava si riferiscono alla curva della faccia posteriore della colonna vertebrale.

vani i dischi hanno un elevato contenuto di acqua (circa il 90%) e sono elastici e comprimibili. Ma con l’aumentare dell’età il contenuto in acqua diminuisce (come in tutti gli altri tessuti dell’organismo) e i dischi diventano più rigidi e meno comprimibili.

82 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

4. IL SISTEMA SCHELETRICO SE L’OMEOSTASI È ALTERATA La diminuzione del contenuto in acqua dei dischi intervertebrali insieme all’indebolimento dei legamenti della colonna vertebrale predispone le persone anziane all’ernia del disco. Tuttavia un’ernia del disco può verificarsi anche quando la colonna vertebrale è sottoposta a un’eccezionale forza di torsione. Se il disco erniato comprime il midollo spinale o i nervi spinali che da questo partono, le possibili conseguenze sono disturbi della sensibilità e dolore violento.

I dischi intervertebrali e la struttura incurvata a S della colonna vertebrale agiscono insieme nell’evitare traumi al capo quando camminiamo o corriamo, e rendono il tronco flessibile. Le curve della colonna nella regione toracica e in quella sacrale sono dette curve primarie, in quanto sono presenti alla nascita. Nell’insieme le due curve primarie determinano la forma a C della colonna vertebrale del neonato (figura 4.14). Le curve della regione cervicale e di quella lombare sono dette curve secondarie, poiché vengono acquisite dopo la nascita. Nell’adulto le curve secondarie consentono di centrare il peso del corpo sugli arti inferiori con uno sforzo minimo. La curva cervicale compare quando il neonato comincia a sollevare la testa, e la curva lombare si sviluppa quando il bambino comincia a camminare.

Tutte le vertebre hanno un’organizzazione strutturale simile (figura 4.16). Le caratteristiche comuni a tutte le vertebre sono: • Il corpo vertebrale: la porzione discoidale della vertebra che sostiene il peso e nella colonna vertebrale è situata anteriormente. • L’arco vertebrale: l’arco formato dall’unione di tutti i prolungamenti posteriori, le lamine e i peduncoli, che partono dal corpo vertebrale.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Perché nella scuola media si effettuano controlli della colonna vertebrale? La risposta è che si cercano eventuali curve anomale della colonna. Esistono tipi diversi di curve anomale della colonna vertebrale; la figura 4.15 ne illustra tre: la scoliosi, la cifosi e la lordosi. Tali anomalie possono essere congenite (presenti alla nascita), oppure possono essere conseguenza di malattie, di errato atteggiamento posturale o di ineguale forza muscolare sulla colonna. Nell’osservare gli schemi, prova a precisare in che modo ciascuna di queste condizioni differisce dalla colonna vertebrale normale.

Scoliosi

Cifosi

Lordosi

Figura 4.15 Curve anomale della colonna vertebrale

Posteriore Arco vertebrale

Lamina Processo trasverso

Processo spinoso

Processo articolare superiore e sua faccetta articolare Peduncolo

Forame vertebrale Corpo vertebrale Anteriore

Figura 4.14 La curvatura a C tipica della colonna vertebrale del neonato

Figura 4.16 Una tipica vertebra: vista superiore (Le superfici articolari inferiori non sono rappresentate.)

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

(b) VERTEBRE CERVICALI TIPICHE

(a) ATLANTE ED EPISTROFEO

Arco posteriore

Processo trasverso

Faccetta del processo articolare superiore

Processo spinoso Forame vertebrale

Arco anteriore

Processo trasverso

Proiezione superiore dell’atlante (C1)

Processo spinoso

Processo trasverso

Faccetta del processo articolare superiore

Vista superiore Processo articolare superiore

Corpo

Processo spinoso

Processo trasverso

Dente

Faccetta del processo articolare inferiore

Corpo

Vista laterale destra

Proiezione superiore dell’epistrofeo (C2)

(d) VERTEBRE LOMBARI

(c) VERTEBRE TORACICHE

Processo spinoso

Processo spinoso Forame vertebrale

Processo trasverso

Forame vertebrale Faccetta articolare per la costa

Faccetta del processo articolare superiore

Processo trasverso Faccetta del processo articolare superiore

Corpo Corpo Vista superiore Faccetta del processo articolare superiore Faccetta del processo trasverso

Vista superiore

Corpo Corpo

Processo articolare superiore

Processo spinoso

Faccetta articolare per la costa

Processo spinoso

Vista laterale destra

Faccetta del processo articolare inferiore Vista laterale destra

Figura 4.17 Caratteristiche regionali delle vertebre (a) Vista superiore dell’atlante e dell’epistrofeo. (b) Vertebre cervicali tipiche. (c) Vertebre toraciche. (d) Vertebre lombari.

84 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

• Il forame vertebrale: il canale attraverso cui passa il midollo spinale. • I processi trasversi: due prolungamenti laterali che partono dall’arco vertebrale. • Il processo spinoso: il prolungamento unico che si origina dalla faccia posteriore dell’arco vertebrale (in realtà dalle due lamine fuse). • I processi articolari superiori e inferiori: prolungamenti pari situati lateralmente al forame vertebrale, che consentono l’articolazione della vertebra con le vertebre adiacenti (vedi anche figura 4.17).

Ala del sacro

Canale del sacro

Processo articolare superiore

Faccia auricolare

Oltre agli aspetti comuni già indicati, le vertebre delle differenti regioni della colonna presentano caratteristiche strutturali molto specifiche, che vengono descritte qui di seguito. • Le sette vertebre cervicali (classificate da C1 a C7) formano la regione cervicale della colonna vertebrale. Le prime due vertebre (l’atlante e l’epistrofeo) sono differenti in quanto svolgono funzioni che le altre vertebre cervicali non hanno. Come possiamo vedere nella figura 4.17a, l’atlante (C1) non ha corpo vertebrale. La superficie superiore contiene un’ampia fossetta in cui è accolto l’osso occipitale del cranio. Questa articolazione consente di annuire con il capo. L’epistrofeo (C2) agisce da perno per la rotazione dell’atlante (e del cranio) che sta sopra. Ha una grossa sporgenza, il dente, che costituisce il perno per il movimento; l’articolazione tra C1 e C2 consente la rotazione del capo da un lato all’altro, nel gesto del negare. Le vertebre cervicali «tipiche» (da C3 a C7) sono illustrate nella figura 4.17b. Sono le vertebre più piccole e più leggere. I processi trasversi, cioè le sporgenze laterali delle vertebre cervicali, contengono forami in cui passano le arterie vertebrali nel loro decorso verso l’encefalo. • Le dodici vertebre toraciche (da T1 a T12) sono tutte vertebre tipiche. Sono più grandi delle vertebre cervicali e si distinguono per il fatto di essere le uniche vertebre che si articolano con le coste. Come possiamo osservare nella figura 4.17c, il corpo ha una forma un po’ a cuore e presenta su ciascun lato due superfici articolari (dette faccette) che si articolano con le coste. Il processo spinoso è lungo e fortemente obliquo verso il basso. • Le cinque vertebre lombari (da L1 a L5) hanno corpo massiccio e tozzo. I loro processi spinosi sono corti (figura 4.17d) e, poiché la regione lombare subisce la maggior parte della sollecitazione esercitata sulla colonna, le sue vertebre sono le più robuste. • Il sacro risulta dalla fusione di cinque vertebre (figura 4.18). Superiormente si articola con L5 e inferiormen-

Corpo

Cresta sacrale mediana

Sacro

Forami sacrali posteriori

Coccige

Hiatus del sacro

Figura 4.18 Sacro e coccige: vista posteriore

te si connette con il coccige. Le ali del sacro, di forma triangolare, si articolano lateralmente con le ossa dell’anca, formando le articolazioni sacro-iliache. Il sacro forma la parete posteriore della pelvi. La linea mediana della sua superficie posteriore ha aspetto frastagliato per la presenza della cresta sacrale mediana, risultante dalla fusione dei processi spinosi delle vertebre sacrali. • Il coccige è formato dalla fusione di tre-cinque piccole vertebre di forma irregolare (vedi figura 4.18). È lo «scheletro della coda» umano, un residuo della coda che gli altri vertebrati possiedono. La gabbia toracica Lo sterno, le coste e le vertebre toraciche formano lo scheletro del torace, detto comunemente gabbia toracica perché forma una gabbia protettiva attorno agli organi contenuti nella cavità toracica (cuore, polmoni, grossi vasi sanguigni). Lo scheletro del torace è illustrato nella figura 4.19 a pagina seguente.

85 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

la sommità del torace e contribuisce a impedire la lussazione della spalla. Nel caso di frattura della clavicola, l’intera regione della spalla crolla medialmente, e questo dimostra quanto sia importante la sua funzione di sostegno. • Le scapole hanno forma triangolare e si allargano come ali quando muoviamo le braccia all’indietro. Ogni scapola presenta un corpo appiattito e due importanti sporgenze: l’acromion, che è la voluminosa estremità della spina della scapola, e il processo coracoideo. L’acromion si articola lateralmente con la clavicola. Il pro-

cesso coracoideo dà ancoraggio ad alcuni muscoli del braccio. La scapola non si articola direttamente con lo scheletro assiale; è mantenuta nella sua posizione dai muscoli del tronco. Al di sotto dell’acromion si trova la cavità glenoidea, un incavo poco profondo che si articola con la testa dell’omero. La cintura scapolare è molto leggera e consente all’arto superiore una eccezionale libertà di movimento. Questa elevata flessibilità ha però anche un lato negativo: la cintura scapolare può lussarsi facilmente.

Testa dell’omero

Grande tuberosità Piccola tuberosità

Olecrano Collo anatomico

Testa

Processo coronoideo

Collo Articolazione radio-ulnare prossimale

Tuberosità del radio

Radio

Tuberosità deltoidea

Tuberosità deltoidea

Ulna

Membrana interossea

Fossa della testa del radio Fossa olecranica

Fossa coronoidea

Processo stiloideo del radio

Condilo

Articolazione radio-ulnare distale

Troclea

(a)

(b)

(c)

Figura 4.21 Ossa del braccio e dell’avambraccio di destra (a) Omero, vista anteriore. (b) Omero, vista posteriore. (c) Vista anteriore delle ossa dell’avambraccio: radio e ulna.

88 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

Processo stiloideo dell’ulna

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Le ossa dell’arto superiore Lo scheletro di ciascun arto superiore è formato da trenta ossa distinte (figura 4.21; vedi anche figura 4.22), che costituiscono la struttura portante del braccio, dell’avambraccio e della mano. Il braccio Lo scheletro del braccio è costituito da un unico osso, l’omero, che è un tipico osso lungo (vedi figura 4.21a,b). Alla sua estremità prossimale ha una testa arrotondata che si inserisce nella cavità glenoidea della scapola. In posizione immediatamente inferiore alla testa si trova una lieve costrizione, il collo anatomico. Sulla testa si inseriscono vari muscoli a livello della piccola e della grande tuberosità. A metà della diafisi è presente una regione ruvida, la tuberosità deltoidea, dove si inserisce il grande e forte muscolo deltoide della spalla. All’estremità distale dell’omero si trova medialmente la troclea, il cui aspetto è simile a un rocchetto, e lateralmente il condilo di forma rotondeggiante. Entrambi questi processi si articolano con le ossa dell’avambraccio. La presenza di depressioni (fossa coronoidea e fossa olecranica) che si articolano con i processi dell’ulna consente ampi movimenti di flessione ed estensione del gomito. L’avambraccio Lo scheletro dell’avambraccio è formato da due ossa, il radio e l’ulna (vedi figura 4.21c). Quando il corpo è nella posizione anatomica, il radio è situato lateralmente: si trova cioè dal lato del pollice. Radio e ulna si articolano sia prossimalmente sia distalmente in piccole articolazioni radio-ulnari; inoltre le due ossa sono collegate per tutta la loro lunghezza da una flessibile membrana interossea. La testa del radio, che ha la forma di un corto cilindro, si articola anche con il condilo dell’omero. Immediatamente sotto alla testa è situata la tuberosità del radio, che serve all’attacco del muscolo bicipite. L’ulna è l’osso mediale dell’avambraccio. Alla sua estremità prossimale, si trova anteriormente il processo coronoideo e posteriormente l’olecrano. Questi due processi insieme stringono la troclea dell’omero in un’articolazione a cerniera. La mano Lo scheletro della mano è costituito dal carpo, dal metacarpo e dalle falangi (figura 4.22). Le ossa del carpo sono otto, disposte in due file irregolari di quattro ossa ciascuna, e formano la parte della mano detta carpo, o più comunemente polso. Le ossa carpali sono unite da legamenti che limitano i loro movimenti reciproci. (I nomi delle singole ossa del carpo sono indicati nella figura 4.22.)

Distale Falangi (dita)

Media

Prossimale

Ossa del metacarpo (regione palmare)

4

3

2

5

1

Trapezio

Uncinato

Trapezoide

Ossa del Pisiforme carpo Piramidale (polso) Semilunare

Scafoide Capitato

Ulna Radio Figura 4.22 Ossa della mano destra: vista anteriore

Lo scheletro della regione palmare della mano è il metacarpo. Le falangi sono le ossa delle dita. Le ossa del metacarpo sono designate con il numero da 1 a 5, iniziando dal lato del pollice e procedendo fino al mignolo. Quando il pugno è stretto, le teste delle ossa metacarpali si rendono evidenti nelle «nocche». In ogni mano si trovano quattordici falangi, tre in ciascun dito (prossimale, media e distale), ad eccezione del pollice, che ne ha soltanto due (prossimale e distale). ■■ FACCIAMO IL PUNTO

14. Qual è l’unico punto di articolazione della cintura scapolare allo scheletro assiale? 15. Quale osso forma lo scheletro del braccio? 16. Dove sono situate le ossa carpali, e quale tipo di ossa (lunghe, brevi, irregolari, piatte) sono?

Le ossa della cintura pelvica La cintura pelvica è formata dalle due ossa dell’anca. Insieme al sacro e al coccige, le ossa dell’anca formano la pelvi (o bacino) (figura 4.23 a pagina seguente). Le ossa della cintura pelvica sono grandi e pesanti e sono saldamente unite allo scheletro assiale. Le cavità che servono all’articolazione con le ossa della coscia sono profonde e abbondantemente rinforzate da legamenti che ancorano solidamente gli arti alla cintura. Il sostegno del peso è la funzione più importante della cintura pelvica, poiché tutto il peso della parte superiore del corpo grava

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

sulla pelvi. Gli organi riproduttivi, la vescica urinaria e parte dell’intestino crasso sono contenuti nella pelvi, che li protegge. Ciascun osso dell’anca risulta dalla fusione di tre ossa: l’ileo, l’ischio e il pube. • L’ileo, che si unisce posteriormente con il sacro nell’articolazione sacro-iliaca, è un osso ampio, che forma la maggior parte dell’osso dell’anca. Quando mettete le mani sui fianchi, queste poggiano sulle ali delle due ossa iliache. Il margine superiore dell’ala, la cresta iliaca, è un importante punto di riferimento anatomico che è sempre tenuto presente da chi pratica iniezioni intramuscolari. • L’ischio è l’«osso su cui si sta seduti» e forma la parte inferiore dell’osso dell’anca. La spina ischiatica, situata superiormente alla tuberosità, è un altro importante punto di riferimento anatomico, soprattutto nella donna in gravidanza, perché restringe l’apertura inferiore della pelvi attraverso cui deve passare il feto durante il parto. Un’altra importante caratteristica strutturale dell’ischio è la grande incisura ischiatica, che permette ai vasi sanguigni e al grosso nervo ischiatico di passare posteriormente dalla pelvi nella coscia. • Il pube, o osso pubico, è la parte anteriore dell’osso dell’anca. Le ossa pubiche delle due ossa dell’anca si fondono anteriormente in un’articolazione cartilaginea, la sinfisi pubica. L’ileo, l’ischio e il pube si fondono tra loro nell’acetabolo, la profonda cavità che accoglie la testa dell’osso della coscia. La pelvi si divide in due regioni. La grande pelvi è l’area situata medialmente alle ali dell’ileo. La piccola pelvi è tutta circondata da osso e si trova inferiormente alla grande pelvi. Nella donna le dimensioni della piccola pelvi sono molto importanti perché devono essere abbastanza grandi da consentire, durante il parto, il passaggio della testa del feto (che del feto è la parte più grande). Naturalmente la struttura individuale della pelvi varia, ma esistono differenze del tutto costanti tra la pelvi maschile e quella femminile. Nella figura 4.23c si possono notare le seguenti caratteristiche della pelvi che sono differenti nel maschio e nella femmina: • Nella femmina l’apertura superiore è più ampia e più circolare. • Nell’insieme la pelvi femminile è più bassa e le ossa sono più leggere e più sottili. • Nella femmina le ossa iliache sono più svasate lateralmente. • Nella femmina il sacro è più corto e meno incurvato.

• Nella femmina l’apertura inferiore è più ampia. • Nella femmina l’arcata pubica è più arrotondata. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

17. Quali sono le tre ossa che formano l’osso dell’anca? 18. Elenca tre caratteristiche che differenziano la pelvi femminile da quella maschile.

Le ossa dell’arto inferiore Nella stazione eretta il peso totale del corpo è sostenuto dagli arti inferiori, quindi non sorprende che le ossa che formano i tre segmenti dell’arto inferiore (coscia, gamba e piede) siano molto più spesse e forti delle ossa corrispondenti dell’arto superiore. La coscia L’unico osso della coscia è il femore (figura 4.24a,b a pagina seguente), che è l’osso più pesante e più robusto dell’organismo. La sua estremità prossimale presenta una testa sferica, un collo e due prominenze chiamate grande e piccolo trocantere che servono tutte come punto di attacco per alcuni muscoli. La testa del femore si articola con l’acetabolo dell’osso dell’anca in una cavità profonda e solida. Il collo del femore è comunemente sede di frattura, specialmente nell’età avanzata. Il corpo del femore è leggermente obliquo e questo permette alle ginocchia di essere in linea con il centro di gravità del corpo. L’obliquità in direzione mediale del femore è più evidente nella donna, poiché la pelvi femminile è più larga di quella maschile. Distalmente il femore presenta i condili, laterale e mediale, che si articolano in basso con la tibia. Anteriormente, all’estremità distale del femore si trova la faccia patellare, liscia, che si articola con la patella. La gamba Lo scheletro della gamba è formato da due ossa, la tibia e la fibula, tra loro connesse nel senso della lunghezza da una membrana interossea (vedi figura 4.24c).

• La tibia è più grossa e situata medialmente. Alla sua estremità prossimale sono presenti i condili mediale e laterale, che si articolano con l’estremità distale del femore a formare l’articolazione del ginocchio. Distalmente si trova una sporgenza, il malleolo mediale, che forma la protuberanza interna della caviglia. • La fibula (o perone), situata a fianco della tibia con la quale si articola sia prossimalmente sia distalmente, è sottile e simile a una bacchetta. Non partecipa alla formazione dell’articolazione del ginocchio. La sua estremità distale, il malleolo laterale, forma la parte esterna della caviglia.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Collo Grande trocantere Condilo laterale

Testa

Condilo mediale

Piccolo trocantere Testa Articolazione tibio-fibulare prossimale Membrana interossea Corpo del femore

Margine anteriore Fibula

Tibia

Condilo mediale (si articola con la tibia)

Condilo laterale (si articola con la tibia)

Condilo laterale

Articolazione tibio-fibulare distale

Malleolo laterale

Faccia patellare (si articola con la patella)

(a)

Malleolo mediale

(c)

(b)

Figura 4.24 Ossa della coscia e della gamba di destra (a) Femore, vista anteriore. (b) Femore, vista posteriore. (c) Tibia e fibula, vista anteriore.

Il piede Il piede, composto dalle ossa del tarso e del metatarso e dalle falangi, ha due importanti funzioni: sostiene il peso del corpo e agisce come una leva consentendo di muovere il corpo in avanti quando si cammina e si corre. Il tarso, che forma la metà posteriore del piede, si compone di sette ossa (figura 4.25). Il peso del corpo grava soprattutto sulle due ossa tarsali più grandi, il calcagno e l’astragalo, che è situato tra la tibia e il calcagno. La pianta del piede è formata dalle cinque ossa del metatarso, le dita da quattordici falangi. Come nelle mani, ogni dito ha tre falangi, ad eccezione dell’alluce che ne ha due.

Nel piede le ossa sono disposte in modo da formare tre robusti archi (figura 4.26). I legamenti, che uniscono tra loro le ossa del piede, e i tendini dei muscoli del piede contribuiscono a mantenere stabilmente le ossa nella posizione arcuata, pur consentendo ancora un certo grado di elasticità. La debolezza degli archi plantari è indicata come «piede piatto». ■■ FACCIAMO IL PUNTO

19. Quali sono le due ossa che formano lo scheletro della gamba? 20. A cosa è dovuto il piede piatto?

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Falangi: Distale Media

Arco longitudinale mediale

Prossimale

Arco trasversale

Ossa del tarso: Cuneiforme mediale Cuneiforme intermedio

Ossa del metatarso Ossa del tarso: Cuneiforme laterale

Arco longitudinale laterale

Scafoide Cuboide Figura 4.26 Archi del piede Astragalo

Calcagno

Figura 4.25 Ossa del piede destro: vista superiore

4. Le articolazioni Con una sola eccezione (l’osso ioide del collo), tutte le ossa del corpo si articolano con almeno un altro osso. Le articolazioni svolgono una duplice funzione: tengono saldamente insieme le ossa, ma consentono anche la mobilità dello scheletro rigido. I movimenti aggraziati di una ballerina classica e gli improvvisati corpo a corpo di un giocatore di calcio esemplificano la grande varietà dei movimenti permessi dalle articolazioni, che sono le sedi di incontro di due o più ossa. Con un numero minore di articolazioni, ci muoveremmo come robot. Tuttavia il ruolo svolto dalle articolazioni nel connettere le ossa è altrettanto importante della loro funzione di consentire la mobilità. Le giunzioni fisse, o immobili, del cranio, per esempio, determinano la formazione di una scatola protettiva per l’encefalo. Le articolazioni sono classificate secondo due criteri: funzionale e strutturale. La classificazione funzionale si basa sull’entità del movimento che l’articolazione permette. Su questa base si distinguono le sinartrosi, o articolazioni fisse; le anfiartrosi, o articolazioni semifisse, con movimenti modestissimi; le diartrosi, o articolazioni mobili. Le articolazioni mobili predominano negli arti, dove la mobilità è importante. Le articolazioni fisse e semifisse sono limitate soprattutto allo scheletro assiale, dove

sono prioritarie le connessioni salde e la protezione di organi interni. Su base strutturale, le articolazioni si distinguono in fibrose, cartilaginee e sinoviali, a seconda che a livello dell’articolazione tra le regioni ossee si trovi tessuto fibroso, cartilagine o una cavità articolare. Come regola generale le articolazioni fibrose sono fisse e le articolazioni sinoviali sono mobili. Le articolazioni cartilaginee sono per la maggior parte anfiartrosi. Poiché la classificazione su base strutturale è più netta, ci concentreremo qui su questo schema classificativo. I tipi di articolazione, illustrati nella figura 4.27 a pagina seguente, vengono descritti qui di seguito e sono riassunti nella tabella 4.1 a pagina 95. • Nelle articolazioni fibrose le ossa sono unite da tessuto fibroso. I migliori esempi di questo tipo di articolazione sono le suture del cranio (figura 4.27a). Nelle suture i margini irregolari delle ossa si collegano tra loro e sono saldamente uniti da fibre del connettivo, non consentendo alcun movimento. Nelle sindesmosi le fibre di connessione sono più lunghe di quelle delle suture, così l’articolazione ha maggiore «elasticità». È una sindesmosi l’articolazione tra le estremità distali della tibia e della fibula (figura 4.27b). • Nelle articolazioni cartilaginee le superfici ossee sono unite da cartilagine. Esempi semifissi (anfiartrosi) di questo tipo di articolazioni sono la sinfisi pubica della pelvi (figura 4.27e) e le articolazioni intervertebrali della colonna vertebrale (figura 4.27d), nelle quali le superfici articolari delle ossa sono unite da dischi di fibrocartilagine. Le piastre epifisarie di cartilagine ialina delle ossa lunghe in accrescimento e le articolazioni cartilaginee tra le prime coste e lo sterno sono articolazioni cartilaginee fisse (sinartrosi) (figura 4.27c).

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Articolazioni fibrose

Sutura (tessuto connettivo fibroso)

Articolazioni cartilaginee

(a)

Articolazioni sinoviali Capsula articolare

Scapola Prima costa a

Cartilagine articolare (ialina)

Sincondrosi (cartilagine ialina) c Sterno

f

(f)

(c)

Omero Sinfisi (fibrocartilagine)

d

Cartilagine articolare (ialina)

g

Vertebre h e

Capsula articolare

(d)

(g) Ulna

Radio

Pube Capsula articolare

Sinfisi pubica (fibrocartilagine) b

Ossa del carpo

(e)

(h) Tibia

Fibula Sindesmosi (tessuto connettivo fibroso)

(b) Figura 4.27 Tipi di articolazioni La articolazioni illustrate nella colonna a sinistra dello scheletro sono articolazioni cartilaginee; quelle sopra e sotto lo scheletro sono articolazioni fibrose; quelle della colonna a destra sono articolazioni sinoviali. (a) Sutura (unione delle ossa del cranio unite tra loro mediante tessuto connettivo fibroso). (b) Sindesmosi (connessione mediante tessuto connettivo fibroso delle estremità distali della tibia e della fibula). (c) Sincondrosi (articolazione tra la cartilagine della prima costa e lo sterno). (d) Sinfisi (i dischi intervertebrali fibrocartilaginei connettono le vertebre adiacenti). (e) Sinfisi (sinfisi pubica fibrocartilaginea che unisce anteriormente le due ossa del pube). (f) Articolazione sinoviale (articolazione della spalla). (g) Articolazione sinoviale (articolazione del gomito). (h) Articolazioni sinoviali (articolazioni tra le ossa del carpo).

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Tabella 4.1 Sommario della classificazione delle articolazioni

Classe su base strutturale

Caratteristiche strutturali

Tipi

Mobilità

Fibrose

Superfici articolari unite da tessuto connettivo fibroso

Suture (fibre collagene corte) Sindesmosi (fibre collagene più lunghe) Gonfosi (legamento periodontale)

Fisse (sinartrosi) Semifisse (anfiartrosi) e fisse Fisse

Cartilaginee

Superfici articolari unite da cartilagine

Sincondrosi (cartilagine ialina) Sinfisi (fibrocartilagine)

Fisse Semifisse

Sinoviali

Superfici articolari ricoperte da cartilagine ialina e racchiuse in una capsula articolare rivestita internamente da una membrana sinoviale

Artrodie Articolazioni a troclea Articolazioni a ruota

Mobili (diartrosi; il movimento dipende dalla forma dell’articolazione)

?

Qual è la differenza strutturale tra questo tipo di articolazione e le articolazioni cartilaginee e fibrose?

Acromion della scapola Cavità articolare contenente liquido sinoviale

Legamento

Borsa Legamento

Cartilagine articolare (ialina)

Membrana sinoviale Capsula articolare fibrosa

Tendine del muscolo bicipite Omero

Figura 4.28 Struttura generale di un’articolazione sinoviale

• Le articolazioni sinoviali sono le articolazioni in cui le superfici articolari delle ossa sono separate da una cavità articolare contenente liquido sinoviale (figura 4.27f-h). Sono di questo tipo tutte le articolazioni degli arti. Tutte le articolazioni sinoviali hanno quattro caratteristiche distintive (figura 4.28): 1. Cartilagine articolare. Le estremità ossee che formano l’articolazione sono rivestite da cartilagine articolare (ialina). 2. Capsula articolare fibrosa. Le superfici articolari

Condilartrosi Articolazioni a sella Enartrosi

sono racchiuse da un manicotto o capsula di tessuto connettivo fibroso, e la capsula è rivestita internamente da una membrana sinoviale liscia (ed è per questo che sono dette articolazioni sinoviali). 3. Cavità articolare. La capsula articolare racchiude la cavità articolare contenente liquido sinoviale che agisce da lubrificante. 4. Legamenti di rinforzo. Di solito la capsula fibrosa è rinforzata da legamenti. Associata all’articolazione può trovarsi una struttura (borsa) ripiena di liquido lubrificante che agisce da cuscinetto, riducendo l’attrito tra strutture adiacenti durante il funzionamento dell’articolazione. Le borse si trovano comunemente nei punti in cui si ha lo sfregamento reciproco di legamenti, muscoli, cute, tendini o ossa. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Si ha una lussazione quando un osso viene spinto fuori dalla sua normale posizione nella cavità articolare. La manovra di riportare l’osso nella posizione corretta, la riduzione, dovrebbe essere eseguita soltanto da un medico. I tentativi di una persona inesperta di «fare scattare l’osso indietro nella sua cavità» sono spesso più dannosi che utili.

La classificazione morfologica delle articolazioni sinoviali La forma delle superfici articolari delle ossa determina quali movimenti sono consentiti a livello dell’articolazione. Sulla base di tale forma le articolazioni sinoviali possono essere classificate in artrodie, articolazioni a troclea (cerniera), articolazioni a ruota, condilartrosi, articolazioni a sella ed enartrosi (figura 4.29 a pagina seguente). • In una artrodia (figura 4.29a) le superfici articolari sono sostanzialmente piane e sono possibili soltanto piccoli movimenti di scorrimento o scivolamento. Il miglior esempio di questo tipo di articolazione è dato dalle articolazioni tra le ossa del carpo nel polso.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

(f)

Ossa del carpo

Non assiale Monoassiale Biassiale Pluriassiale

(b) (c)

Omero

(a) Artrodia

Ulna Radio

Ulna

(a)

(b) Articolazione a troclea

(e) (d)

(c) Articolazione a ruota

Osso metacarpale Falange

Osso carpale Primo osso metacarpale

(d) Condilartrosi

Testa dell’omero

(e) Articolazione a sella

Scapola

(f) Enartrosi Figura 4.29 Tipi di articolazione sinoviale (a) Artrodia (articolazioni intercarpali e intertarsali). (b) Articolazione a troclea (articolazioni del gomito e interfalangee). (c) Articolazione a ruota (articolazione radio-ulnare prossimale). (d) Condilartrosi (articolazioni metacarpo-falangee). (e) Articolazione a sella (articolazione carpometacarpale del pollice). (f) Enartrosi (articolazioni della spalla e dell’anca).

• In una articolazione a troclea (o a cerniera) (figura 4.29b) l’estremità cilindrica di un osso si inserisce nella superficie a forma di doccia di un altro osso. È possibile il movimento di rotazione in un solo piano, come in una cerniera meccanica. Ne sono esempi l’articolazione del gomito, quella della caviglia e le articolazioni interfalangee delle dita. • In una articolazione a ruota (o trocoide) (figura 4.29c) l’estremità cilindrica di un osso si inserisce in un manicotto o un anello dell’altro osso. Esempi sono l’arti-

colazione radio-ulnare prossimale e l’articolazione tra l’atlante e l’epistrofeo. • In una condilartrosi la superficie articolare convessa di un osso si inserisce nella concavità di un altro osso (figura 4.29d). Entrambe le superfici articolari sono ellittiche, quindi la condilartrosi consente all’osso mobile di spostarsi (1) da un lato all’altro, e (2) avanti e indietro, mentre non è consentita la rotazione dell’osso attorno al suo asse longitudinale. Ne sono esempi le articolazioni metacarpo-falangee.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

• In una articolazione a sella ciascuna delle due superfici articolari ha una regione concava e una convessa, come una sella per equitazione (figura 4.29e). Questa articolazione consente fondamentalmente gli stessi movimenti di una condilartrosi. Il migliore esempio di articolazione a sella è l’articolazione carpo-metacarpale del pollice, e si può avere una chiara dimostrazione del movimento facendo rigirare i pollici. • In una enartrosi (figura 4.29f) la testa sferica di un osso si inserisce nella cavità rotondeggiante di un altro. Questa articolazione consente il movimento secondo tutti gli assi, compresa la rotazione (vedi le tre

frecce nella figura 4.29f ), ed è il tipo di articolazione sinoviale più mobile. Ne sono esempi le articolazioni della spalla e dell’anca. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

21. Qual è il ruolo funzionale delle articolazioni? 22. Qual è la principale differenza tra un’articolazione fibrosa e una cartilaginea? 23. Dove si trova la membrana sinoviale, e qual è la sua funzione? 24. Quali due articolazioni del corpo sono delle enartrosi? Qual è il migliore esempio di articolazione a sella?

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Pochi di noi si curano delle proprie articolazioni, a meno che non ci sia qualcosa che non va. Il dolore e l’infiammazione delle articolazioni possono avere molte cause. Per esempio, una caduta sul ginocchio può provocare una dolorosa borsite, la cosiddetta «acqua al ginocchio», dovuta all’infiammazione delle borse o della membrana sinoviale. Anche le distorsioni e le lussazioni sono problemi articolari che causano rigonfiamento e dolore. In una distorsione i legamenti o i tendini che rinforzano un’articolazione sono danneggiati da un eccessivo stiramento, oppure sono strappati via dall’osso. Sia i tendini sia i legamenti sono cordoni di tessuto connettivo fibroso denso scarsamente vascolarizzato, quindi le distorsioni guariscono lentamente e sono estremamente dolorose. L’artrite è la malattia infiammatoria delle articolazioni che forse causa più dolore e sofferenza. Il termine artrite (letteralmente, «infiammazione dell’articolazione») descrive oltre 100 differenti malattie infiammatorie o degenerative che colpiscono le articolazioni. Negli Stati Uniti l’artrite, in tutte le sue forme, è la malattia più diffusa e invalidante. Tutte le forme di artrite presentano gli stessi sintomi iniziali: dolore, rigidità e rigonfiamento delle articolazioni. Poi, secondo la forma specifica, si verificano determinate alterazioni strutturali delle articolazioni. Le forme di artrite acuta di solito sono la conseguenza di un’invasione batterica e vengono trattate con antibiotici. La membrana sinoviale si ispessisce e la produzione di liquido sinoviale si riduce, determinando un aumento dell’attrito e dolore. Osteoartrite, artrite reumatoide e artrite gottosa sono tutte forme croniche di artrite che sostanzialmente differiscono per la sintomatologia nelle fasi più avanzate e per le conseguenze. • L’osteoartrite, la forma di artrite più comune, è una malattia degenerativa cronica che colpisce di regola le persone anziane. Con il passare degli anni la cartilagine diventa molle, si logora e alla fine si distrugge. Con il progredire della malattia l’osso esposto si ispessisce e attorno ai margini della cartilagine erosa si accrescono nuove produzioni di osso che limitano i movimenti articolari. Le più interessate sono comunemente le articolazioni delle dita delle mani, quelle del tratto cervicale e di quello lombare della colonna vertebrale e le grandi articolazioni degli arti inferiori che sostengono il peso (ginocchio e anca). Il decorso dell’osteoartrite è di solito lento e irreversibile, ma di rado è invalidante. • L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica. L’inizio è insidioso e di solito avviene tra i 40 e i 50 anni, ma può verificarsi a qualunque età. Colpisce le donne tre volte più degli uomini. Sono interessate molte articolazioni, particolarmente quelle delle dita delle mani, polsi, caviglie e piedi, contemporaneamente e di solito in modo simmetrico. Se, per esempio, è colpito il gomito destro, molto probabilmente sarà

colpito anche quello sinistro. Il decorso dell’artrite reumatoide è variabile ed è contrassegnato da fasi di remissione e riacutizzazioni. L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune, cioè una malattia in cui il sistema immunitario tenta di distruggere i tessuti dell’organismo stesso. Lo stimolo scatenante di tale reazione non è noto, ma alcuni sospettano che derivi da certe infezioni batteriche o virali. La malattia inizia con l’infiammazione delle membrane sinoviali. Le membrane si ispessiscono e le articolazioni si gonfiano per l’accumulo di liquido sinoviale. Dal sangue entrano nella cavità articolare cellule dell’infiammazione (leucociti e altri tipi cellulari) le quali liberano una enorme quantità di fattori dell’infiammazione, che distruggono i tessuti dell’organismo se liberati in modo improprio, come nell’artrite reumatoide. Con il passare del tempo la membrana sinoviale infiammata si ispessisce formando un panno, un tessuto patologico che aderisce alle cartilagini articolari e le erode. Il tessuto cicatriziale alla fine si ossifica e i capi ossei si fondono saldamente e spesso si deformano (figura 4.30 a pagina 100). Non tutti i casi di artrite reumatoide progrediscono fino all’ultimo stadio, gravemente invalidante, ma tutti comportano la limitazione dei movimenti articolari ed estremo dolore. Il trattamento farmacologico inizia spesso con l’aspirina che, a forti dosi, è un antinfiammatorio molto efficace. Per mantenere il più possibile la mobilità articolare viene consigliato l’esercizio fisico. Si usano impacchi freddi per alleviare il gonfiore e il dolore, e il calore aiuta ad alleviare la rigidità al mattino. Per i pazienti di artrite reumatoide con grave invalidità si può ricorrere, come ultima risorsa, alla sostituzione delle articolazioni o alla rimozione dell’osso. • L’artrite gottosa, o gotta, è una malattia in cui l’acido urico (un normale prodotto di rifiuto del metabolismo degli acidi nucleici) si accumula nel sangue e può depositarsi sotto forma di cristalli aghiformi nei tessuti molli delle articolazioni. Questo porta a un attacco atrocemente doloroso che colpisce di regola una sola articolazione, spesso dell’alluce. La gotta è più comune negli uomini e raramente si manifesta prima dei trent’anni di età. Tende ad avere andamento familiare, quindi sono certamente implicati fattori genetici. Se non trattata, la gotta può essere gravemente distruttiva; i capi ossei si fondono e l’articolazione viene immobilizzata. Fortunatamente esistono diversi farmaci che riescono a impedire l’attacco acuto di gotta. Si consiglia ai pazienti di perdere peso se sono obesi, di evitare cibi come fegato, reni, sardine, che hanno un elevato contenuto di acidi nucleici, e di evitare l’alcol, che inibisce l’escrezione dell’acido urico da parte dei reni.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

Per saperne di più ■■ PROTEGGI LA TUA SCHIENA, È L’UNICA CHE HAI! Il regolare esercizio fisico è di importanza vitale per mantenere forte la colonna vertebrale e proteggere la sua struttura meravigliosamente equilibrata. Purtroppo la maggior parte di noi trascura la propria schiena, a meno che dolori e disturbi non richiamino la nostra attenzione: quasi come un mal di gola o un raffreddore. Milioni di individui soffrono di mal di schiena e i danni alla colonna vertebrale sono la ragione di un quarto di tutti gli indennizzi pagati dalle assicurazioni sociali per casi di invalidità. Sebbene il dolore alla schiena possa essere sintomatico di molte affezioni, dai tumori vertebrali alle malattie renali, la maggior parte dei problemi è conseguenza della debolezza dei muscoli o è in rapporto a stati d’ansia. Questo non ci deve sorprendere: la forte muscolatura addominale, la flessibilità del dorso e i muscoli dell’anca hanno un ruolo importante nel rinforzare la delicata architettura della colonna vertebrale e lo stress fa sì che i muscoli siano come «legati». La tensione muscolare può aggravare un problema della colonna anche senza esserne la causa. Le persone obese e coloro che fanno scarso esercizio fisico sono le prime candidate alla sofferenza della parte inferiore della colonna. Infatti alcuni ortopedici considerano il dolore alla colonna un indice di ricchezza. Quanto più accumuliamo congegni che lavorino al nostro posto, tanto più possiamo stare seduti o sdraiati a riposare, e tanto più i nostri muscoli si deteriorano. L’altra faccia della medaglia è che anche le persone che svolgono lavori in cui è necessario sollevare pesi sono a rischio di disturbi alla parte inferiore della colonna, se non li sollevano in modo corretto. Come dice il proverbio, «prevenire è meglio che curare», e prevenire i problemi della colonna è meglio che cercare di trattare penosi dolori di schiena. Si può prevenire dal 70 all’80% circa di tutti i casi di disturbi alla parte inferiore della colonna semplicemente facendo esercizio

fisico per 10 minuti al giorno, se si osservano un corretto allineamento del corpo e determinate precauzioni. Qui di seguito elenchiamo alcune direttive ben documentate per proteggere la schiena. 1. Tenere sotto controllo il proprio peso. Soltanto pochi chilogrammi di peso in più, specialmente il peso non equilibrato di un grosso addome sporgente, esercitano sulla colonna vertebrale una sollecitazione molto maggiore di quella del peso in sé. L’addome sporgente tira il corpo in avanti, costringendo i muscoli del dorso a contrarsi più energicamente per controbilanciare il peso. 2. Indossare di rado scarpe e stivali con i tacchi alti o senza tacco, o evitarli del tutto se si hanno problemi di schiena: nell’uno e nell’altro caso viene modificato l’allineamento della colonna vertebrale. Le scarpe con i tacchi alti fanno inclinare in avanti la pelvi e aumentano la sollecitazione della muscolatura addominale e di quella della colonna. Le scarpe senza tacco fanno inclinare la pelvi all’indietro, rendendo difficile lo spo-

Abbassare il centro di gravità accovacciandosi.

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stamento del peso durante la deambulazione. 3. Mantenere un buon atteggiamento posturale. Tenere il capo e il dorso allineati, con addome e natiche in dentro. 4. Sollevare gli oggetti pesanti utilizzando una corretta meccanica del corpo. Ogni oggetto, compreso il corpo umano, ha un centro di gravità attorno al quale la sua massa è distribuita in modo eguale. In un adulto in piedi il centro di gravità è all’interno della pelvi, in posizione lievemente posteriore al margine anteriore dell’articolazione del sacro con la quinta vertebra lombare. Un principio fondamentale della meccanica del corpo è che quanto più ampia è la base di sostegno e quanto più basso è il centro di gravità, tanto più si è stabili. L’applicazione di questo principio al sollevamento di pesi richiede che, come si vede nella fotografia sottostante, si assuma una posizione con base più larga del normale (distanziando un poco i piedi) e poi si pieghino le ginocchia (anziché la schiena) per raggiungere e sollevare

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

l’oggetto. Il peso viene allora trasferito sugli arti inferiori, più robusti, risparmiando la colonna vertebrale, più delicata. Se si devono spostare oggetti di grandi dimensioni, meglio spingerli che tirarli.

chi tensione sulla colonna: per esempio, (1) alzarsi da seduti tenendo gli arti inferiori diritti, (2) sollevare le due gambe insieme, (3) sdraiarsi proni e poi sollevare il capo, le braccia, le gambe.

5. Evitare di stare seduti a lungo. Lo stare seduti sollecita la colonna vertebrale molto più che lo stare in piedi: i camionisti sono soggetti in misura cinque volte superiore al normale a problemi alla parte inferiore della colonna e all’ernia del disco. Se si deve stare seduti a lungo, appoggiare i piedi su un piccolo sgabello (o sull’ultimo cassetto della scrivania) così riducendo la sollecitazione esercitata sulla colonna vertebrale.

Meglio essere buoni con la propria colonna vertebrale ed evitare di pronunciare il lamento quasi universale «Oh, che male alla schiena!»

6. Dedicare 10 minuti al giorno all’estensione dei muscoli estensori della parte inferiore della colonna e dei muscoli flessori dell’anca e a rinforzare la muscolatura addominale. (Vedi le istruzioni che seguono e le fotografie a-c.) In presenza di un’anamnesi di problemi alla schiena, evitare qualunque esercizio che provo-

a) Estensione dei muscoli estensori della parte inferiore della colonna. Sdraiarsi sul dorso con le ginocchia piegate e i piedi completamente appoggiati sul pavimento. Tenendo le braccia allungate lungo i fianchi, alzare un ginocchio fino al petto. Abbassare il piede sul pavimento con il ginocchio piegato, e poi farlo scivolare sul pavimento fino a quando l’arto è completamente esteso. Ruotare dolcemente l’arto da un lato all’altro. Riprendere la posizione di partenza e ripetere l’esercizio con l’altra gamba. Ripetere l’intero esercizio 5 o 6 volte. b) Estensione dei muscoli flessori dell’anca. Sdraiarsi sul dorso. Espirare por-

tando entrambe le ginocchia verso il petto. Poi, tenendo un ginocchio verso il petto, fare scivolare l’altra gamba lungo il pavimento fino alla completa estensione. Cercare di toccare il pavimento con la parte posteriore del ginocchio (regione poplitea) dell’arto esteso. Mantenere la posizione contando fino a 6. Riprendere la posizione di partenza e ripetere l’esercizio con l’altra gamba. Ripetere l’intero esercizio 5 o 6 volte. c) Rinforzare i muscoli addominali. Sdraiarsi sul dorso con le ginocchia piegate e i piedi completamente appoggiati sul pavimento. Tenendo le braccia lungo i fianchi, alzare un ginocchio verso il petto. Espirare e intanto sollevare il capo cercando di toccare con la fronte il ginocchio alzato. Contare fino a 6. Riprendere la posizione di partenza e ruotare dolcemente il capo da un lato all’altro. Inspirare e ripetere l’esercizio con l’altra gamba. Ripetere l’intero esercizio inizialmente per 8-10 volte, poi aumentare gradualmente fino a 25 volte al giorno.

(a)

(b)

(c)

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO Osso parietale Osso occipitale

Osso frontale

Mandibola Clavicola Scapola Radio Ulna Omero Figura 4.30 Immagine radiologica di una mano deformata dall’artrite reumatoide

Coste

Vertebra

5. Aspetti dello sviluppo dello scheletro Come abbiamo visto in precedenza, le iniziali «ossa lunghe» dei primi stadi fetali sono formate da cartilagine ialina, e le iniziali «ossa piatte» sono in realtà membrane fibrose. Con lo svilupparsi e l’accrescersi del feto le ossa piatte e i modelli delle ossa lunghe sono convertiti in osso (figura 4.31). Alla nascita sono ancora presenti nel cranio alcune fontanelle che consentono l’accrescimento dell’encefalo, ma verso i due anni di età queste regioni sono di solito completamente ossificate. Alla fine dell’adolescenza le piastre epifisarie delle ossa lunghe, che nell’infanzia provvedono all’accrescimento in lunghezza, si sono completamente ossificate e l’accrescimento delle ossa lunghe ha termine. Lo scheletro si modifica nel corso di tutta la vita, ma le modificazioni che si verificano nell’infanzia sono le più evidenti. Alla nascita il neurocranio del neonato è enorme in confronto alla faccia (figura 4.32a). Il rapido accrescimento del neurocranio, prima e dopo la nascita, è in rapporto all’accrescimento dell’encefalo. Attorno ai due anni di età le dimensioni del cranio sono pari ai tre quarti delle dimensioni nell’adulto; verso gli otto o nove anni le dimensioni e le proporzioni del cranio sono quasi quelle dell’adulto. Tuttavia, tra i sei e gli undici anni di età la testa sembra sostanzialmente ingrandirsi, mentre la faccia letteralmente spunta fuori dal cranio. Le mascelle si ingrandiscono e zigomi e naso si fanno più sporgenti con l’espandersi delle vie respiratorie e con lo sviluppo dei denti permanenti. Alla nascita sono presenti le cosiddette curve primarie della colonna vertebrale, che sono convesse posteriormente, cosicché la colonna vertebrale del neonato è arcuata, come quella di un animale quadrupede. Le curve

Osso dell’anca

Tibia Femore

Figura 4.31 Le regioni più scure indicano i centri di ossificazione dello scheletro di un feto di 12 settimane; le regioni più chiare sono ancora fibrose o cartilaginee

secondarie sono convesse anteriormente e sono in rapporto con lo sviluppo successivo del bambino. Sono la conseguenza della variazione di forma dei dischi intervertebrali più che di modificazioni delle vertebre ossee e determinano la curva a S della colonna vertebrale, tipica dell’adulto. Molti casi di curve anomale della colonna vertebrale, come la scoliosi o la lordosi (vedi figura 4.15), sono congeniti, alcuni però sono la conseguenza di lesioni. Di solito le curve anomale, quando sono diagnosticate, vengono trattate chirurgicamente, o con busti ortopedici, o con ingessature. Genericamente parlando, le persone giovani e sane non hanno problemi scheletrici, dando per scontato che assumano una dieta nutriente e che si mantengano ragionevolmente attive. Nell’età giovane l’accrescimento dello scheletro non solo fa aumentare l’altezza e le dimensioni complessive dell’organismo, ma modifica anche le proporzioni del corpo (figura 4.32b). Alla nascita la testa e il tronco insieme sono lunghi circa una volta e mezza gli arti inferiori. Da questo momento in avanti gli arti inferiori si accrescono più rapidamente del tronco, e attorno ai dieci anni di età la lunghezza di testa e tronco è circa la stessa degli arti inferiori e da allora in poi si modifica di poco. Nel corso della pubertà la pelvi femminile si allarga in pre-

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

MAPPA DEGLI APPARATI RELAZIONI OMEOSTATICHE DEL SISTEMA SCHELETRICO CON GLI ALTRI APPARATI

Sistema nervoso • Il sistema scheletrico protegge l’encefalo e il midollo spinale; costituisce un deposito di ioni calcio necessari per l’attività nervosa • Il sistema nervoso innerva le ossa e le capsule articolari, fornendo recettori dolorifici e propriocettori per le articolazioni

Apparato endocrino • Il sistema scheletrico fornisce una certa protezione • L’assunzione e la liberazione di calcio dall’osso sono regolate da ormoni; l’accrescimento e la maturazione delle ossa lunghe sono controllati da ormoni

Apparato respiratorio • Il sistema scheletrico (gabbia toracica) racchiude e protegge i polmoni • L’apparato respiratorio fornisce l’ossigeno ed elimina il diossido di carbonio

Sistema linfatico/immunità • Il sistema scheletrico fornisce una certa protezione a organi linfatici; i linfociti impegnati nella risposta immunitaria si originano nel midollo osseo • Il sistema linfatico drena i liquidi tessutali filtrati dai vasi sanguigni; le cellule del sistema immunitario proteggono dagli agenti patogeni

Apparato cardiovascolare • Le cavità contenenti midollo osseo sono la sede in cui vengono prodotte le cellule del sangue; la matrice ossea è la sede di deposito del calcio necessario per l’attività muscolare cardiaca • L’apparato cardiovascolare trasporta sostanze nutritizie e ossigeno all’osso e ne allontana i prodotti di rifiuto

Apparato digerente • Il sistema scheletrico fornisce una certa protezione all’intestino, agli organi pelvici e al fegato • L’apparato digerente fornisce le sostanze nutritizie necessarie per la salute e l’accrescimento dell’osso

Apparato genitale • Il sistema scheletrico protegge alcuni organi dell’apparato genitale • Le gonadi producono ormoni che influenzano la forma dello scheletro e l’ossificazione delle piastre epifisarie

Apparato urinario • Il sistema scheletrico protegge gli organi pelvici (vescica urinaria, ecc.) • L’apparato urinario attiva la vitamina D; elimina i rifiuti azotati

Apparato tegumentario

Sistema muscolare • Il sistema scheletrico fornisce le leve e anche il calcio per l’attività dei muscoli • L’azione dei muscoli sulle ossa aumenta la forza e la vitalità dell’osso; contribuisce a determinare la forma delle ossa

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• Il sistema scheletrico dà sostegno agli organi del corpo, cute compresa • La cute fornisce la vitamina D necessaria per l’adeguato assorbimento e utilizzazione del calcio

Sistema scheletrico

4. IL SISTEMA SCHELETRICO

facendo nulla che richieda troppa attività fisica. La loro ricompensa sono le fratture patologiche (fratture spontanee senza alcuna causa apparente), che aumentano considerevolmente con l’età e costituiscono il più comune problema singolo dello scheletro in questa fascia di età. Il progredire degli anni si fa sentire anche sulle articolazioni. In particolare le articolazioni che sostengono il peso cominciano a degenerare e l’osteoartrite è comune. Queste modificazioni degenerative delle articolazioni portano alla lamentela che si sente spesso dalle persone anziane: «Le mie articolazioni stanno diventando così rigide…». 40 anni

60 anni

70 anni

Figura 4.34 Collasso vertebrale dovuto all’osteoporosi Nell’invecchiare, le donne con osteoporosi conseguente alla menopausa sono a rischio di fratture delle vertebre. Alla fine queste vertebre tendono a collassare, causando l’incurvamento della colonna vertebrale, con diminuzione dell’altezza, inclinazione della gabbia toracica, comparsa di una gobba, prominenza dell’addome.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

25. Quali curve della colonna vertebrale sono presenti alla nascita? 26. Qual è la differenza di forma tra la colonna vertebrale di un neonato e quella di un adulto? 27. Quali due regioni dello scheletro si accrescono con la maggiore rapidità nell’infanzia?

■■■ RIASSUNTO 1. Le ossa: concetti generali (pp. 69-76)

2. Lo scheletro assiale (pp. 76-86)

1. Le ossa danno sostegno e protezione agli organi; servono come leve su cui agiscono i muscoli determinando il movimento a livello delle articolazioni; sono sede di deposito di calcio, di grassi e di altre sostanze; contengono il midollo osseo che è la sede della produzione delle cellule del sangue. 2. Le ossa sono classificate in quattro gruppi (lunghe, brevi, piatte e irregolari) in base alla forma e alla quantità di osso compatto e spugnoso in esse contenuta. 3. Un osso lungo è composto da una diafisi e da due estremità (epifisi). La diafisi è costituita da osso compatto e nella sua cavità contiene midollo giallo. Le epifisi sono ricoperte da cartilagine ialina; sono costituite da osso spugnoso, in cui si trova midollo rosso. 4. Le componenti organiche della matrice rendono l’osso flessibile; i sali di calcio depositati nella matrice conferiscono all’osso la durezza. 5. Le ossa si formano su modelli di cartilagine ialina oppure in membrane fibrose. Alla fine, queste iniziali strutture di sostegno sono sostituite da osso. Le piastre epifisarie persistono, consentendo l’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe durante l’infanzia e vengono ossificate alla fine dell’adolescenza. 6. Le ossa modificano la loro struttura nel corso di tutta la vita. Questo rimodellamento si verifica in risposta a ormoni (per esempio il PTH, che regola il livello del calcio nel sangue) e alle sollecitazioni meccaniche che agiscono sullo scheletro.

1. Il cranio è formato dalle ossa del neurocranio e dalle ossa della faccia. Le otto ossa del neurocranio proteggono l’encefalo: osso frontale, osso occipitale, etmoide, sfenoide, le due ossa parietali e le due ossa temporali. Le quattordici ossa della faccia sono tutte pari (ossa mascellari, zigomatiche, palatine, nasali, lacrimali e conche nasali inferiori), ad eccezione del vomere e della mandibola. L’osso ioide, che in realtà non è un osso del cranio, è sostenuto nel collo da legamenti. 2. Il cranio del neonato presenta le fontanelle (regioni membranose), che permettono l’accrescimento dell’encefalo. Le ossa della faccia nel bambino piccolo sono molto piccole in confronto alle dimensioni del neurocranio. 3. La colonna vertebrale è formata da 24 vertebre, dal sacro e dal coccige. Le vertebre sono: sette cervicali, dodici toraciche, cinque lombari. Hanno tutte caratteristiche morfologiche comuni e nelle stesso tempo caratteristiche specifiche. Tra una vertebra e l’altra sono presenti dischi fibrocartilaginei che rendono flessibile la colonna vertebrale. La colonna vertebrale ha forma incurvata a S per consentire la stazione eretta. Le curve primarie della colonna presenti alla nascita sono la curva toracica e quella sacrale; le curve secondarie (cervicale e lombare) compaiono dopo la nascita. 4. Lo scheletro del torace è formato dallo sterno e da dodici paia di coste. Tutte le coste si articolano posteriormente con le vertebre toraciche. Anteriormente le prime sette paia si articolano direttamente con lo sterno (coste vere); le ultime cinque paia (coste spurie) si articolano con lo sterno indirettamente o non si articolano affatto. La gabbia tora-

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

cica racchiude i polmoni, il cuore e gli altri organi della cavità toracica. 3. Lo scheletro appendicolare (pp. 86-93)

1. La cintura scapolare, composta da due ossa, la scapola e la clavicola, unisce l’arto superiore allo scheletro assiale. È una cintura leggera, scarsamente rinforzata, che consente all’arto superiore un alto grado di libertà. 2. Le ossa dell’arto superiore sono l’omero nel braccio, il radio e l’ulna nell’avambraccio, le ossa del carpo, quelle del metacarpo e le falangi nelle mani. 3. La cintura pelvica è formata dalle due ossa dell’anca. Ciascun osso dell’anca è il risultato della fusione di tre ossa: ileo, ischio e pube. La cintura pelvica è saldamente unita all’osso sacro dello scheletro assiale. Questa cintura riceve il peso della parte superiore del corpo e lo trasferisce sugli arti inferiori. La pelvi femminile è più leggera e più larga di quella maschile, e le sue aperture, superiore e inferiore, sono più grandi in rapporto alla funzione della gravidanza. 4. Le ossa dell’arto inferiore sono il femore nella coscia, la tibia e la fibula nella gamba, le ossa del tarso, quelle del metatarso e le falangi nel piede. 4. Le articolazioni (pp. 93-100)

1. Le articolazioni tengono unite le ossa e consentono il movimento dello scheletro. 2. Le articolazioni sono classificabili in tre categorie funzionali: sinartrosi (articolazioni fisse), anfiartrosi (semifisse) e diartrosi (mobili). 3. Le articolazioni possono essere classificate anche dal punto di vista strutturale in fibrose, cartilaginee e sinoviali, sulla base del materiale interposto tra le superfici articolari. 4. Molte articolazioni fibrose sono sinartrosi, e molte articolazioni cartilaginee sono anfiartrosi. Le articolazioni fibrose e quelle cartilaginee si trovano soprattutto nello scheletro assiale.

5. Le articolazioni del corpo sono per la maggior parte articolazioni sinoviali, che predominano negli arti. Nelle articolazioni sinoviali le superfici articolari delle ossa sono ricoperte da una cartilagine articolare e sono racchiuse entro la cavità articolare da una capsula fibrosa, che è internamente rivestita da una membrana sinoviale. Tutte le articolazioni sinoviali sono diartrosi. 6. Il problema più frequente riguardo alle articolazioni è l’artrite, l’infiammazione delle articolazioni. L’osteoartrite, o artrite degenerativa, è la conseguenza dell’«usura» delle articolazioni nel corso degli anni ed è un malanno comune nelle persone anziane. L’artrite reumatoide compare negli adulti, sia giovani sia più anziani; si ritiene sia una malattia autoimmune. L’artrite gottosa, dovuta al depositarsi di cristalli di acido urico nelle articolazioni, colpisce di regola una sola articolazione. 5. Aspetti dello sviluppo dello scheletro (pp. 100-103)

1. Nel cranio alla nascita sono presenti le fontanelle, che permettono l’accrescimento dell’encefalo e facilitano il passaggio attraverso il canale del parto. Dopo la nascita l’accrescimento del cranio è correlato all’accrescimento dell’encefalo; l’aumento delle dimensioni dello scheletro della faccia fa seguito allo sviluppo dei denti e all’ampliamento delle vie respiratorie. 2. Alla nascita la colonna vertebrale è incurvata a C (sono presenti le curve toracica e sacrale); le curve secondarie si formano quando il bambino comincia a sollevare la testa e a camminare. 3. Le ossa lunghe continuano ad accrescersi in lunghezza fino al termine dell’adolescenza. Verso i dieci anni di età la lunghezza della testa e del tronco è circa pari alla lunghezza degli arti inferiori e di qui in avanti si modifica di poco. 4. Le fratture costituiscono il problema osseo più frequente nelle persone anziane. Negli individui anziani è comune anche l’osteoporosi, una condizione di deterioramento osseo dovuta soprattutto a carenze ormonali o all’inattività.

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Quali dei seguenti abbinamenti sono corretti? a) osso breve – polso b) osso lungo – gamba c) osso irregolare – sterno d) osso piatto – vertebre 2. La sottile via di passaggio che in un osteone connette osteociti vicini è a) un canale centrale b) una lamella c) una lacuna d) un canalicolo e) un canale perforante 3. Cosa ti aspetti di trovare particolarmente sviluppato negli osteoclasti?

a) l’apparato di Golgi b) i lisosomi c) i microfilamenti d) l’esocitosi 4. Un dolore osseo dietro al meato uditivo esterno probabilmente interessa a) la mascella b) l’etmoide c) lo sfenoide d) l’osso temporale e) l’osso lacrimale 5. Si articola con lo sfenoide a) osso parietale b) mandibola c) osso lacrimale d) osso zigomatico e) etmoide

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

6. Quale processo dell’omero si articola con il radio? a) la troclea b) la grande tuberosità c) la piccola tuberosità d) il condilo e) la fossa olecranica 7. Le parti delle vertebre toraciche che si articolano con le coste sono a) il processo spinoso b) i processi trasversi c) i processi articolari superiori d) il corpo e) i peduncoli 8. Quali delle seguenti ossa o parti di ossa si articolano con il femore? a) osso sacro b) pube c) patella d) fibula e) tibia 9. Quale osso dell’arto superiore corrisponde al femore dell’arto inferiore? a) ulna b) omero c) radio d) tibia e) fibula 10. A quale stadio della vita gli arti inferiori raggiungono la stessa lunghezza della testa e del tronco? a) alla nascita b) attorno ai 10 anni di età c) alla pubertà d) quando si ossificano le piastre epifisarie e) mai 11. Abbina il tipo di articolazione alla descrizione appropriata. (Può essere valida più di una descrizione.) a) articolazioni fibrose b) articolazioni cartilaginee c) articolazioni sinoviali ___ 1. Non hanno cavità articolare ___ 2. Comprendono suture e sindesmosi ___ 3. Lo spazio tra le superfici articolari è colmato da tessuto connettivo denso ___ 4. Sono di questo tipo quasi tutte le articolazioni del cranio ___ 5. Comprendono sincondrosi e sinfisi ___ 6. Sono tutte diartrosi ___ 7. Sono il tipo più comune di articolazione nell’organismo ___ 8. Sono quasi tutte sinartrosi ___ 9. Sono tali le articolazioni della spalla, dell’anca, del ginocchio e del gomito

Rispondi in cinque righe.

12. Indica tre funzioni del sistema scheletrico. 13. Cos’è il midollo giallo? Quali sono le differenze all’osservazione tra osso spugnoso e osso compatto? 14. Confronta e contrapponi il ruolo che hanno nel rimodellamento dell’osso l’ormone PTH e le forze meccaniche che agiscono sullo scheletro. 15. Indica con il loro nome le otto ossa del neurocranio. 16. Quale osso forma il mento? E lo zigomo? E la mascella? E l’arcata sopracciliare? 17. Indica le due differenze tra cranio fetale e cranio dell’adulto. 18. Quante sono le vertebre di ciascuna delle tre regioni superiori della colonna vertebrale? 19. Fai lo schema delle curve normali della colonna vertebrale, e poi delle curve visibili nella scoliosi e nella lordosi. 20. Qual è la funzione dei dischi intervertebrali? Cos’è l’ernia del disco? 21. Indica i principali componenti dello scheletro del torace. 22. Indica il nome delle ossa della cintura scapolare. 23. Indica tutte le ossa con cui si articola l’ulna. 24. Indica il nome delle ossa dell’arto inferiore, dall’alto in basso. 25. A Jolanda viene chiesto di osservare al microscopio un vetrino di tessuto osseo compatto che appare così:

Indica i nomi delle componenti del tessuto scegliendoli tra i seguenti: osteone; canale perforante; canale di Havers; periostio; lamelle interstiziali; lacune ossee; canalicolo. 26. Indica due fattori che mantengono sane le ossa. Indica due fattori che possono rendere le ossa molli o causarne l’atrofia.

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4. IL SISTEMA SCHELETRICO

■■■ VERSO LE COMPETENZE 27. Dopo un forte raffreddore accompagnato da congestione nasale, Elena si lamentava di un mal di testa frontale e di dolore al lato destro della faccia. Quali strutture ossee erano state probabilmente infettate dai batteri o dai virus che avevano causato il raffreddore? 28. Berenice, una donna di 75 anni, è inciampata leggermente mentre camminava e poi ha sentito un terribile dolore all’anca sinistra. All’ospedale le radiografie hanno dimostrato una frattura dell’anca. Inoltre, l’osso compatto e spugnoso della sua colonna vertebrale era fortemente assottigliato. Quale patologia presenta? 29. Al lavoro, una scatola è caduta dallo scaffale sulla regione acromiale di Berta. Al pronto soccorso il medico ha ap-

prezzato con la palpazione che la testa dell’omero era spostata nell’ascella. Cosa è accaduto a Berta? 30. Le radiografie dell’osso servono talvolta a stabilire se una persona ha raggiunto l’altezza definitiva. Cosa controllano i medici? 31. Un paziente lamenta un dolore che parte dalla mandibola e si irradia in basso verso il collo. Quando gli si rivolgono altre domande, afferma che quando è sotto stress digrigna i denti. Quale articolazione gli provoca il dolore? 32. Il dottor Dante palpa la colonna vertebrale di Giulia per stabilire se sta cominciando a comparire una scoliosi. Quale parte o regione delle vertebre apprezza con la palpazione mentre le dita scorrono lungo la colonna?

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

Poiché i muscoli che si flettono appaiono simili a topolini che guizzano sotto la cute, qualche scienziato moltissimo tempo fa diede loro questo nome derivato dal latino musculus, «piccolo topo». In realtà, spesso la prima immagine che viene in mente quando si sente la parola muscolo è la contrazione dei muscoli dei pugili professionisti o dei sollevatori di pesi. Però il tessuto muscolare è anche il tessuto dominante nel cuore e nelle pareti di altri organi cavi dell’organismo e, in tutte le sue forme, costituisce quasi la metà della massa corporea. La funzione fondamentale del muscolo è la contrazione, che comporta un accorciamento, caratteristica che lo distingue da tutti gli altri tessuti del corpo. Per questa loro proprietà i muscoli sono responsabili di tutti i movimenti del corpo e possono essere considerati le «macchine motrici» dell’organismo.

1. Concetti generali sul tessuto muscolare I tipi di tessuto muscolare Esistono tre tipi di tessuto muscolare: scheletrico, cardiaco e liscio. Come è riassunto nella tabella 5.1, essi differiscono come struttura cellulare, localizzazione e modalità di stimolo alla contrazione. Prima però di considerare le loro differenze, osserviamo alcuni degli aspetti che li rendono simili. In primo luogo, le unità strutturali del muscolo scheletrico e di quello liscio sono allungate, e per questo nel muscolo scheletrico sono dette fibre muscolari, mentre nel muscolo liscio le cellule sono dette anche fibrocellule muscolari lisce.1 In secondo luogo, la capacità di contrazione del muscolo dipende da due tipi di miofilamenti di natura proteica.

scolo volontario (poiché è l’unico tipo di tessuto muscolare soggetto a una regolazione cosciente). Tuttavia è importante riconoscere che i muscoli scheletrici sono spesso attivati anche in via riflessa (senza il nostro «comando volontario»). Le parole chiave per definire il tessuto muscolare scheletrico sono scheletrico, striato e volontario. Il tessuto muscolare scheletrico si può contrarre rapidamente e con grande forza, ma si stanca facilmente e deve riposare dopo brevi periodi di attività. Le fibre muscolari scheletriche, come la maggior parte delle cellule, sono molli e sorprendentemente fragili. Eppure i muscoli scheletrici sono in grado di esplicare una forza formidabile; infatti la forza che sviluppano, per esempio nel sollevare un peso, è spesso molto maggiore di quella necessaria per sollevare il peso stesso. Come può essere? La ragione per cui non si strappano nell’esercitare la forza è che migliaia delle fibre che li compongono sono unite in fasci da tessuto connettivo che fornisce al muscolo nel suo insieme resistenza e sostegno (figura 5.1). Ogni fibra muscolare è circondata da una delicata lamina di tessuto connettivo, l’endomisio; molte fibre muscolari sono poi avvolte da una membrana fibrosa più spessa, il perimisio, formando un fascio di fibre. Molti fasci di fibre sono tenuti insieme da un rivestimento connettivale ancora più resistente, l’epimisio, che avvolge

?

Cos’è l’epimisio?

Fibra muscolare Vaso sanguigno Perimisio

Il tessuto muscolare scheletrico Le fibre muscolari scheletriche sono organizzate in organi, i muscoli scheletrici, che prendono attacco sullo scheletro. Poiché i muscoli scheletrici rivestono il nostro scheletro osseo, contribuiscono a rendere molto più lisci i contorni del corpo. Le fibre muscolari scheletriche sono enormi elementi cilindrici plurinucleati. Sono le unità strutturali più grandi di tutti i tipi di tessuto muscolare: alcune raggiungono anche 30 cm di lunghezza. Infatti le fibre dei grandi muscoli molto attivi, come i muscoli dell’anca, sono tanto grosse da essere visibili a occhio nudo. Il muscolo scheletrico è detto anche muscolo striato (poiché le sue fibre mostrano un striatura evidente) e mu-

Epimisio

Fascio di fibre (avvolto dal perimisio)

Endomisio (tra una fibra e l’altra) Tendine Osso

1 Le fibre muscolari scheletriche non sono singole cellule, ma sincizi, cioè grandi elementi plurinucleati risultanti dalla fusione, nel corso dello sviluppo embrionale del tessuto, di numerose cellule individuali mononucleate. Le cellule muscolari lisce sono invece elementi cellulari singoli mononucleati.

Figura 5.1 Avvolgimenti di tessuto connettivo nel muscolo scheletrico

108 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

5. IL SISTEMA MUSCOLARE Tabella 5.1 Tessuto muscolare scheletrico, cardiaco e liscio a confronto

Caratteristiche

Scheletrico

Cardiaco

Liscio

Localizzazione

Unito alle ossa o, per diversi muscoli della faccia, alla cute

Pareti del cuore

Soprattutto nella parete di visceri cavi (tranne il cuore)

Forma e aspetto delle cellule

Lunghissime fibre individuali plurinucleate, cilindriche, con striatura molto evidente

Catene ramificate di cellule mononucleate, striate; dischi intercalari

Cellule individuali mononucleate, fusate, prive di striatura

Componenti connettivali

Epimisio, perimisio ed endomisio

Endomisio unito allo scheletro fibroso del cuore

Endomisio

Endomisio Epimisio

Endomisio Perimisio

Endomisio

Fibre

Regolazione della contrazione

Volontaria, attraverso il sistema nervoso

Involontaria; stimolo da pacemaker intrinseco del cuore; anche dal sistema nervoso e da ormoni

Involontaria; dal sistema nervoso; da ormoni, sostanze chimiche, distensione

Velocità di contrazione

Da lenta a rapida

Lenta

Molto lenta

Contrazione ritmica

No



Sì, in alcuni casi

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE Strato circolare di muscolatura liscia (le cellule appaiono in sezione longitudinale)

Mucosa

Fasci muscolari cardiaci

Strato longitudinale di muscolatura liscia (le cellule appaiono in sezione trasversale)

Sottomucosa

(a)

(b)

Figura 5.2 Disposizione delle cellule muscolari lisce e di quelle cardiache (a) Rappresentazione schematica di una sezione trasversale di intestino. (b) Vista longitudinale del cuore, che mostra la disposizione spirale delle catene di cellule muscolari cardiache nelle pareti.

l’intero muscolo. L’epimisio si fonde con i tendini che servono come mezzi di unione dei muscoli alle ossa. I tendini sono costituiti per la massima parte da resistenti fibre collagene, e possono quindi passare sopra prominenze ossee ruvide che lacererebbero i tessuti muscolari che sono più delicati. Il tessuto muscolare liscio Il muscolo liscio è privo di striature ed è involontario, cioè non può essere soggetto al controllo cosciente. Situato principalmente nella parete di visceri cavi, come lo stomaco, la vescica urinaria e le vie respiratorie, fa progredire il contenuto lungo un percorso definito all’interno dell’organismo. Gli aggettivi chiave per definire il muscolo liscio sono viscerale, non striato e involontario. Le cellule muscolari lisce hanno forma fusata, possiedono un solo nucleo e sono circondate da scarso endomisio (vedi anche tabella 5.1). Sono disposte in strati, che molto spesso sono due, uno a decorso circolare e l’altro a decorso longitudinale, come è illustrato nella figura 5.2a. Poiché i due strati si contraggono e si rilassano alternativamente, fanno variare le dimensioni e la forma dell’organo. La progressione del cibo lungo il canale ali-

mentare e lo svuotamento dell’intestino e della vescica urinaria sono esempi di attività comuni normalmente svolte dal muscolo liscio. La contrazione del muscolo liscio è lenta e sostenuta. Se il muscolo scheletrico è paragonabile a un’automobile spinta al massimo che sfreccia velocemente, il muscolo liscio può essere paragonato a una macchina stabile e pesante che va avanti goffamente ma instancabilmente. Il tessuto muscolare cardiaco Il muscolo cardiaco si trova in una sola sede nell’organismo, il cuore, dove forma la gran parte delle pareti cardiache. Il cuore agisce come una pompa che spinge il sangue nei vasi sanguigni e, attraverso questi, in tutti i tessuti del corpo. Il muscolo cardiaco assomiglia al muscolo scheletrico per il fatto di essere striato, e al muscolo liscio per il fatto di essere involontario e non soggetto a regolazione cosciente. Le parole chiave importanti per definirlo sono cardiaco, striato e involontario. Le catene di cellule cardiache sono sostenute da una modesta quantità di tessuto connettivo lasso (endomisio) e organizzate in fasci ad andamento spirale, come illustrato nella figura 5.2b. Quando il cuore si contrae, le sue camere interne diventano più piccole, spingendo il

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

sangue nelle grosse arterie che partono dal cuore. Le cellule muscolari cardiache sono ramificate e sono unite da particolari giunzioni dette dischi intercalari. Queste due caratteristiche strutturali, insieme all’organizzazione spirale dei fasci muscolari, fanno sì che l’attività cardiaca sia estremamente coordinata. Il muscolo cardiaco di solito si contrae con un ritmo piuttosto costante stabilito dal pacemaker intrinseco del cuore, però il cuore può anche essere stimolato dal sistema nervoso a contrarsi per brevi periodi con velocità più elevata, come quando si corre per prendere l’autobus. Come si può vedere, ciascuno dei tre tipi di tessuto muscolare ha caratteristiche strutturali e funzionali idonee al ruolo svolto nell’organismo. Ma poiché la denominazione sistema muscolare si riferisce in modo specifico ai muscoli scheletrici, in questo capitolo ci concentreremo su questo tipo di muscolo. Le funzioni dei muscoli Produrre movimento è la funzione comune a tutti i tipi di tessuto muscolare, ma il muscolo scheletrico svolge nell’organismo anche altri tre ruoli importanti: mantiene la postura, stabilizza le articolazioni e genera calore. • La produzione di movimento. Quasi tutti i movimenti del corpo umano sono dovuti alla contrazione muscolare. La mobilità del corpo nel suo insieme rispecchia l’attività dei muscoli scheletrici, che sono responsabili di tutte le azioni di locomozione (per esempio, camminare, nuotare, fare sci di fondo) e di tutte le manovre. I muscoli scheletrici ci mettono in grado di rispondere prontamente alle modificazioni dell’ambiente esterno. Per esempio, la loro velocità e la loro forza ci permettono di saltare fuori dal percorso di un’automobile sfuggita al controllo e poi di seguire con gli occhi la sua traiettoria. Ci consentono anche di esprimere le emozioni con il linguaggio senza parole dei sorrisi e dell’aggrottare le sopracciglia. Sono differenti dal muscolo liscio delle pareti dei vasi sanguigni e dal muscolo cardiaco del cuore che operano insieme nel fare circolare il sangue e mantenere la pressione sanguigna, e dal muscolo liscio degli altri organi cavi che fa progredire liquidi (urina, bile) o altro (cibo, un bambino) lungo vie interne del corpo. • Il mantenimento della postura. Raramente siamo coscienti delle attività dei muscoli scheletrici che mantengono la posizione del corpo. Eppure essi agiscono pressoché continuamente, effettuando un piccolo assestamento dopo l’altro, in modo che possiamo mantenere una posizione eretta o seduta nonostante l’interminabile attrazione verso il basso esercitata dalla gravità. • La stabilizzazione delle articolazioni. Per quanto i mu-

scoli scheletrici operino una trazione sulle ossa determinando i movimenti, servono anche a stabilizzare le articolazioni dello scheletro. Infatti i tendini dei muscoli sono estremamente importanti nel rinforzare e stabilizzare le articolazioni in cui le superfici articolari si adattano scarsamente (per esempio, l’articolazione della spalla). • La generazione di calore. La quarta funzione del muscolo, la generazione di calore corporeo, è una conseguenza dell’attività muscolare. Quando viene impiegato ATP per alimentare la contrazione muscolare, quasi i tre quarti della sua energia sono dispersi come calore. Questo calore è di importanza vitale nel mantenere la normale temperatura corporea. Il muscolo scheletrico costituisce almeno il 40% della massa corporea, quindi è il tipo di tessuto muscolare maggiormente responsabile della generazione di calore. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Quali sono le differenze anatomiche tra le cellule dei tre tipi di tessuto muscolare? 2. Quale tipo di tessuto muscolare presenta i rivestimenti connettivali più complessi? 3. Qual è il significato del termine striato riferito al muscolo? 4. Quali sono le differenze tra i movimenti determinati dal muscolo scheletrico e quelli determinati dal muscolo liscio?

2. Anatomia microscopica del muscolo scheletrico Come abbiamo già visto e come è illustrato nella figura 5.3a a pagina seguente, le fibre muscolari scheletriche sono plurinucleate. Numerosi nuclei sono visibili immediatamente sotto la membrana plasmatica, detta sarcolemma. I nuclei sono spinti alla periferia da lunghe strutture nastriformi, le miofibrille, che occupano quasi tutto il citoplasma. L’alternanza di bande chiare (I) e scure (A) per tutta lunghezza delle miofibrille perfettamente allineate conferisce alla fibra muscolare nel suo insieme l’aspetto striato. L’osservazione più approfondita della bandeggiatura rivela che la banda chiara I è interrotta sulla linea mediana da una sottile regione più scura, la linea Z, e che la banda scura A presenta una zona centrale più chiara, la banda H (figura 5.3b). Al centro della banda H si trova la linea M, che contiene minute proteine filamentose che legano i filamenti spessi adiacenti. Ebbene, perché ci stiamo occupando di questa struttura complicata? Perché la bandeggiatura rivela la struttura operante delle miofibrille. In primo luogo, scopriamo che le miofibrille sono in realtà catene di minute unità contrattili, i sarcomeri, allineate in fila come i carri mer-

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE Figura 5.3 Anatomia di una fibra muscolare scheletrica Sarcolemma

(a) Parte di una fibra muscolare. Una miofibrilla è stata prolungata. (b) Ingrandimento di una sezione di miofibrilla, che mostra la bandeggiatura. (c) Ingrandimento di un sarcomero (l’unità di contrazione) della miofibrilla. (d) Struttura dei miofilamenti spessi e sottili presenti nel sarcomero.

Miofibrilla

Banda scura (A)

Banda chiara (I)

Nucleo

(a) Segmento di una fibra muscolare Linea Z

Banda H

Linea Z

Filamento sottile (actina) Filamento spesso (miosina)

(b) Miofibrilla

Banda I

(struttura complessa formata da fasci di miofilamenti)

Banda A

Banda I

Linea M

Sarcomero

Linea Z

Linea M

Linea Z

Filamento sottile (actina)

Filamento spesso (miosina)

(c) Sarcomero (segmento di miofibrilla) Filamento spesso

Zona nuda

Filamento sottile

(d) Struttura dei miofilamenti (in un sarcomero)

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

ci di un treno per tutta la lunghezza delle miofibrille. In secondo luogo, la bandeggiatura è in realtà il risultato dell’organizzazione di strutture ancora più piccole (i miofilamenti) all’interno dei sarcomeri. Esaminiamo in che modo la disposizione dei miofilamenti porta alla caratteristica bandeggiatura. In ciascun sarcomero si trovano due tipi di miofilamenti costituiti da proteine filamentose (figura 5.3c). I filamenti spessi, più grossi, detti anche filamenti miosinici, sono formati essenzialmente da fasci di molecole della proteina miosina, ma contengono anche ATPasi, enzimi che scindono l’ATP producendo l’energia per la contrazione muscolare. Va notato che i filamenti spessi si estendono per l’intera lunghezza della banda scura A, e che la parte di mezzo dei filamenti spessi è liscia, mentre le loro estremità presentano piccole protrusioni (figura 5.3d). Queste protrusioni, le teste miosiniche, formano dei ponti quando legano i filamenti spessi a quelli sottili durante la contrazione. I filamenti sottili sono formati dalla proteina actina più alcune proteine regolatrici che agiscono permettendo (o impedendo) il legame delle teste miosiniche all’actina. I filamenti sottili, o filamenti actinici, sono ancorati alla linea Z. Va notato che la banda chiara I comprende parti di due sarcomeri adiacenti e contiene soltanto filamenti sottili. Sebbene si sovrappongano alle estremità dei filamenti spessi, i filamenti sottili non si estendono nella parte centrale del sarcomero in stato rilassato, e così la regione centrale (la banda H, in cui non ci sono filamenti actinici e che appare un poco più chiara) è detta anche zona nuda. Quando avviene la contrazione e i filamenti actinici scivolano l’uno verso l’altro nel centro del sarcomero, questa zona chiara scompare perché la sovrapposizione dei filamenti actinici e miosinici è completa. Per il momento, tuttavia, è sufficiente rendersi conto che è l’esatta organizzazione dei miofilamenti nelle miofibrille a determinare la bandeggiatura, o l’aspetto striato, delle fibre muscolari scheletriche. Un altro importantissimo organulo della fibra muscolare, non raffigurato nella figura 5.3, è il reticolo sarcoplasmatico, un reticolo endoplasmatico liscio specializzato. I tubuli e le cisterne tra loro collegati del reticolo sarcoplasmatico circondano tutte le miofibrille una per una, proprio come la manica di un maglione a maglie rade avvolge un braccio. La funzione principale di questo complicato sistema è quella di accumulare calcio e liberarlo a richiesta quando la fibra muscolare è stimolata a contrarsi. Come vedremo, il calcio fornisce il definitivo segnale di «via» per la contrazione. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

5. Specificamente, cosa determina la bandeggiatura delle fibre muscolari scheletriche?

3. L’attività del muscolo scheletrico La stimolazione e la contrazione di singole fibre muscolari scheletriche Le cellule muscolari hanno alcune peculiari proprietà funzionali che le mettono in condizione di svolgere il loro ruolo. La prima è l’eccitabilità, o irritabilità, che è la capacità di ricevere uno stimolo e di rispondere a esso. La seconda, la contrattilità, è la capacità di accorciarsi (con forza) in seguito a uno stimolo adeguato. L’estensibilità è la capacità delle cellule muscolari di essere stirate, mentre l’elasticità è la loro capacità di tornare su se stesse e riprendere, dopo essere state distese, la lunghezza che avevano a riposo. Lo stimolo nervoso e il potenziale d’azione Per contrarsi, le fibre muscolari scheletriche devono essere stimolate da un impulso nervoso. Un motoneurone (cellula nervosa) può stimolare poche fibre muscolari oppure centinaia, a seconda del particolare muscolo e del lavoro che questo svolge. L’insieme di un motoneurone e di tutte le fibre muscolari scheletriche che stimola è una unità motoria (figura 5.4 a pagina seguente). Quando un lungo e sottile prolungamento del neurone, la fibra nervosa o assone, raggiunge il muscolo, si ramifica in numerose terminazioni assoniche, ciascuna delle quali prende contatto con il sarcolemma di una differente fibra muscolare (figura 5.5 a pagina seguente). Tali zone sono dette giunzioni neuromuscolari. In realtà le terminazioni nervose e la membrana plasmatica della fibra muscolare sono vicinissime, ma non sono mai a contatto, bensì separate da uno spazio, la fessura sinaptica, riempita da liquido interstiziale. Ora che abbiamo descritto la struttura della giunzione neuromuscolare, siamo pronti per prendere in esame cosa accade a questo livello. Quando uno stimolo nervoso raggiunge le terminazioni assoniche si libera un neurotrasmettitore chimico. Il neurotrasmettitore specifico che stimola le fibre muscolari scheletriche è l’acetilcolina (ACh). L’acetilcolina liberata nella fessura sinaptica si lega a specifici recettori (proteine di membrana). Se è stata liberata una quantità sufficiente di acetilcolina, il sarcolemma diviene a questo punto temporaneamente più permeabile agli ioni sodio (NaŒ), che entrano rapidamente nella fibra muscolare, e agli ioni potassio (KŒ), che ne escono. Tuttavia gli NaŒ che entrano sono più numerosi dei KŒ che escono. Questo provoca un eccesso di ioni positivi all’interno della fibra con inversione dello stato elettrico del sarcolemma e l’apertura di altri canali che permettono soltanto l’ingresso di NaŒ. Tale variazione di carica elettrica genera una corrente elettrica, che è il potenziale d’azione. Una volta iniziato, il potenziale d’azione è inarrestabile e si propaga lungo la superficie del

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE Ramoscello secco

Fibra muscolare Striature

Fibra nervosa

Giunzione neuromuscolare

Fiamma del fiammifero 2 La fiamma si propaga rapidamente lungo il ramoscello

2 Rapida propagazione del potenziale d’azione lungo il sarcolemma

1 La fiamma accende il ramoscello

1 Diffusione di Na+ all’interno della fibra

(b)

(a)

Figura 5.6 Il potenziale d’azione a confronto con la fiamma che consuma un ramoscello secco (a) Nel bruciare un ramoscello secco, il primo evento è tenere la fiamma del fiammifero sotto una parte del ramoscello. Il secondo evento è l’incendiarsi del ramoscello quando è stato riscaldato a sufficienza e il propagarsi della fiamma che brucia l’intero ramoscello. (b) Nella stimolazione di una fibra muscolare il primo evento è la rapida diffusione di ioni sodio (NaŒ) all’interno della fibra quando si modifica la permeabilità del sarcolemma. Il secondo evento è la propagazione del potenziale d’azione lungo il sarcolemma quando sono entrati ioni sodio in quantità sufficiente a invertire le condizioni elettriche della membrana.

plasmalemma, conducendo l’impulso elettrico da un’estremità all’altra della fibra. Il risultato è la contrazione della fibra muscolare. Va detto che mentre si verifica il potenziale d’azione, l’acetilcolina, che ha dato l’avvio al processo, viene scissa dall’enzima acetilcolinesterasi (AChE) presente sul sarcolemma (vedi figura 5.5c). Per questa ragione un unico stimolo nervoso provoca una sola contrazione. Questo impedisce la contrazione continua della fibra muscolare in assenza di altri stimoli nervosi. La fibra muscolare si rilassa fino a quando è stimolata dal successivo ciclo di liberazione di acetilcolina. Questa serie di eventi sarà spiegata con maggiore completezza più avanti, quando tratteremo della fisiologia del tessuto nervoso, ma forse potrebbe essere utile paragonarla a qualche evento comune, come l’accendere un fiammifero sotto un ramoscello secco (figura 5.6). La combustione del ramoscello ad opera della fiamma può essere paragonata alla variazione della permeabilità della membrana che consente l’ingresso di ioni sodio nella fibra muscolare. Quando la parte del ramoscello esposta alla fiamma diventa abbastanza calda (quando abbastanza ioni sodio sono entrati nella fibra), il ramoscello prende improvvisamente fuoco e il fuoco lo consuma (il potenziale d’azione si trasmette per tutta la lunghezza del sarcolemma). Gli eventi che fanno tornare la fibra alle sue condizioni di riposo sono: (1) la diffusione degli ioni potassio (KŒ) fuori dalla fibra; (2) l’azione della pompa sodio-potassio, il meccanismo di trasporto attivo che riporta gli ioni sodio e potassio alla posizione iniziale. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

6. Quali sono le due strutture strettamente associate in una giunzione neuromuscolare?

Il meccanismo della contrazione muscolare: la teoria dello scorrimento dei filamenti Cosa fa scorrere i filamenti? Quando le fibre muscolari sono attivate dal sistema nervoso come è stato appena descritto, le teste miosiniche si legano in siti di legame presenti sui filamenti sottili, e ha inizio lo scorrimento. Ogni testa che funziona da ponte si lega e si stacca molte volte nel corso di una contrazione, generando una tensione che contribuisce e spingere i filamenti sottili verso il centro del sarcomero. Poiché questo accade simultaneamente in tutti i sarcomeri della fibra muscolare, la fibra si accorcia (figura 5.7 a pagina seguente). Questo progredire delle teste miosiniche lungo i filamenti sottili durante la contrazione muscolare è molto simile all’andatura di un centopiedi. Alcune teste miosiniche sono sempre a contatto con l’actina, cosicché i filamenti sottili non possono scivolare all’indietro mentre questo ciclo si ripete molte volte durante la contrazione. Si noti che durante la contrazione i miofilamenti non si accorciano, ma semplicemente scorrono gli uni sugli altri. Il legame delle teste miosiniche all’actina richiede la presenza di ioni calcio (Ca2Œ). Da dove viene il calcio? Come è indicato nella figura 5.5b, i potenziali d’azione (frecce nere) passano in profondità entro la fibra muscolare. All’interno della fibra i potenziali d’azione stimolano il reticolo sarcoplasmatico a rilasciare ioni calcio nel citoplasma. Gli ioni calcio danno l’avvio al legame della miosina all’actina che dà inizio allo scorrimento dei filamenti. Questo processo di scorrimento e l’esatto ruolo del calcio sono rappresentati nella figura 5.8 a pagina seguente. Quando il potenziale d’azione termina, gli ioni calcio sono immediatamente riassorbiti all’interno delle regioni di deposito del reticolo sarcoplasmatico, e la fibra muscolare si rilassa e ritorna alla sua lunghezza iniziale. Questa intera serie di eventi avviene in pochi millesimi di secondo.

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE Actina

Miosina

Z

H

Z

I

A

I

(a)

Proteine regolatrici

Miofilamento di miosina

Miofilamento di actina

(a) Nella fibra muscolare in stato di rilassamento le proteine regolatrici che fanno parte dei miofilamenti actinici impediscono il legame della miosina (vedi a). Quando un potenziale d’azione percorre il sarcolemma e la fibra muscolare è stimolata, si liberano ioni calcio (Ca2ÿ) dalle regioni di accumulo intracellulare (le cisterne del reticolo sarcoplasmatico). Sito di legame della miosina

Z

(b)

I

Ca2ÿ

Z A

I

Figura 5.7 Rappresentazione schematica del sarcomero (a) In condizioni di rilassamento. (b) Completamente contratto. Va notato che nel sarcomero contratto la banda chiara H al centro della banda A è scomparsa, le linee Z sono più vicine ai filamenti spessi e le bande I sono quasi scomparse. Le bande A si avvicinano tra loro, ma non modificano la loro lunghezza.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

7. Quale componente chimico – ATP o Ca2Œ – dà l’avvio allo scorrimento dei filamenti nel muscolo? 8. Quali ioni entrano nella fibra muscolare quando si genera il potenziale d’azione? 9. A cosa somigliano di più i ponti formati dalle teste miosiniche: una precisa squadra di rematori o una persona che con la corda tira su un secchio dal pozzo?

La contrazione di un muscolo scheletrico nel suo insieme Risposte graduali Nei muscoli scheletrici la legge del «tutto o nulla» della fisiologia del muscolo vale per la fibra muscolare, non per l’intero muscolo. Tale legge afferma che una fibra muscolare, quando è adeguatamente stimolata, si contrae al massimo grado; non si contrae mai parzialmente. Tuttavia l’intero muscolo risponde alle stimolazioni con risposte graduali, vale a dire con gradi differenti di accorciamento. In generale la contrazione graduale del muscolo si può ottenere in due modi: (1) modificando la frequenza della stimolazione del muscolo, (2) modificando il numero delle fibre muscolari stimolate contemporaneamente. Qui di seguito descriviamo brevemente la risposta del muscolo a ciascuna di queste due modalità.

Parte superiore del filamento spesso (la parte inferiore non è rappresentata)

(b) Il flusso di ioni calcio agisce da stimolo finale alla contrazione poiché, quando il calcio si lega alle proteine regolatrici poste sui filamenti actinici, queste modificano la loro forma e la loro posizione sui filamenti sottili. Ciò espone sull’actina i siti di legame per la miosina, ai quali le teste miosiniche possono legarsi (vedi b).

(c) Le teste miosiniche libere sono «cariche», in modo molto simile a una trappola per topi pronta. Il legame fisico della miosina all’actina «fa scattare la trappola», facendo sì che le teste miosiniche scattino (come muovendosi su un perno) verso il centro del sarcomero (vedi c). L’ATP fornisce l’energia necessaria alla liberazione e alla ricarica di ciascuna testa miosinica in modo che sia pronta a fare un altro «passo» e ad attaccarsi a un altro sito di legame più distante nel filamento sottile. Quando il potenziale d’azione termina e gli ioni calcio sono di nuovo catturati nel reticolo sarcoplasmatico, le proteine regolatrici riprendono la forma e la posizione iniziali e bloccano di nuovo il legame della miosina ai filamenti sottili. Dal momento che la miosina ora non può legarsi, la fibra muscolare si rilascia e ritorna alla sua lunghezza iniziale. Figura 5.8 Rappresentazione schematica del meccanismo della contrazione: teoria dello scorrimento dei filamenti

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Tensione (g)

5. IL SISTEMA MUSCOLARE

(Stimoli)

(a) Scossa semplice

(b) Sommazione delle

(c) Tetano incompleto

(d) Tetano completo

contrazioni Figura 5.9 Risposta dell’intero muscolo a ritmi differenti di stimolazione In (a) viene inviato un solo stimolo e il muscolo si contrae e si rilassa (scossa semplice). In (b) vengono inviati stimoli con maggiore frequenza, cosicché il muscolo non ha il tempo di rilassarsi completamente; la forza di contrazione aumenta perché si sommano gli effetti delle singole scosse. In (c) si ha una fusione più completa delle scosse (tetano incompleto) quando gli stimoli sono inviati con ritmo ancora più rapido. In (d) un ritmo rapidissimo di stimolazione determina un tetano completo, una contrazione continua uniforme senza segni di rilassamento. (Le frecce rosse indicano i punti in cui vengono inviati gli stimoli. La tensione, misurata in grammi e riportata sull’asse verticale, indica la forza relativa della contrazione muscolare.)

• La risposta del muscolo alla stimolazione di frequenza crescente. In molti tipi di attività muscolare gli stimoli nervosi sono trasmessi al muscolo con un ritmo molto veloce, tanto veloce che il muscolo non ha la possibilità di rilassarsi completamente tra uno stimolo e l’altro. Ne consegue che gli effetti delle contrazioni consecutive si sommano, e la contrazione del muscolo diviene più forte e più uniforme. Quando la frequenza degli stimoli è così rapida che non si osserva alcun segno di rilassamento e la contrazione è completamente uniforme e sostenuta, la risposta è una contrazione tetanica, o tetano2 completo. Finché non si raggiunge questo punto il muscolo presenta un tetano incompleto (figura 5.9). • La risposta del muscolo a stimoli più forti. Il tetano provoca anche contrazioni muscolari più forti, tuttavia il suo ruolo fondamentale è quello di produrre una contrazione muscolare uniforme e prolungata. L’entità dell’energia con cui un muscolo si contrae è in larga misura determinata dal numero delle sue fibre che vengono stimolate. Quando sono stimolate soltanto poche fibre, la contrazione del muscolo nel suo insieme è lieve. Nelle contrazioni più forti, quando sono attive tutte le unità motorie e sono stimolate tutte le fibre, la contrazione del muscolo è la più forte possibile. Così la contrazione del muscolo può essere lieve o vigorosa a seconda del lavoro che deve essere compiuto. La stessa mano che tranquillizza con dolcezza può anche assestare uno schiaffo bruciante! Il rifornimento di energia per la contrazione muscolare Quando il muscolo si contrae, per fornire l’energia necessaria vengono scissi i legami delle molecole di ATP. Sorprendentemente i muscoli accumulano quantità molto limitate di ATP: soltanto quanto basta per 4-6 secondi, appena sufficiente a metterli in moto. Poiché l’ATP è

l’unica fonte di energia direttamente utilizzabile per alimentare l’attività del muscolo, l’ATP deve essere continuamente rigenerato se la contrazione deve continuare. I muscoli attivi utilizzano tre vie per rigenerare l’ATP: 1. La fosforilazione diretta dell’ADP da parte del creatinfosfato (figura 5.10a, a pagina seguente). La particolare molecola del creatinfosfato (CP) si trova nelle fibre muscolari, ma non negli altri tipi di cellule. Quando l’ATP si sta esaurendo, le interazioni tra CP e ADP determinano il trasferimento di un gruppo fosfato altamente energetico dal CP all’ADP, rigenerando così altro ATP in una frazione di secondo. Per quanto le fibre muscolari accumulino CP in misura circa cinque volte superiore all’ATP, anche il rifornimento di CP viene rapidamente esaurito (in meno di 15 secondi). 2. La respirazione aerobia (figura 5.10b). A riposo e durante l’esercizio da lieve a moderato circa il 95% dell’ATP impiegato per l’attività muscolare deriva dalla respirazione aerobia. La respirazione aerobia avviene nei mitocondri e implica una serie di vie metaboliche che utilizzano ossigeno. Nell’insieme queste vie sono indicate come fosforilazione ossidativa. Nella respirazione aerobia il glucosio viene completamente degradato a diossido di carbonio e acqua, e parte dell’energia che si libera con la scissione dei legami viene incorporata in legami delle molecole di ATP. Sebbene fornisca un ricco ricavo di ATP (circa 36 molecole di ATP per 1 molecola di glucosio), la respirazione aerobia è abbastanza lenta e necessita del continuo apporto di ossigeno e di sostanze nutritizie al muscolo per mantenerlo in attività. 2

La contrazione tetanica è normale e auspicabile ed è del tutto differente dall’affezione patologica del tetano dovuta alla tossina prodotta da un batterio. Il tetano provoca spasmi muscolari incontrollabili, che alla fine causano un arresto respiratorio.

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

?

Quale di queste modalità di generazione dell’ATP è comunemente utilizzata dai muscoli delle gambe di un ciclista di fondo?

Glucosio CP

ADP

Glicogeno O2

ATP

Glucosio

Acido piruvico Acidi grassi Creatina

O2

Acido piruvico

ATP CO2

(a) Fosforilazione diretta dell’ADP mediante una reazione con il creatinfosfato (CP)

O2

ATP

O2 ATP

H 2O

Acido lattico

(c) Glicolisi anaerobia e

(b) Respirazione aerobia (fosforilazione ossidativa)

formazione di acido lattico

Fonte di energia: CP

Fonti di energia: glucosio; acido piruvico; acidi grassi liberi derivati dal tessuto adiposo; aminoacidi derivati dal catabolismo delle proteine

Fonte di energia: glucosio

Impiego di ossigeno: no Prodotti: 1 ATP per 1 CP, creatina Durata della provvista di energia: 15 sec

Impiego di ossigeno: sì, necessario Prodotti: 36 ATP per 1 glucosio, CO2, H2O Durata della provvista di energia: ore

Impiego di ossigeno: no Prodotti: 2 ATP per 1 glucosio, acido lattico Durata della provvista di energia: 30-60 sec

Figura 5.10 Modalità di rigenerazione dell’ATP durante l’attività muscolare Il meccanismo più veloce è (a) la fosforilazione diretta; il più lento è (b) la respirazione aerobia.

3. La glicolisi anaerobia e la formazione di acido lattico (figura 5.10c). I passaggi iniziali della scissione del glucosio avvengono attraverso una via metabolica, detta glicolisi, che non utilizza ossigeno e quindi è una parte anaerobia del processo metabolico. Durante la glicolisi, che avviene nel citosol, il glucosio è degradato ad acido piruvico e piccole quantità di energia sono catturate in legami dell’ATP (2 molecole di ATP per 1 molecola di glucosio). Finché è presente sufficiente ossigeno, l’acido piruvico entra poi nella via aerobia richiedente ossigeno che avviene nei mitocondri e produce altro ATP, come descritto sopra. Tuttavia, quando l’attività del muscolo è intensa, o l’apporto di ossigeno o di glucosio è temporaneamente inadeguato per le necessità dei muscoli in azione, i lenti meccanismi aerobi non possono andare di pari passo con le richieste di ATP. In queste condizioni l’acido piruvico generato nella glicolisi viene convertito in acido lattico, e il processo complessivo è detto glicolisi anaerobia. La glicolisi anaerobia produce soltanto il 5% circa dell’ATP prodotto a partire da ciascuna molecola di glucosio con la respirazione aerobia. Tuttavia è circa due volte e mezzo più veloce e può fornire molto del-

l’ATP necessario per 30-60 secondi di energica attività muscolare. I principali difetti della glicolisi anaerobia consistono nel fatto che utilizza enormi quantità di glucosio per un piccolo rendimento in ATP e che l’accumulo di acido lattico favorisce la fatica muscolare e il dolore muscolare. Fatica muscolare e debito di ossigeno Se facciamo lavorare energicamente i nostri muscoli per molto tempo, compare la fatica muscolare. Si ha fatica muscolare quando il muscolo è incapace di contrarsi anche se continua a essere stimolato. Senza riposo, un muscolo in attività comincia ad affaticarsi e si contrae più debolmente fino a quando cessa di reagire e smette di contrarsi. Si ritiene che la fatica muscolare sia la conseguenza del debito di ossigeno che si verifica nell’attività muscolare prolungata: una persona non è in grado di inspirare ossigeno con velocità sufficiente a rifornire i muscoli di tutto l’ossigeno necessario quando lavorano energicamente. Allora, ovviamente, il lavoro che un muscolo può effettuare e quanto a lungo il muscolo può lavorare senza che insorga la fatica dipendono da quanto è valida la sua irrorazione sanguigna. Quando i muscoli manca-

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

Per saperne di più ■■ GLI EFFETTI DELL’ESERCIZIO SUI MUSCOLI La quantità del lavoro svolto da un muscolo si riflette in modificazioni del muscolo stesso. L’inattività muscolare (dovuta a perdita dell’innervazione, a immobilizzazione, o qualunque altra causa) porta sempre alla debolezza e all’atrofia del muscolo. I muscoli non fanno eccezione al principio per cui quello che non viene utilizzato viene perduto. Invece l’esercizio regolare determina un aumento delle dimensioni, della forza e della resistenza del muscolo. Tuttavia non tutti i tipi di esercizio producono questi effetti; esistono infatti importanti differenze riguardo al giovamento dell’esercizio fisico. L’esercizio di tipo aerobico, o di resistenza, come la ginnastica aerobica, la maratona (figura a), il nuoto o il ciclismo, dà come risultato muscoli più forti, più agili e più resistenti alla fatica. Queste modificazioni avvengono, almeno in parte, perché aumenta l’apporto di sangue ai muscoli e le singole fibre muscolari formano un maggior numero di mitocondri e hanno un maggiore rifornimento di ossigeno. Tuttavia l’esercizio aerobico non giova soltanto ai muscoli scheletrici; rende più efficiente il metabolismo generale del corpo, migliora la digestione (e l’eliminazione dei prodotti di rifiuto), accresce la coordinazione neuromuscolare e rafforza lo scheletro. Il cuore si ipertrofizza, cosicché a ogni pulsazione viene pompata una maggiore quantità di sangue, vengono eliminati i depositi di grassi dalle pareti dei vasi sanguigni, i polmoni diventano più efficienti nell’effettuare gli scambi gassosi. Questi giovamenti possono essere permanenti o temporanei, in rapporto a quanto spesso

e quanto vigorosamente si pratica l’esercizio fisico. L’esercizio aerobico non fa aumentare di molto le dimensioni dei muscoli, anche se può andare avanti per ore. I muscoli prominenti di un culturista o di un professionista di sollevamento pesi sono principalmente il risultato di un esercizio isometrico, o di potenza (figura b), nel quale i muscoli devono misurarsi con un oggetto immobile (o quasi immobile). Gli esercizi di potenza richiedono assai poco tempo: di solito sono sufficienti pochi minuti a giorni alterni. Si può spingere contro una parete, e si possono contrarre energicamente i muscoli delle natiche anche mentre si fa la fila dal droghiere. Il punto chiave è fare contrarre i muscoli con la maggior forza possibile. L’aumento delle dimensioni e della forza

dei muscoli che ne consegue è dovuto principalmente all’aumento di grandezza delle singole fibre muscolari (che producono più filamenti contrattili), anziché all’aumento del loro numero. Aumenta anche la quantità del tessuto connettivo che rinforza il muscolo. Poiché gli esercizi di resistenza e di potenza producono tipi differenti di risposta muscolare, è importante conoscere quali sono gli scopi del nostro esercizio fisico. Sollevare pesi non migliorerà la nostra resistenza per una maratona. Per lo stesso motivo fare jogging migliorerà di poco la definizione dei muscoli per partecipare al concorso di Mister o Miss Muscolo, né ci renderà più forti per spostare mobili. Ovviamente, il migliore programma di attività fisica comprende entrambi i tipi di esercizi.

(a)

(b)

Confronto tra gli effetti dell’allenamento aerobico e dell’allenamento di potenza (a) Maratoneta. (b) Sollevatore di pesi.

no di ossigeno, comincia ad accumularvisi l’acido lattico attraverso il meccanismo anaerobio sopra descritto. Inoltre la scorta di ATP del muscolo comincia a esaurirsi e si verifica uno squilibrio. Tutti insieme questi fattori fanno sì che il muscolo si contragga in modo sempre meno efficace e infine smetta del tutto di contrarsi. La vera fatica muscolare, in cui il muscolo cessa to-

talmente l’attività, si verifica di rado nella maggior parte di noi, perché sentiamo la stanchezza molto prima che questo avvenga e pertanto rallentiamo o interrompiamo la nostra attività. La fatica vera compare comunemente nei maratoneti. Molti di loro letteralmente crollano quando i loro muscoli sono soggetti a fatica e non sono più in grado di lavorare.

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

Il debito di ossigeno, che si verifica sempre in qualche misura nel corso dell’energica attività muscolare, deve sempre essere «saldato», che la fatica compaia oppure no. Nel periodo di recupero dopo l’attività l’individuo respira rapidamente e profondamente, e questo continua fino a quando i muscoli hanno ricevuto la quantità di ossigeno necessaria a sbarazzarsi dell’acido lattico accumulato e a produrre la provvista di ATP e di creatinfosfato. I tipi di contrazione muscolare: la contrazione isotonica e quella isometrica Finora abbiamo parlato della contrazione in termini di accorciamento, ma non sempre i muscoli si accorciano quando si contraggono. L’evento comune di ogni contrazione muscolare è che nel muscolo si sviluppa tensione quando i miofilamenti di actina e di miosina interagiscono e le teste miosiniche cercano di fare scorrere i filamenti actinici lungo i miofilamenti miosinici.

• La contrazione isotonica (letteralmente, «uguale tono» o «uguale tensione») è familiare alla maggior parte di noi. Nella contrazione isotonica i miofilamenti riescono a effettuare lo scorrimento, il muscolo si accorcia e si compie il movimento. Piegare un ginocchio, fare ruotare le braccia, sorridere sono tutti esempi di contrazione isotonica. • La contrazione isometrica (letteralmente «uguale misura» o «uguale lunghezza») è la contrazione in cui il muscolo non si accorcia e nella quale la tensione nel muscolo continua ad aumentare. I filamenti tentano di attuare lo scorrimento, ma il muscolo è contrapposto a qualche oggetto più o meno immobile. Per esempio, i muscoli si contraggono in modo isometrico quando cerchiamo di sollevare da soli un cassettone di due quintali. Quando raddrizziamo un gomito piegato, il muscolo tricipite si contrae in modo isotonico. Ma quando spingiamo con i gomiti piegati contro una parete, la parete non si muove e i tricipiti, che non possono accorciarsi per raddrizzare i gomiti, si contraggono in modo isometrico. Il tono muscolare C’è un aspetto dell’attività del muscolo scheletrico che non può essere controllato consciamente. Anche quando un muscolo è rilassato volontariamente, alcune delle sue fibre sono in contrazione: prima un gruppo, poi un altro. La loro contrazione non è visibile, ma determina come conseguenza il fatto che il muscolo rimane saldo, sano e costantemente pronto ad agire. Questo stato di continua contrazione parziale è il tono muscolare ed è dovuto alla sistematica stimolazione di differenti unità motorie, sparse in tutto il muscolo, da parte del sistema nervoso.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Se l’innervazione di un muscolo viene a mancare (come può accadere in un incidente), il muscolo non è più stimolato, perde il tono e si paralizza. Subito dopo diventa flaccido, cioè molle e floscio, e comincia a deperire (atrofia). ■■ FACCIAMO IL PUNTO

10. Quali sono le tre fonti di energia per la contrazione del muscolo scheletrico? 11. Qual è la fonte immediata di energia per la contrazione muscolare? 12. Giorgio sta tentando con tutte le sue forze di estrarre dal terreno il ceppo di un albero, ma questo non si sposta. A quale tipo di contrazione sono sottoposti i suoi muscoli? 13. Cosa si intende per debito di ossigeno?

4. Movimenti, tipi e nomi dei muscoli Questa parte è un po’ un guazzabuglio: comprende argomenti che in realtà non vanno insieme, ma non vanno meglio in nessun altro punto. Per esempio, ci sono cinque nozioni assolutamente basilari sull’attività generale dei muscoli. A nostro parere sono le cinque regole d’oro dell’attività dei muscoli scheletrici, perché finché non le si conosce è quasi impossibile comprendere i movimenti dei muscoli e rendersi conto delle interazioni dei muscoli. Queste regole d’oro sono riepilogate nella tabella 5.2, perché le si possa passare rapidamente in rassegna. I tipi di movimento del corpo Ciascuno dei nostri circa 600 muscoli scheletrici è unito all’osso o ad altre strutture di tessuto connettivo in non meno di due punti. Uno di questi punti, l’origine, è unito all’osso che non si muove o è meno mobile (figura 5.11). Il punto di inserzione è unito all’osso mobile, e quando il muscolo si contrae l’inserzione si sposta verso il punto di origine. Il tipo di movimento dipende dalla mobilità dell’articolazione e dalla localizzazione del muscolo rispetto alTabella 5.2 Le cinque regole d’oro dell’attività dei muscoli scheletrici

1. Salvo poche eccezioni, tutti i muscoli scheletrici incrociano almeno una articolazione. 2. Di regola, la maggior parte dei muscoli scheletrici è situata prossimalmente all’articolazione incrociata. 3. Tutti i muscoli scheletrici hanno almeno due punti di attacco: l’origine e l’inserzione. 4. I muscoli scheletrici possono soltanto esercitare la trazione; non possono mai operare una spinta. 5. Durante la contrazione, l’inserzione di un muscolo scheletrico si sposta verso l’origine.

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

?

Quando l’inserzione di un muscolo si sposta verso il punto d’origine?

Muscolo che si contrae

Origine Muscolo brachiale

piano mediano, del corpo (figura 5.12d). Il termine vale anche per il movimento di apertura a ventaglio delle dita quando si distanziano tra loro. • L’adduzione è il contrario dell’abduzione, quindi è il movimento di avvicinamento degli arti alla linea mediana del corpo (figura 5.12d). • La circonduzione è una combinazione dei movimenti di flessione, estensione, abduzione e adduzione che si osserva comunemente nell’articolazione della spalla. L’estremo prossimale dell’arto è fermo, mentre l’estremo distale si muove in modo circolare. L’arto nel suo insieme descrive un cono (figura 5.12d). Alcuni movimenti non rientrano in nessuna delle precedenti categorie e avvengono soltanto a livello di poche articolazioni. Alcuni di questi movimenti speciali sono illustrati nella figura 5.12.

Tendine Inserzione Figura 5.11 Punti di attacco dei muscoli (origine e inserzione)

l’articolazione stessa. Gli esempi più evidenti dell’azione dei muscoli sulle ossa sono i movimenti che avvengono a livello delle articolazioni degli arti. Tuttavia anche ossa meno mobili sono trascinate in movimento dai muscoli: ne sono un esempio i movimenti delle vertebre quando il tronco si piega lateralmente. I tipi di movimento più comuni sono descritti qui di seguito e illustrati nella figura 5.12 (pp. 122-123). Leggendo le descrizioni seguenti si può provare a dare la dimostrazione di ogni movimento: • La flessione è un movimento che fa diminuire l’angolo dell’articolazione e fa avvicinare due ossa (figura 5.12a,b). La flessione è caratteristica delle articolazioni a troclea (piegamento del ginocchio o del gomito). • L’estensione è l’opposto della flessione, quindi è un movimento che fa aumentare l’angolo, o la distanza, tra due ossa o tra due parti del corpo (estensione del ginocchio o del gomito). Se l’estensione è superiore a 180° (come quando si inclina il capo o il tronco posteriormente, così che il mento sia orientato verso il soffitto) è detta iperestensione (figura 5.12a,b). • La rotazione è il movimento di un osso attorno al suo asse longitudinale (figura 5.12c). La rotazione descrive il movimento dell’atlante attorno al dente dell’epistrofeo (come quando si scuote il capo per dire «no»). • L’abduzione è l’allontanamento di un arto (generalmente sul piano frontale) dalla linea mediana, o dal

Le interazioni dei muscoli scheletrici nel corpo I muscoli non possono operare una spinta: possono soltanto esercitare una trazione contraendosi; perciò molto spesso i movimenti del corpo sono il risultato dell’attività di due o più muscoli che agiscono insieme oppure l’uno contro l’altro. I muscoli sono organizzati in modo tale per cui qualunque cosa un muscolo (o un gruppo di muscoli) può fare, altri muscoli possono fare il contrario. Per questo i muscoli sono in grado di effettuare una varietà immensa di movimenti. • L’agonista primario è il muscolo maggiormente responsabile nel determinare un particolare movimento. • I muscoli antagonisti sono quelli che si oppongono al movimento dell’agonista primario, oppure fanno il movimento opposto. Quando un agonista primario è in azione, il suo antagonista è allungato e rilassato. • I sinergisti (che «lavorano insieme») coadiuvano gli agonisti primari producendo lo stesso movimento o riducendo i movimenti indesiderabili. • I fissatori tengono fermo un osso. Sono fissatori i muscoli posturali che stabilizzano la colonna vertebrale, così come i muscoli che ancorano le scapole al torace. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

14. Che movimento si compie quando si piega il ginocchio? 15. Quali azioni si compiono a livello del collo quando si muove il capo su e giù per fare cenno di «sì»?

L’attribuzione del nome ai muscoli scheletrici Come le ossa, i muscoli hanno molte forme e dimensioni diverse per essere adatti ai loro particolari compiti nell’organismo. Ai muscoli il nome viene attribuito in base

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

Estensione Flessione

Flessione

Estensione

(a) Flessione ed estensione della spalla e del ginocchio Figura 5.12 Movimenti del corpo

Iperestensione

Estensione

a diversi criteri, ciascuno dei quali pone l’accento su una particolare caratteristica strutturale o funzionale. • La direzione delle fibre muscolari. Il nome di certi muscoli viene attribuito facendo riferimento a una linea immaginaria, di solito la linea mediana del corpo o l’asse longitudinale di un osso degli arti. Quando il nome di un muscolo comprende il termine retto, le fibre del muscolo hanno decorso parallelo a questa linea immaginaria. Per esempio, il muscolo retto femorale è il muscolo verticale del femore. Analogamente, il termine obliquo nel nome di un muscolo indica che le fibre muscolari decorrono obliquamente rispetto alla linea immaginaria. • La grandezza relativa del muscolo. Termini come grande, piccolo, lungo entrano spesso nel nome dei muscoli; per esempio il grande gluteo è il più esteso dei muscoli glutei. • La sede del muscolo. Il nome di certi muscoli è dato dall’osso a cui sono uniti. Per esempio, il muscolo temporale e il muscolo frontale stanno sopra, rispettivamente, all’osso temporale e all’osso frontale del cranio. • Il numero dei punti di origine. Quando nel nome di un muscolo si incontrano i termini bicipite, tricipite e

Flessione

(b) Flessione, estensione e iperestensione

quadricipite, si può dare per certo che il muscolo ha rispettivamente due, tre o quattro origini. • La forma del muscolo. Alcuni muscoli hanno una forma caratteristica che contribuisce a identificarli. Per esempio, il muscolo deltoide ha forma approssimativamente triangolare (deltoide significa appunto «triangolare»). • L’azione del muscolo. Quando il nome dei muscoli deriva dalla loro azione, comprende termini come flessore, estensore e adduttore. Per esempio, i muscoli adduttori situati nella coscia svolgono tutti la funzione

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

di addurre la coscia, e i muscoli estensori del carpo determinano tutti l’estensione del polso. Per quanto riguarda la trattazione dei singoli muscoli, le figure 5.13 e 5.14 (pp. 125 e 127) e le tabelle 5.3 e 5.4 (pp. 126 e 128) elencano i principali muscoli specificandone il punto di origine, l’inserzione e l’azione prevalente. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

16. Quale funzione svolgono i muscoli fissatori? 17. Quali sono i criteri con cui viene attribuito il nome dei muscoli?

5. Aspetti dello sviluppo del sistema muscolare Nell’embrione in via di sviluppo il sistema muscolare si forma a segmenti (in modo simile al piano strutturale di un lombrico) e poi ogni segmento è invaso da nervi. I muscoli della regione toracica e di quella lombare diventano molto estesi perché devono ricoprire le ossa degli arti e determinarne i movimenti. I muscoli e il loro controllo da parte del sistema nervoso si sviluppano piuttosto precocemente nel corso della gravidanza. La madre in attesa rimane spesso sorpresa dai primi movimenti del feto, che di solito avvengono attorno alla sedicesima settimana di gravidanza. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA I problemi congeniti del sistema muscolare sono assai pochi. Fa eccezione la distrofia muscolare, un gruppo di malattie ereditarie con gravi alterazioni dei muscoli, che colpisce specifici gruppi muscolari. I muscoli aumentano di volume per l’accumulo di grasso e di tessuto connettivo, ma le fibre muscolari degenerano e si atrofizzano. La forma più comune e grave è la distrofia muscolare di Duchenne, che si manifesta pressoché esclusivamente nei maschi. Questa tragica malattia viene di solito diagnosticata tra i 2 e i 7 anni di età. Bambini di aspetto normale e attivi diventano impacciati e cadono spesso perché i loro muscoli perdono forza. La malattia procede dalle estremità verso l’alto e colpisce infine i muscoli della testa e del torace. I bambini con questa malattia raramente vivono oltre l’età di venti anni o poco più e generalmente la morte è dovuta a insufficienza respiratoria. La causa della distrofia muscolare è stata chiarita (le fibre muscolari colpite mancano di una proteina, la distrofina, che contribuisce a mantenere l’integrità del sarcolemma), ma non si dispone ancora di un trattamento.

Nei primi tempi dopo la nascita tutti i movimenti del bambino sono movimenti grossolani di tipo riflesso. Poiché prima che il bambino possa controllare i muscoli deve maturare il sistema nervoso, possiamo seguire il progredire dell’efficienza del sistema nervoso osservando lo sviluppo del controllo muscolare del bambino. Questo sviluppo procede in direzione cefalocaudale e i movimenti grossolani precedono quelli più fini. Il bambino può sollevare la testa prima di potere stare seduto, e può stare seduto pri-

ma di potere camminare. Il controllo muscolare procede inoltre in direzione prossimodistale, quindi il bambino può effettuare movimenti grossolani, come agitare la mano per salutare o tirare oggetti verso di sé, prima di essere in grado di usare una pinza per afferrare uno spillo. Nel corso di tutta l’infanzia il controllo del sistema nervoso sui muscoli scheletrici diviene sempre più preciso. Verso la metà dell’adolescenza si raggiunge il livello massimo di sviluppo di questo controllo naturale e ci si può semplicemente accontentare, oppure lo si può portare a un limite di eccellenza mediante l’allenamento atletico. Per la sua ricca vascolarizzazione il muscolo scheletrico è sorprendentemente resistente alle infezioni nel corso di tutta la vita e, con un’adeguata nutrizione, i problemi che affliggono i muscoli scheletrici sono relativamente pochi. Va tuttavia ripetuto che i muscoli, come le ossa, andranno incontro ad atrofia, anche con tono muscolare normale, se non sono utilizzati costantemente. Un programma di esercizio fisico regolare per tutta la vita mantiene le funzioni di tutto il corpo al miglior livello possibile. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Nell’età adulta i muscoli possono essere colpiti da una malattia rara, la miastenia grave, caratterizzata dall’abbassarsi delle palpebre superiori, da difficoltà nel deglutire e nel parlare, da debolezza e affaticabilità generalizzata dei muscoli. La malattia comporta la scarsità di recettori dell’acetilcolina a livello delle giunzioni neuromuscolari. In molti di questi pazienti il sangue contiene anticorpi contro i recettori dell’acetilcolina, e questo fa pensare che la miastenia grave sia una malattia autoimmune. Per quanto inizialmente i recettori possano essere presenti in numero normale, con il progredire della malattia vengono distrutti. Comunque sia, le fibre muscolari non sono adeguatamente stimolate e diventano sempre più deboli. La morte è di solito dovuta all’incapacità di funzionare dei muscoli respiratori (insufficienza respiratoria).

Nell’invecchiare la quantità del tessuto connettivo dei muscoli aumenta, e la quantità di tessuto muscolare diminuisce; così i muscoli diventano più fibrosi, cioè aumenta la loro quota tendinea. Poiché i muscoli scheletrici rappresentano una porzione tanto importante della massa corporea, nelle persone anziane il peso comincia a declinare quando si verifica questa naturale perdita di massa muscolare. Un’altra conseguenza della perdita di massa muscolare è la diminuzione della forza muscolare; all’età di 80 anni la forza si è ridotta di circa il 50%. La regolare attività fisica può contribuire a compensare gli effetti dell’invecchiamento sul sistema muscolare, e le persone anziane gracili che cominciano a fare esercizi usando pesi con le gambe e le mani possono ricostituire la massa muscolare e aumentare in modo evidente la loro forza. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

18. Cosa deve avvenire prima che un bambino sia in grado di controllare i suoi muscoli? 19. In che modo l’attività fisica di tutta la vita agisce sui muscoli scheletrici e sulla massa muscolare nella vecchiaia?

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE Faccia • Frontale Faccia

• Orbicolare dell’occhio

• Temporale

• Zigomatico

• Massetere

• Orbicolare della bocca Collo

Spalla

• Platisma • Sternocleidomastoideo

• Trapezio

Torace • Deltoide

• Piccolo pettorale • Grande pettorale

Braccio

• Dentato anteriore

• Tricipite brachiale • Bicipite brachiale

• Intercostali

• Brachiale

Addome • Retto dell’addome

Avambraccio • Brachioradiale

• Obliquo esterno • Obliquo interno

• Flessore radiale del carpo

• Trasverso dell’addome

Pelvi/coscia • Ileopsoas Coscia • Sartorio • Grande adduttore Coscia (quadricipite) • Gracile

• Retto femorale • Vasto laterale • Vasto mediale

Gamba • Peroniero lungo Gamba

• Estensore lungo delle dita

• Gastrocnemio • Tibiale anteriore • Soleo

Figura 5.13 Principali muscoli superficiali della parte anteriore del corpo

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE Tabella 5.3 Muscoli superficiali della parte anteriore del corpo (vedi figura 5.13)

Nome

Origine

Inserzione

Azione(i) principale(i)

Muscoli della testa e del collo Frontale Orbicolare dell’occhio Orbicolare della bocca

Aponeurosi epicranica Osso frontale e mascella Mandibola e mascella

Temporale Zigomatico

Osso temporale Osso zigomatico

Alza le sopracciglia Batte le palpebre e chiude l’occhio Chiude la bocca e protrude le labbra Chiude le mascelle Solleva l’angolo della bocca

Massetere Buccinatore

Osso temporale Mascella e mandibola vicino ai molari

Cute delle sopracciglia Tessuti circostanti l’occhio Cute e muscoli circostanti la bocca Mandibola Cute e muscoli all’angolo delle labbra Mandibola Orbicolare della bocca

Sternocleidomastoideo

Sterno e clavicola

Platisma

Tessuto connettivo che ricopre i muscoli della parte superiore del torace

Muscoli del tronco Grande pettorale

Osso temporale (processo mastoideo) Tessuto circostante la bocca

Tira in basso gli angoli della bocca

Parte prossimale dell’omero

Adduce e flette l’omero Flette la colonna vertebrale

Flette il gomito e supina l’avambraccio Flette il gomito Abduce il braccio

Retto dell’addome

Sterno, clavicola e coste dalla prima alla sesta Pube

Obliquo esterno

Ultime otto coste

Sterno e coste dalla quinta alla settima Cresta iliaca

Muscoli della spalla e del braccio Bicipite brachiale

Scapola

Parte prossimale del radio

Brachiale Deltoide

Parte distale dell’omero Vedi tabella 6.4

Parte prossimale dell’ulna

Muscoli dell’anca, della coscia, della gamba Ileopsoas Muscoli adduttori Sartorio Gruppo del quadricipite (vasto mediale, vasto intermedio, vasto laterale e retto femorale)

Ileo e vertebre lombari Pelvi Ileo Vasti: femore

Femore (piccolo trocantere) Parte prossimale del femore Parte prossimale della tibia Tuberosità della tibia mediante il legamento patellare

Retto femorale: pelvi

Tuberosità della tibia mediante il legamento patellare

Tibiale anteriore

Parte prossimale della tibia

Estensore lungo delle dita

Parte prossimale della tibia e della fibula Fibula

Primo cuneiforme (del tarso) e primo osso metatarsale del piede Parte distale del 2°-5° dito

Muscoli peronieri

Chiude le mascelle Comprime la guancia come nel fischiare e succhiare; trattiene il cibo tra i denti durante la masticazione Flette il collo; ruota la testa

Ossa metatarsali

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Flette e ruota la colonna vertebrale

Flette l’anca Adduce la coscia Flette la coscia sull’anca Tutti estendono il ginocchio; il retto femorale flette anche l’anca sulla coscia

Flette dorsalmente e inverte il piede Estende le dita e flette dorsalmente il piede Flettono plantarmente ed evertono il piede

5. IL SISTEMA MUSCOLARE

Collo • Occipitale • Sternocleidomastoideo • Trapezio

Spalla/dorso • Deltoide

Braccio • Tricipite brachiale • Brachiale

• Grande dorsale

Avambraccio • Brachioradiale • Estensore lungo radiale del carpo • Flessore ulnare del carpo • Estensore ulnare del carpo

Anca

• Estensore delle dita

• Medio gluteo

• Grande gluteo

Coscia

Tratto ileotibiale

• Grande adduttore • Muscoli posteriori della coscia: Bicipite femorale Semitendinoso Semimembranoso

Gamba • Gastrocnemio • Soleo

• Peroniero lungo

Figura 5.14 Principali muscoli superficiali della parte posteriore del corpo

127 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

5. IL SISTEMA MUSCOLARE Tabella 5.4 Muscoli superficiali della parte posteriore del corpo (sono illustrati anche alcuni muscoli dell’avambraccio; vedi figura 5.14)

Nome Muscoli del collo, del tronco, della spalla Trapezio

Grande dorsale

Erettore della colonna vertebralea Quadrato dei lombi

Deltoide

Muscoli del braccio e dell’avambraccio Tricipite brachiale Flessore radiale del carpo

Origine

Inserzione

Azione(i) principale(i)

Osso occipitale e tutte le vertebre cervicali e toraciche Parte inferiore della colonna vertebrale e cresta iliaca Cresta iliaca, 3a-12a costa e vertebre Cresta iliaca e fascia lombodorsale

Spina della scapola e clavicola

Estende il collo e adduce la scapola

Parte prossimale dell’omero

Estende e adduce l’omero

Coste, vertebre toraciche e cervicali Processi trasversi delle prime vertebre lombari

Estende il dorso

Spina della scapola e clavicola

Omero (tuberosità deltoidea)

Flette lateralmente la colonna vertebrale; estende la colonna vertebrale Abduce l’omero

Cintura scapolare e parte prossimale dell’omero Parte distale dell’omero

Processo olecranico dell’ulna

Estende il gomito

Secondo e terzo osso metacarpale Ossa del carpo e quinto osso metacarpale Falangi medie del 2°-5° dito

Flette il polso e abduce la mano (vedi figura 5.13) Flette il polso e adduce la mano

Base del secondo e del terzo osso metacarpale Falangi distali del 2°-5° dito

Estende il polso e abduce la mano

Parte prossimale del femore (tuberosità glutea) Parte prossimale del femore

Estende l’anca (quando è necessaria un’estensione vigorosa) Abduce la coscia; stabilizza la pelvi nel camminare Flette il ginocchio ed estende l’anca

Estensore radiale del carpo

Parte distale dell’omero e parte posteriore dell’ulna Parte distale dell’omero, ulna e radio Omero

Estensore delle dita

Parte distale dell’omero

Muscoli dell’anca, della coscia, della gamba Grande gluteo

Sacro e ileo

Medio gluteo

Ileo

Gruppo dei muscoli posteriori della coscia (semitendinoso, semimembranoso e bicipite femorale) Gastrocnemio

Tuberosità ischiatica

Parte prossimale della tibia (testa della fibula nel caso del bicipite femorale)

Parte distale del femore

Soleo

Parte prossimale della tibia e della fibula

Calcagno (tallone mediante il tendine d’Achille) Calcagno

Flessore ulnare del carpo Flessore superficiale delle ditab

a

Flette il polso e le dita

Estende le dita e il polso

Flette plantarmente il piede e flette il ginocchio Flette plantarmente il piede

L’erettore della colonna vertebrale e il quadrato dei lombi sono muscoli profondi, non visibili nella figura 5.14. Sebbene il suo nome lo indichi come muscolo superficiale, il muscolo flessore superficiale delle dita è situato sotto il muscolo flessore radiale del carpo e non è visibile in una illustrazione dei muscoli superficiali. b

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

Per saperne di più ■■ GLI ATLETI HANNO UN ASPETTO MIGLIORE E MIGLIORI PRESTAZIONI CON GLI STEROIDI ANABOLIZZANTI?

I vincitori piacciono a tutti e gli atleti migliori sono popolari e guadagnano un sacco di soldi. Non sorprende che alcuni usino tutti i mezzi per aumentare il loro rendimento, compresi gli steroidi anabolizzanti. Questi ormoni, prodotti dalle industrie farmaceutiche, furono introdotti negli anni 1950 per curare le vittime di determinate malattie che comportano atrofia muscolare e anemia, e per prevenire l’atrofia muscolare in pazienti immobilizzati dopo un intervento chirurgico. Il testosterone, uno steroide anabolizzante naturale prodotto dall’organismo, stimola l’incremento della massa muscolare e ossea e altre modificazioni fisiche che avvengono nel corso della pubertà e trasformano i ragazzi in uomini. Convinti che dosi enormi di steroidi anabolizzanti potessero aumentare gli effetti mascolinizzanti negli uomini adulti, nei primi anni 1960 molti atleti hanno cominciato a farne uso, e questa pratica va ancora forte. Oggi l’uso degli steroidi non è limitato agli atleti che cercano di raggiungere i massimi risultati. Si stima infatti che un giovane uomo su dieci abbia provato gli steroidi e che la pra-

tica stia rapidamente aumentando tra le giovani donne. L’uso di queste sostanze è stato bandito dalla maggior parte delle gare internazionali di atletica, e chi se ne serve (e i medici che le prescrivono o coloro che le commerciano) sono naturalmente restii a parlarne. Nondimeno ci sono ben pochi dubbi che molti culturisti professionisti e atleti che gareggiano in competizioni che richiedono grande forza muscolare (come il lancio del disco e il sollevamento pesi) ne facciano abbondante uso. Anche personaggi sportivi come i giocatori di football hanno ammesso di utilizzare steroidi per aiutarsi nella preparazione per le partite. I vantaggi degli steroidi anabolizzanti riferiti dagli atleti comprendono l’incremento della massa e della forza muscolare, l’aumentata capacità di trasporto di ossigeno del sangue (dovuta al maggior volume di eritrociti) e una maggiore aggressività (il desiderio di «schiacciare l’altro»). Tali sostanze fanno veramente tutto quello che viene loro attribuito? Le ricerche hanno riportato l’aumento della forza isometrica e del peso corporeo negli utilizzatori di steroidi. Questi sono i risultati che i sollevatori di pesi sognano, tuttavia resta controverso se le droghe esaltino anche la fine coordinazione dei muscoli e la resistenza necessarie ai fondisti e ad altri sportivi. I pretesi lievi vantaggi conferiti dall’uso di steroidi pesano più dei rischi? Assolutamente no. I medici dicono che gli steroidi fanno gonfiare la faccia (segno dell’eccesso di steroidi) e causano riduzione dei testicoli e sterilità; danneggiano il fegato e favoriscono il cancro in questa sede; provocano alterazioni dei livelli ematici del colesterolo

(che a lungo termine possono comportare per gli utilizzatori il rischio di coronaropatie). Inoltre, circa un terzo di coloro che fanno uso di steroidi anabolizzanti va incontro a seri problemi psichiatrici: è comune un comportamento maniacale in cui compaiono alternanza di personalità alla Jekyll-Hyde e la persona diviene estremamente violenta (la cosiddetta rabbia da steroidi) e sono frequenti anche depressione e fissazioni. Di recente è entrato in scena, venduto a banco come «integratore nutrizionale che migliora le prestazioni», l’androstenedione, che nell’organismo viene convertito in testosterone. Viene assunto per via orale e per la maggior parte è distrutto dal fegato subito dopo l’ingestione; i pochi milligrammi che sopravvivono fanno aumentare temporaneamente i livelli del testosterone. L’androstenedione non è sottoposto a controllo da parte della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti e i suoi effetti a lungo termine non sono prevedibili. Gli studi in corso hanno rilevato che i ragazzi e gli uomini che hanno assunto questo integratore hanno sviluppato livelli elevati di ormoni femminili (estrogeni) oltre che di testosterone (facendo aumentare il rischio di effetti femminilizzanti come l’aumento di volume delle mammelle) e sono andati incontro a pubertà precoce e ad accrescimento stentato delle ossa, che nell’età adulta è sfociato in un’altezza inferiore al normale. È facile rispondere alla domanda del perché gli atleti fanno uso di queste sostanze. Alcuni dicono di essere disposti a fare quasi qualunque cosa per vincere, tranne che uccidersi. Stanno involontariamente facendo anche questo?

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

MAPPA DEGLI APPARATI RELAZIONI OMEOSTATICHE DEL SISTEMA MUSCOLARE CON GLI ALTRI APPARATI

Sistema nervoso Apparato endocrino • L’ormone della crescita e gli androgeni influiscono sulla forza e sulla massa dei muscoli scheletrici

• L’attività dei muscoli facciali consente di esprimere le emozioni • Il sistema nervoso stimola e regola l’attività muscolare

Apparato respiratorio • L’esercizio muscolare incrementa la capacità respiratoria • L’apparato respiratorio fornisce l’ossigeno ed elimina il diossido di carbonio

Sistema linfatico/immunità • L’esercizio fisico, secondo la sua intensità, può esaltare o deprimere l’immunità • I vasi linfatici drenano i liquidi filtrati nei tessuti; il sistema immunitario protegge i muscoli da malattie

Apparato cardiovascolare • L’attività dei muscoli scheletrici incrementa l’efficienza dell’attività cardiovascolare; contribuisce a prevenire l’aterosclerosi e determina ipertrofia cardiaca • L’apparato cardiovascolare trasporta ai muscoli l’ossigeno e le sostanze nutritizie e ne allontana i prodotti di rifiuto

Apparato digerente • L’attività fisica incrementa la motilità gastrointestinale quando è ferma • L’apparato digerente fornisce le sostanze nutritizie necessarie ai muscoli; il fegato metabolizza l’acido lattico

Apparato genitale • I muscoli scheletrici contribuiscono a sostenere organi pelvici (per esempio, l’utero nella femmina); collaborano nell’erezione del pene e della clitoride • Gli androgeni prodotti dal testicolo favoriscono l’incremento delle dimensioni dei muscoli scheletrici

Apparato urinario • L’attività fisica favorisce il normale svuotamento; il muscolo scheletrico forma lo sfintere volontario dell’uretra • L’apparato urinario elimina i rifiuti azotati

Apparato tegumentario • L’esercizio muscolare incrementa l’apporto di sangue alla cute e ne migliora la salute; l’attività fisica incrementa anche il calore corporeo, che la cute contribuisce a disperdere • La cute protegge i muscoli formando il rivestimento esterno

Sistema muscolare

Sistema scheletrico • L’attività dei muscoli scheletrici mantiene sane e forti le ossa • Le ossa costituiscono le leve per l’attività dei muscoli

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

■■■ RIASSUNTO 1. Concetti generali sul tessuto muscolare (pp. 108-111)

1. Il tessuto muscolare scheletrico forma i muscoli che si connettono con lo scheletro e determinano i movimenti degli arti e delle altre parti del corpo. Le sue unità strutturali sono fibre lunghe, striate, plurinucleate, la cui azione è soggetta al controllo della volontà. Le fibre muscolari sono rivestite e protette da avvolgimenti di tessuto connettivo (endomisio, perimisio ed epimisio) che aumentano la forza dei muscoli scheletrici. I muscoli scheletrici costituiscono il sistema muscolare. 2. Le cellule del tessuto muscolare liscio sono mononucleate, fusiformi e organizzate in strati a orientamento opposto nella parete di organi cavi. Con la loro contrazione fanno progredire il contenuto di questi organi (cibo, urina, un bambino) lungo vie interne. Il controllo del muscolo liscio è involontario. 3. Le cellule del tessuto muscolare cardiaco sono striate, ramificate, strettamente unite l’una all’altra e disposte in fasci ad andamento spirale nel cuore. La loro contrazione spinge il sangue nel sistema dei vasi sanguigni. Il controllo è involontario. 4. La principale funzione del tessuto muscolare è la contrazione o accorciamento. Con la contrazione i muscoli scheletrici determinano i movimenti, mantengono la postura, stabilizzano le articolazioni e generano calore. 2. Anatomia microscopica del muscolo scheletrico (pp. 111113)

1. Le fibre muscolari scheletriche plurinucleate, di forma cilindrica, sono stipate di strutture particolari, le miofibrille. La striatura (alternanza di bande) delle miofibrille e della fibra nel suo insieme rispecchia la regolare disposizione di filamenti sottili (contenenti actina) e spessi (contenenti miosina) nei sarcomeri, le unità contrattili che compongono le miofibrille. 2. Ogni miofibrilla è lassamente circondata da un reticolo endoplasmatico specializzato, il reticolo sarcoplasmatico, che svolge un ruolo importante nell’accumulare e liberare ioni calcio. Gli ioni calcio costituiscono lo stimolo finale per la contrazione della fibra muscolare. 3. L’attività del muscolo scheletrico (pp. 113-120)

1. Tutte le fibre muscolari scheletriche sono stimolate da motoneuroni. Quando il neurone libera un neurotrasmettitore (acetilcolina), si modifica la permeabilità del sarcolemma consentendo l’ingresso di ioni sodio nella fibra. Questo produce una corrente elettrica (potenziale d’azione) che si trasmette all’intero sarcolemma, determinando come conseguenza la liberazione di ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico. 2. Il calcio si lega a proteine regolatrici sui filamenti sottili determinando l’esposizione di siti di legame per la miosina, consentendo così l’attacco delle teste miosiniche dei filamenti spessi. Le teste legate si piegano facendo scorre-

re i filamenti sottili verso il centro del sarcomero, e si ha così la contrazione. L’ATP fornisce l’energia necessaria per il processo di scorrimento che continua finché sono presenti ioni calcio. 3. Le singole fibre muscolari, quando sono adeguatamente stimolate, si contraggano completamente; tuttavia il muscolo (che è un organo) risponde agli stimoli in misura differente, cioè dà risposte graduali. 4. La contrazione muscolare è per la maggior parte tetanica (uniforme e sostenuta) perché al muscolo arrivano stimoli nervosi in rapida successione e il muscolo non può rilassarsi completamente tra una contrazione e l’altra. La forza della contrazione muscolare è espressione del numero relativo di fibre muscolari che si contraggono (maggior numero di fibre ‹ contrazione più forte). 5. L’ATP, la fonte immediata di energia per la contrazione muscolare, è accumulato nelle fibre muscolari in piccola quantità, che viene rapidamente esaurita. La rigenerazione dell’ATP avviene attraverso tre vie che sono, dalla più veloce alla più lenta, la reazione accoppiata del creatinfosfato e dell’ADP, la glicolisi anaerobia con formazione dell’acido lattico, la respirazione aerobia. Soltanto la respirazione aerobia richiede ossigeno. 6. Se l’attività muscolare è vigorosa e prolungata, si verifica fatica muscolare per l’accumulo di acido lattico nel muscolo e una diminuzione dell’apporto di energia (ATP). Dopo l’esercizio il debito di ossigeno viene compensato con respiri rapidi e profondi. 7. La contrazione muscolare è isotonica (il muscolo si accorcia e si determina movimento) o isometrica (il muscolo non si accorcia, ma aumenta la sua tensione). 8. Il tono muscolare mantiene il muscolo sano e pronto a reagire. È dovuto a serie sfasate di stimoli nervosi che arrivano a fibre differenti all’interno del muscolo. Se si distrugge l’innervazione, il muscolo perde tono, si paralizza e diviene atrofico. 9. I muscoli inattivi sono soggetti ad atrofia. I muscoli stimolati con esercizi di potenza a rispondere (quasi) oltre le loro capacità aumentano di dimensioni e di forza. I muscoli sottoposti a un regolare esercizio aerobico diventano più efficienti e più robusti e possono lavorare più a lungo senza affaticamento. L’esercizio aerobico giova anche agli altri apparati dell’organismo. 4. Movimenti, tipi e nomi dei muscoli (pp. 120-124)

1. Tutti i muscoli hanno due punti di attacco alle ossa. L’origine è il punto fisso e l’inserzione è il punto mobile. Quando il muscolo si contrae l’inserzione si sposta verso l’origine. 2. I movimenti del corpo comprendono flessione, estensione, abduzione, adduzione, circonduzione, rotazione, pronazione, supinazione, inversione e eversione. 3. In base alle loro funzioni generali nell’organismo i muscoli

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

sono classificati in agonisti primari, antagonisti, sinergisti e fissatori. 4. Ai muscoli il nome viene attribuito secondo diversi criteri, quali le dimensioni del muscolo, la forma, il numero delle origini e l’azione. 5. Aspetti dello sviluppo del sistema muscolare (p. 124)

1. Lo sviluppo del controllo muscolare è espressione della maturazione (mielinizzazione) del sistema nervoso. Il con-

trollo muscolare viene acquisito in direzione cefalocaudale e prossimodistale. 2. Per rimanere sani, i muscoli devono essere sottoposti ad esercizio con regolarità. Senza questo sono soggetti ad atrofia; con un esercizio estremamente energico diventano ipertrofici. 3. Con l’invecchiamento la massa muscolare si riduce e i muscoli diventano più fibrosi. L’esercizio fisico aiuta a mantenere la massa e la forza muscolare.

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Se confronti la fotografia al microscopio elettronico di una fibra muscolare scheletrica rilassata con quella di una fibra muscolare completamente contratta, cosa puoi vedere soltanto nella fibra rilassata? a) le linee Z b) le triadi c) le bande I d) le bande A e) le bande H 2. Dopo che l’acetilcolina si è legata ai suoi recettori a livello della giunzione neuromuscolare, qual è il passaggio successivo? a) si aprono canali del sodio b) il calcio si lega a proteine regolatrici sui filamenti sottili c) le teste miosiniche formano ponti d) viene idrolizzato l’ATP 3. Quali sono criteri da cui sono derivati i nomi dei muscoli? a) forma del muscolo b) dimensioni c) funzione d) localizzazione Rispondi in cinque righe.

4. Qual è la funzione principale del tessuto muscolare? 5. Fai un confronto tra muscolo scheletrico, liscio e cardiaco, prendendo in considerazione l’anatomia microscopica, la localizzazione e la disposizione negli organi, la funzione nell’organismo. 6. Quali sono i due tipi di muscolo striato? 7. Perché sono importanti gli avvolgimenti di tessuto connettivo dei muscoli scheletrici? Indica il nome di questi avvolgimenti, cominciando dal più sottile e finendo con quello più spesso.

8. Qual è la funzione dei tendini? 9. Dai la definizione di giunzione neuromuscolare, unità motoria, tetano, risposta graduale, respirazione aerobia, glicolisi anaerobia, fatica muscolare e neurotrasmettitore. 10. Descrivi gli eventi che si verificano dal momento in cui un motoneurone libera acetilcolina a livello della giunzione neuromuscolare fino a quando la fibra muscolare si contrae. 11. Qual è la differenza tra contrazione isotonica e contrazione isometrica? 12. Il tono muscolare mantiene sani i muscoli. Cos’è il tono muscolare e da cosa è determinato? Cosa accade a un muscolo che perde il tono muscolare? 13. Un muscolo scheletrico si connette alle ossa in due punti. Indica il nome di ciascuno di questi punti di attacco e indica quale è fisso e quale mobile. 14. Elenca i movimenti del corpo studiati in questo capitolo e dà dimostrazione di ciascuno. 15. Qual è la differenza tra un muscolo agonista primario e uno sinergista? 16. Indica l’agonista primario della flessione del gomito. Indica il suo antagonista. 17. Cosa accade ai muscoli quando sono regolarmente sottoposti all’esercizio? Quando sono sottoposti a un esercizio energico, come nel sollevamento pesi? Quando non sono usati? 18. Qual è l’effetto dell’invecchiamento sui muscoli scheletrici? 19. Un triatleta dovrebbe impegnarsi in un allenamento aerobico o di potenza? Spiega.

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5. IL SISTEMA MUSCOLARE

■■■ VERSO LE COMPETENZE 20. Il medico ha consigliato al signor Rossi di perdere peso e fare jogging, e lui ha cominciato a farlo tutti i giorni. Al sesto giorno è stato costretto a saltare via dalla traiettoria di un’automobile in corsa; ha sentito un rumore secco seguito immediatamente da dolore alla parte inferiore del polpaccio destro; tra il polpaccio rigonfio e il tallone era visibile uno spazio vuoto e non era più possibile la flessione plantare del piede. Cosa pensi gli sia accaduto? 21. Al ritorno dopo avere fatto jogging, Enrico respirava con difficoltà e sudava profusamente, e si lamentava di dolore alle gambe e di sentirsi debole. La moglie gli ha versato una bevanda per sportivi e lo ha esortato a calmarsi finché non riuscisse a «riprendere fiato». Sulla base di quanto hai appreso sul metabolismo energetico del muscolo, rispondi alle domande seguenti.

a) Perché Enrico respirava con difficoltà? b) Quale via di rigenerazione dell’ATP che i suoi muscoli in attività stavano utilizzando ha portato a questo tipo di respirazione? c) Quale prodotto(i) metabolico(i) potrebbe(ro) spiegare il suo dolore muscolare e la sensazione di debolezza muscolare? 22. La sostanza A si lega ai recettori dell’acetilcolina delle fibre muscolari e li blocca. La sostanza B si riversa nel citoplasma delle fibre muscolari con gli ioni calcio. Quale delle due sarebbe il migliore rilassante muscolare e perché? 23. Quando una persona muore si instaura il rigor mortis poiché cessa la sintesi di ATP. Spiega perché l’assenza di ATP nelle fibre muscolari fa irrigidire, anziché afflosciare, i muscoli dopo la morte.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Immaginiamo che qualcuno stia guidando in autostrada e senta un clacson suonare alla sua destra; prontamente sterzerà a sinistra. Giovanni lascia un biglietto alla moglie sul tavolo di cucina: «Ci vediamo stasera, prepara il mio piatto preferito così ceniamo insieme»; lei sa che polpette e patate fritte sono il suo piatto preferito. Una mamma, mentre è assopita, sente piangere il suo bambino di appena due mesi e si sveglia immediatamene. Cos’hanno in comune tutti questi fatti? Sono tutti esempi usuali del funzionamento del sistema nervoso che mantiene le cellule pressoché sempre intensamente attive. Il sistema nervoso è il principale sistema di controllo e di comunicazione dell’organismo. Ogni pensiero, azione, emozione è espressione della sua attività. Il suo meccanismo di segnalazione, cioè il mezzo con cui comunica con le cellule dell’organismo, è costituito da stimoli elettrici che sono rapidi e specifici e determinano risposte pressoché immediate. Per svolgere le sue normali attività il sistema nervoso ha tre funzioni che si sovrappongono (figura 6.1). (1) Come una sentinella, impiega i suoi milioni di recettori di senso per percepire le modificazioni che avvengono sia all’interno sia all’esterno dell’organismo. Tali modificazioni sono dette stimoli e l’insieme delle informazioni forma il complesso dei segnali in entrata (input) sensitivi. (2) Elabora e interpreta i segnali sensitivi in entrata e decide quello che si deve fare in ogni momento, un processo detto integrazione. (3) Produce poi una risposta attivando muscoli o ghiandole (gli organi effettori) mediante segnali in uscita (output) motori. Il seguente esempio illustra il modo in cui tali funzioni operano insieme. Se stiamo guidando e vediamo poco più avanti una luce rossa (input sensitivo), il nostro sistema nervoso integra questa informazione (la luce rossa significa «stop») e invia un segnale (output motore) ai muscoli della gamba e del piede di destra e il piede preme sul pedale del freno (risposta). Il sistema nervoso non agisce da solo nella regolazione e nel mantenimento dell’omeostasi dell’organismo; un

secondo importante sistema di regolazione è l’apparato endocrino. Mentre il sistema nervoso esercita la regolazione con rapidi stimoli nervosi elettrici, gli organi dell’apparato endocrino producono ormoni che vengono immessi nel sangue. Quindi l’apparato endocrino svolge la sua azione in modo più lento.

1. L’organizzazione del sistema nervoso Abbiamo un solo sistema nervoso, ma, per la sua complessità, è difficile considerare contemporaneamente tutte le sue parti. Così, per semplificarne lo studio, lo suddividiamo in base alle sue strutture (classificazione strutturale) o in base alle sue attività (classificazione funzionale). Ciascuno di questi schemi di classificazione viene brevemente descritto qui di seguito e i loro rapporti sono illustrati nella figura 6.2. Non è necessario apprendere a

Sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale)

Sistema nervoso periferico (nervi cranici e nervi spinali)

Sezione sensitiva (afferente)

Organi di senso

Sezione motrice (efferente)

Somatica (volontaria)

Vegetativa (involontaria)

Muscoli scheletrici

Muscolo cardiaco e muscolo liscio, ghiandole

Input sensitivo Recettore di senso

Integrazione

Parasimpatico

Simpatico

Output motore Figura 6.2 Organizzazione del sistema nervoso Encefalo e midollo spinale Effettore Figura 6.1 Funzioni del sistema nervoso

Diagramma dell’organizzazione in cui è mostrato che il sistema nervoso centrale riceve segnali attraverso le fibre sensitive e invia ordini attraverso le fibre motorie. Le fibre sensitive e quelle motorie insieme formano i nervi che costituiscono il sistema nervoso periferico.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

memoria adesso l’intero schema, ma leggendo le descrizioni si può provare a prendere confidenza con le parti principali e con il modo in cui stanno insieme. Questo renderà più facile l’apprendimento procedendo nel capitolo. In seguito incontreremo ancora, e con maggiore dettaglio, tutti questi termini e questi concetti. Classificazione strutturale La classificazione strutturale, che comprende tutti gli organi del sistema nervoso, presenta due parti: il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico (vedi figura 6.2). Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituito dall’encefalo e dal midollo spinale, che occupano la cavità dorsale del corpo e agiscono come centri di integrazione e di comando del sistema nervoso. Interpretano le informazioni sensitive in entrata e inviano istruzioni sulla base dell’esperienza pregressa e delle condizioni attuali. Il sistema nervoso periferico (SNP), la parte di sistema nervoso esterna al SNC, è costituito principalmente dai nervi che partono dall’encefalo e dal midollo spinale. I nervi spinali trasportano stimoli in entrata e in uscita dal midollo spinale. I nervi cranici trasportano stimoli in entrata e in uscita dall’encefalo. Questi nervi servono da linee di comunicazione: collegano tutte le parti dell’organismo trasportando stimoli dai recettori di senso al SNC, e dal SNC alle ghiandole o ai muscoli appropriati. Classificazione funzionale Lo schema di classificazione funzionale si riferisce soltanto alle strutture del SNP e le suddivide in due parti principali (vedi figura 6.2). La sezione sensitiva, o afferente, è costituita da nervi (composti da fibre nervose) che conducono stimoli dai recettori di senso localizzati in varie parti del corpo al sistema nervoso centrale. Le fibre sensitive che trasmettono stimoli provenienti dalla cute, dai muscoli scheletrici e dalle articolazioni sono fibre sensitive (afferenti) somatiche (soma, «corpo»), mentre quelle che trasmettono stimoli provenienti dai visceri sono fibre sensitive viscerali. La sezione sensitiva tiene il SNC costantemente informato degli eventi che si verificano sia all’interno sia all’esterno dell’organismo. La sezione motoria, o efferente, trasmette gli stimoli dal SNC agli organi effettori, muscoli e ghiandole. Questi stimoli attivano i muscoli e le ghiandole, cioè effettuano (determinano) una risposta motoria. La sezione motoria comprende a sua volta due parti (vedi figura 6.2): 1. Il sistema nervoso somatico permette di controllare coscientemente, cioè volontariamente, i muscoli scheletrici. Quindi questa parte spesso è detta sistema ner-

voso volontario. Però non tutta l’attività dei muscoli scheletrici controllata da questa sezione motoria è volontaria; i riflessi muscolari scheletrici, come il riflesso di stiramento muscolare, sono avviati involontariamente da queste stesse fibre. 2. Il sistema nervoso vegetativo (SNV), o autonomo, regola gli eventi che sono automatici, cioè involontari, come l’attività del muscolo liscio e di quello cardiaco e l’attività delle ghiandole. Questa sezione, detta anche sistema nervoso involontario, è a sua volta suddivisa in due parti, simpatico (o ortosimpatico) e parasimpatico, che di regola svolgono azioni opposte: quello che uno stimola, l’altro inibisce. Saranno descritti più avanti. Per quanto sia più semplice studiare il sistema nervoso considerandone le sezioni, si deve tenere presente che le classificazioni sono fatte soltanto per comodità. Va ricordato che il sistema nervoso agisce come unità coordinata, sia dal punto di vista strutturale sia da quello funzionale. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Indica il nome delle strutture che formano il SNC e di quelle che formano il SNP.

2. Il tessuto nervoso: struttura e funzione Anche se è complicato, il tessuto nervoso è formato soltanto da due tipi principali di cellule: le cellule di sostegno e i neuroni. Le cellule di sostegno Le cellule di sostegno del SNC sono indicate tutte insieme con il termine nevroglia, letteralmente «colla» del tessuto nervoso. La nevroglia comprende molti tipi di cellule che in generale forniscono sostegno, isolamento e protezione ai delicati neuroni (figura 6.3). Inoltre, ciascuno dei differenti tipi cellulari della nevroglia, detta anche semplicemente glia o cellule gliali, ha funzioni specifiche. La glia del SNC comprende: • Gli astrociti sono cellule molto numerose di forma stellata che rappresentano circa la metà del tessuto nervoso. Con i loro numerosi prolungamenti aderiscono ai neuroni dando loro sostegno e ancorandoli ai capillari sanguigni che forniscono nutrimento (figura 6.3a). Gli astrociti formano una barriera tra i capillari e i neuroni e svolgono un ruolo nell’effettuare gli scambi tra gli uni e gli altri. In questo modo contribuiscono a proteggere i neuroni dalle sostanze dannose che potrebbero trovarsi nel sangue. • Le cellule della microglia sono fagociti dotati di brevi

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Capillare Neurone

(b) Cellula di microglia (a) Astrocito

Guaina mielinica

Cavità contenente liquido

(c) Cellule ependimali

Prolungamento dell’oligodendrocito

Tessuto dell’encefalo o del midollo spinale Corpo cellulare del neurone

Cellule di Schwann (che formano la guaina mielinica)

Assoni

(d) Oligodendrocito

Cellule satelliti Assone

(e) Neurone sensitivo con cellule di Schwann e cellule satelliti Figura 6.3 Cellule di sostegno (gliali) del tessuto nervoso Gli astrociti (a) formano una barriera vivente tra i neuroni e i capillari nel SNC. Le cellule della microglia (b) sono fagociti, mentre le cellule ependimali (c) rivestono le cavità contenenti liquido del SNC. Gli oligodendrociti (d) formano la guaina mielinica delle fibre nervose del SNC. (e) Rapporti delle cellule di Schwann (che formano la guaina mielinica) e delle cellule satelliti con un neurone nel sistema nervoso periferico.

prolungamenti sottili che eliminano i detriti, comprese le cellule morte dell’encefalo e i batteri (figura 6.3b). • Le cellule ependimali sono cellule gliali che delimitano le cavità centrali dell’encefalo e del midollo spinale (figura 6.3c). Il movimento delle loro ciglia contribuisce a fare circolare il liquido cefalorachidiano che è contenuto in queste cavità e che forma uno strato ammortizzante protettivo attorno al SNC. • Gli oligodendrociti sono cellule gliali che con le loro espansioni citoplasmatiche appiattite avvolgono strettamente gli assoni formando la guaina mielinica, il rivestimento isolante delle fibre nervose (figura 6.3d). Le cellule gliali assomigliano ai neuroni dal punto di vista strutturale, ma non sono capaci di trasmettere stimo-

li nervosi, che è una funzione altamente sviluppata nei neuroni. Un’altra importante differenza è che le cellule gliali non perdono mai la capacità di dividersi, come fa invece la maggior parte dei neuroni. Di conseguenza la maggior parte dei tumori cerebrali è costituita da gliomi, cioè tumori originati dalle cellule gliali. Nel SNP le cellule di sostegno rientrano in due categorie principali (figura 6.3e): le cellule di Schwann formano la guaina mielinica delle fibre nervose del SNP e le cellule satelliti hanno funzioni di sostegno e protezione. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

2. Quali sono le cellule gliali più abbondanti nell’organismo? E quali producono il materiale isolante detto mielina? 3. Perché è più probabile che un tumore cerebrale derivi dalle cellule gliali invece che dai neuroni?

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Anatonia dei neuroni I neuroni, o cellule nervose, sono altamente specializzati nel trasmettere messaggi (stimoli nervosi) da una parte all’altra dell’organismo. I neuroni sono strutturalmente differenti l’uno dall’altro, tuttavia hanno in comune molte caratteristiche (figura 6.4). Hanno tutti un corpo cellulare, che contiene il nucleo ed è il centro metabolico della cellula, e uno o più sottili prolungamenti che si dipartono dal corpo cellulare. Dendrite

Il corpo cellulare Il corpo cellulare è il centro metabolico del neurone. Il suo nucleo contiene un nucleolo evidente. Il citoplasma che circonda il nucleo contiene gli organuli consueti, tranne i centrioli (a conferma della natura non mitotica della maggior parte dei neuroni). Nel corpo cellulare sono molto abbondanti il reticolo endoplasmatico rugoso, detto sostanza di Nissl, e le neurofibrille (filamenti intermedi che sono importanti nel mantenere la forma cellulare).

Corpo cellulare

Mitocondrio

Sostanza di Nissl

Assone

Nucleo

Ramo collaterale

Neurofibrille

Una cellula di Schwann

Nodo di Ranvier

Terminazione assonica

Cellule di Schwann che formano la guaina mielinica dell’assone

Corpo cellulare Nucleo

(a)

Dendrite

Figura 6.4 Struttura di un motoneurone (a) Rappresentazione schematica. (b) Fotografia al microscopio ottico (‰ 200).

(b)

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6. IL SISTEMA NERVOSO

I prolungamenti I prolungamenti che si diramano dal corpo cellulare hanno lunghezza che varia da dimensioni microscopiche fino a oltre un metro. Nell’uomo i prolungamenti più lunghi vanno dalla regione lombare della colonna vertebrale fino all’alluce. I prolungamenti nervosi che conducono le informazioni (segnali elettrici) in arrivo al corpo cellulare sono i dendriti, mentre quelli che generano gli stimoli nervosi e di regola li conducono lontano dal corpo cellulare sono gli assoni. I neuroni possono avere centinaia di dendriti (dal greco dendron, «albero») ramificati, secondo il tipo di neurone, ma ciascun neurone ha un solo assone. Occasionalmente un assone emette un ramo collaterale lungo il suo decorso, mentre tutti gli assoni si ramificano abbondantemente alla loro estremità terminale, formando centinaia o migliaia di terminazioni assoniche. Tali terminazioni contengono centinaia di minute vescicole costituite da una parete membranosa che racchiude i neurotrasmettitori. Come abbiamo detto, gli assoni trasmettono gli stimoli nervosi dal corpo cellulare alla periferia. Quando raggiungono le terminazioni assoniche, gli stimoli inducono la liberazione dei neurotrasmettitori nello spazio extracellulare. Ogni terminazione assonica è separata dal neurone contiguo da uno spazio sottile, la fessura sinaptica. Questa giunzione funzionale è la sinapsi (dal greco syn, «con», «insieme»). Pur essendo vicini, i neuroni non sono mai realmente a contatto l’uno con l’altro. Apprenderemo di più sulle sinapsi e sugli eventi che in esse si verificano più avanti. Le guaine mieliniche Molte delle lunghe fibre nervose1 hanno un rivestimento di mielina, una sostanza lipidica biancastra dall’aspetto simile alla cera. La mielina protegge e isola l’assone (che costituisce l’asse della fibra nervosa) e aumenta la velocità di trasmissione degli stimoli nervosi. Fuori dal SNC la guaina mielinica degli assoni è formata dalle cellule di Schwann, come abbiamo già detto. Queste cellule si avvolgono attorno all’assone come un rotolo di pasta dolce ripieno di marmellata (figura 6.5). Quando il processo di avvolgimento è completato, l’assone risulta racchiuso da uno stretto avvolgimento di strati adiacenti di membrana: la guaina mielinica. La gran parte del citoplasma della cellula di Schwann finisce per essere situata immediatamente al di sotto della parte più esterna della membrana plasmatica. Questa parte della cellula di Schwann, che si trova esternamente alla guaina mielinica, è detta neurilemma. La guaina mielinica, essendo formata da molte cellule di Schwann distinte, presenta interruzioni a intervalli regolari: i nodi di Ranvier (vedi figura 6.4). Fibre nervose mieliniche si trovano anche nel sistema nervoso centrale, dove però le guaine mieliniche sono formate dagli oligodendrociti (vedi figura 6.3d). A differenza

?

Perché la guaina mielinica formata dalle cellule di Schwann presenta interruzioni?

Citoplasma della cellula di Schwann Assone

Membrana plasmatica della cellula di Schwann Nucleo della cellula di Schwann

(a)

(b)

Neurilemma Guaina mielinica

(c) Figura 6.5 Rapporto delle cellule di Schwann con gli assoni nel sistema nervoso periferico (a-c) Come è illustrato nelle figure dall’alto in basso, una cellula di Schwann avvolge in una sua insenatura un segmento di assone e poi ruota attorno all’assone. La maggior parte del citoplasma della cellula di Schwann va a situarsi immediatamente al di sotto della parte di membrana plasmatica rimasta all’esterno. La stretta spirale dei materiali componenti la membrana plasmatica avvolta attorno all’assone è la guaina mielinica. Il citoplasma e la parte esterna della membrana della cellula di Schwann costituiscono il neurilemma.

delle cellule di Schwann, ciascuna delle quali forma la mielina avvolgendosi attorno a un piccolo segmento di un solo assone, gli oligodendrociti con le loro numerose espansioni cellulari appiattite possono formare contemporaneamente avvolgimenti attorno fino a 60 differenti assoni. Per quanto la guaina mielinica formata dagli oligodendrociti e quella formata dalle cellule di Schwann siano simili, nel SNC le fibre nervose sono prive del neurilemma. Poiché il neurilemma rimane integro (per la maggior parte) quando una fibra nervosa periferica viene danneggiata, esso svolge un ruolo importante nella rigenerazione delle fibre nervose, capacità che è in larga misura assente nel sistema nervoso centrale. 1 Si definisce fibra nervosa l’insieme del prolungamento assonico e delle guaine che lo rivestono.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

I fasci di fibre nervose che decorrono nel SNC sono detti tratti, mentre nel SNP costituiscono i nervi. I termini sostanza bianca e sostanza grigia indicano, rispettivamente, le regioni ricche di mielina e quelle non mielinizzate. Di regola la sostanza bianca è costituita da dense aggregazioni di fibre mieliniche (tratti) e la sostanza grigia contiene per la maggior parte corpi cellulari e fibre amieliniche.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’importanza del ruolo isolante svolto dalla mielina nella trasmissione nervosa è bene illustrata dall’osservazione di quello che accade quando viene a mancare. Nelle persone affette da sclerosi multipla le guaine mieliniche delle fibre nervose vengono gradualmente distrutte e convertite in placche indurite dette sclerosi. Quando ciò avviene, la corrente elettrica va in cortocircuito. Le persone colpite possono presentare disturbi della visione e della parola, perdere la capacità di controllo dei muscoli e divenire progressivamente disabili. La sclerosi multipla è una malattia autoimmune in cui viene attaccata una proteina componente la guaina mielinica. Finora non esistono cure, ma sembra che la somministrazione di interferone (una sostanza simil-ormonale rilasciata da alcune cellule immunitarie) riesca a controllare i sintomi e a dare qualche sollievo.

Classificazione dei neuroni I neuroni possono essere classificati in base a come funzionano o in base alla loro struttura.

Terminologia I raggruppamenti di corpi cellulari dei neuroni sono indicati con nomi differenti a seconda che si trovino nel SNC o nel SNP. I raggruppamenti di corpi cellulari nel SNC sono detti nuclei. La loro localizzazione ben protetta all’interno della scatola cranica o della colonna vertebrale è essenziale per lo stato di salute del sistema nervoso: abbiamo visto che usualmente i neuroni non vanno incontro a divisioni cellulari dopo la nascita. I corpi cellulari svolgono la maggior parte delle funzioni metaboliche del neurone, cosicché, se sono danneggiati, la cellula muore e non è sostituita. Piccoli gruppi di corpi cellulari, detti gangli, si trovano in alcune sedi del SNP.

La classificazione funzionale

La classificazione funzionale raggruppa i neuroni in base alla direzione in cui viaggia lo stimolo nervoso rispetto al SNC. Secondo questo criterio si distinguono neuroni sensitivi, neuroni motori e neuroni di associazione (interneuroni) (figura 6.6). I neuroni che conducono gli stimoli dai recettori di senso (degli organi interni o della cute) al SNC sono neuroni sensitivi o afferenti (il significato letterale di afferente è quello di «andare verso»). I corpi cellulari dei neuroni sensitivi si trovano sempre in un ganglio, fuori dal SNC. I neuroni sensitivi ci tengono costantemente informati di quanto avviene sia all’interno sia all’esterno dell’organismo. Prolungamento centrale (assone)

Ganglio

Corpo cellulare

Neurone sensitivo Dendriti

Prolungamento periferico (assone)

Trasmissione afferente Recettori

Midollo spinale (sistema nervoso centrale)

Sistema nervoso periferico

Interneurone (neurone di associazione)

Trasmissione efferente

Agli effettori (muscoli e ghiandole)

Neurone motore

Figura 6.6 Classificazione funzionale dei neuroni I neuroni sensitivi (afferenti) conducono gli stimoli dai recettori di senso (nella cute, nei visceri, nei muscoli) al sistema nervoso centrale; per la maggior parte i corpi cellulari sono situati in gangli del sistema nervoso periferico. I neuroni motori trasmettono gli stimoli dal SNC (encefalo o midollo spinale) agli effettori alla periferia del corpo. Gli interneuroni (neuroni di associazione) completano la via di comunicazione tra neuroni sensitivi e neuroni motori; il loro corpo cellulare è situato nel SNC.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

I propriocettori rilevano l’entità dell’allungamento, o della tensione, nei muscoli scheletrici e nei loro tendini, e nelle articolazioni; inviano queste informazioni all’encefalo in modo che si possano effettuare le regolazioni adeguate a mantenere l’equilibrio e la postura normale. I propriocettori informano costantemente il cervello dei nostri movimenti. I neuroni che conducono gli stimoli dal sistema nervoso centrale (SNC) ai visceri e/o ai muscoli e alle ghiandole sono neuroni motori, o efferenti (vedi figura 6.6). I corpi cellulari dei neuroni motori sono sempre situati nel SNC. La terza categoria di neuroni è rappresentata dagli interneuroni, o neuroni di associazione, che connettono i neuroni motori e quelli sensitivi nelle vie nervose. Come i neuroni motori, hanno sempre il loro corpo cellulare localizzato nel SNC.

Le terminazioni dendritiche dei neuroni sensitivi sono di solito associate a recettori specializzati i quali vengono attivati da modificazioni specifiche che si verificano nelle vicinanze. I recettori molto complessi degli organi di senso speciali (vista, udito, equilibrio, gusto e olfatto) sono trattati a parte nel capitolo 7. I tipi più semplici di recettori di senso presenti nella cute (organi di senso cutanei) e nei muscoli e nei tendini (propriocettori) sono illustrati nella figura 6.7. I recettori dolorifici (in realtà terminazioni nervose libere) sono i recettori cutanei meno specializzati, e sono anche i più numerosi, poiché il dolore ci avverte che si sta verificando, o è sul punto di verificarsi, qualche tipo di danno per l’organismo. Tuttavia la forte stimolazione di qualunque recettore cutaneo viene interpretata anche come dolore (per esempio, la stimolazione da parte di un calore bruciante o di un freddo estremo o di una pressione esagerata).

(a)

(b)

(d)

(c)

(e) Figura 6.7 Tipi di recettori di senso (a) Terminazioni nervose libere (recettori per il dolore e per la temperatura). (b) Corpuscolo di Meissner (recettore tattile). (c) Corpuscolo di Pacini (recettore profondo per la pressione). (d) Organo muscolo-tendineo di Golgi (propriocettore). (e) Fuso neuromuscolare (propriocettore).

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Corpo cellulare

Assone

Dendriti

(a) Neurone multipolare

riferico). Questi neuroni sono del tutto caratteristici in quanto solamente le piccole ramificazioni all’estremità del prolungamento periferico sono dendriti. Il resto del prolungamento periferico e il prolungamento centrale funzionano da assoni; in questo caso, quindi, l’assone conduce stimoli nervosi sia verso il corpo cellulare sia nella direzione opposta. Sono di questo tipo i neuroni sensitivi dei gangli del SNP. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

Corpo cellulare

Dendrite

Assone

(b) Neurone bipolare

Dendriti Corpo cellulare

Breve tratto unico del prolungamento

Fisiologia dei neuroni

Prolungamento centrale

Gli stimoli nervosi I neuroni hanno due importanti proprietà funzionali: l’irritabilità, cioè la capacità di rispondere a uno stimolo e convertirlo in stimolo nervoso, e la conducibilità, cioè la capacità di trasmettere lo stimolo nervoso ad altri neuroni, ai muscoli, alle ghiandole. Prenderemo in considerazione queste capacità funzionali in seguito.

Assone Prolungamento periferico

4. Qual è la differenza tra sostanza bianca e sostanza grigia? 5. Qual è la differenza tra un ganglio e un nucleo nervoso? 6. Quale parte del neurone conduce gli stimoli verso il corpo cellulare? Quale parte libera neurotrasmettitori? 7. L’insegnante dice che un neurone trasmette lo stimolo nervoso alla velocità di 1 metro al secondo e che un altro neurone conduce lo stimolo alla velocità di 40 metri al secondo. Quale dei due neuroni ha l’assone mielinizzato?

(c) Neurone pseudounipolare Figura 6.8 Classificazione strutturale dei neuroni (a) Multipolare. (b) Bipolare. (c) Pseudounipolare.

La classificazione strutturale La classificazione strutturale si basa sul numero dei prolungamenti che partono dal corpo cellulare (figura 6.8). Se sono molti, il neurone è un neurone multipolare. Poiché tutti i neuroni motori e i neuroni di associazione sono multipolari, questo è il tipo strutturale più comune. I neuroni con due prolungamenti, un assone e un dendrite, sono neuroni bipolari; nell’adulto questi neuroni sono rari e si trovano soltanto in speciali organi di senso (occhio, naso) dove agiscono come cellule recettrici nell’elaborazione degli stimoli sensoriali. I neuroni apparentemente unipolari, pseudounipolari,2 presentano un unico prolungamento emergente dal corpo cellulare, che però è molto breve e si divide pressoché immediatamente in un prolungamento prossimale (centrale) e uno distale (pe2 I neuroni pseudounipolari sono in origine neuroni bipolari, con due prolungamenti che partono dai poli opposti del corpo cellulare. Nel corso dello sviluppo embrionale i due prolungamenti si avvicinano sempre più, fino a che il loro tratto iniziale si fonde. Veri neuroni unipolari si riscontrano raramente, tranne che nei primi stadi embrionali.

• Lo stato elettrico della membrana del neurone a riposo. La membrana plasmatica di un neurone a riposo, o inattivo, è polarizzata; ciò significa che sulla superficie interna della membrana plasmatica del neurone si trovano meno ioni positivi che sulla superficie esterna (figura 6.9). I principali ioni positivi all’interno della cellula sono gli ioni potassio (KŒ), mentre all’esterno della cellula i principali ioni positivi sono gli ioni sodio (NaŒ). Finché la faccia interna resta più negativa di quella esterna, il neurone si trova in uno stato di riposo. • Inizio e generazione del potenziale d’azione. Molti tipi differenti di stimoli eccitano i neuroni a generare uno stimolo. Per esempio, la luce eccita i recettori dell’occhio, il suono eccita i recettori dell’orecchio, la pressione eccita determinati recettori cutanei. Tuttavia, come vedremo tra breve, la maggior parte dei neuroni è eccitata dai neurotrasmettitori rilasciati da altri neuroni. Indipendentemente da quale sia lo stimolo, il risultato è sempre lo stesso: le proprietà di permeabilità della membrana plasmatica della cellula si modificano per un tempo brevissimo. Normalmente gli ioni sodio non possono diffondere in larga misura attraverso la membrana plasmatica, ma quando il neurone è ade-

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6. IL SISTEMA NERVOSO

[Na+] – – – – – – – – + + + + + + + +

[K+]

– – – – – – – + + + + + + + Na+

– – – – – – – – + + + + + + + +

+

– – – – – – – + + + + + + + Na+

– – – – – – + + + + + + + + – –

+ + + – – – +









+

+

+

+

– – – + + + + + + + + – – – – –

+ + + + – – – – – – – + + + +

+ + + + – – – – – – – – + + + +

K+

– – – + + + + + + + – – – –

Ambiente intracellulare

Naÿ

D di ffusio n e di Na+

Diffusione di Kÿ

Ambiente extracellulare

Naÿ

Naÿ

ÿ

Na

(b) Lo stimolo inizia la depolarizzazione locale. Uno stimolo modifica la permeabilità di una piccola zona di membrana e ioni sodio diffondono rapidamente all’interno della cellula. Ciò determina in quel punto modificazioni della polarità della membrana (l’interno diviene più positivo, l’esterno diviene più negativo).

(c) Depolarizzazione e generazione di un potenziale d’azione. Se lo stimolo è abbastanza forte, la depolarizzazione determina la completa inversione della polarità della membrana e ha inizio un potenziale di azione.

(d) Propagazione del potenziale d’azione. La depolarizzazione della prima piccola zona di membrana provoca modificazioni della permeabilità nella parte di membrana adiacente e si ripetono gli eventi descritti in (b). In questo modo il potenziale d’azione si propaga rapidamente lungo tutta la membrana.

(e) Ripolarizzazione. Ioni potassio diffondono fuori dalla cellula allorché la permeabilità della membrana si modifica di nuovo, ristabilendo la carica negativa all’interno della membrana e la carica positiva alla sua superficie esterna. La ripolarizzazione avviene nella stessa direzione della depolarizzazione.

Pompa Naÿ– Kÿ

Naÿ Naÿ

(a) Stato elettrico della membrana a riposo. La superficie esterna della membrana è lievemente positiva; la superficie interna è lievemente negativa. Il principale ione extracellulare è il sodio (Naÿ), mentre il principale ione intracellulare è il potassio (Kÿ). La membrana è relativamente impermeabile a entrambi gli ioni.

Membrana plasmatica

(f) Ripristino delle condizioni ioniche iniziali. Le condizioni ioniche dello stato di riposo vengono poi ristabilite per l’attività della pompa sodio-potassio. Ogni tre ioni sodio trasportati fuori dalla cellula, due ioni potassio sono riportati all’interno della cellula.

ÿ

K

Kÿ

ÿ Kÿ K

Figura 6.9 Lo stimolo nervoso

guatamente stimolato, i «cancelli» dei canali del sodio presenti nella membrana si aprono. Poiché il sodio si trova in concentrazione molto più elevata fuori dalla cellula, diffonde rapidamente all’interno del neurone. (Ricordate le leggi della diffusione?) Questo rapido ingresso di ioni sodio modifica in quel punto la polarità della membrana del neurone determinando la depolarizzazione. Localmente, l’interno è ora più positivo e

l’esterno meno positivo. Se l’eccitazione è sufficientemente forte e l’afflusso di sodio è sufficientemente grande, la depolarizzazione locale attiva il neurone a generare e trasmettere un segnale a lunga distanza che è il potenziale d’azione, o stimolo nervoso. Il potenziale d’azione è una risposta tutto o nulla, come lo sparo di un fucile: o si propaga (viene condotto) su tutta la superficie dell’assone, o non accade nulla. Lo stimolo ner-

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6. IL SISTEMA NERVOSO

voso non percorre mai soltanto una parte della lunghezza dell’assone, né si estingue con l’aumentare della distanza. Quasi immediatamente dopo il rapido afflusso di sodio nel neurone, la permeabilità della membrana si modifica di nuovo e la membrana diviene impermeabile agli ioni sodio e permeabile invece agli ioni potassio. Così gli ioni potassio possono diffondere dal neurone nel liquido extracellulare e lo fanno molto rapidamente. L’uscita di ioni positivi dalla cellula ristabilisce a livello della membrana le condizioni elettriche dello stato polarizzato, o di riposo, un evento detto ripolarizzazione. Finché non è avvenuta la ripolarizzazione, il neurone non può condurre un altro stimolo. Dopo che è avvenuta la ripolarizzazione, l’attivazione della pompa sodio-potassio ripristina le concentrazioni iniziali del sodio e del potassio. Questa pompa utilizza ATP (energia cellulare) per pompare fuori dalla cellula gli ioni sodio in eccesso e portare all’interno gli ioni potassio. Una volta iniziata, questa sequenza di eventi si propaga lungo tutta la membrana del neurone. Gli eventi appena descritti spiegano la propagazione di uno stimolo nervoso lungo le fibre amieliniche. Le fibre provviste di guaina mielinica conducono gli stimoli molto più velocemente perché lo stimolo letteralmente salta, cioè fa un balzo, da un nodo all’altro lungo tutta la fibra. Ciò è dovuto al fatto che non ci può essere flusso di corrente elettrica attraverso la membrana là dove è presente l’isolamento dato dalla mielina. Questo tipo più veloce di propagazione dello stimolo elettrico è la conduzione saltatoria. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA I fattori che possono interferire con la conduzione degli stimoli sono numerosi. Per esempio, i sedativi e gli anestetici bloccano gli stimoli nervosi alterando la permeabilità della membrana agli ioni, principalmente agli ioni sodio. Come abbiamo visto, senza l’ingresso di ioni sodio non si ha un potenziale d’azione. Il freddo e una pressione continua ostacolano la conduzione degli stimoli perché impediscono la circolazione del sangue, e quindi l’apporto di ossigeno e sostanze nutritizie ai neuroni. Per esempio, le dita si intorpidiscono quando si tiene stretto un cubetto di ghiaccio per più di pochi secondi. Analogamente, un piede «si addormenta» quando ci si siede sopra. Quando ci si riscalda le dita o si toglie la pressione sul piede, gli stimoli cominciano a essere trasmessi ancora una volta, causando una spiacevole sensazione di piccole punture.

• La trasmissione del segnale a livello delle sinapsi. Finora abbiamo spiegato soltanto l’aspetto dell’irritabi3 La comunicazione tra neuroni avviene per la maggior parte attraverso le sinapsi chimiche sopra descritte; tuttavia vi sono anche alcuni esempi di sinapsi elettriche, nelle quali i neuroni sono fisicamente uniti da giunzioni strette e la corrente elettrica passa effettivamente da un neurone all’altro.

lità nell’attività funzionale dei neuroni. E la conducibilità? Come fa l’impulso elettrico che si propaga lungo il neurone ad attraversare la sinapsi per trasmettersi al neurone successivo (o alla cellula effettrice) e influenzarne l’attività? La risposta è che l’impulso elettrico non l’attraversa! Quando il potenziale d’azione raggiunge una terminazione assonica, le minute vescicole contenenti i neurotrasmettitori chimici si fondono con la membrana plasmatica dell’assone liberando i neurotrasmettitori nello spazio extracellulare. Le molecole di neurotrasmettitore immesse nella fessura sinaptica3 si legano ai recettori presenti sulla membrana del neurone adiacente (figura 6.10). Se viene rilasciata una quantità sufficiente di neurotrasmettitore, si verifica l’intera sequenza degli eventi sopra descritti (ingresso del sodio, depolarizzazione, ecc.) determinando la generazione di uno stimolo nervoso nel neurone che sta oltre la sinapsi. Le modificazioni elettriche indotte dal legame del neurotrasmettitore hanno durata brevissima, perché il neurotrasmettitore è prontamente rimosso dalla sinapsi o mediante la ricaptazione da parte della terminazione assonica, o per degradazione enzimatica. Questo limita l’effetto di ogni stimolo nervoso a un periodo di tempo più breve di un battito di ciglia. Va notato che la trasmissione di uno stimolo nervoso è un evento elettrochimico. La trasmissione lungo la membrana plasmatica del neurone è fondamentalmente un evento elettrico, mentre la stimolazione del neurone adiacente da parte del neurotrasmettitore è un evento chimico. Poiché riceve segnali da molti neuroni e invia segnali a numerosi altri neuroni, ogni neurone intrattiene «conversazioni» con molti neuroni differenti allo stesso tempo. I riflessi La comunicazione tra un neurone e l’altro è di molti tipi, ma molto di quello che l’organismo deve fare ogni giorno è programmato in forma di riflessi. I riflessi sono risposte rapide, prevedibili e involontarie agli stimoli. Sono molto simili a vie a senso unico: una volta iniziato, un riflesso procede sempre nella stessa direzione. I riflessi si attuano lungo vie nervose dette archi riflessi e coinvolgono strutture sia del SNC sia del SNP. I riflessi che si verificano nell’organismo sono classificati in somatici e vegetativi. I riflessi somatici comprendono tutti i riflessi che stimolano i muscoli scheletrici; quando si ritrae velocemente la mano da un oggetto troppo caldo è in atto un riflesso somatico. I riflessi vegetativi (o autonomi) regolano l’attività della muscolatura liscia, del cuore, delle ghiandole. La secrezione di saliva e la variazione del diametro delle pupille degli occhi sono due di questi riflessi. I riflessi vegetativi regolano funzioni dell’organismo quali la digestione, l’elimi-

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Assone del neurone trasmettitore

Terminazione assonica

1 Arrivo del potenziale d’azione

Vescicole

Fessura sinaptica

Neurone ricevente

Sinapsi

Neurone trasmettitore 2 Fusione della vescicola con la membrana plasmatica

4 Legame del neurotrasmettitore al recettore 3 Liberazione del neurotrasmettitore presente nella membrana del nella fessura neurone ricevente sinaptica

Fessura sinaptica

Canali ionici

Molecole di neurotrasmettitore

Neurone ricevente

Neurotrasmettitore

Degradazione e distacco del neurotrasmettitore

Recettore

Na+ Na+

5 Apertura del canale ionico

6 Chiusura del canale ionico

Figura 6.10 Modalità di comunicazione dei neuroni a livello delle sinapsi chimiche Gli eventi che si verificano a livello della sinapsi sono numerati nell’ordine di sequenza.

nazione dei prodotti di rifiuto, la pressione del sangue, la sudorazione. Tutti gli archi riflessi hanno almeno cinque elementi (figura 6.11a a pagina seguente): un recettore di senso (che reagisce a uno stimolo), un organo effettore (il muscolo o la ghiandola che alla fine vengono stimolati), un neurone sensitivo e un neurone motore che li mettono in connessione. La sinapsi tra neurone sensitivo e neurone motore rappresenta l’elemento centrale: il centro di integrazione del SNC. Il semplice riflesso patellare, illustrato nella figura 6.11b,d, è un esempio di arco riflesso articolato su due neuroni, il tipo più semplice nell’uomo. Il riflesso patellare (nel quale viene stirato il muscolo quadricipite attaccato al tendine percosso con il martelletto) è ben noto alla maggior parte di noi; viene di solito esaminato durante una visita medica per determinare lo stato generale della parte motoria del sistema nervoso. La maggior parte dei riflessi è assai più complessa del riflesso articolato su due neuroni, e comporta sinapsi con uno o più interneuroni nel SNC (centro di integrazione). Un arco riflesso articolato su tre neuroni, il riflesso di flessione, o di retrazione, nel quale l’arto viene retratto da uno stimolo doloroso, è schematizzato nella figura 6.11c. L’arco riflesso articolato su tre neuroni comprende cinque componenti: recettore, neurone sensitivo, interneurone, neurone motore ed effettore. Poiché a livello delle sinapsi c’è sempre un ritardo (il tempo necessario perché il neurotrasmettitore diffonda attraverso la fessura sinaptica), quanto più numerose sono le sinapsi in una via riflessa, tanto maggiore è il tempo in cui il riflesso si manifesta. Molti riflessi spinali interessano soltanto neuroni del midollo spinale e avvengono senza coinvolgimento dell’encefalo. Finché il midollo spinale funziona, i riflessi spinali sono attivi. Invece alcuni riflessi richiedono il coinvolgimento dell’encefalo perché si devono valutare molti tipi differenti di informazioni per arrivare alla risposta «corretta». La risposta delle pupille alla luce è un riflesso di questo tipo. Come abbiamo notato in precedenza, l’esame dei riflessi è un importante mezzo di valutazione dello stato del sistema nervoso. Ogni volta che i riflessi sono esagerati, alterati, o assenti, indicano disturbi del sistema nervoso. Le modificazioni dei riflessi spesso compaiono prima che la situazione patologica si sia manifestata in altro modo. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

8. Quando si genera un potenziale d’azione? 9. Come viene trasmesso lo stimolo nervoso attraverso una sinapsi? 10. Qual è la funzione della pompa sodio-potassio? 11. Cos’è un riflesso?

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6. IL SISTEMA NERVOSO Cute

Midollo spinale (in sezione trasversale)

Stimolo all’estremo distale del neurone

2 Neurone sensitivo

1 Recettore 4 Neurone motore

3 Centro di integrazione Interneurone

5 Effettore

(a)

1 Recettori di senso (recettori di 2 Neurone sensitivo distensione nel (afferente) muscolo quadricipite)

1 Recettori di senso (recettori dolorifici della cute)

Midollo spinale

2 Neurone sensitivo (afferente) 3 Sinapsi nel corno ventrale della sostanza grigia

4 Neurone motore (efferente)

3 Inter– neurone

4 Neurone motore (efferente)

(b)

5 Effettore (muscolo quadricipite femorale)

5 Effettore (muscolo bicipite brachiale)

(c)

3. Il sistema nervoso centrale Durante lo sviluppo embrionale il SNC si presenta inizialmente come un semplice tubo, il tubo neurale, che si estende lungo il piano mediano dorsale del corpo dell’embrione in via di sviluppo. Alla quarta settimana di sviluppo embrionale l’estremità anteriore del tubo neurale comincia a espandersi e inizia la formazione dell’encefalo. Il resto del tubo neurale situato posteriormente all’encefalo in via di formazione diventa il midollo spinale. Il canale centrale del tubo neurale, che si continua dall’encefalo al midollo spinale, comincia ad ampliarsi in quattro regioni dell’encefalo, formando cavità dette ventricoli (vedi figura 6.18a,b a pagina 154). (d) Figura 6.11 Archi riflessi semplici (a) I cinque elementi fondamentali di tutti gli archi riflessi. (b) Arco riflesso articolato su due neuroni (per esempio, riflesso patellare). (c) Arco riflesso articolato su tre neuroni (per esempio, riflesso di flessione). (d) Fotografia di un medico che esamina il riflesso patellare.

L’anatomia funzionale dell’encefalo L’aspetto per nulla impressionante dell’encefalo adulto lascia intendere poco delle sue straordinarie capacità. Si presenta come circa due buoni pugni di tessuto grigio rosato, a superficie irregolare come quella di una noce e con struttura simile alla farinata d’avena. Pesa poco più di 1300 grammi. Poiché l’encefalo è la più grande e la più

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Emisfero cerebrale

Emisfero cerebrale

Abbozzo del diencefalo

Diencefalo

Mesencefalo Cervelletto

Cervelletto Tronco encefalico

Tronco encefalico

(b) Encefalo adulto

(a) 13 settimane di sviluppo Figura 6.12 Sviluppo e regioni dell’encefalo umano

L’encefalo può essere considerato come l’insieme di quattro parti principali: emisferi cerebrali, diencefalo, tronco encefalico e cervelletto. (a) Nell’encefalo in via di sviluppo gli emisferi cerebrali, inizialmente lisci, sono spinti ad accrescersi in direzione posteriore e laterale sopra alle altre regioni dell’encefalo dalle ossa del cranio. (b) Nell’encefalo adulto gli emisferi cerebrali, ora altamente convoluti, racchiudono il diencefalo e la parte superiore del tronco encefalico. Nel disegno l’emisfero cerebrale di sinistra è rappresentato trasparente, per mostrare la sede del diencefalo e della parte superiore del tronco encefalico situati in profondità.

complessa massa di tessuto nervoso dell’organismo, viene comunemente trattato considerando le sue quattro regioni principali: emisferi cerebrali, diencefalo, tronco encefalico e cervelletto (figura 6.12). Gli emisferi cerebrali I due emisferi cerebrali, che insieme costituiscono il cervello, formano la parte superiore dell’encefalo e complessivamente sono molto più grandi delle altre tre regioni encefaliche messe insieme. Infatti nello svilupparsi e nell’accrescersi gli emisferi cerebrali racchiudono e nascondono gran parte del tronco encefalico, cosicché molte delle sue strutture non sono normalmente visibili a meno che non si esegua una sezione sagittale. Se cerchiamo di immaginare come il cappello di un fungo ricopre la sommità del gambo, ci saremo fatti un’idea abbastanza buona del modo in cui gli emisferi cerebrali ricoprono il diencefalo e la parte superiore del tronco encefalico (vedi figura 6.12). L’intera superficie degli emisferi cerebrali presenta pieghe di tessuto in rilievo, le circonvoluzioni (o giri), separate da scanalature poco profonde, i solchi. Meno numerose sono le scanalature più profonde, le scissure (figura 6.13a a pagina seguente), che separano ampie regioni dell’encefalo. Molte scissure e circonvoluzioni sono importanti punti di riferimento anatomici. Gli emisferi cerebrali sono separati da un’unica profonda scissura, la scissura longitudinale. Altre scissure o solchi suddividono ogni emisfero cerebrale in lobi, che prendono il nome dalle ossa craniche che li ricoprono (vedi figura 6.13a,b). Ogni emisfero cerebrale presenta tre regioni fondamentali: una corteccia superficiale di sostanza grigia; una sostanza bianca all’interno; i nuclei della base, che sono

isole di sostanza grigia situate profondamente all’interno della sostanza bianca. Consideriamo ora queste regioni. • La corteccia cerebrale. Il linguaggio, la memoria, la risposta logica e quella emozionale, così come la coscienza, l’interpretazione delle sensazioni, i movimenti volontari, sono tutte funzioni dei neuroni della corteccia cerebrale, e molte delle aree funzionali degli emisferi cerebrali sono state identificate (figura 6.13c). • L’area sensitiva somatica primaria è localizzata nel lobo parietale posteriormente alla scissura centrale. In questa area dell’encefalo si localizzano e vengono interpretati gli stimoli nervosi che arrivano dai recettori di senso dell’organismo (ad eccezione dei sensi speciali). L’area sensitiva somatica primaria vi consente di riconoscere il dolore, il senso di freddo, o una lieve pressione. Come è illustrato nella figura 6.14 a pagina 149, nell’area sensitiva il corpo è rappresentato in maniera capovolta. Le regioni del corpo con il maggior numero di recettori di senso (le labbra e la punta delle dita) inviano stimoli a neuroni che costituiscono una grande parte dell’area sensitiva. Inoltre, le vie di senso sono vie crociate, vale a dire che l’area sensitiva somatica primaria del lato sinistro riceve gli stimoli provenienti dal lato destro del corpo e viceversa. • Gli stimoli provenienti dagli organi di senso speciali vengono interpretati in altre aree della corteccia (vedi figura 6.13b,c). Per esempio, l’area visiva è localizzata nella parte posteriore del lobo occipitale, l’area uditiva si trova nel lobo temporale che delimita la scissura laterale e l’area olfattiva è situata in profondità all’interno del lobo temporale.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Sop

Co llo cigl io Occh io

rac

Genitali

Dita del piede

Faccia

o so Na cia c Fa bra Lab

i Dent e iv Geng ola Mandib Lingua

Labbra Mandibola Lingua Deglutizione

hi

O cc

e

Brac cio Go mit o Av am br Ma ac cio no Di ta de Po lla llic ma e no

llic

Testa

Collo

Tronco

Anca

Ginocchio

Anca

Tronco

Spalla

cio Brac

lso

ito Gom

Po

no Ma ta Di no a m

lla de

Po

Sequenza dell’area sensitiva primaria

Gamba

Sequenza dell’area motoria primaria

Corteccia sensitiva somatica (circonvoluzione centrale posteriore)

Corteccia motoria (circonvoluzione precentrale)

Faringe

Figura 6.14 Area sensitiva e area motoria della corteccia cerebrale La quantità relativa di tessuto corticale dedicata a ciascuna funzione è indicata dalla quantità di circonvoluzione occupata dagli schemi delle aree corporee. A sinistra è rappresentata la corteccia motoria primaria, a destra la corteccia sensitiva somatica.

• L’area motoria primaria, che ci permette di muovere coscientemente i muscoli scheletrici, si trova nel lobo frontale, anteriormente alla scissura centrale. Gli assoni di questi neuroni motori formano il tratto principale della motilità volontaria, il fascio corticospinale, o piramidale, che scende nel midollo spinale. Come nella corteccia sensitiva somatica primaria, il corpo è rappresentato capovolto, e le vie sono crociate. Una gran parte dei neuroni dell’area motoria primaria controlla le regioni del corpo che hanno la regolazione motoria più fine, vale a dire la faccia, la bocca e le mani (vedi figura 6.14). • L’area di Broca (vedi figura 6.13c), un’area corticale specializzata che è fortemente correlata con la nostra capacità di parlare, è situata alla base della circonvoluzione precentrale (la circonvoluzione situata anteriormente alla scissura centrale). Una lesione di questa area, che si trova in un solo emisfero cerebrale (di solito quello sinistro), provoca l’incapacità di dire correttamente le parole: si sa cosa si vuole dire, ma non si riesce a pronunciare le parole.

• Si ritiene che le aree implicate nelle attività intellettive superiori e nel comportamento socialmente accettabile siano situate nella parte anteriore dei lobi frontali. I ricordi complessi sembrano essere immagazzinati nei lobi temporale e frontale. L’area del linguaggio è localizzata a livello dell’unione dei lobi temporale, parietale e occipitale. L’area del linguaggio consente di articolare le parole. Questa area (come l’area di Broca) si trova di solito in uno solo degli emisferi cerebrali. Nei lobi frontali sono localizzate aree implicate nella comprensione del linguaggio (del significato delle parole). • I corpi cellulari dei neuroni impegnati nelle funzioni sopra nominate degli emisferi cerebrali si trovano soltanto nella sostanza grigia superficiale del cervello, la corteccia cerebrale (vedi figura 6.13a). Come abbiamo visto in precedenza, la regione corticale presenta numerosi rilievi sinuosi che aumentano lo spazio in cui trovano luogo le migliaia di neuroni in essa presenti. • La sostanza bianca del cervello. La maggior parte del rimanente tessuto degli emisferi cerebrali, la sostanza

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Superficie superiore Scissura longitudinale

Corpo calloso (fibre commessurali)

Sostanza grigia Sostanza bianca Ventricolo laterale

Fornice

Nuclei della base

Terzo ventricolo

Capsula interna

Talamo

Fibre

Ponte Midollo allungato

Figura 6.15 Sezione frontale dell’encefalo che mostra le fibre commessurali e le fibre di proiezione che decorrono dal cervello alle parti sottostanti del SNC Va notata la lamina compatta di fibre di proiezione, detta capsula interna, che passa tra il talamo e i nuclei della base.

bianca del cervello (vedi figure 6.13a e 6.15), è costituita da fasci di fibre che trasportano stimoli che arrivano alla corteccia, che partono dalla corteccia, che si trasmettono all’interno della corteccia. Un tratto nervoso molto grosso, il corpo calloso, connette tra loro i due emisferi cerebrali (figure 6.15 e 6.16). Il corpo calloso si incurva ad arco sopra le strutture del tronco encefalico e consente la comunicazione di un emisfero cerebrale con l’altro. Questo è importante perché, come abbiamo già segnalato, alcune aree funzionali della corteccia si trovano in un solo emisfero. • I nuclei della base. Sebbene la maggior parte della sostanza grigia sia costituita dalla corteccia cerebrale, diversi ammassi isolati di sostanza grigia, i nuclei della base, si trovano immersi in profondità nella sostanza bianca degli emisferi cerebrali (vedi figura 6.15). I nuclei della base contribuiscono alla regolazione delle attività motorie volontarie modificando le istruzioni (soprattutto relative all’inizio e alla cessazione dei movimenti) inviate ai muscoli scheletrici dalla corteccia motoria primaria.4 4

Due nuclei della base (putamen e nucleo caudato, rappresentati molto schematicamente nella figura 6.15 senza specificazione del nome della struttura) formano il corpo striato, che quindi partecipa alla regolazione dell’attività motoria volontaria.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Le persone con disturbi dei nuclei della base spesso non sono in grado di camminare normalmente o di effettuare altri movimenti volontari nel modo normale consueto. Due esempi di sindromi di questo tipo, la malattia di Huntington (o corea di Huntington) e il morbo di Parkinson, sono trattati nella scheda «Le malattie di Alzheimer, di Parkinson e di Huntington: le terribili tre» (p. 168). ■■ FACCIAMO IL PUNTO

12. Quali sono le tre regioni principali del cervello? 13. Qual è la composizione della sostanza bianca dell’encefalo?

Il diencefalo Il diencefalo è situato sopra al tronco encefalico ed è racchiuso dagli emisferi cerebrali (vedi figura 6.12). Le principali strutture del diencefalo sono il talamo, l’ipotalamo e l’epitalamo (vedi figura 6.16).

• Il talamo, che contiene la cavità del terzo ventricolo dell’encefalo, è una stazione di passaggio per gli stimoli sensitivi diretti verso l’alto alla corteccia cerebrale. Quando gli stimoli scorrono attraverso il talamo, riconosciamo in modo approssimativo se la sensazione che siamo sul punto di avere è piacevole o sgradevole. Sono i neuroni della corteccia sensitiva quelli che effettivamente localizzano e interpretano la sensazione.

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6. IL SISTEMA NERVOSO Lobo parietale dell’emisfero cerebrale Corpo calloso

Terzo ventricolo

Plesso corioideo del terzo ventricolo

Lobo frontale dell’emisfero cerebrale

Lobo occipitale dell’emisfero cerebrale Talamo Epifisi

Ipotalamo

Tubercoli quadrigemelli

Chiasma ottico

Peduncolo cerebrale del mesencefalo

Mesencefalo

Ipofisi Lobo temporale dell’emisfero cerebrale

Quarto ventricolo Ponte

Cervelletto

Midollo allungato Midollo spinale Radiazioni alla corteccia cerebrale

(a)

Stimoli uditivi

Stimoli visivi Formazione reticolare Fasci ascendenti della sensibilità generale (tattile, dolorifica, termica)

Proiezioni motorie discendenti al midollo spinale

(b) Figura 6.16 Strutture del diencefalo e del tronco encefalico (a) Sezione sagittale mediana dell’encefalo. (b) La formazione reticolare si estende per tutta la lunghezza del tronco encefalico. Le frecce ascendenti indicano afferenze sensitive al cervello. La freccia discendente indica stimoli efferenti emessi dai neuroni reticolari.

• L’ipotalamo (letteralmente «sotto il talamo»: ipo, «sotto») costituisce il pavimento del diencefalo. È un importante centro del sistema nervoso vegetativo poiché interviene nella regolazione della temperatura corporea, dell’equilibrio idrico e del metabolismo. L’ipotalamo è anche il centro di molte pulsioni ed emozioni, e come tale è una componente importante del cosiddetto sistema limbico, o «cervello emotivo-viscerale». Per esempio, nell’ipotalamo si trovano centri della sete, dell’appetito, del desiderio sessuale, del dolore e del piacere. Inoltre l’ipotalamo regola l’ipofisi (una ghiandola endocrina) e produce esso stesso due ormoni. L’i-

pofisi è sospesa mediante un sottile peduncolo alla parte anteriore del pavimento dell’ipotalamo. (La sua funzione è trattata nel capitolo 8.) I corpi mammillari, centri di attività riflesse che intervengono nel senso dell’olfatto, sporgono dal pavimento dell’ipotalamo posteriormente all’ipofisi. • L’epitalamo forma il tetto del terzo ventricolo. Parti importanti dell’epitalamo sono l’epifisi, o corpo pineale (che fa parte dell’apparato endocrino), e il plesso corioideo del terzo ventricolo. I plessi corioidei, reticoli di capillari presenti in ciascun ventricolo, producono il liquido cefalorachidiano.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Il tronco encefalico Il tronco encefalico ha un diametro all’incirca corrispondente a quello di un dito pollice e lunghezza di circa 7,5 cm. Le strutture che lo compongono sono il mesencefalo, il ponte e il midollo allungato. Oltre a dare passaggio ai fasci di fibre nervose ascendenti e discendenti, il tronco encefalico contiene numerose piccole regioni di sostanza grigia. Questi nuclei determinano i comportamenti vegetativi rigidamente programmati che sono necessari per la vita. Alcuni inoltre sono associati ai nervi cranici e controllano attività vitali quali il respiro e la pressione del sangue. Le regioni del tronco encefalico possono essere individuate nella figura 6.16.

• Il mesencefalo è una parte relativamente piccola del tronco encefalico ed è percorso da un sottile canale. Nella sua parte anteriore il mesencefalo è principalmente costituito da due grossi tratti nervosi, i peduncoli cerebrali, che trasportano stimoli nervosi ascendenti e discendenti. Dorsalmente si trovano quattro rilievi rotondeggianti, i tubercoli quadrigemelli, disposti a due a due: un paio superiore e uno inferiore. Questi nuclei sporgenti sono centri di attività riflesse implicate nella visione e nell’udito. • Il ponte è la struttura rotondeggiante che sporge immediatamente sotto il mesencefalo ed è costituita principalmente da tratti nervosi; tuttavia contiene anche nuclei importanti che intervengono nel controllo del respiro. • Il midollo allungato è la parte inferiore del tronco encefalico; inferiormente continua con il midollo spinale senza alcuna evidente modificazione strutturale. Come il ponte, il midollo allungato è una importante zona di tratti nervosi. Contiene inoltre neuroni ammassati in nuclei, che controllano attività viscerali vitali. In esso si trovano, tra gli altri, i centri che regolano il ritmo cardiaco, la pressione del sangue, il respiro, la deglutizione e il vomito. Il quarto ventricolo è situato posteriormente al ponte e al midollo allungato e anteriormente al cervelletto. • La formazione reticolare è una massa diffusa di sostanza grigia che si estende per tutta la lunghezza del tronco encefalico. I neuroni della formazione reticolare prendono parte alla regolazione motoria dei visceri. Un gruppo speciale di neuroni della formazione reticolare, il sistema di attivazione reticolare (SAR), interviene nella coscienza e nel ciclo veglia/sonno (figura 6.16b). Lesioni di questa area possono portare a uno stato di incoscienza permanente (coma). Il cervelletto Il voluminoso cervelletto, di forma simile a un cavolfiore, sporge dorsalmente al di sotto del lobo occipitale del

cervello. Il cervelletto, come il cervello, ha due emisferi e una superficie convoluta. Ha inoltre una corteccia esterna formata da sostanza grigia e una regione interna di sostanza bianca. Il cervelletto provvede al preciso coordinamento dell’attività dei muscoli scheletrici e controlla l’equilibrio. La sua attività rende i movimenti del corpo fluidi e coordinati. Svolge meno bene le sue funzioni quando è sedato con l’alcol. Il cervelletto riceve fibre nervose dall’organo dell’equilibrio dell’orecchio interno, dall’occhio, dai propriocettori dei muscoli scheletrici e dei tendini, e da molte altre regioni. Può essere paragonato a un pilota automatico, che confronta continuamente le «intenzioni» dell’encefalo con l’effettiva esecuzione del corpo, controllando continuamente la posizione del corpo e l’entità della tensione nelle sue varie parti. Quando è necessario, invia messaggi per dare inizio alle appropriate misure di correzione. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Nel caso di lesioni del cervelletto (per esempio, un trauma della testa, un tumore o un ictus) i movimenti diventano goffi e disorganizzati, una condizione detta atassia. Le persone colpite non sono in grado di mantenere l’equilibrio e possono sembrare ubriache a causa della perdita del coordinamento dei muscoli; non sono più capaci di toccarsi il naso con le dita a occhi chiusi, azione che gli individui normali eseguono facilmente. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

14. Quale regione dell’encefalo controlla attività vitali come la respirazione e la pressione sanguigna: il cervello, il tronco encefalico o il cervelletto? 15. Qual è la funzione del cervelletto? 16. In quale parte dell’encefalo si trovano il talamo, l’ipotalamo e l’epifisi?

Le strutture di protezione del sistema nervoso centrale Il tessuto nervoso è molto molle e delicato e i neuroni, insostituibili, sono danneggiati da una pressione anche lieve. La natura ha tentato di proteggere l’encefalo e il midollo spinale racchiudendoli in strutture ossee (la scatola cranica e la colonna vertebrale), in membrane (le meningi) e in uno strato ammortizzante acquoso (il liquido cefalorachidiano). La protezione da sostanze dannose presenti nel sangue è attuata dalla barriera emato-encefalica. Abbiamo già preso in considerazione le strutture di protezione ossee (vedi capitolo 4), pertanto qui ci concentreremo sugli altri dispositivi. Le meningi Le tre membrane connettivali che avvolgono e proteggono le strutture del SNC sono le meningi (figura 6.17). La più esterna, la dura madre, fibrosa e robusta, è una membrana che avvolge l’encefalo ed è formata da due

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6. IL SISTEMA NERVOSO

?

Cosa contiene lo spazio compreso tra aracnoide e pia madre?

Cuoio capelluto Periostio Osso del cranio Strato periostale Strato meningeo

Dura madre

Aracnoide Pia madre Villo aracnoidale Vaso sanguigno Falce cerebrale (soltanto nella fessura cerebrale)

(a)

Cranio Cuoio capelluto Seno sagittale superiore Lobo occipitale

Dura madre

Cervelletto Osso temporale

Aracnoide sopra il midollo allungato

(b) Figura 6.17 Meningi encefaliche (a) Sezione frontale tridimensionale che mostra le meningi (dura madre, aracnoide e pia madre) che avvolgono e proteggono l’encefalo. È mostrato anche il rapporto della dura madre con la falce cerebrale. (b) Vista posteriore dell’encefalo in situ circondato dalla dura madre.

strati: uno a contatto con le ossa craniche (strato periostale) e uno rivolto verso l’encefalo (strato meningeo). La meninge intermedia è l’aracnoide, che ha un aspetto reticolato (vedi figura 6.17). Deve il suo nome al termine derivato dal greco che significa «ragno» e al fatto di apparire simile a una ragnatela. Prende contatto con la meninge più interna, la pia madre. La pia madre è una membrana delicata che aderisce strettamente alla superficie dell’encefalo e del midollo spinale, seguendone ogni piega. Lo spazio tra le due membrane è colmo di liquido cefalorachidiano.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA La meningite, un’infiammazione delle meningi, è una grave minaccia per l’encefalo perché una meningite batterica o virale può diffondersi al tessuto nervoso del SNC. L’infiammazione dell’encefalo è detta encefalite. Di solito la diagnosi di meningite viene posta prelevando un campione di liquido cefalorachidiano dallo spazio subaracnoidale.

Il liquido cefalorachidiano Il liquido cefalorachidiano, o liquor, è un liquido acquoso simile come costituzione al plasma sanguigno da cui si forma; tuttavia contiene meno proteine e più vita-

153 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

6. IL SISTEMA NERVOSO Ventricoli laterali Terzo ventricolo

Ventricolo laterale Terzo ventricolo

Canale del mesencefalo Quarto ventricolo

Quarto ventricolo

Canale centrale del midollo spinale

Canale centrale del midollo spinale

(a) Vista anteriore

(b) Vista laterale sinistra

Liquido cefalorachidiano Aracnoide Strato meningeo della dura madre

Cervello rivestito dalla pia madre

Strato periostale della dura madre

Corpo calloso Terzo ventricolo

Cervelletto

Ipofisi

Quarto ventricolo

Canale centrale del midollo spinale

(c)

mina C e ha una composizione ionica differente (figura 6.18). Il liquor viene continuamente formato e forma un cuscinetto acquoso che protegge il fragile tessuto nervoso dagli urti e da altri traumi. Il liquor circola continuamente nelle cavità presenti nell’encefalo ed è drenato costantemente in modo che il suo volume si mantiene costante (150 mL), così come la sua pressione e la sua composizione. Qualunque modificazione significativa della composizione del liquor (o la comparsa in esso di elementi del sangue) può essere un segno di meningite o di altre condizioni patologiche dell’encefalo (come tumori o sclerosi multipla).

Figura 6.18 Ventricoli encefalici e sedi del liquido cefalorachidiano (a) e (b) Viste tridimensionali dei ventricoli dell’encefalo. (c) Circolazione del liquido cefalorachidiano (indicata dalle frecce) all’interno del sistema nervoso centrale e nello spazio subaracnoidale. (La posizione relativa del ventricolo laterale destro è indicata dalla zona di colore azzurro pallido posta in profondità rispetto al corpo calloso.)

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Se qualcosa ne ostruisce il drenaggio (per esempio, un tumore), il liquor comincia ad accumularsi e a esercitare una pressione sull’encefalo. Questa condizione è l’idrocefalo. In un neonato l’idrocefalo causa un ingrandimento della testa correlato all’aumento di dimensioni dell’encefalo (figura 6.19). Nel bambino molto piccolo questo è possibile perché le ossa del cranio non si sono ancora fuse. Nell’adulto, invece, questa condizione può portare a un danno dell’encefalo perché il cranio è duro e il liquido che si accumula comprime il tessuto nervoso molle. L’idrocefalo viene oggi trattato chirurgicamente inserendo uno shunt (un tubo di plastica) che drena il liquor in eccesso in una vena del collo o nell’addome.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

bile della protezione fornita è la relativa impermeabilità dei capillari dell’encefalo. La barriera emato-encefalica è praticamente inutile nei confronti dei grassi, dei gas respiratori e di altre molecole liposolubili che diffondono facilmente attraverso tutte le membrane plasmatiche. Questo spiega perché l’alcol, la nicotina e gli anestetici presenti nel sangue possono agire sull’encefalo. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

17. Qual è la composizione del liquor? 18. Qual è il nome della barriera che protegge l’encefalo dalle sostanze chimiche tossiche? 19. Quale delle meningi fornisce il mezzo di drenaggio del liquido cefalorachidiano nel sangue: la dura madre, l’aracnoide o la pia madre?

Figura 6.19 Idrocefalo in un neonato

La barriera emato-encefalica Nessun altro organo è così totalmente dipendente dalla costanza dell’ambiente interno come l’encefalo. Gli altri tessuti dell’organismo sono in grado di sostenere le fluttuazioni abbastanza piccole della concentrazione di ormoni, ioni e sostanze nutritizie che si verificano continuamente, soprattutto dopo un pasto o dopo aver praticato attività fisica. Se l’encefalo fosse esposto a tali modificazioni chimiche, la conseguenza potrebbe essere un’attività nervosa incontrollata: va ricordato che certi ioni (sodio e potassio) intervengono nell’iniziare gli stimoli nervosi, e che alcuni aminoacidi agiscono come neurotrasmettitori. Perciò i neuroni sono tenuti separati dalle sostanze presenti nel sangue per mezzo della barriera emato-encefalica costituita dai capillari, che sono i meno permeabili di tutto l’organismo. Questi capillari hanno una parete pressoché continua, formata da cellule unite tutt’intorno da giunzioni strette. Delle sostanze idrosolubili soltanto l’acqua, il glucosio e gli aminoacidi essenziali passano facilmente attraverso la parete di questi capillari. I prodotti di rifiuto del metabolismo come l’urea, le tossine, le proteine e la maggior parte dei farmaci non possono entrare nel tessuto dell’encefalo. Gli aminoacidi non essenziali e gli ioni potassio non solo non possono entrare nel tessuto dell’encefalo, ma sono anche pompati dal tessuto encefalico nel sangue attraverso le pareti dei capillari. Anche le estroflessioni degli astrociti aderenti ai capillari possono contribuire a formare la barriera, ma la maggiore responsa-

Il midollo spinale Il midollo spinale, di forma cilindrica e lungo circa 42 cm, bianco e lucente, è la continuazione del tronco cerebrale. Costituisce una via di conduzione degli stimoli nelle due direzioni, all’encefalo e dall’encefalo, ed è un importante centro di attività riflesse (i riflessi spinali si compiono a questo livello). Racchiuso nella colonna vertebrale, il midollo spinale si estende dal grande forame occipitale del cranio alla prima o seconda vertebra lombare, dove termina proprio sotto il livello del limite inferiore delle coste (figura 6.20 a pagina seguente). Come l’encefalo, anche il midollo spinale è avvolto e protetto dalle meningi; queste non terminano all’altezza della seconda vertebra lombare (L2), ma si estendono nel canale vertebrale ben oltre il termine del midollo spinale. Poiché al di sotto di L3 non vi è alcuna possibilità di ledere il midollo spinale, il sacco meningeo che si trova inferiormente a questo punto è una sede pressoché ideale per il prelievo di liquido cefalorachidiano da esaminare. Nell’uomo, dal midollo spinale partono 31 paia di nervi spinali, che escono dalla colonna vertebrale distribuendosi alla regione del corpo adiacente. Per la maggior parte della sua lunghezza il midollo spinale ha approssimativamente le dimensioni di un dito pollice, ma presenta due evidenti rigonfiamenti nella regione cervicale e in quella lombare, dove si originano i nervi destinati agli arti superiori e a quelli inferiori. Poiché la colonna vertebrale si accresce più velocemente del midollo spinale, quest’ultimo non raggiunge la fine della colonna vertebrale e i nervi spinali che si originano dalla sua estremità inferiore devono decorrere per un certo tratto nel canale vertebrale prima di uscire dalla colonna. Questo fascio di nervi spinali nell’estremità inferiore della colonna vertebrale costituisce la cauda equina, così chiamata per la sua somiglianza alla coda di un cavallo.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Nervi spinali cervicali

Rigonfiamento cervicale

sitivi, le cui fibre entrano nel midollo mediante la radice dorsale, sono situati in una regione espansa di tale radice, il ganglio spinale. La lesione della radice dorsale o del suo ganglio comporta la perdita della sensibilità della zona del corpo che da essa dipende. I corni ventrali della sostanza grigia contengono i corpi cellulari dei motoneuroni del sistema nervoso somatico (volontario), i cui assoni escono dal midollo con la radice ventrale. La radice dorsale e quella ventrale si uniscono formando il nervo spinale.

C8

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA La lesione della radice ventrale ha come conseguenza la paralisi flaccida dei muscoli a cui si distribuisce. Nella paralisi flaccida i muscoli colpiti non ricevono gli stimoli nervosi, così non possono compiere alcun movimento volontario. Non essendo più stimolati, i muscoli cominciano ad atrofizzarsi.

Dura madre e aracnoide

Nervi spinali toracici

Rigonfiamento lombare T12

Termine del midollo spinale Nervi spinali lombari

Cauda equina

Termine dei rivestimenti meningei

L5 S1 Nervi spinali sacrali

La sostanza bianca del midollo spinale La sostanza bianca del midollo spinale è costituita da tratti di fibre mieliniche, alcuni diretti ai centri superiori, altri che decorrono dall’encefalo al midollo, altri ancora che conducono gli stimoli da un lato all’altro del midollo spinale (figura 6.22). A causa della forma irregolare della sostanza grigia, la sostanza bianca di ciascun lato del midollo è divisa in tre regioni: i cordoni dorsale, laterale e ventrale. Ciascun cordone contiene diversi fasci di fibre costituiti da assoni che hanno la stessa destinazione e le stesse funzioni. I fasci che conducono stimoli sensitivi all’encefalo sono tratti sensitivi, o afferenti. Quelli che trasportano stimoli dall’encefalo ai muscoli scheletrici sono tratti motori, o efferenti. Tutti i tratti dei cordoni dorsali sono fasci ascendenti che conducono stimoli sensitivi all’encefalo. I cordoni laterali e ventrali contengono fasci sia ascendenti sia discendenti (motori). SE L’OMEOSTASI È ALTERATA

S5

Figura 6.20 Anatomia del midollo spinale: vista posteriore

La sostanza grigia del midollo spinale e le radici dei nervi spinali La sostanza grigia del midollo spinale in sezione trasversale assomiglia a una farfalla o alla lettera H (figura 6.21). I due processi posteriori sono i corni dorsali, o posteriori; i due processi anteriori sono i corni ventrali, o anteriori. La sostanza grigia circonda il canale centrale del midollo spinale, che contiene liquido cefalorachidiano. Nella sostanza grigia può essere definita la localizzazione di neuroni con funzioni specifiche. I corni dorsali contengono interneuroni. I corpi cellulari dei neuroni sen-

La conseguenza di una sezione trasversale o di uno schiacciamento del midollo spinale è una paralisi spastica. I muscoli colpiti non si atrofizzano perché sono ancora stimolati dagli archi riflessi spinali e possono compiere movimenti. I movimenti, tuttavia, sono involontari e incontrollabili, e questo può essere un problema altrettanto serio della completa assenza di mobilità. Inoltre, dato che il midollo spinale trasporta stimoli sia sensitivi sia motori, nelle regioni del corpo sottostanti al punto della distruzione midollare si ha una perdita delle afferenze sensitive. I medici usano spesso uno spillone per verificare se, dopo una lesione del midollo spinale, una persona può sentire dolore, che indica che c’è rigenerazione. In questi casi il dolore è un segno promettente. Se la lesione si verifica in alto nel midollo spinale, sono colpiti tutti e quattro gli arti e l’individuo ha una tetraplegia; se sono paralizzati soltanto gli arti inferiori, si ha una paraplegia. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

20. Cosa si trova nella sostanza grigia del midollo spinale? 21. Quali vie del midollo spinale sono vie sensitive: quelle ascendenti o quelle discendenti? 22. Perché il fascio di radici nervose alla fine del midollo spinale è detto cauda equina?

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Ganglio spinale

Canale centrale

Sostanza bianca

Corno dorsale (posteriore) della sostanza grigia Corno laterale della sostanza grigia

Corno ventrale (anteriore) della sostanza grigia

Nervo spinale Radice dorsale del nervo spinale

Pia madre

Radice ventrale del nervo spinale Aracnoide Dura madre

Figura 6.21 Midollo spinale con le sue meningi: vista tridimensionale

Interneurone che conduce informazioni sensitive alla corteccia cerebrale Corteccia cerebrale (sostanza grigia) Interneurone che conduce risposte a motoneuroni Cervello

Sostanza bianca Talamo

Interneurone che conduce risposte a motoneuroni

Tronco encefalico

Corpo cellulare di un neurone sensitivo in un ganglio spinale Interneurone che conduce informazioni sensitive alla corteccia cerebrale

Nervo spinale Cute Recettori di senso

Regione cervicale del midollo spinale

Muscolo

Sostanza bianca

Stimolo motorio

Sostanza grigia Corpo cellulare di un motoneurone

Interneurone

Figura 6.22 Schema delle vie ascendenti (sensitive) e discendenti (motorie) che collegano l’encefalo e il midollo spinale

157 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

6. IL SISTEMA NERVOSO

Per saperne di più ■■ LE MALATTIE DELL’ENCEFALO Le malattie dell’encefalo sono incredibilmente varie. Parliamo di alcune di esse nella scheda «Le malattie di Alzheimer, di Parkinson e di Huntington: le terribili tre» (p. 168) e tratteremo dei problemi dello sviluppo nell’ultima parte del capitolo. Qui prendiamo in esame le lesioni traumatiche dell’encefalo e gli incidenti vascolari cerebrali. Lesioni traumatiche dell’encefalo

I traumi cranici sono tra le cause più importanti di morte accidentale negli Stati Uniti. Per esempio, se si dimentica di allacciare la cintura di sicurezza e poi si tampona un’altra automobile, la testa è spinta in avanti e poi è bruscamente fermata perché colpisce il parabrezza. Il danno all’encefalo non è causato soltanto dalla lesione nella sede dell’urto, ma anche dall’effetto del rimbalzo dell’encefalo che va a colpire la parte opposta della scatola cranica. Si verifica una commozione cerebrale quando il danno all’encefalo è lieve. La vittima può essere stordita, «vedere le stelle», o perdere la coscienza per breve tempo, ma non si ha un danno encefalico permanente. La contusione cerebrale è la conseguenza di una marcata distruzione di tessuto. Se la lesione è alla corteccia cerebrale, l’individuo può rimanere cosciente, mentre le gravi contusioni del tronco encefalico esitano sempre in un coma che può durare da ore a tutta la vita

per il danno al sistema di attivazione reticolare. Dopo un trauma cranico si può verificare la morte per una emorragia intracranica (sanguinamento conseguente alla rottura di vasi) o per un edema cerebrale (edema dell’encefalo dovuto alla risposta infiammatoria alla lesione). Coloro che, dopo un trauma cranico, sono inizialmente vigili e lucidi e più tardi cominciano a presentare un deterioramento neurologico, hanno molto probabilmente una emorragia o soffrono delle conseguenze di un edema, condizioni che comportano entrambe la compressione di tessuto encefalico vitale. Incidenti vascolari cerebrali

Comunemente detti ictus, gli incidenti vascolari cerebrali sono la terza causa di morte negli Stati Uniti; si verificano quando viene bloccato l’apporto di sangue a un’area dell’encefalo, o per un trombo o per un’emorragia, con la conseguente morte di tessuto essenziale dell’encefalo. Dopo un ictus è spesso possibile stabilire quale area dell’encefalo è stata danneggiata osservando i sintomi del paziente. Se, per esempio, il paziente ha una paralisi del lato sinistro, molto probabilmente è interessata la corteccia motoria del lobo frontale destro. Le afasie sono di solito conseguenza di lesione all’emisfero cerebrale sinistro, dove sono localizzate le aree del linguaggio. Esistono molti tipi di afasia,

4. Il sistema nervoso periferico Il sistema nervoso periferico (SNP) è costituito dai nervi e dai raggruppamenti sparsi di corpi cellulari di neuroni (gangli) che sono situati fuori dal SNC. Abbiamo già preso in considerazione un tipo di gangli, i gangli spinali, e tratteremo gli altri quando descriveremo il sistema nervoso vegetativo. Qui ci occuperemo soltanto dei nervi.

ma i più comuni sono l’afasia motoria, che comporta la lesione dell’area di Broca e la perdita della capacità di parlare, e l’afasia sensoriale, in cui viene perduta la capacità di comprendere il linguaggio scritto o parlato. Le afasie sono esasperanti per le vittime, poiché di regola la loro intelligenza è indenne. Le lesioni encefaliche possono provocare anche considerevoli modificazioni del carattere della persona (per esempio, un cambiamento di personalità da allegra a odiosa). In questi casi si potrebbe sospettare un tumore oltre che un ictus. Meno di un terzo di coloro che sopravvivono a un ictus sono vivi a tre anni di distanza. Tuttavia la situazione non è disperata. Alcune persone recuperano almeno in parte le facoltà perdute, perché i neuroni non danneggiati si espandono nelle aree in cui i neuroni sono morti e subentrano in alcune delle funzioni perdute. Infatti gran parte della ripresa che si osserva dopo una lesione encefalica è dovuta a questo fenomeno. Non tutti gli ictus sono «completi». Una temporanea ischemia, cioè una diminuzione del flusso sanguigno, dell’encefalo è detta attacco ischemico transitorio (TIA). I TIA durano da 5 a 50 minuti e sono caratterizzati da sintomi quali stordimento, paralisi temporanea e disturbi della parola. Tali alterazioni non sono permanenti, però costituiscono un segnale d’allarme del rischio di incidenti vascolari cerebrali più gravi.

La struttura dei nervi Come abbiamo segnalato in precedenza in questo capitolo, un nervo è un fascio di fibre nervose situato fuori dal SNC. In un nervo le fibre nervose sono avvolte da rivestimenti protettivi di tessuto connettivo. Ogni fibra è circondata da una delicata guaina connettivale, l’endonevro. Gruppi di fibre sono avvolti da un rivestimento connettivale più spesso, il perinevro, formando fascetti di fibre. Infine tutti i fascetti sono tenuti insieme da una

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6. IL SISTEMA NERVOSO Assone Guaina mielinica Endonevro Perinevro

resistente guaina fibrosa, l’epinevro, e costituiscono il nervo che è simile a un cordone (figura 6.23). Come i neuroni, anche i nervi sono classificati in base alla direzione in cui trasmettono gli stimoli. I nervi composti da fibre sia sensitive sia motorie sono nervi misti; tutti i nervi spinali sono nervi misti. I nervi che trasportano soltanto stimoli diretti al SNC sono nervi sensitivi, o afferenti, mentre quelli che contengono soltanto fibre motorie sono nervi motori, o efferenti. I nervi cranici

Epinevro

Fascetto Vasi sanguigni

Le dodici paia di nervi cranici si distribuiscono essenzialmente al capo e al collo. Un paio soltanto (i nervi vaghi) si estende anche alla cavità toracica e a quella addominale. I nervi cranici sono numerati in ordine e in molti casi il loro nome indica le strutture più importanti che essi controllano. Nella tabella 6.1 i nervi cranici sono descritti per nome, numero, decorso e funzioni principali (vedi anche figura 6.24 a pagina seguente, che illustra la localizzazione dei nervi cranici sulla superficie anteriore dell’encefalo). Nervi spinali e plessi nervosi

Figura 6.23 Struttura di un nervo Vista tridimensionale di parte di un nervo, che illustra i suoi rivestimenti connettivali.

Le trentuno paia di nervi spinali dell’uomo si formano per la confluenza in ciascun nervo di una radice ventrale e una dorsale del midollo spinale. Mentre i nervi cranici che emergono dall’encefalo hanno nomi specifici, i nervi spinali ricevono il nome dalla regione del midollo

Tabella 6.1 I nervi cranici (prevalentemente misti)

Nome/numero

Origine/decorso

I. Olfattivo

Le fibre si originano dai recettori olfattivi della mucosa nasale e formano sinapsi con i bulbi olfattivi (che a loro volta inviano fibre alla corteccia olfattiva); è un nervo esclusivamente sensitivo

II. Ottico

Le fibre si originano dalla retina del globo oculare e formano il nervo ottico. I due nervi ottici formano il chiasma ottico incrociando parte delle loro fibre; le fibre si continuano fino alla corteccia visiva come tratti ottici; è un nervo esclusivamente sensitivo

III. Oculomotore

Le fibre decorrono dal mesencefalo all’occhio

IV. Trocleare

Le fibre decorrono dal mesencefalo all’occhio

V. Trigemino

Le fibre emergono dal ponte e formano tre rami che si distribuiscono alla faccia

VI. Abducente

Le fibre lasciano il ponte e decorrono verso l’occhio

VII. Facciale

Le fibre lasciano il ponte e arrivano alla faccia

VIII. Vestibolococleare

Le fibre decorrono dai recettori dell’equilibrio e dell’udito dell’orecchio interno al tronco encefalico; è un nervo esclusivamente sensitivo

IX. Glossofaringeo

Le fibre emergono dal midollo allungato e arrivano alla faringe

X. Vago

Le fibre emergono dal midollo allungato e scendono nel torace e nella cavità addominale

XI. Accessorio

Le fibre emergono dal midollo allungato e dalla parte superiore del midollo spinale e si distribuiscono ai muscoli del collo e del dorso

XII. Ipoglosso

Le fibre decorrono dal midollo allungato alla lingua

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6. IL SISTEMA NERVOSO

III. Oculomotore IV. Trocleare VI. Abducente I. Olfattivo (senso dell’olfatto)

II. Ottico (senso della vista)

V. Trigemino

V. Trigemino

VII. Facciale

Ramo vestibolare Ramo cocleare

VIII. Vestibolococleare

X. Vago XII. Ipoglosso

IX. Glossofaringeo XI. Accessorio

Figura 6.24 Distribuzione dei nervi cranici I nervi sensitivi sono indicati in blu, quelli motori in rosso. Anche nei nervi cranici III, IV e VI sono presenti fibre sensitive, ma queste non sono rappresentate perché costituiscono soltanto una parte minore di tali nervi.

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6. IL SISTEMA NERVOSO LEGENDA:

C4 C5 C6 C7 C8

Radici

L1 L2

T1

Femorale

Nervo ascellare

Cutaneo laterale del femore Omero

Radio Nervo mediano Nervo radiale (ramo superficiale)

Nervo radiale

Otturatore

Nervo muscolocutaneo

Cutaneo anteriore del femore

Ulna Nervo ulnare

Gluteo superiore

(a) Plesso brachiale

Gluteo inferiore

Ischiatico Cutaneo posteriore del femore

(b) Plesso lombare

Peroniero comune Tibiale Surale Peroniero profondo Peroniero superficiale

Rami plantari

(c) Plesso sacrale Figura 6.26 Distribuzione dei principali nervi periferici dell’arto superiore e di quello inferiore

162 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

6. IL SISTEMA NERVOSO

?

La trasmissione degli stimoli nervosi lungo le vie del sistema nervoso vegetativo è di solito molto più lenta che lungo le fibre somatiche. Perché?

Sistema nervoso centrale

Organi effettori

Sistema nervoso periferico Acetilcolina

Muscolo scheletrico

Sistema nervoso somatico

Muscolo liscio (per esempio, dello stomaco)

Noradrenalina

Acetilcolina

Ganglio

Sezione del simpatico

Adrenalina e noradrenalina

Acetilcolina

Sistema nervoso vegetativo

Vaso sanguigno

Ghiandole

Midollare del surrene Acetilcolina Muscolo cardiaco

Sezione del parasimpatico Ganglio LEGENDA: Assoni pregangliari (del simpatico)

Assoni postgangliari (del simpatico)

Mielinizzazione

Assoni pregangliari (del parasimpatico)

Assoni postgangliari (del parasimpatico)

Figura 6.27 Comparazione del sistema nervoso somatico con quello vegetativo

Oltre alle differenze concernenti i loro organi effettori e i neurotrasmettitori liberati, è differente l’organizzazione delle loro vie di moto. I neuroni motori del sistema somatico hanno i corpi cellulari localizzati nel SNC e con il loro assone raggiungono direttamente il muscolo scheletrico. I neuroni motori del sistema vegetativo invece sono due: uno situato nell’encefalo o nel midollo spinale che, con il suo assone (detto pregangliare), esce dal SNC e incontra in un ganglio, situato fuori dal SNC, un secondo neurone motore. L’assone di questo neurone, l’assone postgangliare, si estende poi fino all’organo a cui si distribuisce. Le differenze sono riassunte nella figura 6.27. Il sistema nevoso vegetativo ha due sezioni, il simpatico e il parasimpatico (figura 6.28 a pagina seguente). Entrambi si distribuiscono agli stessi organi, ma determinano effetti essenzialmente opposti, controbilanciando l’uno l’attività dell’altro per tenere correntemente in funzione gli apparati. Il simpatico dispone l’organismo a reagire in situazioni estreme (quali paura, esercizio fisico, collera), mentre il parasimpatico permette di distendersi e conservare energie. Prenderemo in considerazione in modo più dettagliato tali differenze tra breve, dopo che avremo preso in esame le caratteristiche strutturali delle due sezioni del sistema nervoso vegetativo.

Anatomia del parasimpatico I neuroni pregangliari del parasimpatico sono situati nei nuclei encefalici di diversi nervi cranici (III, VII, IX e X), e tra questi il più importante è il vago, e nel midollo spinale nei segmenti sacrali (da S2 a S4; vedi figura 6.28). Per tale motivo la sezione del parasimpatico è detta anche sezione craniosacrale. I neuroni della regione cranica inviano i loro assoni raccolti in nervi a organi del capo e del collo. Qui formano sinapsi con il neurone motore gangliare in un ganglio terminale. Dal ganglio terminale gli assoni postgangliari si estendono per una breve distanza fino all’organo bersaglio. Nella regione sacrale gli assoni pregangliari lasciano il midollo spinale e formano i nervi pelvici, che raggiungono la cavità pelvica. Qui gli assoni pregangliari contraggono sinapsi con i secondi neuroni motori nei gangli terminali situati in vicinanza o nella parete degli organi a cui si distribuiscono. Anatomia del simpatico La sezione del simpatico è detta anche sezione toracolombare perché i suoi neuroni pregangliari si trovano nella sostanza grigia del midollo spinale nei segmenti da T1 a L2 (vedi figura 6.28). Gli assoni pregangliari lasciano il midollo spinale, entrano nel nervo e poi entrano in un gan-

163 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

6. IL SISTEMA NERVOSO Parasimpatico

Simpatico

Occhio

Occhio Tronco encefalico

Ghiandole salivari

Cute Nervi cranici Ghiandole salivari

Gangli del simpatico Cuore

Cervicale

Polmoni

Polmoni T1

Cuore Stomaco

Toracico Pancreas

Stomaco

Fegato e cistifellea

Pancreas L1

Fegato e cistifellea

Ghiandole surrenali

Lombare

Vescica urinaria

Vescica urinaria Nervi pelvici Genitali

Genitali Nervi sacrali (S2 – S4)

Figura 6.28 Anatomia del sistema nervoso vegetativo Le fibre del parasimpatico sono illustrate in colore viola, le fibre del simpatico in colore verde. Le linee continue rappresentano le fibre pregangliari, le linee tratteggiate le fibre postgangliari.

glio della catena del simpatico (figura 6.29). La catena del simpatico è situata lungo la colonna vertebrale da ciascun lato. Dopo avere raggiunto il ganglio, l’assone può formare sinapsi con il secondo neurone oppure può attraversare il ganglio posto lateralmente alla colonna vertebrale senza contrarre sinapsi e arrivare in un ganglio situato anteriormente alla colonna del ganglio collaterale. I principali gangli collaterali (celiaco, mesenterico superiore e mesenterico inferiore) servono gli organi addominali e pelvici. Gli assoni postgangliari lasciano il ganglio collaterale e vanno a distribuirsi a un viscere vicino.

Ora che è stata descritta l’anatomia, siamo pronti per prendere in considerazione le funzioni del sistema nervoso vegetativo in modo un po’ più approfondito. Le funzioni vegetative Gli organi a cui si distribuisce il sistema nervoso vegetativo ricevono fibre da entrambi sistemi. Fanno eccezione molti vasi sanguigni e molte strutture della cute, alcune ghiandole e la midollare del surrene, che ricevono soltanto fibre del simpatico (tabella 6.2 a pagina 166). Quando entrambe le sezioni innervano lo stesso organo, esse de-

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6. IL SISTEMA NERVOSO Ramo dorsale del nervo spinale Corno laterale della sostanza grigia

Radice dorsale

Ramo ventrale del nervo spinale

(a)

Catena del simpatico (cordone paravertebrale)

(c)

(b)

Nervo spinale Radice ventrale

Agli effettori: vasi sanguigni, muscoli erettori del pelo, ghiandole sudoripare della cute

Ramo comunicante grigio Nervo splancnico

Ramo comunicante bianco

Ganglio della catena del simpatico Ganglio collaterale (prevertebrale) (per esempio, ganglio celiaco)

Organo effettore viscerale (per esempio, intestino tenue)

Figura 6.29 Vie del simpatico (a) Sinapsi in un ganglio simpatico allo stesso livello. (b) Sinapsi in un ganglio della catena del simpatico a livello differente. (c) Sinapsi in un ganglio collaterale prevertebrale.

terminano effetti antagonisti, soprattutto perché i loro assoni postgangliari liberano neurotrasmettitori differenti (vedi figura 6.27). Le fibre del parasimpatico, fibre colinergiche, liberano acetilcolina. Le fibre postgangliari del simpatico, fibre adrenergiche, liberano noradrenalina. Gli assoni pregangliari di tutte e due le sezioni liberano acetilcolina. Per mettere in evidenza il ruolo relativo delle due sezioni del sistema nervoso vegetativo, ci concentreremo brevemente su situazioni in cui ciascuna delle due sezioni «ha il comando». • La sezione del simpatico è spesso indicata come il sistema della reazione «di fuga o di contrasto» ( fight-orflight). La sua azione risulta evidente quando siamo eccitati o ci troviamo in situazioni di emergenza o di pericolo, come l’essere spaventati da teppisti di strada a tarda notte. Il cuore che batte forte, respiri rapidi e profondi, la cute fredda e sudata, i capelli che si rizzano, le pupille dilatate sono segni certi dell’attività del sistema nervoso simpatico. In tali condizioni il simpatico aumenta il ritmo cardiaco, la pressione del sangue

e il livello ematico del glucosio; dilata i bronchioli e determina molti altri effetti che aiutano l’individuo a fronteggiare il fattore di stress. Altri esempi sono la dilatazione dei vasi sanguigni nei muscoli scheletrici (così che si possa correre più velocemente o lottare meglio) e la sottrazione di sangue agli organi digestivi (così che la maggior parte del sangue possa distribuirsi al cuore, all’encefalo e ai muscoli scheletrici). Il sistema simpatico opera a tutta forza non soltanto quando siete emotivamente sconvolti, ma anche quando siete stressati fisicamente. Se, per esempio, avete appena subito un intervento chirurgico o corso una maratona, le vostre ghiandole surrenali (attivate dal sistema nervoso simpatico) emetteranno adrenalina e noradrenalina (vedi figura 6.27). Gli effetti dell’attivazione del simpatico continuano per diversi minuti, fino a quando i suoi ormoni non sono distrutti dal fegato. Così, per quanto gli stimoli del simpatico possano di per sé agire soltanto per un tempo breve, gli effetti ormonali che provocano scompaiono lentamente. Gli effetti estesi e prolungati dell’attivazione del sim-

165 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

6. IL SISTEMA NERVOSO Tabella 6.2 Azione delle sezioni del simpatico e del parasimpatico del sistema nervoso vegetativo

Organo/apparato bersaglio

Azione del parasimpatico

Azione del simpatico

Apparato digerente

Aumenta la motilità del muscolo liscio (peristalsi) e la secrezione delle ghiandole dell’apparato digerente; rilascia gli sfinteri Nessuna azione Costrizione dei bronchioli Rilasciamento degli sfinteri (favorisce lo svuotamento) Nessuna azione Riduce il ritmo; rallenta e rende costante il battito cardiaco Nessuna azione sulla maggior parte dei vasi sanguigni

Riduce l’attività dell’apparato digerente e determina la contrazione degli sfinteri dell’apparato (per esempio, lo sfintere anale) Determina la liberazione di glucosio nel sangue Dilatazione dei bronchioli Contrazione degli sfinteri (impedisce lo svuotamento)

Fegato Polmone Vescica urinaria/uretra Reni Cuore Vasi sanguigni

Midollare del surrene

Stimolazione; aumenta la produzione di saliva, lacrime, succo gastrico Stimola i muscoli costrittori; fa contrarre le pupille Stimola l’aumento della curvatura del cristallino per la visione da vicino Nessuna azione

Ghiandole sudoripare Muscoli erettori del pelo Pene Metabolismo cellulare

Nessuna azione Nessuna azione Determina l’erezione dovuta a vasodilatazione Nessuna azione

Tessuto adiposo

Nessuna azione

Ghiandole: salivari, lacrimali, gastriche Occhio (iride) Occhio (muscolo ciliare)

patico aiutano a spiegare perché abbiamo bisogno di tempo per riprenderci dopo una situazione estremamente stressante. La sezione del simpatico genera una carica di tensione che permette all’organismo di affrontare velocemente ed energicamente situazioni che mettono a rischio l’omeostasi. Il suo ruolo è quello di realizzare le migliori condizioni per rispondere a una minaccia: per esempio, correre, o vedere meglio, o pensare con maggiore lucidità. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Alcuni disturbi o malattie sono quanto meno aggravati, se non causati, da un’eccessiva stimolazione del sistema nervoso simpatico. Certi individui, con personalità di tipo A, agiscono sempre a grande velocità e si mettono continuamente in tensione. Sono persone che probabilmente hanno cardiopatie, elevata pressione arteriosa, ulcera, tutte condizioni che possono essere la conseguenza di una prolungata attività del sistema nervoso simpatico o di una ripercussione su di esso.

• La sezione del parasimpatico è attiva soprattutto quando l’organismo è a riposo e non è minacciato in alcun modo. Questa sezione, detta talvolta «sistema del ri-

Riduce la produzione di urina Aumenta il ritmo e la forza del battito cardiaco Determina contrazione dei vasi sanguigni dei visceri e della cute (e dilatazione di quelli dei muscoli scheletrici e del cuore); aumenta la pressione del sangue Inibizione; la conseguenza è secchezza della bocca e degli occhi Stimola i muscoli dilatatori; fa dilatare le pupille Inibizione; diminuisce la curvatura del cristallino; predispone per la visione da lontano Stimola le cellule della midollare a secernere adrenalina e noradrenalina Stimola la produzione del sudore Stimola la contrazione, provocando la «pelle d’oca» Determina l’eiaculazione (emissione di sperma) Aumenta il ritmo metabolico; aumenta i livelli di zucchero nel sangue; stimola la degradazione dei grassi Stimola la degradazione dei grassi

posare e digerire», è impegnata principalmente nel promuovere una normale digestione, nell’eliminazione delle feci e dell’urina, e nella conservazione dell’energia del corpo, in particolar modo riducendo le richieste da parte dell’apparato cardiovascolare. La sua azione è rappresentata al meglio da una persona che si riposa dopo il pasto e legge il giornale. La pressione del sangue e il ritmo del cuore e del respiro sono regolati a un livello normalmente basso, il canale alimentare digerisce attivamente il cibo, la cute è calda (segno che non c’è alcuna necessità di deviare il sangue verso i muscoli scheletrici o organi vitali). Le pupille sono costrette, così da proteggere la retina da un eccesso dannoso di luce, e il cristallino dell’occhio è adattato per la visione da vicino. Un modo semplice per ricordare le funzioni più importanti delle due sezioni del sistema nervoso vegetativo è quello di pensare alla sezione del parasimpatico come alla sezione D (digestione, defecazione e diuresi) e alla sezione del simpatico come alla sezione E (esercizio fisico, eccitazione ed emergenza). Va tuttavia ricordato che, sebbene sia più facile pensare che le sezioni del simpatico e

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6. IL SISTEMA NERVOSO

del parasimpatico operino in modo tutto-o-nulla, raramente è così. Tra le due sezioni esiste un equilibrio dinamico ed entrambe attuano continuamente fini aggiustamenti. Un riassunto delle azioni principali di ciascuna delle due sezioni è riportato nella tabella 6.2. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

26. A quali regioni del corpo o organi si distribuisce il sistema nervoso vegetativo? A quali si distribuisce il sistema nervoso somatico? 27. Qual è la differenza tra le vie motorie del sistema nervoso vegetativo e quelle del sistema nervoso somatico? 28. Quale sezione del sistema nervoso vegetativo è il sistema della reazione «di fuga o di contrasto»?

5. Aspetti dello sviluppo del sistema nervoso Poiché il sistema nervoso si forma nel primo mese di sviluppo embrionale, qualunque infezione materna nelle fasi iniziali della gravidanza può avere effetti estremamente dannosi sul sistema nervoso del feto. Per esempio, la rosolia materna provoca spesso sordità o altri tipi di danni del SNC. Inoltre, dato che il tessuto nervoso ha il più elevato ritmo metabolico dell’organismo, l’assenza di ossigeno anche solo per pochi minuti è causa di morte dei neuroni. (Poiché il fumo riduce la quantità di ossigeno che può essere trasportata nel sangue, una madre fumatrice può essere causa di un possibile danno encefalico del suo bambino.) Anche le radiazioni e varie sostanze (alcol, oppiacei, cocaina e altre) possono essere molto dannose se somministrate durante le prime fasi di sviluppo del feto. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Nei parti laboriosi una transitoria carenza di ossigeno può portare alla paralisi cerebrale, ma questa è soltanto una delle cause sospette. La paralisi cerebrale è una inabilità neuromuscolare in cui i muscoli volontari sono scarsamente controllati e spastici a causa di un danno encefalico. Circa la metà dei casi presenta attacchi epilettici, ritardo mentale, e/o difetti dell’udito o della vista. La paralisi cerebrale è la più diffusa causa singola di disabilità fisica nei bambini. Il SNC è colpito anche da molte altre malformazioni congenite indotte da fattori genetici o ambientali. Molto gravi sono l’idrocefalo (vedi p. 154), l’anencefalia (un difetto di sviluppo del cervello per cui il bambino non può udire, vedere, elaborare gli stimoli sensitivi) e la spina bifida. La spina bifida si verifica quando le vertebre si formano in modo incompleto (tipicamente nella regione lombosacrale) e si presenta in diverse varietà. Nella forma meno grave è presente una fossetta, ed eventualmente un ciuffo di peli, sopra la sede della malformazione, ma non si manifestano problemi neurologici. Nelle forme più gravi le meningi, le radici nervose e anche parti del midollo spinale sporgono fuori dalla colonna vertebrale, rendendo la parte inferiore del midollo spinale incapace di funzionare. Il bambino non ha il controllo degli sfinteri e gli arti inferiori sono paralizzati.

Una delle aree del SNC che maturano per ultime è l’ipotalamo, che contiene i centri di regolazione della temperatura corporea. Per questa ragione i bambini prematuri di solito hanno problemi di controllo della perdita del calore corporeo e devono essere monitorati attentamente. Il sistema nervoso si accresce e matura per tutta la durata dell’infanzia, in larga misura a causa della mielinizzazione che continua durante questo periodo. Un buon indice del grado di mielinizzazione di una particolare via nervosa è il livello del controllo neuromuscolare in quella regione del corpo. L’encefalo raggiunge il massimo del suo peso nel giovane adulto. Nei successivi 60 anni circa si verificano danni e morte di neuroni, e il peso e il volume dell’encefalo vanno costantemente riducendosi. Tuttavia è sempre disponibile e pronto a essere sviluppato un numero illimitato di vie nervose, che ci consente di continuare a imparare per tutta la vita. Con l’invecchiamento il sistema nervoso simpatico diviene sempre meno efficiente, soprattutto per quanto concerne la capacità di determinare la contrazione dei vasi sanguigni. Quando le persone anziane si alzano in fretta dopo essere state sedute o coricate, spesso si sentono stordite o molto deboli. Il motivo è che il sistema nervoso simpatico non è in grado di reagire abbastanza prontamente per contrastare la forza di gravità attivando le fibre vasocostrittrici, e il sangue si raccoglie nei piedi. Tale condizione, detta ipotensione ortostatica, è una diminuzione della pressione del sangue conseguente alle modificazioni della posizione del corpo, come abbiamo visto. La si può prevenire in certa misura se la persona modifica la propria posizione lentamente; questo dà al sistema nervoso simpatico un po’ più di tempo per adattarsi e reagire. La causa abituale di deterioramento del sistema nervoso sono i disturbi circolatori. Per esempio, l’arteriosclerosi e l’elevata pressione del sangue determinano la riduzione dell’apporto di ossigeno ai neuroni encefalici. Una graduale carenza di ossigeno dovuta al processo di invecchiamento porta infine alla senilità, caratterizzata da smemoratezza, irritabilità, difficoltà di concentrazione e di ragionare con chiarezza, confusione. Un’improvvisa caduta dell’apporto di sangue e di ossigeno provoca un ictus, come abbiamo visto in precedenza. Tuttavia molte persone continuano a godere di una vita intellettuale e a lavorare a compiti mentalmente impegnativi per tutta la vita. In realtà meno del 5% delle persone oltre i 65 anni manifesta una vera e propria senilità. Tristemente, restano non diagnosticati molti casi di «senilità reversibile» provocata da determinate droghe, da bassa pressione del sangue, da stitichezza, da scarsa nutrizione, da depressione, da disidratazione e da squilibri ormonali. Il modo migliore di conservare in vecchiaia le

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6. IL SISTEMA NERVOSO

Per saperne di più ■■ LE MALATTIE DI ALZHEIMER, DI PARKINSON E DI HUNTINGTON: LE TERRIBILI TRE Cos’hanno in comune l’ex presidente Reagan e l’attore Michael J. Fox? Molto poco, tranne il fatto che entrambi sono stati colpiti da una delle tre terribili malattie degenerative del SNC. La malattia di Alzheimer è una malattia degenerativa progressiva dell’encefalo, che alla fine si risolve in demenza (deterioramento mentale). I malati di Alzheimer costituiscono quasi la metà di tutte le persone ricoverate nelle case di riposo. Dal 5 al 15% degli individui oltre i 65 anni sviluppa questa malattia, e per circa la metà degli ultra ottantacinquenni è un’importante concausa di morte. Le sue vittime, tra cui il presidente Reagan, presentano perdita della memoria (soprattutto per i fatti recenti), accorciamento del tempo di attenzione e disorientamento, e infine perdita del linguaggio. Nell’arco di alcuni anni persone di buona indole possono diventare irritabili, lunatiche, confuse e talora violente. Infine compaiono allucinazioni. La malattia di Alzheimer si accompagna a un deficit di acetilcolina e a modificazioni strutturali dell’encefalo, soprattutto delle aree correlate con il pensiero e la memoria. Le circonvoluzioni si riducono e si manifesta atrofia cerebrale. La causa precisa è sconosciuta, ma alcu-

ni casi sembrano avere un andamento familiare. L’analisi microscopica del tessuto encefalico dimostra placche senili (aggregati del peptide beta-amiloide) disseminate nell’encefalo come proiettili tra i neuroni. Per i ricercatori è stato difficile e frustrante scoprire in che modo la betaamiloide agisce quale neurotossico, specialmente perché essa è presente anche nelle cellule sane dell’encefalo (anche se in minori quantità). Non è chiaro cosa esattamente capovolga l’equilibrio favorendo la produzione di più beta-amiloide, ma si sa che questo piccolo peptide provoca alterazioni aumentando l’ingresso del calcio in determinati neuroni dell’encefalo. Un’altra linea di ricerca ha chiamato in causa la proteina tau, che sembra funzionare come le traversine ferroviarie nell’unire i «binari» di microtubuli. Nell’encefalo delle persone affette da malattia di Alzheimer la proteina tau abbandona il suo ruolo di stabilizzazione dei microtubuli e si lega ad altre molecole tau, formando, all’interno del corpo cellulare dei neuroni, grovigli di neurofibrille simili a spaghetti. Queste alterazioni degenerative si sviluppano in un periodo di diversi anni, durante il quale i compo-

proprie capacità mentali potrebbe essere il ricorso a regolari controlli medici nel corso di tutta la vita. Per quanto alla fine una riduzione dell’encefalo sia normale, sembra che in alcuni soggetti (per esempio, i pugili professionisti e gli alcolisti cronici) il processo si manifesti molto prima che l’invecchiamento vi abbia parte. Che un pugile vinca l’incontro oppure no, la probabilità di danno encefalico e di atrofia aumenta a ogni colpo. L’espressione «pugile suonato» rispecchia i sintomi della difficoltà di parola, dei tremori, delle anomalie nella deambulazione e della demenza osservabili in molti ex-pugili.

nenti della famiglia vedono «scomparire» il loro caro. È un cammino lungo e doloroso. Si spera che le linee di ricerca, in particolare quelle sulle cellule staminali, possano alla fine convergere e indicare un trattamento, ma al momento attuale i più utili sono i farmaci che alleviano i sintomi inibendo la degradazione dell’acetilcolina. Il morbo di Parkinson, un esempio di alterazione dei nuclei della base, colpisce di regola persone tra i cinquanta e i settant’anni di età (Michael J. Fox è un’eccezione). È dovuto alla degenerazione dei neuroni della sostanza nera5 che liberano dopamina. Con il deteriorarsi di questi neuroni, i nuclei della base a cui essi inviano stimoli, privati di dopamina, divengono iperattivi provocando i sintomi a tutti noti della malattia. Le persone colpite, compreso Michael J. Fox, hanno un tremore persistente a riposo (che si manifesta con l’oscillazione del capo e movimenti delle dita delle mani come per «far pillole»), un atteggiamen-

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La sostanza nera è una lamina pigmentata, le cui cellule nervose contengono melanina, situata nei peduncoli cerebrali del mesencefalo.

Chiunque riconosce che l’alcol ha effetti profondi sulla mente, oltre che sul corpo. Indagini strumentali condotte negli alcolisti cronici dimostrano una riduzione delle dimensioni dell’encefalo piuttosto precoce rispetto all’età. Come i pugili, gli alcolisti cronici tendono a manifestare segni di deterioramento mentale non correlati al processo di invecchiamento. Gli emisferi cerebrali dell’uomo, la nostra «calotta pensante», incutono sgomento per la loro complessità. Non meno sbalorditive sono le regioni encefaliche che sovrintendono a tutte le funzioni vegetative subcoscienti del-

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to incurvato in avanti nel camminare e passo strascicato e un’espressione rigida della faccia. Inoltre, per loro è difficoltoso iniziare i movimenti o far agire i muscoli. La causa del morbo di Parkinson è ancora sconosciuta. La L -dopa contribuisce ad alleviare alcuni dei sintomi; tuttavia non è una cura, e con la morte di un numero sempre maggiore di neuroni diventa inefficace. Ha anche spiacevoli effetti collaterali: nausea intensa, vertigini, e in alcuni casi danni epatici. Un farmaco più recente è il deprenyl. Quando viene somministrato precocemente nel corso della malattia, il deprenyl rallenta in una certa misura il deterioramento neurologico e ritarda anche di 18 mesi la necessità di somministrare L-dopa. In stadi più avanzati della malattia il deprenyl può prolungare l’efficacia della Ldopa. La stimolazione talamica attraverso l’impianto di elettrodi si è dimostrata utile nell’alleviare i tremori, ma fa poco di più. Più promettenti per risultati a lungo termine sono gli impianti intraencefalici di tessuto della sostanza nera embrionale, di cellule adulte della sostanza nera ingegnerizzate geneticamente, o di cellule fetali di suino produttrici di dopamina; tutti questi procedimenti hanno determinato una certa regressione dei sintomi della malattia. Tuttavia l’impiego di tessuto fetale è controverso e soggetto a ostacoli etici e legali.

La corea di Huntington è una malattia genetica che si manifesta nella mezza età e porta a una degenerazione gravissima dei nuclei della base e in seguito della corteccia cerebrale. In molti casi i suoi sintomi iniziali sono ampi movimenti convulsi, furiosi e pressoché continui, detti corea (in greco, «danza»). Sebbene i movimenti sembrino volontari, non lo sono. Più avanti nella malattia compare un marcato decadimento mentale. La corea di Huntington è progressiva e di solito porta alla morte nell’arco di 15 anni dalla comparsa dei sintomi.

l’organismo (diencefalo e tronco encefalico), in particolare se consideriamo le loro dimensioni relativamente insignificanti. Ugualmente importanti per l’omeostasi dell’organismo sono il midollo spinale, che agisce come centro di attività riflesse, e i nervi periferici, che costituiscono i collegamenti per la comunicazione tra SNC e periferia del corpo. In questo capitolo sono stati introdotti molti nuovi termini che, come vedremo, si ripresenteranno nei capitoli successivi, quando tratteremo altri apparati ed esamineremo il modo in cui il sistema nervoso contribuisce

I segni e i sintomi della corea di Huntington sono sostanzialmente il contrario di quelli del morbo di Parkinson (esagerata stimolazione, anziché inibizione, dell’attivazione motoria), e la malattia viene di solito trattata con farmaci che bloccano, anziché aumentarli, gli effetti della dopamina. Come si può vedere, i neurotrasmettitori, che sono il «lessico» dei neuroni, possono alterarne il linguaggio quando le cose vanno male. Come nel caso del morbo di Parkinson, gli impianti di tessuto fetale possono fornire una speranza di trattamento per il futuro.

a regolarne l’attività. La terminologia è veramente fondamentale: occorre quindi apprenderla mano a mano che si va avanti. È consigliabile l’uso del glossario che è in fondo al testo ogni volta che lo si ritenga utile. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

29. Perché i bambini prematuri devono essere posti in incubatrice finché il loro ipotalamo non è maturato? 30. Cos’è l’ipotensione ortostatica? Perché molte persone anziane ne soffrono?

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MAPPA DEGLI APPARATI RELAZIONI OMEOSTATICHE DEL SISTEMA NERVOSO CON GLI ALTRI APPARATI

Sistema nervoso Apparato endocrino • La sezione del simpatico del SNV attiva la midollare del surrene; l’ipotalamo contribuisce a regolare l’attività dell’adenoipofisi e produce due ormoni • Gli ormoni agiscono sul metabolismo dei neuroni

Apparato respiratorio • Il sistema nervoso regola il ritmo e la profondità del respiro • L’apparato respiratorio fornisce l’ossigeno essenziale per la vita ed elimina il diossido di carbonio

Sistema linfatico/Immunità • I nervi si distribuiscono agli organi linfoidi; l’encefalo ha un ruolo nella regolazione delle funzioni immunitarie • I vasi linfatici drenano i liquidi tessutali dei tessuti circostanti le strutture del sistema nervoso; le cellule immunitarie proteggono tutti gli organi dagli agenti patogeni (il SNC ha meccanismi di difesa aggiuntivi)

Apparato cardiovascolare • Il SNV contribuisce a regolare il ritmo cardiaco e la pressione del sangue • L’apparato cardiovascolare apporta sangue contenente ossigeno e sostanze nutritizie al sistema nervoso e ne allontana i prodotti di rifiuto

Apparato genitale

Apparato digerente

• Il SNV regola l’erezione del pene e l’eiaculazione nel maschio, l’erezione della clitoride nella femmina • Il testosterone determina mascolinizzazione dell’encefalo ed è alla base dell’impulso sessuale e del comportamento aggressivo

• Il SNV (particolarmente la sezione del parasimpatico) regola l’attività dell’apparato digerente • L’apparato digerente fornisce le sostanze nutritizie necessarie per la vita dei neuroni

Apparato urinario

Apparato tegumentario

• Il SNV regola lo svuotamento della vescica e la pressione del sangue nel rene • I reni contribuiscono a eliminare i prodotti di rifiuto metabolici e a conservare la corretta composizione in elettroliti e il pH del sangue per l’attività funzionale dei neuroni

• La sezione del simpatico del SNV regola le ghiandole sudoripare e i vasi sanguigni cutanei (quindi la dispersione/conservazione di calore) • La cute serve da superficie per la dispersione di calore Sistema scheletrico

Sistema muscolare

• I nervi si distribuiscono alle ossa • Le ossa funzionano da depositi del calcio necessario per l’attività nervosa; proteggono le strutture del SNC

• La sezione somatica del sistema nervoso attiva i muscoli scheletrici; ha funzioni trofiche sui muscoli • I muscoli scheletrici sono gli effettori della sezione somatica del sistema nervoso

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6. IL SISTEMA NERVOSO

■■■ RIASSUNTO 1. L’organizzazione del sistema nervoso (pp. 135-136)

1. Strutturale: tutte le strutture del sistema nervoso sono classificate come facenti parte del SNC (encefalo e midollo spinale) o del SNP (nervi e gangli). 2. Funzionale: i nervi motori del SNP sono classificati in base al fatto che stimolino muscoli scheletrici (divisione somatica) o muscoli lisci/muscolo cardiaco e ghiandole (divisione vegetativa o autonoma). 2. Il tessuto nervoso: struttura e funzione (pp. 136-146)

1. Cellule di sostegno a) La nevroglia fornisce sostegno e protezione ai neuroni nel SNC. Specifiche cellule gliali hanno attività fagocitaria; altre formano la guaina mielinica delle fibre nervose nel SNC; altre ancora rivestono cavità. b) Le cellule di Schwann formano la guaina mielinica delle fibre nervose del SNP. 2. Neuroni a) Anatomia. Tutti i neuroni sono formati da un corpo cellulare contenente il nucleo e da due tipi di prolungamenti: (1) l’assone (uno solo per cellula) che genera e conduce lo stimolo dal corpo cellulare alla periferia e libera un neurotrasmettitore; (2) i dendriti (da uno a molti per ogni cellula) che conducono stimoli elettrici al corpo cellulare. La maggior parte delle fibre nervose ha una guaina mielinica; la mielina aumenta la velocità di trasmissione dello stimolo nervoso. b) Classificazione (1) In base alla funzione (direzione della trasmissione dello stimolo) si distinguono neuroni sensitivi (afferenti) e motori (efferenti) e neuroni di associazione (interneuroni). Le terminazioni dendritiche dei neuroni sensitivi sono libere (recettori dolorifici) oppure associate a recettori di senso. (2) In base alla struttura si distinguono neuroni unipolari, bipolari, pseudounipolari e multipolari; la terminologia fa riferimento al numero dei prolungamenti che partono dal corpo cellulare. I neuroni motori e quelli di associazione sono multipolari; la maggior parte dei neuroni sensitivi è pseudounipolare. Fanno eccezione i neuroni sensitivi di certi organi speciali di senso (orecchio, occhio), che sono bipolari. c) Fisiologia (1) L’impulso nervoso è un fenomeno elettrochimico (avviato da vari stimoli) che determina una modificazione della permeabilità della membrana plasmatica del neurone, consentendo agli ioni sodio (NaŒ) di entrare nella cellula (depolarizzazione). Una volta iniziato, il potenziale d’azione, o stimolo nervoso, si propaga all’intera superficie della cellula. Le condizioni elettriche dello stato di riposo sono ristabilite dalla diffusione di ioni potassio (KŒ) fuori dalla cellula (ripolarizzazione). Le concentrazioni ioniche dello stato di riposo sono ristabilite dalla pompa sodio-potassio. (2) Un neurone agisce su altri neuroni o sulle cellule ef-

fettrici liberando neurotrasmettitori, sostanze chimiche che attraversano la fessura sinaptica e si legano a recettori di membrana della cellula postsinaptica. Ne consegue l’apertura di specifici canali ionici e l’attivazione o l’inibizione, secondo il tipo di neurotrasmettitore e di cellula bersaglio. (3) Un riflesso è una risposta rapida e prevedibile a uno stimolo. Se ne distinguono due tipi: vegetativi e somatici. Il numero minimo dei componenti di un arco riflesso è quattro: recettore, effettore, neurone sensitivo e neurone motore (molti archi riflessi, tuttavia, hanno uno o più neuroni di associazione). La normalità dei riflessi è indice di una normale attività del sistema nervoso. 3. Il sistema nervoso centrale (pp. 146-158)

1. L’encefalo è situato all’interno della cavità cranica ed è costituito dagli emisferi cerebrali, dal diencefalo, dalle strutture del tronco encefalico e dal cervelletto. a) I due emisferi cerebrali costituiscono la maggior parte dell’encefalo. Alla superficie sono formati da una corteccia di sostanza grigia, all’interno da sostanza bianca. La corteccia presenta numerose pieghe rilevate, con circonvoluzioni, solchi e scissure. Gli emisferi cerebrali sono impegnati nel ragionamento logico, nella condotta morale, nelle risposte emozionali, nell’interpretazione delle sensazioni, nell’avvio dell’attività muscolare volontaria. Sono state individuate diverse aree funzionali dei lobi cerebrali. I nuclei della base, regioni di sostanza grigia situate in profondità all’interno della sostanza bianca degli emisferi cerebrali, modificano l’attività motoria volontaria. Il morbo di Parkinson e la corea di Huntington sono disturbi dei nuclei della base. b) Il diencefalo è situato superiormente al tronco encefalico ed è racchiuso tra gli emisferi cerebrali. Le sue strutture principali sono: (1) Il talamo, che contiene il terzo ventricolo, è la stazione relè degli stimoli sensitivi che sono diretti alla corteccia sensitiva per essere interpretati. (2) L’ipotalamo costituisce il pavimento del terzo ventricolo ed è il più importante centro di regolazione del sistema nervoso vegetativo (regola l’equilibrio idrico, il metabolismo, la sete, la temperatura, e così via). (3) L’epitalamo comprende l’epifisi (una ghiandola endocrina) e il plesso corioideo del terzo ventricolo. c) Il tronco encefalico è la breve regione situata inferiormente all’ipotalamo che continua con il midollo spinale. (1) Il mesencefalo è la parte situata più in alto ed è formato principalmente da tratti nervosi. (2) Il ponte si trova inferiormente al mesencefalo e contiene tratti nervosi e nuclei che intervengono nella respirazione. (3) Il midollo allungato è la parte inferiore del tronco encefalico. Oltre a tratti nervosi, contiene nuclei del sistema vegetativo che intervengono nella regolazione di

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attività vitali (respirazione, ritmo cardiaco, pressione del sangue, ecc.). d) Il cervelletto è una grande porzione dell’encefalo, di forma simile a un cavolfiore, situata posteriormente al quarto ventricolo. Coordina l’attività muscolare e l’equilibrio del corpo. 2. Protezione del SNC a) Le ossa del cranio e la colonna vertebrale sono le strutture di protezione più esterne. b) Le meningi sono tre membrane connettivali: dura madre (la più esterna, fibrosa), aracnoide (intermedia, simile a una ragnatela) e pia madre (la più interna, delicata). Le meningi si estendono oltre la fine del midollo spinale. c) Il liquido cefalorachidiano costituisce un cuscinetto fluido attorno all’encefalo e al midollo spinale. Si forma dai plessi corioidei dell’encefalo. Si trova nello spazio subaracnoidale, nei ventricoli encefalici, nel canale centrale del midollo spinale. Viene continuamente formato e drenato. d) La barriera emato-encefalica è costituita da capillari relativamente impermeabili. 3. Malattie dell’encefalo a) I traumi cranici possono causare una commozione cerebrale (che è un danno reversibile) o una contusione cerebrale (irreversibile). Quando il tronco encefalico è colpito si verifica uno stato di incoscienza (transitoria o permanente). Le lesioni encefaliche dovute a traumi possono essere aggravate da una emorragia intracranica o dall’edema cerebrale, che determinano entrambi compressione del tessuto encefalico. b) Gli incidenti vascolari cerebrali (ictus) si verificano quando viene bloccato l’apporto di sangue ai neuroni encefalici e si ha morte del tessuto. Le conseguenze possono essere danni della vista, paralisi e afasia. c) La malattia di Alzheimer è una malattia degenerativa dell’encefalo in cui si formano depositi di una proteina abnorme e si manifestano altre modificazioni strutturali. Porta a una lenta e progressiva perdita della memoria e della regolazione motoria oltre che a demenza ingravescente. d) Le tecniche impiegate per la diagnosi delle alterazioni encefaliche comprendono l’elettroencefalografia, l’esame dei riflessi, la pneumoencefalografia, l’angiografia, la tomografia computerizzata, la tomografia a emissione di positroni, la risonanza magnetica. 4. Il midollo spinale è un centro di attività riflesse e sede di vie di conduzione. Situato all’interno del canale vertebrale, si estende dal gran forame occipitale fino al livello di L1 o L2. È formato da sostanza grigia all’interno, che in sezione trasversale ha forma simile a una farfalla, circondata da colonne di sostanza bianca composte da tratti motori e sensitivi collegati con l’encefalo. 4. Il sistema nervoso periferico (pp. 158-167)

1. Un nervo è un fascio di fibre nervose avvolte da rivesti-

menti di tessuto connettivo (endonevro, perinevro ed epinevro). 2. Nervi cranici: sono dodici paia di nervi che emergono dall’encefalo e si distribuiscono alla regione della testa e del collo. L’unica eccezione sono i nervi vaghi che si distribuiscono nel torace e nell’addome. 3. Nervi spinali: sono 31 paia di nervi formati a ciascun lato del midollo spinale. I plessi raccolgono nervi spinali che innervano gli arti. 4. Sistema nervoso vegetativo: è una parte del sistema nervoso periferico composta da neuroni che regolano l’attività del muscolo liscio, del muscolo cardiaco e delle ghiandole. Questo sistema differisce dal sistema nervoso somatico in quanto la catena dal SNC all’effettore è formata da due neuroni. Comprende due sezioni che si distribuiscono agli stessi organi con effetti diversi. a) La sezione del parasimpatico è il sistema «del riposo e digestione» ed è attiva per la maggior parte del tempo. Questa sezione mantiene l’omeostasi controllando che i processi di digestione ed eliminazione avvengano normalmente e che l’energia sia conservata. Il primo neurone motore è situato nell’encefalo o nella regione sacrale del midollo spinale. Il secondo neurone motore si trova nei gangli terminali in prossimità dell’organo che innerva. Tutti gli assoni del parasimpatico secernono acetilcolina. b) La sezione del simpatico è la sezione delle reazioni «di fuga o di contrasto», che prepara l’organismo a fare fronte a emergenze di vario tipo. La sua attivazione aumenta la frequenza cardiaca e la pressione del sangue. I neuroni pregangliari sono situati nella sostanza grigia del midollo spinale. I neuroni postgangliari si trovano nella catena del simpatico o in gangli collaterali. Gli assoni postgangliari secernono noradrenalina. 5. Aspetti dello sviluppo del sistema nervoso (pp. 167-169)

1. Fattori materni e ambientali possono danneggiare lo sviluppo embrionale dell’encefalo. La carenza di ossigeno provoca distruzione di neuroni encefalici. Tra le gravi malattie congenite del sistema nervoso centrale sono comprese la paralisi cerebrale, l’anencefalia, l’idrocefalo e la spina bifida. 2. I neonati prematuri hanno difficoltà di regolazione della temperatura corporea perché l’ipotalamo è una delle ultime regioni dell’encefalo in cui avviene la maturazione prenatale. 3. Lo sviluppo del controllo motorio è indice della progressiva mielinizzazione e maturazione del sistema nervoso. L’accrescimento dell’encefalo termina all’inizio dell’età adulta. Nel corso di tutta la vita si verifica la morte di neuroni che non vengono sostituiti; così, con il progredire dell’età la massa encefalica si va riducendo. 4. Le persone anziane in buona salute conservano funzioni intellettive quasi normali. Le condizioni patologiche, in particolare le malattie cardiovascolari, sono la causa principale del decadimento delle funzioni mentali con l’età.

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6. IL SISTEMA NERVOSO

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Qual è un esempio di integrazione da parte del sistema nervoso? a) la sensazione di una brezza fredda b) il brivido e la pelle d’oca in risposta al freddo c) la percezione del rumore della pioggia d) la decisione di tornare indietro a prendere l’ombrello 2. Dove potrebbe essere localizzato un nucleo di sostanza grigia? a) lungo la colonna vertebrale b) all’interno dell’encefalo c) all’interno del midollo spinale d) nei recettori di senso 3. La più interna delle meningi è a) la dura madre b) il corpo calloso c) l’aracnoide d) la pia madre 4. L’osservazione istologica di un preparato di tessuto nervoso dimostra un fascio di fibre nervose unite da cellule che con i loro molteplici prolungamenti avvolgono diversi assoni fornendo loro la guaina mielinica. È probabile che il campione sia a) un nucleo b) un ganglio c) un nervo d) un tratto nervoso 5. L’epifisi è situata a) nell’ipotalamo b) nel mesencefalo c) nell’epitalamo d) nel corpo calloso 6. Trova il termine corretto corrispondente a ciascuna delle seguenti affermazioni che descrivono diverse aree dell’encefalo. a) cervelletto b) area di Broca c) corpo calloso d) formazione reticolare e) ipotalamo f ) midollo allungato g) mesencefalo h) plesso coroideo i) talamo ___ 1. Connette i due emisferi cerebrali ___ 2. È una parte del tronco encefalico coinvolta nelle attività di visione e udito ___ 3. È l’area corticale coivolta nel linguaggio ___ 4. Regola l’attività motoria dei visceri ___ 5. Controlla la temperatura corporea, l’appetito e l’equilibrio idrico ___ 6. Controlla e regola il respiro, il ritmo cardiaco e la pressione del sangue ___ 7. È un’area dell’encefalo attraversata dalle fibre sensitive che devono arrivare alla corteccia cerebrale ___ 8. È un’area dell’encefalo impegnata nell’equilibrio, nella postura e nel coordinamento dell’attività motoria. ___ 9. Produce il liquido cefalorachidiano. 7. Tra i nervi cranici che hanno un ruolo nella visione sono compresi a) il trocleare b) il trigemino c) l’abducente d) il facciale

8. Le cellule gliali presenti in gran numero nelle regioni di infezione batterica dell’encefalo sono con molta probabilità a) oligodendrociti b) astrociti c) cellule ependimali d) microglia 9. Quale delle seguenti affermazioni vale per il sistema nervoso vegetativo, ma non per quello somatico? a) il neurotrasmettitore è l’acetilcolina b) gli assoni sono mielinizzati c) gli organi effettori sono cellule muscolari d) i neuroni motori sono localizzati in gangli Rispondi in cique righe.

10. Quali sono i due grandi apparati di regolazione dell’organismo? 11. Spiega la classificazione strutturale e funzionale del sistema nervoso, indicando le suddivisioni di ciascuna. 12. Qual è il criterio di base della classificazione funzionale dei neuroni? 13. Il sistema nervoso è composto da due tipi principali di cellule: i neuroni e le cellule di sostegno, quali ad esempio gli astrociti e le cellule di Schwann. Quali sono le cellule nervose e perché? Quali sono le principali funzioni delle cellule dell’altro gruppo? 14. Spiega brevemente come viene iniziato e trasmesso lo stimolo nervoso. 15. Indica il nome di quattro tipi di recettori di senso della cute. Qual è il tipo di recettori cutanei più numeroso? 16. Indica il numero minimo di componenti di un arco riflesso. 17. Traccia uno schema generale dell’emisfero cerebrale sinistro e localizza su di esso almeno cinque differenti aree funzionali, indicandone poi le specifiche funzioni. 18. Oltre a servire come via di conduzione, quale altra funzione importante ha il ponte? Perché il midollo allungato è una parte dell’encefalo di importanza così vitale? 19. Qual è la funzione del talamo? E dell’ipotalamo? 20. Descrivi i meccanismi di protezione dell’encefalo da parte di strutture ossee, membranose e del liquor. 21. Qual è la differenza della disposizione della sostanza bianca e grigia tra emisferi cerebrali e midollo spinale? 22. Quali sono le funzioni del midollo spinale? 23. Quante sono le paia di nervi cranici? Quali contribuiscono a regolare il ritmo cardiaco e l’attività del canale digerente? 24. Ad eccezione del nervo vago, a quale area generale del corpo si distribuiscono i nervi cranici? 25. Quante sono le paia di nervi spinali? Come si originano? 26. Indica il nome dei quattro principali plessi nervosi formati.

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27. Qual è la differenza tra sistema nervoso vegetativo e sistema nervoso somatico? 28. Qual è la differenza funzionale tra la sezione del simpatico e quella del parasimpatico del sistema nervoso vegetativo (a) dal punto di vista generale e (b) per quanto specificamente si riferisce all’attività degli apparati cardiovascolare e digerente?

29. Fibre del simpatico e del parasimpatico si distribuiscono agli stessi organi. Come si possono spiegare i loro effetti opposti? 30. In che modo una cellula di Schwann contribuisce all’isolamento di una fibra nervosa? 31. Dai la definizione di senilità. Indica le possibili cause di senilità permanente o di senilità reversibile.

■■■ VERSO LE COMPETENZE 32. La signora Giovanna ha presentato negli ultimi cinque o sei anni un progressivo declino delle sue capacità mentali. Inizialmente i suoi familiari hanno attribuito le sue occasionali perdite di memoria, la confusione e l’agitazione al dolore per la morte del marito sei anni prima. All’esame clinico la signora Giovanna è apparsa consapevole dei suoi problemi cognitivi e ha dimostrato un valore di quoziente intellettivo inferiore di circa 30 rispetto a quanto ci si sarebbe potuti aspettare dalla sua storia lavorativa. Una tomografia computerizzata ha dimostrato un’atrofia cerebrale diffusa. Il medico ha prescritto un leggero tranquillante e ha detto ai familiari di non poter suggerire molto di più. Qual è il problema della signora Giovanna? 33. A Giuseppe, un coltivatore di patate, piace consumare la sera un pasto molto abbondante. Dopo il pasto, la moglie gli chiede di aiutarla a lavare i piatti, ma Giuseppe spiega di essere «troppo stanco» e va subito a letto. Quale sembra essere il problema? 34. Una giovane donna in stato di semi-incoscienza viene portata all’ospedale da alcuni amici dopo essere caduta da un tetto. Non ha perso conoscenza immediatamente, e all’inizio era lucida. Dopo poco però è apparsa confusa e poi incapace di rispondere. Qual è la probabile spiegazione del suo stato?

35. La signora Rossi, una neo-mamma, porta in clinica il suo bambino perché ha avuto ripetuti attacchi epilettici. Quando le vengono poste domande, risponde che il parto era stato insolitamente lungo e difficoltoso. Quale condizione si può sospettare? Lo stato del bambino peggiorerà? 36. Sara, di tre anni, piange singhiozzando perché il suo braccio destro «se ne è andato» e l’esame clinico dimostra che in quell’arto la forza muscolare è scarsa. Ponendo domande ai genitori risulta che il padre la faceva dondolare per le braccia. Quale parte del SNP è stata danneggiata? 37. Il signor Bianchi ha 82 anni ed è costretto a letto; ha trovato un nuovo interesse nell’acquisire conoscenza del proprio corpo. Mentre l’infermiera che lo va a trovare si prende cura di lui, egli fa notare che le cellule di sostegno del tessuto nervoso (come le cellule di Schwann e gli oligodendrociti) agiscono come il rivestimento di gomma dei fili dell’impianto elettrico. Cosa vuole dire con questa analogia? 38. Perché l’esposizione a tossine ha effetti più devastanti sul sistema nervoso nelle fasi iniziali della gravidanza che nella gravidanza avanzata? 39. Giulio è stato colpito nella parte posteriore del collo con una palla da baseball e ora non può sollevare una spalla. Quale nervo cranico è interessato?

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7. GLI ORGANI DI SENSO

Le persone sono creature reattive. Se abbiamo davanti del pane appena sfornato, produciamo saliva. L’improvviso scoppio di un tuono ci fa sussultare. Questi «agenti irritanti» (il pane e lo scoppio del tuono) e molti altri sono gli stimoli che ci si presentano continuamente e che vengono interpretati dal nostro sistema nervoso. Si dice di solito che abbiamo cinque sensi che ci tengono in contatto con ciò che avviene nel mondo esterno: tatto, gusto, olfatto, vista e udito. In realtà il tatto è una combinazione dei sensi generali che abbiamo considerato nel capitolo 6: i recettori cutanei per la temperatura, la pressione e il dolore e i propriocettori dei muscoli e delle articolazioni. Gli altri quattro sensi «tradizionali», olfatto, gusto, vista e udito, sono sensi speciali. I recettori di un quinto senso speciale, l’equilibrio, sono localizzati nell’orecchio, insieme all’organo dell’udito. A differenza dei recettori di senso generali, piccoli e ampiamente distribuiti, i recettori di senso speciali sono grandi e complessi organi sensoriali (l’occhio e l’orecchio), oppure gruppi localizzati di recettori (calici gustativi ed epitelio olfattivo). Questo capitolo è incentrato sull’anatomia funzionale di ciascuno degli organi di senso speciali considerato individualmente, ma va tenuto presente che gli stimoli sensoriali si sovrappongono. Quello che alla fine proviamo – la nostra «sensazione» del mondo – è una miscela di effetti degli stimoli.

PARTE I L’OCCHIO E LA VISTA Il modo in cui vediamo è un tema che ha catturato la curiosità di molti ricercatori. La vista è il senso che è stato maggiormente studiato. Di tutti i recettori di senso presenti nell’organismo, il 70% si trova negli occhi. I tratti ottici che trasportano informazioni dagli occhi all’encefalo sono grossi fasci contenenti oltre un milione di fibre.

La vista è il senso che richiede il maggiore «apprendimento» e l’occhio sembra divertirsi a essere ingannato. La vecchia espressione «vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere» è spesso molto vera.

1. L’anatomia dell’occhio Le strutture esterne e accessorie L’occhio dell’adulto è una sfera del diametro di circa 2,5 cm. Normalmente si può vedere soltanto il sesto anteriore della superficie dell’occhio. Il resto è racchiuso e protetto da un cuscinetto di grasso e dalle pareti ossee dell’orbita. Le strutture accessorie dell’occhio comprendono i muscoli estrinseci dell’occhio, le palpebre, la congiuntiva e l’apparato lacrimale. Gli occhi sono protetti anteriormente dalle palpebre (figura 7.1). Dal margine di ciascuna palpebra sporgono le ciglia. Le ghiandole tarsali, che producono un secreto ricco di grassi che lubrifica l’occhio, sono ghiandole sebacee modificate associate con il bordo libero delle palpebre (figura 7.2a). Una membrana delicata, la congiuntiva, riveste la parte interna delle palpebre e copre parte della superficie esterna del bulbo oculare (vedi figure 7.1 e 7.2); termina al margine della cornea fondendosi con l’epitelio corneale. La congiuntiva secerne muco, che contribuisce a lubrificare il bulbo oculare e a mantenerlo umido. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’infiammazione della congiuntiva, detta congiuntivite, determina arrossamento e irritazione degli occhi. La congiuntivite acuta, la sua forma infettiva provocata da batteri o virus, è altamente contagiosa.

L’apparato lacrimale (figura 7.2b) è costituito dalle ghiandole lacrimali e da dotti che drenano i secreti lacrimali nella cavità nasale. Le ghiandole lacrimali sono situate sopra

Punto in cui la congiuntiva si continua con la cornea

Sopracciglio Palpebra Ciglia Pupilla Caruncola lacrimale

Figura 7.1 Aspetto esterno dell’occhio e strutture accessorie

Iride Palpebra

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Sclera (ricoperta dalla congiuntiva)

7. GLI ORGANI DI SENSO Figura 7.2 Strutture accessorie dell’occhio (a) Sezione sagittale delle strutture accessorie associate alla parte anteriore dell’occhio. (b) Vista anteriore dell’apparato lacrimale.

Ghiandola lacrimale Ghiandola lacrimale

Dotto escretore della ghiandola lacrimale

Sacco lacrimale

Dotti escretori della ghiandola lacrimale

Congiuntiva Faccia anteriore

Canalicolo lacrimale Dotto naso-lacrimale

Palpebra Ciglia

Meato inferiore della cavità nasale

Ghiandole tarsali Narice Palpebra

(b)

(a)

l’estremo laterale di ciascun occhio. Emettono continuamente una soluzione salina diluita (lacrime) sulla superficie anteriore del bulbo oculare attraverso numerosi piccoli dotti. Le lacrime scorrono sopra il bulbo oculare ed entrano nei canalicoli lacrimali situati medialmente, passano poi nel sacco lacrimale e infine nel dotto naso-lacrimale, che sbocca nella cavità nasale (vedi figura 8.2b). Il secreto delle ghiandole lacrimali contiene anche anticorpi e lisozima, un enzima che distrugge i batteri; quindi deterge e protegge la superficie dell’occhio, intanto che la umidifica e lubrifica. Quando la secrezione lacrimale aumenta in modo consistente, le lacrime sgorgano fuori dalle palpebre e si versano nella cavità nasale determinandone la congestione e inducendo ad aspirare con il naso. Questo accade quando gli occhi sono irritati da corpi estranei o da agenti chimici o quando siamo emotivamente scossi. Nel caso dell’irritazione, l’aumento della lacrimazione agisce lavando via oppure diluendo la sostanza irritante. L’importanza delle lacrime dovute a cause emozionali è poco chiara, ma alcuni presumono che il pianto sia importante nel ridurre lo stress. Chiunque abbia fatto un bel pianto sarebbe probabilmente d’accordo, ma questo è risultato difficile da provare in modo scientifico. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Poiché la mucosa della cavità nasale è in continuità con quella del sistema di dotti lacrimali, un raffreddore o un’infiammazione nasale provocano spesso l’infiammazione e l’edema della mucosa lacrimale. Questo ostacola il drenaggio delle lacrime dalla superficie dei bulbi oculari ed è causa degli occhi che lacrimano.

Sei muscoli oculari estrinseci si inseriscono sulla superficie esterna di ciascun bulbo oculare. Questi muscoli determinano i movimenti macroscopici dell’occhio e rendono possibile seguire con gli occhi un oggetto in movimento. Il nome, la posizione, l’azione e il nervo cranico che si distribuisce a ciascuno dei muscoli estrinseci sono riportati nella figura 7.3 a pagina seguente. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Qual è il ruolo funzionale delle palpebre? 2. Quale struttura dell’occhio produce le lacrime? 3. Cosa sono le lacrime? 4. Quale ruolo hanno nella visione i muscoli estrinseci dell’occhio?

Le strutture interne: il bulbo oculare L’occhio vero e proprio, comunemente detto bulbo oculare, è una sfera cava (figura 7.4 a pagina 179), la cui parete è formata da tre membrane e che contiene all’interno dei fluidi, gli umori, che contribuiscono a mantenere la forma. Il cristallino, il principale dispositivo di messa a fuoco dell’occhio, è sospeso verticalmente nella cavità oculare suddividendola in due segmenti. Le membrane che formano la parete del bulbo oculare Ora che abbiamo parlato dell’anatomia generale del bulbo oculare, siamo pronti per una descrizione più dettagliata. La tonaca fibrosa, la membrana più esterna, è costi-

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7. GLI ORGANI DI SENSO

Troclea

Muscolo obliquo superiore Tendine dell’obliquo superiore Muscolo retto superiore Muscolo retto inferiore

Congiuntiva

Muscolo retto mediale

Muscolo retto laterale

Muscolo retto laterale Nervo ottico

Muscolo retto inferiore

Muscolo obliquo inferiore

(a)

(b)

Nome

Azione

Nervo cranico

Retto laterale

Muove l’occhio lateralmente

VI (abducente)

Retto mediale

Muove l’occhio medialmente

III (oculomotore)

Retto superiore

Muove l’occhio verso l’alto e lo fa ruotare medialmente

III (oculomotore)

Retto inferiore

Muove l’occhio verso il basso e lo fa ruotare medialmente

III (oculomotore)

Obliquo inferiore

Muove l’occhio verso l’alto e lo fa ruotare lateralmente

III (oculomotore)

Obliquo superiore

Muove l’occhio verso il basso e lo fa ruotare lateralmente

IV (trocleare)

(c) Figura 7.3 Muscoli estrinseci dell’occhio (a) Vista laterale dell’occhio destro. (b) Occhio destro visto dall’alto. I quattro muscoli retti hanno origine dall’anello tendineo imbutiforme situato nella parte posteriore della cavità orbitaria. (c) Sommario dell’innervazione da parte dei nervi cranici e dell’azione dei muscoli estrinseci dell’occhio.

tuita dalla sclera, che ha funzioni di protezione, e dalla cornea, trasparente. La sclera, formata da uno spesso strato di tessuto connettivo bianco lucente, è visibile anteriormente come il «bianco dell’occhio». La parte centrale anteriore della tonaca fibrosa è la cornea, la «finestra» trasparente attraverso cui la luce entra nell’occhio. La cornea è ricca di terminazioni nervose, per la maggior parte dolorifiche, e quando viene toccata si battono frequentemente le palpebre e aumenta la lacrimazione. Tuttavia la cornea è la parte più esposta dell’occhio ed è molto vulnerabile; fortunatamente la sua capacità di autoriparazione è straordinaria. Inoltre la cornea è l’unico tessuto dell’organismo che può essere trapiantato da una persona all’altra senza alcuna preoccupazione di rigetto: es-

sendo priva di vasi, è fuori dalla portata del sistema immunitario. La tonaca vascolare, la membrana intermedia della parete del bulbo oculare, presenta tre regioni distinte. Quella posteriore è la coroide, una tonaca con funzioni nutritizie ricca di vasi sanguigni, che contiene un pigmento scuro. Il pigmento impedisce la dispersione della luce all’interno dell’occhio. Procedendo in direzione anteriore, la coroide si modifica formando due strutture muscolari lisce, il corpo ciliare, al quale è attaccato il cristallino, sospeso per mezzo di un legamento detto zonula ciliare, e poi l’iride. L’iride, pigmentata, presenta un’apertura rotonda, la pupilla, attraverso la quale passa la luce. L’iride è formata da cellule muscolari lisce, disposte

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7. GLI ORGANI DI SENSO

cettrici morte o danneggiate e che accumulano vitamina A necessaria per la visione. • Lo strato nervoso della retina, più interno e trasparente, contiene milioni di cellule recettrici, i bastoncelli e i coni, che sono fotorecettori in quanto reagiscono alla luce (figura 7.5). I segnali elettrici passano dai fotorecettori a una catena di due neuroni (cellule bipolari e poi cellule gangliari) prima di lasciare la retina attraverso il nervo ottico sotto forma di stimoli nervosi che vengono trasmessi alla corteccia visiva. Il risultato è la visione. I fotorecettori sono distribuiti su tutta la superficie della retina tranne che nel punto in cui il nervo ottico lascia il bulbo oculare: papilla del nervo ottico, o punto cieco. Quando la luce proveniente da un oggetto è concentrata nella papilla del nervo ottico, l’oggetto scompare dalla vista e non lo si può vedere. I bastoncelli e i coni non sono distribuiti in modo uniforme nella retina. I bastoncelli sono più numerosi alla periferia della retina e diminuiscono di numero nell’avvicinarsi al centro della retina. I bastoncelli ci consentono di vedere nei toni del grigio con luce fioca e assicurano la visione periferica.

Strato pigmentato della retina Bastoncello Cono

Cellule bipolari

Percorso della luce

Cellule gangliari

(a)

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Tutto ciò che interferisce con la funzione dei bastoncelli ostacola la nostra capacità di vedere di notte, determinando la cecità notturna. La cecità notturna altera pericolosamente la capacità di guidare in modo sicuro di notte. La sua causa più comune è la prolungata carenza di vitamina A, che alla fine porta al deterioramento di gran parte della retina nervosa. Come è descritto nella scheda «I pigmenti visivi: gli effettivi fotorecettori», a pagina 182, la vitamina A è uno dei materiali da costruzione per la formazione del pigmento necessario ai fotorecettori per reagire alla luce. L’integrazione con vitamina A ristabilisce la funzione, se la somministrazione avviene prima che si siano verificate modificazioni degenerative.

I coni sono recettori discriminatori che ci permettono di vedere a colori i dettagli del nostro mondo in condizioni di buona luce. Sono più concentrati nella parte centrale della retina e diminuiscono di numero procedendo verso la periferia della retina. Situata lateralmente a ciascun punto cieco si trova la fovea centrale, una fossetta che contiene soltanto coni (vedi figura 7.4). Di conseguenza questa è la regione della massima acuità visiva, o il punto della visione più distinta, e qualunque cosa noi vogliamo vedere criticamente è messa a fuoco sulla fovea centrale. Esistono tre varietà di coni. Ciascun tipo è sensibile a particolari lunghezze d’onda della luce visibile (figura 7.6). Un tipo risponde più energicamente alla luce blu, un altro alla luce verde. I coni della terza varietà reagiscono a una gamma di lunghezze d’onda che comprende sia il verde sia il rosso. Gli stimoli che la corteccia visiva

Strato pigmentato della retina

Strato nervoso della retina

Arteria e vena centrale della retina Papilla del nervo ottico

Sclera Nervo ottico

Coroide

(b) Figura 7.5 I tre principali tipi di neuroni che compongono la retina (a) Va notato che la luce deve attraversare tutto lo spessore della retina per eccitare i bastoncelli e i coni. I segnali elettrici sono trasmessi nella direzione opposta: dai bastoncelli e dai coni alle cellule bipolari e infine alle cellule gangliari. Le cellule gangliari generano gli stimoli nervosi che escono dall’occhio attraverso il nervo ottico. (b) Rappresentazione schematica della parte posteriore del bulbo oculare che illustra la formazione del nervo ottico da parte degli assoni delle cellule gangliari.

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7. GLI ORGANI DI SENSO

Assorbimento della luce da parte dei coni

Luce visibile

560 nm (coni per il rosso) 530 nm (coni per il verde) 420 nm (coni per il blu)

Figura 7.7 Immagine fotografica di una cataratta La cataratta si presenta come una struttura lattescente che sembra riempire la pupilla.

380

450

500 550 600 650 Lunghezza d’onda (nanometri)

700

750

Figura 7.6 Sensibilità dei tre tipi di coni alle differenti lunghezze d’onda della luce visibile

riceve contemporaneamente da più tipi di coni sono interpretati come colori intermedi. Per esempio, stimoli simultanei provenienti da recettori del blu e del rosso sono visti come toni del porpora o del violetto. Quando sono stimolati tutti e tre i tipi di coni il colore che si vede è il bianco. Se qualcuno illumina uno dei nostri occhi con una luce rossa e l’altro con una luce verde, vediamo il colore giallo e ciò indica che la combinazione e l’interpretazione dei colori avviene nell’encefalo e non nella retina. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’assenza di tutti e tre i tipi di coni provoca cecità per i colori totale, mentre l’assenza di un solo tipo di coni è causa di parziale cecità per i colori. La più comune è la mancanza di recettori per il rosso o per il verde, che determina due varietà di cecità per i colori rosso e verde. I due colori sono visti come lo stesso colore: o rosso o verde, secondo il tipo di coni presente. Molte persone con cecità per i colori non si rendono conto della loro situazione perché hanno imparato a fare affidamento su altri segnali, come le differenti intensità dello stesso colore, per esempio per distinguere il verde dal rosso nelle segnalazioni per il traffico. Poiché i geni che regolano la visione dei colori sono portati dal cromosoma del sesso X, la cecità ai colori è un’alterazione associata al sesso e si manifesta quasi esclusivamente nei maschi.

Il cristallino La luce che entra nell’occhio è messa a fuoco sulla retina dal cristallino (o lente), che è una struttura cristallina biconvessa e flessibile. Il cristallino è mantenuto sospeso nell’occhio in posizione verticale da un legamento, la zonula ciliare, che è unito al corpo ciliare (vedi figura 7.4).

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA In gioventù il cristallino è perfettamente trasparente e ha la consistenza di gelatina compatta, ma con l’invecchiamento si indurisce progressivamente e diventa opaco. La conseguenza di questo processo è la cataratta, che fa divenire la visione confusa e distorta e alla fine provoca la cecità dell’occhio colpito (figura 7.7). Altri fattori di rischio per l’insorgenza di cataratta sono il diabete mellito, la frequente esposizione alla luce solare intensa e l’essere forti fumatori. Il trattamento corrente della cataratta è la rimozione chirurgica del cristallino e la sua sostituzione con una lente, oppure l’uso di occhiali speciali.

Il cristallino divide l’occhio in due segmenti. Il segmento anteriore, che si trova anteriormente al cristallino, contiene un liquido acquoso chiaro, l’umore acqueo. Il segmento posteriore, che si trova posteriormente al cristallino, contiene una sostanza gelatinosa, il corpo (o umore) vitreo (vedi figura 7.4). Il corpo vitreo contribuisce a impedire il collasso del bulbo oculare all’indentro, rafforzandolo dall’interno. L’umore acqueo è simile al plasma sanguigno ed è continuamente secreto da un’area speciale della coroide. Come il corpo vitreo, contribuisce a mantenere la pressione intraoculare, cioè la pressione interna dell’occhio. Fornisce inoltre nutrimento al cristallino e alla cornea, che sono privi di vasi sanguigni. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Se il drenaggio dell’umore acqueo è ostruito, il liquido si accumula, come in un lavandino intasato. La pressione all’interno dell’occhio può aumentare fino a livelli dannosi e comprimere la struttura delicata della retina e il nervo ottico. La condizione che ne consegue, il glaucoma («visione che diventa grigia»), provoca alla fine dolore ed eventualmente cecità se non è riconosciuta precocemente. Il glaucoma è una causa comune di cecità nell’età avanzata. Sfortunatamente molte forme di glaucoma progrediscono lentamente e inizialmente quasi senza sintomi, così il glaucoma fa perdere la vista lentamente e senza dolore fino a quando il danno è stabilito. I segni successivi sono la comparsa di aloni attorno alle sorgenti luminose, cefalea e offuscamento della vista.

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7. GLI ORGANI DI SENSO

Per saperne di più

Prolungamento di una cellula bipolare ProlunCorpo gamenti cellulare interni di un bastoncello Corpo cellulare di un cono

Fotone

e Foton

Fo to ne

■■ I PIGMENTI VISIVI: GLI EFFETTIVI FOTORECETTORI

Terminazioni sinaptiche Corpo cellulare di un bastoncello Nuclei Mitocondri

Strato dell’epitelio pigmentato

Prolungamento esterno

Le minute cellule fotorecettrici della retina hanno nomi che rispecchiano la loro morfologia generale. Come è illustrato nella figura a sinistra, i bastoncelli sono neuroni sottili e allungati, mentre i coni, più tozzi, si assottigliano in una estremità appuntita. Entrambi i tipi di fotorecettori presentano una regione, corrispondente a un dendrite, che cattura la luce, nel quale sono contenuti i pigmenti visivi. Il comportamento dei pigmenti visivi è sensazionale. Quando la luce li colpisce, perdono il loro colore, cioè si «sbiancano»; poco dopo il pigmento viene rigenerato. L’assorbimento della luce e lo sbianchimento dei pigmenti inducono nelle cellule fotorecettrici modificazioni elettriche, che alla fine determinano la trasmissione di stimoli nervosi all’encefalo per l’interpretazione visiva. La rigenerazione dei pigmenti assicura che la persona non sia cieca e incapace di vedere alla chiara luce solare. Molto si sa della struttura e della funzione della rodopsina, il pigmento color porpora presente nei

bastoncelli (vedi figura in basso). Si forma dall’unione di una proteina (opsina) con una molecola derivata dalla vitamina A (retinale). Quando è combinato nella rodopsina, il retinale ha una forma ripiegata che gli consente di legarsi all’opsina. Ma quando la luce colpisce la rodopsina, il retinale rilascia la proteina. Una volta libero, il retinale continua la sua conversione fino a tornare di nuovo vitamina A. Intanto che si verificano questi cambiamenti, il colore porpora della rodopsina si converte nel giallo del retinale e infine il colore scompare quando avviene la modificazione a vitamina A. Quindi il termine «sbianchimento dei pigmenti» descrive accuratamente le variazioni di colore che avvengono quando la luce colpisce il pigmento. La rodopsina si rigenera quando la vitamina A è di nuovo convertita in retinale e si combina di nuovo con l’opsina con un processo che richiede ATP. I pigmenti dei coni, per quanto simili alla rodopsina, differiscono per il tipo specifico di proteine che contengono.

Pigmenti visivi

Retinale (giallo visivo)

Dendrite che cattura la luce

L’assorbimento della luce determina

Granuli di melanina

Nucleo di una cellula dell’epitelio pigmentato

Rodopsina (porpora visiva)

182 Elaine N. Marieb IL CORPO UMANO © Zanichelli 2012 Seconda edizione

Rilascio

Opsina

7. GLI ORGANI DI SENSO ■■ FACCIAMO IL PUNTO

5. Cosa significa punto cieco, riferito all’occhio? 6. Quale funzione hanno in comune la coroide della tonaca vascolare e lo strato di epitelio pigmentato della retina? 7. Quali sono le differenze tra bastoncelli e coni?

2. Il percorso della luce nell’occhio e la rifrazione della luce Quando la luce passa da un mezzo a un altro di densità differente, la sua velocità si modifica e i suoi raggi vengono deviati, o rifratti. Nell’occhio i raggi luminosi vengono deviati quando incontrano la cornea, l’umore acqueo, il cristallino e il corpo vitreo. Il potere di rifrazione della cornea, dell’umore acqueo e del corpo vitreo è costante, invece quello del cristallino può essere modificato dalle variazioni della forma del cristallino stesso, che diventa più o meno convesso, così da mettere la luce correttamente a fuoco sulla retina. Quan-

?

Mentre guardiamo questa figura il cristallino dei nostri occhi è relativamente spesso o relativamente appiattito?

Retina

Raggi luminosi da una sorgente distante

Punto focale

(a)

Raggi luminosi da una sorgente vicina

Figura 7.9 L’immagine reale (rovesciata da sinistra a destra e capovolta) che si forma sulla retina Va notato che quanto più l’oggetto è lontano, tanto più la sua immagine sulla retina è piccola.

to maggiore è la sua convessità, tanto più il cristallino devia i raggi luminosi; quanto più il cristallino è appiattito, tanto minore è la rifrazione della luce. In generale, la luce proveniente da una sorgente distante (oltre 6 metri) arriva all’occhio in raggi paralleli (figura 7.8a) e non è necessario che il cristallino modifichi la sua forma per metterla correttamente a fuoco sulla retina. Invece la luce proveniente da un oggetto vicino tende a divergere e il cristallino deve aumentare la sua curvatura per rendere possibile la visione da vicino (figura 7.8b). Pertanto il corpo ciliare si contrae, consentendo al cristallino di divenire più convesso. La capacità dell’occhio di mettere specificamente a fuoco gli oggetti vicini (quelli distanti meno di 6 metri) è l’accomodazione. L’immagine che si forma sulla retina come risultato dell’azione di rifrazione del cristallino è una immagine reale, rovesciata da sinistra a destra, capovolta (invertita) e più piccola dell’oggetto (figura 7.9). L’occhio normale è in grado di effettuare correttamente l’accomodazione; tuttavia possono insorgere problemi di vista quando un cristallino è troppo forte o troppo debole (converge, rispettivamente, troppo o troppo poco), oppure per problemi strutturali del bulbo oculare (descritti nella scheda «Se non vedo gli oggetti lontani, sono miope o ipermetrope?», pp. 184-185).

Punto focale Retina

(b) Figura 7.8 Convessità relativa del cristallino nella messa a fuoco per la visione da lontano e da vicino (a) I raggi luminosi provenienti da un oggetto distante sono quasi paralleli quando arrivano all’occhio e possono essere messi a fuoco senza che sia necessario modificare la convessità del cristallino. (b) I raggi luminosi divergenti che provengono da oggetti vicini richiedono che il cristallino aumenti la sua convessità perché l’immagine sia nitidamente a fuoco sulla retina.

3. Il campo visivo e le vie ottiche Gli assoni che trasportano gli stimoli provenienti dalla retina si uniscono in un fascio alla superficie posteriore del bulbo oculare ed escono dalla parte posteriore dell’occhio come nervo ottico. A livello del chiasma ottico (chiasma, «incrocio») le fibre che provengono dal lato mediale di ciascun occhio si incrociano per portarsi al lato opposto dell’encefalo. I tratti nervosi risultanti sono i tratti ottici. Ciascun tratto ottico contiene fibre derivate dalla parte laterale dell’occhio dello stesso lato e fibre derivate dalla parte mediale dell’occhio del lato opposto. Le fibre dei tratti ottici formano sinapsi con neuroni del talamo, i cui assoni raggiungono il lobo occipitale del cervello. Qui le fibre formano sinapsi con le cellule della corteccia e avviene l’interpretazione dell’immagine visiva,

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7. GLI ORGANI DI SENSO

Per saperne di più ■■ SE NON VEDO GLI OGGETTI LONTANI, SONO MIOPE O IPERMETROPE? Quando le persone che portano gli occhiali o le lenti a contatto si incontrano e parlano della loro vista, di solito qualcuno dice qualcosa del tipo: «non vedo chiaramente gli oggetti vicini, ma non ricordo se questo significa che sono miope o ipermetrope». Oppure qualcun altro potrebbe dire: «i miei occhiali mi consentono di vedere meglio gli oggetti lontani, questo vuol dire che sono ipermetrope?» Spiegheremo qui il significato di miopia e ipermetropia prendendo in esame le basi dei disturbi della messa a fuoco oculare. L’occhio che mette correttamente a fuoco l’immagine sulla retina è in condizione di emmetropia (letteralmente «vista giustamente misurata»), illustrata nella parte (a) della figura. La miopia («vista corta») è la condizione in cui i raggi luminosi paralleli provenienti dagli oggetti distanti non raggiungono la retina, ma sono messi a fuoco davanti alla stessa, come si vede nella parte (b) della figura. Quindi alle persone miopi gli oggetti distanti appaiono indistinti. Gli oggetti vicini, invece, sono a fuoco, perché il cristallino attua l’accomodazione (aumenta la curvatura) per mettere correttamente a fuoco l’immagi-

ne sulla retina. La miopia è la conseguenza dell’eccessiva lunghezza del bulbo oculare, o di una eccessiva forza del cristallino, o di una eccessiva curvatura della cornea. Per la correzione è necessario usare lenti concave, che facciano divergere i raggi luminosi prima del loro ingresso nell’occhio, in modo che convergano più indietro. La risposta alla prima domanda posta all’inizio è che le persone miopi vedono chiaramente gli oggetti vicini, ma hanno bisogno di lenti correttive per mettere a fuoco gli oggetti distanti. L’ipermetropia («visione da lontano») è la condizione in cui i raggi luminosi paralleli provenienti dagli oggetti distanti sono messi a fuoco dietro alla retina, almeno nell’occhio a riposo in cui il cristallino è appiattito e il muscolo ciliare rilassato; vedi parte (c) della figura. Di solito l’ipermetropia è dovuta a un bulbo oculare troppo corto o a un cristallino «pigro». Le persone ipermetropi possono vedere nitidamente gli oggetti distanti poiché il loro muscolo ciliare si contrae continuamente aumentando il potere di rifrazione del cristallino, che sposta il punto focale in avanti sulla retina. Tuttavia i raggi divergenti provenienti da oggetti vi-

cioè la visione. Le vie ottiche dall’occhio al cervello sono illustrate nella figura 7.10 a pagina 186. L’uomo ha una visione binoculare, che dà la percezione della profondità, cioè la visione tridimensionale, in quanto la nostra corteccia visiva fonde le due immagini lievemente differenti fornite dai due occhi. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’emianopsia è la perdita dello stesso lato del campo visivo di entrambi gli occhi, conseguente alla lesione della corteccia visiva di un solo lato (come avviene in alcuni casi di ictus). La persona quindi non è in grado di vedere gli oggetti che sono al di là della metà del suo campo visivo o dal lato destro o dal lato sinistro, secondo la sede dell’ictus. Queste persone dovrebbero essere attentamente assistite e avvertite degli oggetti presenti nel lato non funzionale (cieco) del campo visivo. Il cibo e gli oggetti personali dovrebbero sempre essere posti nel loro lato funzionale, altrimenti potrebbero non vederli.

cini sono messi a fuoco così lontano dietro alla retina che anche con l’aumento massimo della convessità il cristallino non riesce a mettere a fuoco l’immagine sulla retina. Quindi gli oggetti vicini appaiono non distinti. Inoltre le persone ipermetropi sono soggette a fatica oculare perché il loro muscolo ciliare che si contrae incessantemente subisce un affaticamento per il lavoro eccessivo. La correzione dell’ipermetropia viene effettuata con lenti convesse che fanno convergere i raggi luminosi prima del loro ingresso nell’occhio. La risposta alla seconda domanda posta all’inizio è che le persone ipermetropi vedono chiaramente gli oggetti lontani, mentre necessitano di lenti di correzione per gli oggetti vicini. La curvatura ineguale di parti differenti della cornea o del cristallino determina l’astigmatismo, condizione nella quale le immagini sono confuse perché i punti luminosi non sono messi a fuoco sulla retina come punti, ma come linee (a, stigma, «assenza di punto»). Per la correzione si usano speciali lenti cilindriche o lenti a contatto. Per gli occhi miopi o ipermetropi che sono anche astigmatici la correzione deve essere più complessa.

4. I riflessi oculari Per la corretta funzione dell’occhio sono necessari i muscoli oculari sia intrinseci sia estrinseci. I muscoli intrinseci sono controllati dal sistema nervoso vegetativo; come abbiamo già accennato, questi muscoli comprendono quelli del corpo ciliare, che modificano la curvatura del cristallino, e la muscolatura radiale e circolare dell’iride, che regola l’ampiezza della pupilla. I muscoli estrinseci (vedi figura 7.3) regolano i movimenti degli occhi e rendono possibile seguire oggetti in movimento. Sono inoltre responsabili della convergenza, che è il movimento riflesso degli occhi in direzione mediale quando si osservano oggetti vicini. Quando avviene la convergenza, entrambi gli occhi sono puntati sull’oggetto vicino che si sta osservando. I muscoli estrinseci sono controllati da fi-

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7. GLI ORGANI DI SENSO

Piano focale

Correzione

Nessuna

Lenti concave

(a) Occhio emmetrope

(b) Occhio miope Lenti convesse

(c) Occhio ipermetrope

bre somatiche dei nervi cranici (III, IV e VI), come è illustrato nella figura 7.3. Quando gli occhi sono improvvisamente esposti a una luce intensa, le pupille immediatamente si restringono: questo è il riflesso pupillare alla luce. Tale riflesso di protezione impedisce che una luce troppo intensa danneggi i delicati fotorecettori. Le pupille si restringono in via riflessa anche quando guardiamo oggetti vicini: tale riflesso pupillare di accomodazione rende più acuta la visione. La lettura richiede un lavoro pressoché continuo di tutte e due le serie di muscoli. I muscoli del corpo ciliare fanno aumentare la curvatura del cristallino e la muscolatura circolare dell’iride (sfintere della pupilla) determina il riflesso pupillare di accomodazione. Inoltre i muscoli estrinseci degli occhi devono fare convergere i bul-

bi oculari, oltre che farli muovere per seguire le righe di stampa. Questa è la ragione per cui la lettura prolungata provoca stanchezza degli occhi e spesso ha come conseguenza quello che è comunemente detto affaticamento oculare. Quando si legge a lungo, è utile sollevare di tanto in tanto gli occhi e guardare lontano. Questo fa rilassare temporaneamente tutti i muscoli oculari. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

8. Quali sono i mezzi di rifrazione dell’occhio? 9. Come è definita la capacità dell’occhio di mettere a fuoco oggetti vicini? 10. Descrivi il percorso del nervo ottico. 11. In che modo il riflesso pupillare alla luce protegge gli occhi?

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7. GLI ORGANI DI SENSO

l’orecchio, ma i loro recettori reagiscono a stimoli differenti e sono attivati indipendentemente gli uni dagli altri.

Punto fissato

5. L’anatomia dell’orecchio

Occhio sinistro

Dal punto di vista anatomico l’orecchio è suddiviso in tre parti principali: l’orecchio esterno, l’orecchio medio e l’orecchio interno (figura 7.11). Le strutture dell’orecchio esterno e dell’orecchio medio sono impegnate soltanto nell’udito. L’orecchio interno funziona sia nell’udito sia nell’equilibrio.

Occhio destro

Nervo ottico Chiasma ottico

Tratto ottico

Talamo Lobo occipitale (corteccia visiva) Figura 7.10 Campo visivo dei due occhi e vie ottiche Vanno notati i campi visivi che si sovrappongono in modo considerevole (area della visione binoculare) e anche i punti della retina in cui viene messa a fuoco l’immagine reale quando entrambi gli occhi fissano un oggetto puntiforme vicino.

PARTE II L’ORECCHIO: UDITO ED EQUILIBRIO A una prima osservazione l’apparato dell’udito e dell’equilibrio sembra piuttosto primitivo. I recettori dell’orecchio percepiscono spostamenti di fluidi e li convertono in segnali elettrici. Le vibrazioni sonore determinano movimenti di liquidi che stimolano i recettori dell’udito, mentre i marcati movimenti del capo inducono movimenti dei liquidi che circondano gli organi dell’equilibrio. I recettori che reagiscono a tali forze fisiche sono meccanorecettori. Il nostro apparato uditivo ci permette di udire una gamma straordinaria di suoni, e i nostri sensibilissimi recettori dell’equilibrio tengono continuamente aggiornato il sistema nervoso sulla posizione e sui movimenti della testa. Senza tali informazioni sarebbe difficile, se non impossibile, mantenere l’equilibrio. Questi due organi di senso sono situati insieme nel-

L’orecchio esterno L’orecchio esterno è costituito dal padiglione auricolare e dal meato uditivo esterno. Il padiglione auricolare è quello che la maggior parte delle persone considera l’«orecchio»: la struttura a forma di conchiglia che circonda l’apertura del condotto uditivo. In molti animali il padiglione auricolare raccoglie le onde sonore e le dirige nel condotto uditivo, ma nell’uomo questa funzione è andata largamente perduta. Il meato uditivo esterno (o condotto uditivo) è un condotto breve e stretto (lungo circa 25 mm e largo circa 6,2 mm) scolpito nell’osso temporale del cranio. Nella sua parete rivestita da cute si trovano le ghiandole ceruminose, che secernono il cerume, giallo e simile a cera, che costituisce un ostacolo viscoso alla penetrazione di corpi estranei e di insetti. Le onde sonore che entrano nel condotto uditivo colpiscono alla fine la membrana timpanica, o timpano, e ne determinano la vibrazione. Il condotto termina a livello del timpano, che separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio. L’orecchio medio L’orecchio medio, o cavità timpanica, è una piccola cavità dell’osso temporale, contenente aria e rivestita da una mucosa. È delimitata lateralmente dal timpano e medialmente da una parete ossea che presenta due aperture: la finestra ovale e, inferiormente, la finestra rotonda chiusa da una membrana. La tuba uditiva decorre obliquamente in basso collegando la cavità dell’orecchio medio con la parte nasale della faringe. Normalmente la tuba uditiva è appiattita e chiusa, ma può aprirsi per breve tempo quando si deglutisce o si sbadiglia, per eguagliare la pressione presente nella cavità dell’orecchio medio con la pressione atmosferica esterna. Questa funzione è importante perché la membrana del timpano vibra liberamente soltanto se la pressione su tutte e due le sue superfici è uguale. Quando la pressione non è uguale, la membrana del timpano sporge verso l’interno o verso l’esterno, provocando difficoltà di udito (le voci possono essere sentite molto lontane) e talvolta dolore alle orecchie.

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7. GLI ORGANI DI SENSO

L’orecchio interno L’orecchio interno è un insieme complicato di cavità ossee, il labirinto osseo, situato in profondità all’interno dell’osso temporale. Le tre parti del labirinto osseo sono la coclea, o chiocciola, delle dimensioni di un pisello e avvolta a spirale, il vestibolo e i canali semicircolari. Il vestibolo è situato tra i canali semicircolari e la chiocciola. Il labirinto osseo contiene un liquido simile al plasma sanguigno: la perilinfa. Sospeso nella perilinfa si trova il labirinto membranoso, un sistema di sacchi membranosi che segue più o meno la forma del labirinto osseo. Il labirinto membranoso contiene a sua volta un liquido più spesso: l’endolinfa.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’infiammazione dell’orecchio medio, l’otite media, è una conseguenza abbastanza comune di una faringite, specialmente nei bambini la cui tuba uditiva ha un decorso più orizzontale. Nell’otite media la membrana del timpano si gonfia e spesso si infiamma. Quando nella cavità si accumula abbondante liquido o pus, può rendersi necessario effettuare una paracentesi timpanica (un’incisione della membrana del timpano) per ridurre la pressione. Si inserisce nel timpano un tubo sottile che permette il drenaggio del pus nel condotto uditivo esterno. Di solito il tubicino cade da solo entro un anno.

La cavità timpanica è attraversata dalle tre ossa più piccole del corpo, gli ossicini dell’udito, che trasmettono le vibrazioni del timpano ai liquidi dell’orecchio interno (vedi figura 7.11). A questi ossicini, per la loro forma, è stato dato il nome di martello, incudine e staffa. La vibrazione del timpano fa muovere il martello, che trasmette la vibrazione all’incudine; questa, a sua volta, trasmette la vibrazione alla staffa, che preme sulla finestra ovale dell’orecchio interno. Il movimento a livello della finestra ovale determina il movimento dei liquidi dell’orecchio interno, stimolando infine i recettori dell’udito.

■■ FACCIAMO IL PUNTO

12. Quale parte (o parti) dell’orecchio (orecchio esterno, medio o interno) serve soltanto per l’udito? 13. Quali strutture dell’orecchio trasmettono le vibrazioni sonore dal timpano alla finestra ovale?

Orecchio medio

Orecchio esterno

Orecchio interno

Nervo vestibolococleare Padiglione auricolare

Canali semicircolari Finestra ovale Coclea (chiocciola) Vestibolo Finestra rotonda

Tuba uditiva

Membrana del timpano Meato uditivo esterno (condotto uditivo)

Martello Incudine Staffa Ossicini dell’udito

Figura 7.11 Anatomia dell’orecchio

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7. GLI ORGANI DI SENSO

6. I meccanismi dell’equilibrio Il senso dell’equilibrio non è facile da descrivere, perché non «vede», non «ode», non «sente». Quello che effettivamente fa è reagire (spesso senza che ce ne rendiamo conto) ai vari movimenti del capo. I recettori dell’equilibrio, indicati nell’insieme come apparato vestibolare, possono essere suddivisi in due rami funzionali, uno responsabile del controllo dell’equilibrio statico, l’altro attivo nell’equilibrio dinamico. L’equilibrio statico All’interno del vestibolo si trovano le macule, recettori che sono essenziali per il nostro senso dell’equilibrio statico (figura 7.12). Le macule segnalano le modificazioni della posizione della testa nello spazio in riferimento alla forza di gravità quando il corpo non è in movimento. Poiché forniscono informazioni concernenti l’indicazione dell’alto e del basso, le macule contribuiscono a farci mantenere eretta la testa; per esempio, sono estremamente importanti per i sommozzatori che nuotano in profondità oscure (nelle quali è assente la maggior parte degli altri spunti per l’orientamento), consentendo loro di conoscere in quale direzione è la superficie (l’alto). Ogni macula è un raggruppamento di cellule recettrici i cui peli sensoriali sono immersi nella membrana otolitica,

una massa gelatinosa contenente minuti cristalli di sali di calcio, gli otoliti. Quando la testa si muove, gli otoliti si spostano e questo determina un movimento della massa gelatinosa, che fa piegare i peli presenti sulle cellule recettrici. In tal modo si attivano i recettori, che inviano stimoli lungo il nervo vestibolare (che è una parte dell’VIII nervo cranico) fino al cervelletto, al quale trasmettono le informazioni relative alla posizione della testa nello spazio. L’equilibrio dinamico I recettori per l’equilibrio dinamico, situati nei canali semicircolari, reagiscono ai movimenti di rotazione del capo anziché ai movimenti in linea retta. Quando ballando fate una piroetta, o quando state male durante un burrascoso giro in barca, questi recettori compiono un lavoro straordinario. I canali semicircolari (che misurano ciascuno circa 1,3 cm di lunghezza) sono orientati nei tre piani dello spazio. Quindi, indipendentemente dal piano in cui ci si muove, ci saranno recettori che rilevano il movimento. All’interno dell’ampolla, una regione dilatata che si trova alla base di ciascun canale semicircolare, è presente una regione recettrice, la cresta ampollare, costituita da un ciuffo di cellule recettrici sovrastate da un rivestimento gelatinoso a forma di cupola, la cupola ampollare (figu-

Membrana otolitica

Forza di gravità Otoliti Cellula recettrice

Sacchi membranosi del vestibolo

Otoliti Membrana otolitica Ciuffo di peli sensoriali Cellula recettrice Cellula di sostegno

Fibre nervose del nervo vestibolare

(a)

Testa eretta

Testa inclinata

(b)

Figura 7.12 Struttura e funzione delle macule (recettori dell’equilibrio statico) (a) Rappresentazione schematica di parte di una macula. (b) Quando la testa viene inclinata, le macule sono stimolate dal movimento degli otoliti nella membrana otolitica gelatinosa nella direzione della forza di gravità, e questo genera una forza sulla superficie delle cellule capellute.

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7. GLI ORGANI DI SENSO Canali semicircolari

Ampolla Endolinfa Flusso dell’endolinfa

Nervo vestibolare

Peli sensoriali Cellula recettrice

Vestibolo Cresta ampollare

Fibre nervose Direzione del movimento del corpo

(a)

(b)

(c)

Figura 7.13 Struttura e funzione della cresta ampollare (regione recettrice dell’equilibrio dinamico) (a) Disposti nei tre piani dello spazio, i canali semicircolari del labirinto membranoso contenuti nei canali semicircolari del labirinto osseo hanno ciascuno alla propria base una porzione dilatata, l’ampolla. (b) Ogni ampolla contiene una cresta ampollare, che è una zona recettrice essenzialmente costituita da un gruppo di cellule capellute i cui peli sensoriali sono inglobati in un cappuccio gelatinoso, la cupola. (c) Quando la posizione della testa si modifica per un movimento rotatorio, l’inerzia determina un ritardo dell’endolinfa nei canali semicircolari e la cupola, nel muoversi, è trascinata contro l’endolinfa, facendo piegare le cellule capellute nella direzione opposta. Questo determina nei neuroni sensitivi un aumento della trasmissione di stimoli. Tale meccanismo si adatta rapidamente se il movimento rotatorio continua a una velocità costante.

ra 7.13). Quando la testa si muove in senso rotatorio, l’endolinfa nel canale semicircolare resta indietro; allora, quando è trascinata contro l’endolinfa relativamente inerte, la cupola si piega, come una porta a vento, con il movimento del corpo. Questo stimola le cellule recettrici e gli stimoli sono trasmessi lungo il nervo vestibolare al cervelletto. Il piegarsi della cupola nella direzione opposta riduce la generazione degli stimoli. Quando vi muovete a velocità costante, i recettori gradualmente smettono di inviare stimoli e non avete più la sensazione del movimento, finché il vostro movimento non cambia di velocità o di direzione. I recettori dei canali semicircolari e quelli del vestibolo sono responsabili rispettivamente dell’equilibrio dinamico e di quello statico, tuttavia essi di solito agiscono insieme. Oltre a questi recettori, anche la vista e i propriocettori dei muscoli e dei tendini sono importanti nell’inviare al cervelletto informazioni per il controllo dell’equilibrio. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

14. In quale senso sono impegnati il vestibolo e i canali semicircolari? 15. Benedetto si sta godendo un giro in barca fino a quando un temporale si abbatte improvvisamente sulla baia. Egli ben presto avverte nausea e può reggersi a malapena. Quali recettori dell’equilibrio, statico o dinamico, sono furiosamente attivi durante un viaggio così burrascoso? 16. Cosa sono gli otoliti, e quale funzione hanno nell’equilibrio?

7. Il meccanismo dell’udito All’interno del dotto cocleare si trova l’organo spirale di Corti, in cui sono situati i recettori dell’udito, le cellule capellute (figura 7.14a a pagina seguente). Gli spazi che stanno sopra e sotto il dotto cocleare contengono perilinfa. Le onde sonore che arrivano alla chiocciola attraverso le vibrazioni del timpano, la catena degli ossicini e la finestra ovale determinano il movimento dei liquidi cocleari (figura 7.15 a pagina 191). Quando le onde sonore sono trasmesse mediante gli ossicini dal timpano alla finestra ovale, la loro forza (ampiezza) viene aumentata dall’azione di leva degli ossicini. In questo modo quasi tutta la forza esercitata sul timpano raggiunge la piccola finestra ovale, che a sua volta provoca il movimento dei fluidi dell’orecchio interno, e queste onde di pressione determinano vibrazioni della membrana basilare. Le cellule recettrici, situate sulla membrana basilare dell’organo spirale di Corti, vengono stimolate quando i loro «peli acustici» si piegano o si distorcono per il movimento della membrana tettoria gelatinosa a essi soprastante (figura 7.14b). Lungo la membrana basilare si estendono fibre che vibrano stimolate da specifiche frequenze (figura 7.15c). Una volta stimolate, le cellule recettrici trasmettono gli stimoli lungo il nervo cocleare (componente dell’VIII nervo cranico, il nervo vestibolococleare) alla corteccia uditiva del lobo temporale, dove avviene l’interpretazione dei suoni, o udito. Poiché il suono di solito giunge alle due orecchie in momenti differenti, potremmo dire che udiamo «in stereofonia». Dal punto di

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7. GLI ORGANI DI SENSO

vista funzionale questo ci consente di stabilire da dove provengono i suoni nell’ambiente circostante. Quando all’orecchio continuano a giungere gli stessi suoni, o toni, i recettori dell’udito tendono ad adattarsi, o a smettere di reagire, a tali suoni e noi non li avvertiamo più. È questa la ragione per cui il rumore di un motore continuamente in funzione dopo pochi secondi non richiama più la nostra attenzione. Tuttavia l’udito è l’ul-

Osso temporale Organo spirale di Corti

Perilinfa nella scala vestibolare Membrana vestibolare Fibre afferenti del nervo cocleare Osso temporale

Dotto cocleare (contenente endolinfa)

Perilinfa nella scala timpanica

(a) Cellule capellute (recettrici) dell’organo di Corti

Membrana basilare

Membrana tettoria

Membrana vestibolare

Fibre del nervo cocleare

Cellule di sostegno

(b) Figura 7.14 Anatomia della chiocciola (a) Sezione trasversale di un giro della chiocciola (o coclea) che illustra la posizione dell’organo spirale di Corti nel dotto cocleare. Le cavità del labirinto osseo contengono perilinfa. Il dotto cocleare contiene endolinfa. (b) Struttura dettagliata dell’organo di Corti. Le cellule recettrici (cellule capellute) poggiano sulla membrana basilare.

timo senso ad abbandonare la nostra coscienza quando ci addormentiamo o siamo sottoposti ad anestesia (o moriamo), ed è il primo a tornare quando ci risvegliamo.

8. I disturbi dell’udito e dell’equilibrio SE L’OMEOSTASI È ALTERATA I bambini con disturbi delle orecchie o difetti dell’udito spesso si portano le mani alle orecchie o non rispondono quando si parla loro. In questi casi si fanno esami con il diapason o test audiometrici per cercare di diagnosticare il disturbo. La sordità è definita come perdita dell’udito di qualunque grado, da una lieve diminuzione alla totale incapacità di udire i suoni. Genericamente parlando, vi sono due tipi di sordità, quella di conduzione e quella neurosensoriale. Si ha una sordità di conduzione transitoria o permanente quando qualcosa interferisce con la conduzione delle vibrazioni sonore fino ai liquidi dell’orecchio interno. La causa può essere semplicemente un tappo di cerume; altre cause possono essere la fusione degli ossicini dell’udito (otosclerosi), la rottura del timpano e l’otite media. La sordità neurosensoriale si verifica quando si ha una degenerazione o una lesione delle cellule recettrici dell’organo spirale di Corti, del nervo cocleare, o dei neuroni della corteccia uditiva. Questo spesso consegue al prolungato ascolto di suoni esageratamente forti. Quindi, mentre la sordità di conduzione è dovuta a fattori meccanici, la sordità neurosensoriale riguarda strutture del sistema nervoso. Una persona che ha una diminuzione dell’udito dovuta a sordità di conduzione sarà ancora in grado di udire attraverso la conduzione ossea, anche se la sua capacità di udire suoni condotti attraverso l’aria (la via normale di conduzione) è diminuita o perduta. Invece le persone con sordità neurosensoriale non sono in grado di udire meglio con nessuna via di conduzione. Le protesi acustiche, che utilizzano le ossa del cranio per condurre le vibrazioni sonore all’orecchio interno, sono di solito molto efficaci nel migliorare l’udito delle persone con sordità di conduzione. Sono meno utili nella sordità neurosensoriale. I disturbi dell’equilibrio sono di solito evidenti. Nausea, capogiri e difficoltà nel mantenere l’equilibrio sono sintomi comuni, soprattutto quando gli stimoli provenienti dall’apparato vestibolare contrastano con quello che vediamo (percezione visiva). Possono inoltre essere presenti movimenti strani (a scatti o rotatori) degli occhi. Una condizione patologica seria dell’orecchio interno è la sindrome di Ménière. La sua causa precisa non è nota, ma si sospettano l’arteriosclerosi, la degenerazione dell’VIII nervo cranico e l’aumento di pressione dei liquidi interni dell’orecchio. Nella sindrome di Ménière si ha una sordità progressiva. Le persone colpite hanno attacchi di nausea e spesso sentono nelle orecchie suoni fragorosi o squillanti, con vertigine (sensazione di movimento rotatorio) così grave da non riuscire a stare in piedi se non con estremo disagio. Per diminuire la sofferenza vengono spesso prescritti farmaci antichinetosici. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

17. A partire dall’aria dell’ambiente esterno, attraverso quali mezzi devono passare le onde sonore per stimolare le cellule recettrici della chiocciola? 18. Quale nervo trasmette all’encefalo gli stimoli dall’organo spirale di Corti? 19. Qual è la differenza tra sordità neurosensoriale e sordità di conduzione?

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7. GLI ORGANI DI SENSO

ORECCHIO ESTERNO Condotto uditivo

Timpano

Martello, incudine, staffa

ORECCHIO INTERNO Liquidi dei canali cocleari Superiore e medio Inferiore

Finestra ovale

Pressione

Padiglione auricolare

ORECCHIO MEDIO

Una vibrazione

Amplificazione nell’orecchio medio

Ampiezza

Stimolazione dell’organo spirale di Corti

(a)

Fibre dei neuroni sensitivi

Scala vestibolare Finestra ovale

Tempo

Perilinfa

Staffa

(b)

Finestra rotonda

Membrana basilare

Scala timpanica

Base

Dotto cocleare

Apice

Lunghezza relativa delle fibre basilari in punti differenti della membrana basilare

(c)

Hz 20 000 (Note alte)

Hz 1500

Hz 500

Hz 20 (Note basse)

Figura 7.15 Percorso delle onde sonore attraverso l’orecchio e attivazione delle cellule capellute cocleari (a) Per stimolare le cellule capellute dell’organo di Corti nell’orecchio interno, le vibrazioni delle onde sonore devono passare attraverso l’aria, le membrane, l’osso e i liquidi. (b) La chiocciola è rappresentata come se fosse srotolata, per rendere più facile seguire gli eventi della trasmissione dei suoni. Le onde sonore a bassa frequenza che sono al di sotto del livello dell’udito percorrono interamente il dotto cocleare senza stimolare le cellule capellute. Ma i suoni a frequenza più elevata determinano onde di pressione che penetrano nel dotto cocleare e nella membrana basilare raggiungendo la scala timpanica. Questo determina la vibrazione della membrana basilare massimamente in punti specifici in risposta a specifiche frequenze dei suoni, stimolando particolari cellule capellute e neuroni sensitivi. La stimolazione differenziale delle cellule capellute è percepita nell’encefalo come suono di una determinata altezza. (c) La lunghezza delle fibre che si estendono attraverso la membrana basilare accorda punti specifici a vibrare a frequenze specifiche. Le note più alte – 20 000 Hertz (Hz) – sono avvertite dalle cellule capellute più corte lungo la base della membrana basilare.

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7. GLI ORGANI DI SENSO

PARTE III I SENSI CHIMICI: GUSTO E OLFATTO I recettori del gusto e dell’olfatto sono classificati come chemiorecettori in quanto reagiscono a sostanze chimiche in soluzione. Sono stati identificati cinque tipi di recettori per il gusto, mentre si ritiene che i recettori olfattivi siano sensibili a una gamma molto più ampia di sostanze chimiche. I recettori per l’olfatto e quelli per il gusto sono gli uni il complemento degli altri e in molti casi rispondono agli stessi stimoli.

9. I recettori olfattivi e il senso dell’olfatto Anche se il nostro senso dell’olfatto è di gran lunga meno acuto di quello di molti altri animali, il naso dell’uomo è ancora molto abile nel cogliere piccole differenze negli odori. Alcune persone traggono vantaggio da questa abilità diventando miscelatori di tè e caffè, profumieri, o assaggiatori di vini. Le migliaia di recettori olfattivi occupano un’area della grandezza di un francobollo nel tetto di ciascuna cavità nasale (figura 7.16). L’aria che entra nelle cavità nasali deve compiere un percorso ad ansa per passare nelle vie respiratorie sottostanti, quindi l’aspirare con il naso, che fa affluire più aria in alto attraverso i recettori olfattivi, intensifica il senso dell’olfatto. Le cellule recettrici dell’olfatto sono neuroni dotati di peli olfattivi, lunghe ciglia che sporgono sulla superficie dell’epitelio nasale e sono costantemente immerse in uno strato di muco secreto dalle ghiandole sottostanti. Quando i recettori olfattivi sono stimolati dalle sostanze dissolte nel muco, trasmettono stimoli lungo i filamenti olfattivi, fascetti di assoni dei neuroni olfattivi che nel-

?

In che modo l’aspirare con il naso aiuta a identificare gli odori?

l’insieme formano il nervo olfattivo (I nervo cranico). Il nervo olfattivo conduce gli stimoli alla corteccia olfattiva dell’encefalo; qui l’odore viene interpretato e ne viene fatta una «istantanea». Le vie olfattive sono strettamente collegate con il sistema limbico (la parte emozionale-viscerale dell’encefalo). Di conseguenza le impressioni olfattive si conservano a lungo e fanno parte dei nostri ricordi e delle nostre emozioni. Per esempio, l’odore di biscotti al cioccolato può ricordarci nostra nonna, e il profumo di un particolare tabacco da pipa può farci pensare a nostro padre. Esistono odori dell’ospedale, odori della scuola, odori dei bambini, odori dei viaggi; l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito. Le nostre reazioni agli odori raramente sono neutre. Certi odori tendono a piacerci o a non piacerci, e noi cambiamo, evitiamo o aggiungiamo odori secondo le nostre preferenze. I recettori olfattivi sono mirabilmente sensibili: bastano poche molecole per attivarli. Come i recettori per l’udito, i neuroni olfattivi tendono ad adattarsi piuttosto rapidamente quando sono esposti a uno stimolo, in questo caso un odore, costante. È questa la ragione per cui una donna dopo un poco non sente più il proprio profumo, ma coglie la fragranza di un profumo diverso su qualcun altro. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Si possono avere deficit sia del gusto sia dell’olfatto, ma la maggior parte delle persone che si rivolgono al medico per una perdita dei sensi chimici ha disturbi dell’olfatto, o anosmia. Per la maggior parte l’anosmia è dovuta a lesioni della testa, a postumi di un’infiammazione della cavità nasale (da raffreddore, allergia, fumo), all’invecchiamento. Alcune malattie dell’encefalo possono annullare il senso dell’olfatto, oppure imitarlo: per esempio, alcuni soggetti affetti da epilessia avvertono aure olfattive (allucinazioni olfattive) immediatamente prima dell’attacco di convulsioni.

Figura 7.16 Localizzazione e composizione cellulare dell’epitelio olfattivo

Bulbo olfattivo Lamina cribrosa dell’etmoide Tratto olfattivo Filamenti olfattivi del nervo olfattivo

Cellula di sostegno Mucosa olfattiva

Strato di muco

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Cellula recettrice olfattiva Peli olfattivi (ciglia)

7. GLI ORGANI DI SENSO

10. I calici gustativi e il senso del gusto Quando sentiamo il sapore delle cose, stiamo in realtà esaminando e valutando in modo profondo il nostro ambiente, e molti considerano il gusto il più piacevole dei nostri sensi speciali. I calici gustativi, recettori specifici del senso del gusto, sono ampiamente distribuiti nella cavità orale. La maggior parte dei circa 10 000 calici gustativi di cui siamo dotati si trova sulla lingua. Alcuni sono sparsi sul palato molle e sulla superficie interna delle guance. La superficie dorsale della lingua è coperta da piccoli rilievi, le papille; i calici gustativi sono situati nella parte laterale delle grandi e rotondeggianti papille circumvallate e alla sommità delle più numerose papille fungiformi (figura 7.17). Le cellule specifiche che reagiscono alle sostanze chimiche disciolte nella saliva sono cellule epiteliali dette cellule gustative; i loro lunghi prolungamenti, i peli gustativi, sporgono nel poro gustativo e, quando sono stimolati, trasmettono gli stimoli all’encefalo. Gli stimoli gustativi sono condotti dai vari calici gustativi alla corteccia gustativa mediante tre nervi cranici: il VII, il IX e il X. Per la loro localizzazione, le cellule dei calici gustativi sono soggette a un considerevole attrito e sono abi-

tualmente danneggiate dai cibi caldi; fortunatamente sono tra le cellule più dinamiche dell’organismo e vengono rimpiazzate ogni sette-dieci giorni per mezzo delle cellule basali (cellule staminali) che si trovano nella parte più profonda dei calici gustativi. Esistono cinque sensazioni gustative fondamentali, ciascuna corrispondente alla stimolazione di uno dei cinque tipi principali di calici gustativi. I recettori per il dolce sono stimolati da sostanze come gli zuccheri, la saccarina, alcuni aminoacidi, alcuni sali di piombo (come quelli che si trovano nella vernice al piombo). I recettori per l’acido reagiscono agli ioni idrogeno (HŒ), cioè all’acidità della soluzione; i recettori per l’amaro reagiscono agli alcaloidi; i recettori per il salato reagiscono agli ioni metallici in soluzione. L’umami («delizioso»), un sapore scoperto dai giapponesi, è una sensazione provocata dall’acido glutamico (un aminoacido), che sembra determinare il «sapore di carne» di una bistecca, e dall’aroma del glutamato monosodico, un additivo alimentare. Storicamente si riteneva che la punta della lingua fosse più sensibile alle sostanze dolci e a quelle salate, le parti laterali alle sostanze acide, la parte posteriore della lingua alle sostanze amare, la faringe all’umami. In realtà vi sono soltanto lievi differenze di localizzazione dei recettori del gusto nelle differenti regioni della lingua, e la

Epitelio della lingua

Epiglottide

Tonsilla palatina

Calice gustativo

Tonsilla linguale

Tessuto connettivo Superficie della lingua

Cellula gustativa

Papilla circumvallata

Cellula basale Fibra nervosa sensitiva

Papille fungiformi

(a)

Calici gustativi

(b)

Peli gustativi (microvilli) che sporgono da un poro gustativo

(c) Figura 7.17 Localizzazione e struttura dei calici gustativi (a) I calici gustativi della lingua sono associati alle papille, che sono piccoli rilievi della mucosa linguale. (b) La sezione di una papilla circumvallata dimostra la posizione dei calici gustativi nella sua parete laterale. (c) Ingrandimento di quattro calici gustativi.

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7. GLI ORGANI DI SENSO

maggior parte dei calici gustativi risponde a due, tre, quattro, o anche tutti e cinque i tipi di sapore. Le preferenze e le avversioni per determinati sapori hanno un preciso ruolo per l’equilibrio del nostro corpo. Una predilezione per lo zucchero e per il sale soddisfa le necessità dell’organismo di carboidrati e minerali. Molti cibi aspri, naturalmente acidi (come arance, limoni, pomodori) sono ricchi di vitamina C, che è una vitamina essenziale. L’umami fa da guida all’assunzione di proteine, e poiché molti veleni naturali e cibi deteriorati sono amari, l’avversione per il gusto amaro costituisce una forma di protezione. Il gusto è influenzato da molti fattori e quello che viene comunemente indicato come il senso del gusto dipende in larga misura dalla stimolazione dei recettori olfattivi da parte degli aromi. Pensate a come è poco invitante il cibo quando le vie nasali sono congestionate per

un raffreddore. Senza il senso dell’olfatto, il caffè del mattino avrebbe semplicemente un gusto amaro. Inoltre la temperatura e la composizione del cibo possono esaltarne o guastarne il gusto. Per esempio, alcune persone non mangiano cibi di costituzione pastosa (come l’avocado) o che siano granulosi (come le pere), e quasi tutti considerano immangiabile un hamburger grasso freddo. I cibi piccanti, come il peperoncino, in realtà stimolano i recettori dolorifici della bocca. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

20. Quale termine si usa per indicare i recettori sia del gusto sia dell’olfatto? Perché? 21. Dov’è localizzata, in rapporto a specifiche strutture, la maggior parte dei calici gustativi? 22. Perché è utile aspirare con il naso le sostanze che state odorando?

PARTE IV ASPETTI DELLO SVILUPPO DEGLI ORGANI DI SENSO Gli organi di senso, che fondamentalmente fanno parte del sistema nervoso, si formano molto precocemente nel corso dello sviluppo embrionale. Per esempio, gli occhi, che sono letteralmente evaginazioni dell’encefalo, cominciano a svilupparsi nella quarta settimana. Tutti gli organi di senso sono funzionanti, in misura maggiore o minore, alla nascita. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA I problemi congeniti degli occhi sono relativamente rari, ma si possono fare alcuni esempi. Lo strabismo è dovuto a forze ineguali esercitate dai muscoli estrinseci dell’occhio, che non consentono al bambino di coordinare i movimenti dei due occhi. In primo luogo si utilizzano degli esercizi per rinforzare i muscoli oculari più deboli, e/o si può coprire l’occhio più forte con una benda per indurre i muscoli più deboli a rinforzarsi. Se questi provvedimenti non danno risultati, si corregge sempre il difetto chirurgicamente, perché se lo si lascia permanere l’encefalo può smettere di riconoscere i segnali provenienti dall’occhio deviato rendendolo funzionalmente cieco. Nel corso della gravidanza le infezioni della madre, in particolare la rosolia, possono portare alla cecità o alla cataratta congenita. Se la madre soffre di gonorrea, una malattia a trasmissione sessuale, gli occhi del bambino possono venire infettati da questi batteri durante il parto; nella congiuntivite che ne consegue, le palpebre sono arrossate ed edematose e vi è secrezione di pus.

Generalmente la vista è l’unico senso speciale che non è pienamente funzionante alla nascita, e sono necessari molti anni di «apprendimento» prima che gli occhi siano completamente maturi. I bulbi oculari continuano a ingrandirsi fino all’età di 8 o 9 anni, mentre il cristallino si accresce per tutta la vita. Alla nascita i bulbi oculari sono corti e tutti i neonati sono ipermetropi. Con l’accrescimento degli occhi questa condizione di solito si corregge da sola. Il neonato vede soltanto nei toni del grigio, i movimenti oculari non sono coordinati e spesso viene

usato un solo occhio alla volta. Poiché le ghiandole lacrimali non sono completamente sviluppate fino a circa due settimane di vita postnatale, in questo periodo il neonato non ha lacrime, anche se può gridare energicamente. All’età di 5 mesi il bambino è in grado di mettere a fuoco gli oggetti nel raggio della sua capacità di presa e di seguire oggetti in movimento, ma l’acuità visiva è ancora scarsa. Per esempio, un oggetto che una persona con vista completamente sviluppata può vedere chiaramente alla distanza di 60 metri deve essere a soli 6 metri di distanza affinché un bambino piccolo lo possa vedere nitidamente. (In questo caso il rapporto dell’acuità visiva è 1/10.) All’età di 5 anni la visione dei colori è bene sviluppata, l’acuità visiva è migliorata con un rapporto di circa 1/1,5 ed è presente la percezione della profondità, per cui il bambino è pronto per cominciare a leggere. Nell’età scolare l’ipermetropia iniziale di solito è già stata sostituita dall’emmetropia. Questa condizione continua fino all’età di circa 40 anni, quando comincia a instaurarsi una presbiopia (letteralmente «vista dei vecchi») che è la conseguenza della diminuzione dell’elasticità del cristallino in rapporto all’invecchiamento. Questa condizione rende difficile la messa a fuoco per la visione da vicino, fondamentalmente come l’ipermetropia. Una persona che per leggere il giornale lo tiene distante con le braccia tese è l’esempio più comune di questa modificazione della vista dovuta all’età. Con l’invecchiamento le ghiandole lacrimali diventano meno attive e gli occhi tendono a essere secchi e più soggetti a infezioni batteriche e irritazioni. Il cristallino perde la sua trasparenza e diviene opaco. Di conseguenza comincia a causare dispersione della luce provocando fenomeni di abbagliamento pericolosi durante la guida notturna. Il muscolo dilatatore della pupilla diviene meno

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efficiente, quindi le pupille sono sempre piuttosto ristrette. Queste ultime due condizioni insieme determinano una riduzione della quantità di luce che arriva alla retina e l’acuità visiva è marcatamente diminuita dopo i 70 anni di età. Oltre a queste modificazioni, le persone anziane sono soggette a determinate condizioni che possono portare alla cecità, come il glaucoma, la cataratta, la degenerazione maculare, l’arteriosclerosi e il diabete. Un neonato è in grado di udire dopo il suo primo grido, ma le prime risposte ai suoni sono per la maggior parte riflesse: per esempio, gridando e stringendo le palpebre in risposta a un rumore forte. All’età di 3 o 4 mesi il bambino è in grado di localizzare i rumori e gira la testa al suono delle voci dei familiari. Il bambino che fa i primi passi ascolta attentamente poiché comincia a imitare i suoni, e le buone abilità di linguaggio sono molto strettamente legate alla capacità di udire bene. Con l’eccezione dell’infiammazione dell’orecchio (otite) conseguente a infezioni batteriche o allergie, pochi disturbi colpiscono le orecchie durante l’infanzia e la vita adulta. Tuttavia verso i 60 anni di età inizia un graduale deterioramento e l’atrofia dell’organo spirale di Corti, che porta a un difetto della capacità di udire i toni alti e i suoni della conversazione. In alcuni casi si ha la fusione degli ossicini (otosclerosi), e questo aumenta i problemi dell’udito interferendo con la conduzione dei suoni all’orecchio interno. Molte persone anziane, che si rifiutano di ammettere la perdita dell’udito e non vogliono usare un apparecchio acustico, fanno sempre più affidamento sulla vista per avere indicazioni su quello che accade loro attorno e possono essere rimproverate di ignorare gli altri. Un tempo considerata un disturbo dell’età senile, la sordità sta diventando molto più frequente in persone più

giovani perché il nostro mondo diviene di giorno in giorno più rumoroso. I danni provocati da suoni esageratamente alti sono progressivi e si accumulano. La musica suonata e ascoltata a livelli assordanti è certamente un fattore che contribuisce al deterioramento dei recettori dell’udito. I sensi chimici, gusto e olfatto, alla nascita sono spiccati e ai bambini piacciono cibi che gli adulti considerano insipidi o privi di sapore. Alcuni ricercatori sostengono che il senso dell’olfatto è altrettanto importante del senso del tatto nel guidare il neonato al seno della madre. Tuttavia i bambini molto piccoli sembrano indifferenti agli odori e, nel crescere, le loro risposte emozionali a specifici odori aumentano. Sembrano essere pochi i problemi concernenti i sensi chimici durante l’infanzia e la giovane età adulta. A cominciare tra i 40 e i 50 anni di età, le nostre capacità del gusto e dell’olfatto diminuiscono, e ciò rispecchia la graduale riduzione del numero di queste cellule recettrici. Quasi la metà delle persone di età superiore agli 80 anni non ha assolutamente il senso dell’olfatto e ha scarso senso del gusto. Si può spiegare in tal modo la loro mancata attenzione agli odori prima considerati sgradevoli, la loro frequente preferenza per i cibi molto conditi (anche se non necessariamente piccanti) e in taluni casi la quasi totale perdita dell’appetito. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

23. La signora Verdi, cinquantenne, si lamenta di non poter leggere il giornale senza tenerlo distante per tutta la lunghezza delle braccia. Qual è il nome del suo disturbo? 24. Quale tra i sensi speciali è quello meno maturo alla nascita?

■■■ RIASSUNTO PARTE I. L’OCCHIO E LA VISTA (pp. 176-186)

1. Strutture accessorie dell’occhio: a) I muscoli estrinseci dell’occhio agiscono sui bulbi oculari per seguire oggetti in movimento e per la convergenza. b) L’apparato lacrimale è costituito da una serie di dotti lacrimali e dalle ghiandole lacrimali, le quali secernono una soluzione salina che deterge e lubrifica il bulbo oculare. c) Le palpebre proteggono gli occhi. Alle ciglia sono associate le ghiandole ciliari (ghiandole sudoripare modificate) e le ghiandole tarsali (che producono un secreto lipidico che contribuisce a mantenere la lubrificazione del bulbo oculare). d) La congiuntiva è una mucosa che riveste la parte anteriore del bulbo oculare e la superficie interna delle palpebre. Produce muco, che agisce da lubrificante. 2. Il bulbo oculare è costituito da tre tonache. a) La sclera forma la maggior parte della robusta tonaca

esterna, fibrosa, che ha funzione protettiva. La parte anteriore è la cornea, trasparente per consentire l’ingresso della luce nell’occhio. b) La tonaca vascolare, intermedia, provvede alla nutrizione delle strutture interne dell’occhio. La sua parte posteriore, la coroide, è pigmentata e impedisce la dispersione della luce nell’occhio. Le modificazioni della parte anteriore comprendono due strutture muscolari lisce: il corpo ciliare e l’iride (che regola l’ampiezza della pupilla). c) La tonaca sensoriale è costituita dalla retina formata da due strati: l’epitelio pigmentato e lo strato più interno (nervoso) contenente i fotorecettori. I bastoncelli sono i recettori per la luce fioca. I coni sono i recettori da cui dipendono la visione a colori e l’elevata acuità visiva. La fovea centrale, in cui avviene la messa a fuoco acuta, contiene soltanto coni. 3. Il punto cieco (papilla del nervo ottico) è il punto in cui il nervo ottico lascia la parte posteriore del bulbo oculare.

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4. Il cristallino è il più importante organo di rifrazione dell’occhio. La sua convessità aumenta ad opera del corpo ciliare per la messa a fuoco da vicino. Anteriormente al cristallino si trova l’umore acqueo, posteriormente al cristallino il corpo vitreo. Entrambi questi mezzi rinforzano internamente l’occhio. L’umore acqueo provvede anche alla nutrizione del cristallino e della cornea, che sono privi di vasi. 5. I difetti di rifrazione comprendono la miopia, l’ipermetropia, l’astigmatismo; tutti possono essere corretti con lenti speciali. 6. Il percorso della luce nell’occhio è: cornea n umore acqueo n (attraverso la pupilla) n umore acqueo n cristallino n corpo vitreo n retina. 7. La sovrapposizione dei campi visivi e il fatto che da entrambi gli occhi arrivino stimoli alla corteccia visiva di ciascun lato consentono la percezione della profondità. 8. Il percorso degli stimoli nervosi che partono dalla retina è: nervo ottico n chiasma ottico n tratto ottico n talamo n radiazione ottica n corteccia visiva nel lobo occipitale del cervello. 9. I riflessi oculari sono il riflesso pupillare alla luce, il riflesso pupillare di accomodazione e il riflesso di convergenza. PARTE II. L’ORECCHIO: UDITO ED EQUILIBRIO (pp. 186-191)

1. L’orecchio è suddiviso in tre parti principali. a) Le strutture dell’orecchio esterno sono il padiglione auricolare, il meato uditivo esterno e la membrana del timpano. I suoni che entrano nel meato uditivo esterno fanno vibrare il timpano. Queste strutture sono impegnate soltanto nella trasmissione dei suoni. b) L’orecchio medio è la cavità del timpano; le sue strutture sono gli ossicini dell’udito e la tuba uditiva. Gli ossicini trasmettono le vibrazioni dal timpano alla finestra ovale. La tuba uditiva consente di eguagliare la pressione ai due lati del timpano. Tutte queste strutture sono impegnate soltanto nella trasmissione dei suoni. c) L’orecchio interno, o labirinto osseo, è costituito da cavità (chiocciola, vestibolo, canali semicircolari) contenute nell’osso temporale. Il labirinto osseo contiene perilinfa e sacchi membranosi al cui interno si trova endolinfa. All’interno dei sacchi membranosi del vestibolo e dei canali semicircolari sono situati i recettori per l’equilibrio. I recettori per l’udito sono situati all’interno della chiocciola membranosa. 2. I recettori dei canali semicircolari (creste ampollari) sono recettori per l’equilibrio dinamico, che reagiscono ai movimenti rotatori del corpo. I recettori del vestibolo (macule) sono recettori per l’equilibrio statico, che reagiscono alla forza di gravità e mandano informazioni sulla posizione della testa. Per un equilibrio normale sono necessarie anche le informazioni visive e quelle dei propriocettori. 3. I sintomi dei disturbi dell’apparato dell’equilibrio comprendono: rotazione involontaria degli occhi, nausea, vertigini e incapacità di mantenere la posizione eretta.

4. Le cellule capellute dell’organo spirale di Corti (che sono i recettori per l’udito situati all’interno della coclea) sono stimolate dalle vibrazioni sonore trasmesse attraverso l’aria, le membrane, l’osso e i liquidi. 5. La sordità è la perdita dell’udito di qualunque grado. Si ha sordità di conduzione quando è ostacolata la trasmissione delle vibrazioni sonore attraverso l’orecchio esterno e quello medio. Si ha sordità neurosensoriale quando sono danneggiate le strutture del sistema nervoso implicate nell’udito. PARTE III. I SENSI CHIMICI: GUSTO E OLFATTO (pp. 192-194)

1. Per stimolare i recettori del gusto e dell’olfatto le sostanze chimiche devono essere in soluzione acquosa. 2. I recettori olfattivi sono localizzati nella volta di ciascuna cavità nasale. L’aspirare con il naso aiuta a fare arrivare più aria (contenente gli odori) alla mucosa olfattiva. 3. Le vie olfattive sono strettamente connesse con il sistema limbico; gli odori stimolano l’evocazione di ricordi e suscitano risposte emozionali. 4. Le cellule gustative sono localizzate nei calici gustativi, situati soprattutto sulla lingua. Le cinque principali sensazioni gustative sono: dolce, salato, acido, amaro e umami. 5. Sul gusto e sull’apprezzamento dei cibi influiscono il senso dell’olfatto, la temperatura e la costituzione degli alimenti. PARTE IV. ASPETTI DELLO SVILUPPO DEGLI ORGANI DI SENSO (pp. 194-195)

1. Gli organi di senso si formano precocemente durante lo sviluppo embrionale. Infezioni della madre nel corso delle prime cinque o sei settimane di gravidanza possono essere causa di anomalie dell’apparato visivo e anche di sordità neurosensoriale nell’embrione che si sta sviluppando. Un importante problema congenito degli occhi è lo strabismo. Il più importante problema congenito dell’orecchio è l’assenza del meato uditivo esterno. 2. La visione è il senso speciale che richiede il maggiore apprendimento. Il bambino ha una scarsa acuità visiva (è ipermetrope) e alla nascita non ha la visione dei colori né la percezione della profondità. L’occhio continua ad accrescersi e a maturare fino agli 8 o 9 anni di età. 3. I problemi dell’invecchiamento associati alla vista comprendono la presbiopia, il glaucoma, la cataratta e l’arteriosclerosi dei vasi sanguigni dell’occhio. 4. Il neonato è in grado di udire i suoni, ma inizialmente le risposte sono riflesse. Allo stadio in cui comincia a camminare, il bambino ascolta attentamente e comincia a imitare i suoni poiché inizia lo sviluppo del linguaggio. 5. La sordità neurosensoriale (presbiacusia) è una conseguenza normale dell’invecchiamento. 6. Il gusto e l’olfatto sono molto acuti alla nascita e la loro sensibilità diminuisce dopo i 40 anni di età, poiché si riduce il numero dei recettori olfattivi e gustativi.

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7. GLI ORGANI DI SENSO

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. Le cellule gustative sono a) neuroni bipolari b) neuroni multipolari c) neuroni unipolari d) cellule epiteliali 2. Gli alcaloidi stimolano i peli gustativi soprattutto a livello a) della punta della lingua b) della parte posteriore della lingua c) delle papille circumvallate d) delle papille fungiformi 3. Quali sono i nervi cranici che trasmettono stimoli gustativi? a) il trigemino b) il facciale c) l’ipoglosso d) il glossofaringeo 4. Nella messa a fuoco per la visione da lontano a) il cristallino è appiattito al massimo b) i muscoli ciliari si contraggono c) i raggi luminosi sono quasi paralleli d) le fibre di sospensione della zonula ciliare sono allentate 5. La convergenza a) richiede la contrazione del muscolo retto mediale di entrambi gli occhi b) è necessaria per la visione da vicino c) comporta la trasmissione di stimoli lungo il nervo abducente d) può determinare affaticamento degli occhi 6. Quali tra i seguenti sono appaiamenti errati? a) dotto cocleare – cupola b) vestibolo – macula c) ampolla – otoliti d) canale semicircolare – ampolla 7. I peli sensoriali delle cellule capellute dell’organo di Corti si piegano per il movimento della membrana a) timpanica b) tettoria c) basilare d) vestibolare 8. I suoni che entrano nel meato uditivo esterno sono alla fine convertiti in stimoli nervosi attraverso una catena di eventi che comprende a) la vibrazione del timpano b) il movimento di vibrazione degli ossicini contro la finestra rotonda c) la stimolazione delle cellule capellute dell’organo di Corti d) la risonanza della cupola Rispondi in cinque righe.

9. Indica il nome di tre strutture accessorie dell’occhio che contribuiscono a lubrificare il bulbo oculare e indica il nome del secreto di ciascuna.

10. Perché dopo avere pianto ci si deve soffiare spesso il naso? 11. Fai uno schema e indica le strutture interne dell’occhio, precisando la funzione principale di ciascuna. 12. Indica il nome dei muscoli estrinseci dell’occhio che ti consentono di dirigere lo sguardo. 13. Localizza e descrivi le funzioni dei due umori interni dell’occhio. 14. Cos’è il punto cieco, e perché ha questo nome? 15. Qual è la struttura che regola l’ingresso della luce nell’occhio? 16. Cos’è la fovea centrale, e perché è importante? 17. Traccia il percorso della luce dal momento in cui colpisce la cornea fino a quando stimola i bastoncelli e i coni. 18. Traccia il percorso degli stimoli nervosi dai fotorecettori della retina fino alla corteccia visiva dell’encefalo. 19. Dai la definizione di ipermetropia, miopia ed emmetropia. 20. Perché nell’invecchiare molte persone diventano presbiti? A quale delle condizioni indicate nella domanda 19 la presbiopia assomiglia di più? 21. Esistono soltanto tre tipi di coni. Come si spiega il fatto che vediamo un numero maggiore di colori? 22. Perché è importante un esame oftalmoscopico? 23. A molti studenti che devono affannarsi con montagne di lezioni da studiare viene detto che hanno bisogno di occhiali per evitare l’affaticamento degli occhi. Perché i muscoli estrinseci e quelli intrinseci degli occhi si affaticano di più osservando oggetti vicini che oggetti lontani? 24. Indica il nome delle strutture dell’orecchio esterno, medio e interno, precisando di ciascuna struttura, o gruppo di strutture, la funzione generale. 25. Le onde sonore che colpiscono il timpano lo fanno vibrare. Traccia il percorso delle vibrazioni dal timpano all’organo spirale di Corti, dove vengono stimolate le cellule capellute. 26. Indica due cause della sordità di conduzione. 27. L’equilibrio normale dipende dalle informazioni trasmesse da diversi tipi di recettori di senso: indicane almeno tre. 28. Qual è il nome dei recettori per il gusto? 29. Indica il nome delle cinque principali sensazioni gustative. 30. Dove sono localizzati i recettori per l’olfatto, e perché questa sede è poco adatta alla loro funzione? 31. Descrivi gli effetti o le conseguenze dell’invecchiamento sugli organi di senso. 32. Quale tra i sensi speciali richiede il maggiore apprendimento?

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7. GLI ORGANI DI SENSO

■■■ VERSO LE COMPETENZE 33. Uno studente di ingegneria ha lavorato in una discoteca per guadagnare i soldi per pagarsi gli studi. Dopo circa otto mesi nota di avere problemi nell’udire i toni alti. Qual è in questo caso il rapporto tra causa ed effetto? 34. Nove bambini che frequentano lo stesso asilo presentano occhi e palpebre arrossati e infiammati. Qual è la causa più probabile di questa situazione e come è denominata? 35. Il dottor Bianchi ha usato uno strumento per esercitare una pressione sull’occhio del signor Verdi nel corso dell’annuale esame medico in occasione del suo sessantesimo compleanno. L’occhio si è deformato molto poco, indicando una pressione intraoculare troppo elevata. Di cosa soffre probabilmente il signor Verdi? 36. Leonardo ha subito la rottura di un’arteria nella fossa cranica media e una raccolta di sangue ha determinato la compressione del suo tratto ottico sinistro, distruggendone gli assoni. Quale parte del campo visivo è divenuta cieca? 37. La signora Rossi ha 70 anni ed è stata di recente operata per otosclerosi, ma l’intervento è stato un insuccesso e non ha migliorato le sue condizioni. Quale era lo scopo

dell’intervento e cosa esattamente si proponeva di ottenere? 38. Gianna viene indirizzata alla clinica oculistica dal suo insegnante che sospetta abbia bisogno di occhiali. La visita dimostra che Gianna è miope. Le serviranno lenti concave o convesse, e perché? 39. Nelle notti stellate a Giulia e a suo padre piaceva riconoscere in cielo le costellazioni. Una sera Giulia entrò in casa di corsa e sussurrò eccitata alla madre: «Mamma, ho dei poteri speciali! Quando guardo fisso una stella, quella scompare!» Cosa stava accadendo? 40. Durante una visita a New York Caterina si reca sul terrazzo del Rockfeller Building; scendendo al primo piano con l’ascensore ad alta velocità, quando l’ascensore si è fermato, ha avuto la sensazione di «continuare ad andare». Come si spiega la sua sensazione? 41. La signora Giovanna, che ha una malattia immunitaria che le provoca secchezza della bocca, si lamenta con il medico di avere perso il senso del gusto. Come si potrebbe spiegare la sua sintomatologia?

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

Non è necessario guardare un film poliziesco per trovare una rappresentazione piena di avventure emozionanti. Le cellule del nostro organismo hanno continuamente avventure straordinarie a livello microscopico. Per esempio, quando le molecole di insulina, trasportate passivamente nel sangue, escono dal circolo sanguigno e si legano saldamente ai recettori proteici delle cellule, la risposta è sensazionale: le molecole di glucosio presenti nel sangue cominciano a scomparire entrando nelle cellule e l’attività cellulare viene accelerata. Di questa portata è il potere del secondo grande sistema di regolazione dell’organismo: l’apparato endocrino. Insieme al sistema nervoso, questo apparato coordina e dirige le attività delle cellule. Tuttavia la velocità della regolazione in questi due grandi sistemi di controllo è molto differente. Il sistema nervoso è «fatto per essere veloce»; utilizza stimoli nervosi per attivare immediatamente muscoli e ghiandole, affinché si possano attuare rapidi aggiustamenti in risposta a modificazioni che avvengono sia all’interno sia all’esterno dell’organismo. Al contrario, l’apparato endocrino, che agisce più lentamente, impiega messaggeri chimici, gli ormoni, che vengono immessi nel sangue per essere comodamente trasportati in tutto l’organismo. Gli ormoni hanno effetti molto estesi, ma esercitano principalmente il controllo sulla riproduzione, l’accrescimento e lo sviluppo, l’attivazione delle difese dell’organismo contro agenti di stress, la conservazione dell’equilibrio degli elettroliti, dell’acqua e delle sostanze nutritizie nel sangue, la regolazione del metabolismo cellulare e dell’equilibrio energetico. Come si può vedere, l’apparato endocrino regola processi che proseguono per periodi relativamente lunghi e, in alcuni casi, in modo continuo. La branca della medicina che studia gli ormoni e gli organi endocrini è l’endocrinologia.

1. L’apparato endocrino e la funzione degli ormoni: concetti generali In confronto agli altri organi del corpo, quelli che compongono l’apparato endocrino sono piccoli e apparentemente insignificanti. Infatti, per mettere insieme 1 chilogrammo di tessuto endocrino, dovreste accumulare tutto il tessuto endocrino di otto o nove persone adulte! Inoltre, l’apparato endocrino non presenta la continuità strutturale o anatomica caratteristica della maggior parte degli apparati. Al contrario, piccoli frammenti o parti di tessuto endocrino sono sparsi in regioni assai diverse del corpo (vedi figura 8.3). Dal punto di vista funzionale, tuttavia, gli organi endocrini sono sbalorditivi, e quando si considera il loro ruolo nel mantenere l’omeostasi dell’organismo sono veri e propri giganti.

La chimica degli ormoni La chiave dell’incredibile efficacia delle ghiandole endocrine è costituita dagli ormoni che esse producono e secernono. Gli ormoni possono essere definiti come sostanze che sono secrete dalle cellule endocrine nei liquidi extracellulari e che regolano le attività metaboliche di altre cellule dell’organismo. Gli ormoni prodotti sono molti e differenti, ma quasi tutti possono essere classificati dal punto di vista chimico o come molecole basate su aminoacidi (tra cui proteine, peptidi e amine) o come steroidi. Gli ormoni steroidi (formati a partire dal colesterolo) comprendono gli ormoni sessuali prodotti dalle gonadi (ovaie e testicoli) e gli ormoni prodotti dalla corticale surrenale. Tutti gli altri ormoni sono derivati da aminoacidi. Se consideriamo anche gli ormoni locali detti prostaglandine, che descriveremo più avanti in questo capitolo (vedi tabella 8.2), dobbiamo aggiungere una terza classe chimica, poiché le prostaglandine sono formate da lipidi molto attivi liberati da quasi tutte le membrane cellulari. I meccanismi d’azione degli ormoni Gli ormoni che circolano nel sangue si distribuiscono a tutti gli organi del corpo, ma un ormone specifico agisce soltanto su certe cellule o tessuti, detti cellule bersaglio o tessuti bersaglio. Affinché una cellula bersaglio risponda a un ormone devono essere presenti sulla sua membrana plasmatica o al suo interno specifici recettori proteici ai quali quell’ormone possa legarsi. L’ormone può agire sulle attività della cellula solo se avviene questo legame. Il termine ormone deriva da una parola greca che significa «mettere in moto»; in effetti è proprio questo che gli ormoni fanno. Esercitano la loro azione sulle cellule, cioè le stimolano, principalmente modificando l’attività cellulare, vale a dire aumentando o diminuendo il ritmo di un processo metabolico normale o abituale, piuttosto che inducendone uno nuovo. Le esatte modificazioni che fanno seguito al legame dell’ormone al recettore dipendono dall’ormone specifico e dal tipo di cellula bersaglio, ma di regola si verificano uno o più degli eventi seguenti: 1. Modificazioni della permeabilità o dello stato elettrico della membrana plasmatica 2. Sintesi, da parte della cellula, di proteine o di determinate molecole regolatrici (come gli enzimi) 3. Attivazione o inattivazione di enzimi 4. Induzione della mitosi 5. Stimolazione di attività secretoria

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

?

Che cosa determina se un ormone agirà su una data cellula dell’organismo?

Ormone steroide

Nucleo

Citoplasma 1

Recettore proteico

2

Ormone non steroide (primo messaggero)

Citoplasma

Enzima 3

ATP

Complesso ormone-recettore

4

3

1 2

DNA

cAMP mRNA

5

Nuova proteina Membrana plasmatica della cellula bersaglio

Secondo messaggero

Recettore proteico

Membrana plasmatica della cellula bersaglio

6

4 Effetto su una funzione della cellula, come la scissione del glicogeno

(b) Azione degli ormoni non steroidi

(a) Azione degli ormoni steroidi Figura 8.1 Meccanismi d’azione degli ormoni

(a) Attivazione diretta di geni: meccanismo degli ormoni steroidi. (b) Un sistema del secondo messaggero: meccanismo degli ormoni non steroidi (ormoni basati su aminoacidi).

L’attivazione diretta di geni Nonostante la grande varietà degli ormoni, esistono in realtà soltanto due meccanismi con cui gli ormoni inducono modificazioni nelle cellule. Gli ormoni steroidi (e, stranamente, l’ormone tiroideo) utilizzano il meccanismo illustrato nella figura 8.1a. Essendo molecole liposolubili, gli ormoni steroidi possono (1) attraversare la membrana plasmatica delle cellule bersaglio. Una volta all’interno della cellula, gli ormoni steroidi (2) entrano nel nucleo e (3) si legano qui a uno specifico recettore proteico. Poi il complesso ormone-recettore (4) si lega a siti specifici sul DNA della cellula, (5) attivando determinati geni a trascrivere RNA messaggero. L’mRNA (6) viene poi tradotto nel citoplasma, portando alla sintesi di nuove proteine. Il sistema del secondo messaggero Gli ormoni non steroidi (proteici o peptidici) idrosolubili non sono in grado di entrare nelle cellule bersaglio. Si legano invece a recettori situati sulla membrana plasmatica della cellula bersaglio e utilizzano un sistema del secondo messaggero. In questo caso (figura 8.1b) (1) l’ormone si lega al recettore di membrana e (2) il recettore attivato avvia una serie di reazioni (una cascata) che attiva un enzima. A sua volta (3) l’enzima catalizza reazioni

che producono molecole di un secondo messaggero (in questo caso AMP ciclico o cAMP, adenosinmonofosfato ciclico) il quale (4) sovrintende a ulteriori modificazioni intracellulari che promuovono la risposta tipica della cellula bersaglio all’ormone. Esistono prevedibilmente numerosi secondi messaggeri (tra cui il guanosinmonofosfato ciclico, cGMP, e gli ioni calcio) e molte possibili risposte delle cellule bersaglio allo stesso ormone, a seconda del tipo di tessuto stimolato. La regolazione della liberazione degli ormoni Ora che abbiamo spiegato come agiscono gli ormoni, ci poniamo la domanda: «Cosa induce le ghiandole endocrine a liberare o non liberare i loro ormoni?» Vediamo. I meccanismi di feedback negativo sono il mezzo principale di regolazione del livello ematico di quasi tutti gli ormoni (vedi «I meccanismi di controllo omeostatico», p. 9). In questi sistemi la secrezione dell’ormone è stimolata da qualche stimolo interno o esterno; l’aumento del livello dell’ormone ne inibisce poi l’ulteriore liberazione (anche mentre induce risposte negli organi bersaglio). Di conseguenza il livello di molti ormoni nel sangue varia soltanto entro limiti molto ristretti.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

molare la liberazione di ormoni e sono detti stimoli umorali per distinguerli da quelli ormonali, che pure sono dovuti a sostanze presenti nel sangue. Il termine umorale fa riferimento all’antico uso della parola umore per indicare i vari liquidi del corpo (sangue, bile, ecc.). Per esempio, la liberazione dell’ormone paratiroideo (PTH) da parte delle cellule delle paratiroidi è stimolata dalla diminuzione del livello ematico del calcio. Poiché il PTH agisce in diversi modi per invertire tale diminuzione, il livello di Ca2Œ nel sangue aumenta rapidamente, facendo cessare lo stimolo per la liberazione del PTH (figura 8.2b). Altri ormoni liberati in risposta a stimoli umorali sono la calcitonina, prodotta dalla tiroide, e l’insulina, prodotta dal pancreas.

La stimolazione delle ghiandole endocrine Gli stimoli che attivano gli organi endocrini rientrano in tre categorie principali: ormonali, umorali e nervosi (figura 8.2).

• Gli stimoli ormonali, in cui gli organi endocrini sono attivati da altri ormoni, sono gli stimoli più comuni. Per esempio, gli ormoni dell’ipotalamo stimolano la parte anteriore dell’ipofisi a secernere i suoi ormoni, molti dei quali stimolano altri organi endocrini a immettere i loro ormoni nel sangue (figura 8.2a). Quando gli ormoni prodotti dall’ultima ghiandola bersaglio aumentano nel sangue, agiscono a feedback inibendo la liberazione degli ormoni dell’ipofisi anteriore e in tal modo anche la propria liberazione. La liberazione degli ormoni indotta con questo meccanismo tende a essere ritmica, con il ripetersi dell’aumento e della diminuzione del livello dell’ormone nel sangue.

• Gli stimoli nervosi inducono una risposta nelle cellule bersaglio in casi isolati, quando la liberazione di ormoni è stimolata da fibre nervose. L’esempio classico è la stimolazione della midollare surrenale da parte del

• Gli stimoli umorali sono variazioni del livello ematico di certi ioni e sostanze nutritizie che possono sti-

1 L’ipotalamo secerne ormoni che…

1 Nel sangue che circola nei capillari la concentrazione di Ca2+ è bassa, e questo stimola…

Ipotalamo

Capillare (basso livello di Ca2+ nel sangue)

2 …stimolano la parte anteriore dell’ipofisi a secernere ormoni che…

Tiroide

1 Le fibre pregangliari del SNS stimolano le cellule della midollare surrenale… Fibra pregangliare del SNS

Tiroide (vista posteriore)

SNC (midollo spinale)

Parte anteriore dell’ipofisi

Corticale surrenale

Midollare surrenale

Gonade (testicolo) Paratiroidi

Paratiroidi PTH

2 …la secrezione dell’ormone paratiroideo da parte delle paratiroidi Capillare 3 …stimolano altre ghiandole endocrine a secernere ormoni (a) Ormonale

2 …a secernere catecolamine (b) Umorale

(c) Nervoso

Figura 8.2 Stimolazione delle ghiandole endocrine (a) Stimolo ormonale. In questo esempio gli ormoni liberati dall’ipotalamo stimolano la parte anteriore dell’ipofisi a liberare ormoni che stimolano altri organi endocrini a secernere ormoni. (b) Stimolo umorale. La diminuzione del livello del calcio nel sangue induce la liberazione dell’ormone paratiroideo (PTH) da parte delle ghiandole paratiroidi. Il PTH determina un aumento del livello del calcio nel sangue stimolando la liberazione di Ca2Œ dall’osso. Di conseguenza lo stimolo alla secrezione di PTH cessa. (c) Stimolo nervoso. La stimolazione delle cellule della midollare surrenale da parte delle fibre del sistema nervoso simpatico (SNS) induce la liberazione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina) nel sangue.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

sistema nervoso simpatico, che determina la liberazione di noradrenalina e adrenalina nei periodi di stress (figura 8.2c). I tre meccanismi descritti caratterizzano la maggior parte dei sistemi che regolano la liberazione di ormoni, tuttavia non li spiegano affatto tutti, e alcuni organi endocrini rispondono a molti stimoli differenti. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Cos’è un ormone? Cosa significa organo bersaglio? 2. Perché l’AMP ciclico è detto secondo messaggero? 3. Quali sono le tre modalità di stimolazione delle ghiandole endocrine a secernere i loro ormoni?

2. I principali organi endocrini I principali organi endocrini dell’organismo sono l’ipofisi, la tiroide, le paratiroidi, la surrenale, l’epifisi, il timo, il pancreas e le gonadi (ovaie e testicoli) (figura 8.3). Anche l’ipotalamo, che fa parte del sistema nervoso, è annoverato tra gli organi endocrini principali, poiché produce diversi ormoni. La funzione di molte ghiandole che

Epifisi Ipotalamo Ipofisi Tiroide Paratiroidi (alla superficie dorsale della tiroide) Timo Surrenali

Pancreas

Ovaie (nella femmina) Testicoli (nel maschio)

Figura 8.3 Localizzazione dei principali organi endocrini dell’organismo (Le paratiroidi, che in questa figura sono rappresentate alla superficie anteriore della tiroide, sono in realtà situate nella maggior parte dei casi nella sua faccia posteriore.)

producono ormoni (parte anteriore dell’ipofisi, tiroide, paratiroidi e surrenali) è puramente endocrina, mentre la funzione di altre (pancreas) è mista, sia endocrina sia esocrina. Sia le ghiandole endocrine sia quelle esocrine si formano da un epitelio, ma le ghiandole endocrine sono prive di dotti escretori e producono ormoni che versano nel sangue. (Presumibilmente, le ghiandole endocrine hanno una ricchissima vascolarizzazione.) Invece le ghiandole esocrine liberano il loro prodotto alla superficie del corpo, o in cavità del corpo, per mezzo di dotti escretori. Abbiamo già trattato la formazione, le differenze e le somiglianze tra questi due tipi di ghiandole nel capitolo 3. In questo capitolo concentreremo la nostra attenzione soltanto sulle ghiandole endocrine. Oltre alla descrizione più dettagliata degli organi endocrini che forniremo tra breve, un riassunto delle azioni principali dei loro ormoni e dei loro fattori di regolazione è presentato nella tabella 8.1 a pagina 216. L’ipofisi L’ipofisi ha approssimativamente la grandezza di un pisello. È appesa mediante un peduncolo alla superficie inferiore dell’ipotalamo e presenta due lobi funzionalmente distinti: il lobo anteriore (adenoipofisi) formato da tessuto ghiandolare e il lobo posteriore (neuroipofisi) formato da tessuto nervoso. Gli ormoni dell’adenoipofisi Come è illustrato nella figura 8.4 a pagina seguente, sono diversi gli ormoni dell’adenoipofisi che agiscono su molti organi. Due dei sei ormoni dell’adenoipofisi indicati (l’ormone della crescita e la prolattina) esercitano i loro effetti principali su bersagli non endocrini. Gli altri quattro (l’ormone tireotropo, l’ormone adrenocorticotropo e i due ormoni gonadotropi) sono tutti tropine, che stimolano i loro organi bersaglio, anch’essi ghiandole endocrine, a secernere ormoni che a loro volta agiscono su altri organi e tessuti del corpo. Tutti gli ormoni dell’adenoipofisi (1) sono proteine (o peptidi), (2) agiscono attraverso un sistema del secondo messaggero, (3) sono regolati da stimoli ormonali e, nella maggior parte dei casi, da un feedback negativo. L’ormone della crescita (GH, growth hormone) è un ormone metabolico generale. Tuttavia la sua azione principale è rivolta all’accrescimento dei muscoli scheletrici e delle ossa lunghe, e svolge quindi un ruolo importante nel determinare le dimensioni finali dell’organismo. Il GH è un ormone anabolizzante che induce l’utilizzazione degli aminoacidi per la sintesi di proteine e stimola molte cellule bersaglio ad accrescersi e dividersi. Nello stesso tempo determina la scissione dei grassi e la loro utilizzazione a scopi energetici, mentre risparmia il glucosio, contribuendo a mantenere l’omeostasi degli zuccheri nel sangue.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

?

Quale effetto avrebbe sulla secrezione di TSH l’aumento del livello degli ormoni tiroidei nel sangue?

Ipotalamo Ormoni di rilascio nel circolo portale Neuroipofisi

Adenoipofisi

Ormone adrenocorticotropo (ACTH)

Ormone della crescita (GH)

Ossa e muscoli

Prolattina (PRL)

Ghiandole mammarie

Ormone follicolostimolante (FSH) e ormone luteinizzante (LH)

Ormone tireotropo (TSH)

Corticale surrenale

Tiroide Testicoli o ovaie

Figura 8.4 Ormoni dell’adenoipofisi e loro principali organi bersaglio La secrezione degli ormoni dell’adenoipofisi è stimolata da ormoni di rilascio secreti da neuroni dell’ipotalamo. Gli ormoni di rilascio vengono secreti in una rete capillare che si connette attraverso un sistema portale venoso con un secondo letto capillare nel lobo anteriore dell’ipofisi.

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Se non trattati, sia il deficit sia l’eccesso di secrezione di GH possono causare anomalie strutturali. L’iposecrezione di GH nell’infanzia porta al nanismo ipofisario (figura 8.5b). Le proporzioni del corpo sono del tutto normali, ma la persona nell’insieme è una miniatura vivente (con un’altezza massima nell’adulto di circa 120 cm). L’ipersecrezione nell’infanzia porta al gigantismo (figura 8.5a). L’individuo diventa estremamente alto e può raggiungere un’altezza compresa tra i 240 e i 270 cm; anche in questo caso le proporzioni del corpo sono normali. Se l’ipersecrezione si verifica quando l’accrescimento delle ossa lunghe si è concluso, si ha l’acromegalia. Le ossa della faccia, in particolare la mandibola e le creste ossee sottostanti le sopracciglia, si ingrandiscono enormemente, così come i piedi e le mani. L’ingrossamento dei tessuti molli determina grossolanità e deformazione dei lineamenti facciali. La maggior parte dei casi di ipersecrezione degli organi endocrini (l’ipofisi e le altre ghiandole endocrine) è dovuta a tumori dell’organo colpito. Le cellule neoplastiche hanno più o meno la stessa azione delle cellule ghiandolari normali, cioè producono gli ormoni normalmente secreti da quella ghiandola. L’impiego di dosi farmacologiche di GH per annullare alcuni effetti dell’invecchiamento è messo in rilievo nella scheda «Possibili utilizzazioni dell’ormone della crescita» (pagina 206).

La prolattina (PRL) è un ormone proteico strutturalmente simile all’ormone della crescita. Il suo unico bersaglio noto nella specie umana è la ghiandola mammaria. Dopo il parto stimola e mantiene nella madre la produzione del latte. La sua funzione nel maschio non è nota. L’ormone adrenocorticotropo (ACTH) regola l’attività endocrina della parte corticale delle ghiandole surrenali. L’ormone tireostimolante (TSH), detto anche ormone tireotropo (TH), agisce sull’accrescimento e l’attività della tiroide. Gli ormoni gonadotropi regolano l’attività endocrina delle gonadi (ovaie e testicoli). Nella donna, l’ormone follicolostimolante (FSH) stimola lo sviluppo dei follicoli nelle ovaie; intanto che maturano, i follicoli producono estrogeni, e vengono preparati gli oociti per l’ovulazione. Nell’uomo l’FSH stimola lo sviluppo degli spermatozoi nei testicoli. L’ormone luteinizzante (LH) induce l’ovulazione e stimola il follicolo che ha ovulato a produrre progesterone ed estrogeni; nell’uomo l’LH stimola la produzione di testosterone da parte delle cellule interstiziali del testicolo.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

Per saperne di più ■■ POSSIBILI UTILIZZAZIONI DELL’ORMONE DELLA CRESCITA L’ormone della crescita (GH) è stato impiegato a scopo farmacologico fin dalla sua scoperta negli anni 1950. Ottenuto in origine dall’ipofisi di cadaveri, viene ora prodotto per sintesi e somministrato per iniezione. Il GH è ampiamente utilizzato nelle sperimentazioni cliniche, mentre invece il suo impiego come farmaco prescritto è limitato, finché non saranno completamente documentati i suoi effetti utili e dannosi, molti dei quali sono sconcertanti. Il GH è somministrato legalmente a bambini che non lo producono in modo naturale, per consentire loro di crescere ad altezza quasi normale. Purtroppo alcuni medici cedono alle pressioni dei genitori che richiedono la prescrizione del GH a bambini che in realtà lo producono, ma hanno statura molto bassa. Se viene somministrato ad adulti con deficit dell’ormone della crescita, si ha riduzione della massa grassa e incremento della massa magra del corpo, della densità ossea e della massa muscolare. Pare inoltre aumentare l’efficienza e la massa muscolare del cuore, diminuisce il livello del colesterolo nel sangue, aumenta l’efficienza del sistema immunitario e forse migliora l’atteggiamento psicologico. Tali effetti (in particolare quelli che comportano l’aumento della massa muscolare e la diminuzione della massa grassa) hanno determinato l’abuso di GH da parte di culturisti e di atleti, e questa è una delle ragioni per cui permangono severe limitazioni all’uso di questa sostanza. Poiché il GH può anche annullare alcuni effetti dell’invecchiamento, hanno proliferato le cliniche in cui si impiegano iniezioni di GH per ritardare l’invecchiamento. Molte persone cessano in modo naturale di produrre GH dopo i 60 anni di età e questo può spiegare perché il loro rapporto tra massa magra e massa grassa si riduce e la loro cute si assottiglia. Il GH è già il trattamento farmacologico di elezione per divi di Hol-

lywood che invecchiano e hanno terrore di perdere la giovinezza e la vitalità. La somministrazione di GH a pazienti anziani riduce questo declino. Tuttavia alcuni studi clinici dimostrano che la somministrazione di GH ai pazienti anziani non aumenta la forza o la tolleranza all’esercizio fisico, e uno studio accurato di pazienti molto malati delle unità di terapia intensiva (dove il GH è somministrato di routine per riequilibrare il bilancio azotato) ha messo in evidenza che dosi elevate di GH sono associate a un incremento della mortalità. Pertanto le iniziali asserzioni dei mezzi di comunicazione che indicavano il GH come il «filtro della giovinezza» si sono dimostrate pericolosamente ingannevoli; perciò il GH non dovrebbe essere somministrato alle persone molto anziane o ai malati critici. Il GH può giovare ai malati di AIDS. Grazie ai progressi nel campo degli antibiotici, un numero sempre minore di pazienti affetti da AIDS muore per infezioni opportunistiche. Il rovescio della medaglia è che un numero maggiore muore per la perdita di peso indicata come cachessia o grave deperimento organico. È stato dimostrato che le iniezioni di GH

possono effettivamente contrastare la consunzione in corso di AIDS, determinando un incremento della massa magra e un aumento di peso. Nel 1996 la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha ratificato l’impiego del GH per il trattamento di tale deperimento. Il GH non è un farmaco prodigioso, neppure nei casi in cui reca un evidente giovamento. Il trattamento con GH è costoso e ha sgradevoli effetti collaterali. Può provocare ritenzione di liquidi ed edema, dolori articolari e muscolari, aumento della glicemia, intolleranza al glucosio, ginecomastia (aumento di volume delle mammelle nell’uomo). L’ipertensione, l’ipertrofia cardiaca, il diabete e il cancro del colon sono altre possibili conseguenze del GH a dosi elevate, e l’edema e la cefalea compaiono anche con le dosi più basse. Tuttavia si può evitare la maggior parte di questi effetti collaterali mediante dosaggi accuratamente personalizzati. Sui possibili benefici del GH è in corso un’intensa ricerca, che potrebbe mantenere l’attenzione pubblica su questo ormone per gli anni a venire. È sperabile che il suo uso incontrollato non diventi un problema di sanità pubblica.

Può l’ormone della crescita giovare ai pazienti anziani?

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

Gli ormoni della neuroipofisi Il lobo posteriore dell’ipofisi non è una ghiandola endocrina in senso stretto poiché non produce gli ormoni peptidici che immette in circolo. Invece, come abbiamo visto sopra, agisce semplicemente come sede di accumulo degli ormoni prodotti da neuroni ipotalamici. L’ossitocina viene liberata in quantità significative solo durante il parto e nelle donne che allattano. Stimola energiche contrazioni della muscolatura uterina durante le doglie, i rapporti sessuali e l’allattamento al seno. Provoca inoltre la fuoriuscita del latte (riflesso di emissione) nelle donne che allattano. Vengono utilizzati farmaci a base di ossitocina per indurre il travaglio del parto. Il secondo ormone liberato dalla neuroipofisi è l’ormone antidiuretico (ADH). La diuresi è la produzione dell’urina; quindi un antidiuretico è una sostanza che inibisce o impedisce la produzione di urina. L’ADH provoca nei reni un maggiore riassorbimento di acqua dall’urina che si va formando; di conseguenza il volume dell’urina diminuisce e il volume del sangue aumenta. In quantità maggiore l’ADH provoca anche l’aumento della pressione del sangue determinando la costrizione delle arteriole (piccole arterie). Per questo motivo è detto anche vasopressina. L’assunzione di bevande alcoliche inibisce la secrezione di ADH e determina l’emissione di abbondanti quantità di urina. La secchezza della bocca e la sete intensa che si prova «il mattino dopo» sono espressione dell’effetto disidratante dell’alcol.

Tiroide

Cartilagine tiroidea

Arteria carotide comune Istmo della tiroide

Trachea Tronco brachiocefalico

Arteria succlavia sinistra Lobo sinistro della tiroide

Aorta

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’iposecrezione di ADH provoca il diabete insipido, una condizione caratterizzata dall’eccessiva eliminazione di urina. Le persone con questa malattia hanno continuamente sete e bevono quantità enormi di acqua.

(a) Follicoli pieni di colloide

Cellula follicolare

■■ FACCIAMO IL PUNTO

4. Sia l’adenoipofisi sia la neuroipofisi liberano ormoni, ma la neuroipofisi non è una ghiandola endocrina. Cos’è? 5. Quali sono le due importanti differenze tra ghiandole endocrine e ghiandole esocrine? 6. Cosa sono le tropine? 7. Bruno elimina quantità enormi di urina; ha un problema endocrino, ma non è il diabete mellito che si manifesta con un segno simile. Quale può essere il suo problema?

La tiroide La tiroide è una ghiandola endocrina familiare alla maggior parte delle persone, soprattutto perché molti individui obesi attribuiscono la responsabilità del loro peso eccessivo alle loro «ghiandole» (intendendo per tali la tiroide). In realtà l’azione degli ormoni tiroidei sul peso corporeo non è così grande come molti ritengono. La tiroide è situata alla base della parte anteriore del collo, immediatamente sotto al pomo di Adamo. È una ghiandola abbastanza grande, costituita da due lobi uniti da una porzione centrale, l’istmo (figura 8.7a), e produce

(b)

Cellula parafollicolare

Figura 8.7 Anatomia della tiroide (a) Collocazione della tiroide, vista anteriore. (b) Microfotografia della tiroide (‰ 250).

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

due ormoni: l’ormone tiroideo e la calcitonina. La struttura interna della tiroide è formata da follicoli cavi, in cui si accumula una sostanza colloide viscosa (figura 8.7b). L’ormone tiroideo deriva da questo materiale colloide. L’ormone tiroideo, indicato spesso come il principale ormone che regola il metabolismo, in realtà consta di due ormoni attivi contenenti iodio: la tiroxina o T4 e la triiodotironina o T3. La tiroxina è il principale ormone secreto dai follicoli tiroidei. La maggior parte della triiodotironina si forma a livello dei tessuti bersaglio per conversione della tiroxina in triiodotironina. Questi due ormoni sono molto simili, ciascuno è formato da due molecole dell’aminoacido tirosina unite insieme, ma la tiroxina ha legati quattro atomi di iodio, mentre la triiodotironina ne ha tre (quindi, rispettivamente, T4 e T3). L’ormone tiroideo regola la velocità con cui il glucosio viene ossidato e convertito in calore corporeo ed energia chimica. Poiché tutte le cellule dell’organismo dipendono da un continuo apporto di energia chimica per alimentare le loro attività, ogni cellula dell’organismo è un bersaglio. Inoltre l’ormone tiroideo è importante per il normale accrescimento e sviluppo dei tessuti, in particolare nell’apparato genitale e nel sistema nervoso. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Senza iodio non possono essere prodotti ormoni tiroidei attivi. La fonte dello iodio è la dieta, e il cibo più ricco di iodio è il pesce. Anni fa molte persone che vivevano negli stati mediooccidentali degli Stati Uniti, in zone con terreno carente di iodio e lontane dalla costa (e quindi dall’approvvigionamento di pesce fresco), presentavano un gozzo. Quella regione del paese divenne nota come goiter belt («fascia gozzigena»). Il gozzo è un ingrossamento della tiroide (figura 8.8) che compare quando la dieta è carente di iodio. Il TSH continua a stimolare la produzione di tiroxina e la tiroide si ingrandisce, ma in assenza di iodio produce soltanto la parte peptidica dell’ormone, che non è attiva, e quindi non è in grado di determinare il feedback negativo che inibisce la liberazione del TSH. Oggi il gozzo semplice non è frequente negli Stati Uniti, poiché la maggior parte del sale è iodato, però è ancora un problema in alcune altre zone del mondo. L’iposecrezione di tiroxina può indicare condizioni differenti dalla carenza di iodio, come l’assenza di stimolazione da parte del TSH. Se questo si verifica precocemente nell’infanzia, la conseguenza è il cretinismo, che causa un nanismo in cui l’organismo adulto conserva proporzioni simili a quelle del bambino. La testa e il tronco insieme hanno una lunghezza pari a una volta e mezza la misura degli arti inferiori, invece che una lunghezza approssimativamente uguale, come negli adulti normali. Il cretinismo non trattato comporta ritardo mentale; i capelli sono scarsi e la cute è secca. Se la condizione è riconosciuta precocemente, la sostituzione ormonale impedisce la comparsa del ritardo mentale e degli altri segni e sintomi del deficit di ormone. L’ipotiroidismo che si verifica nell’adulto provoca il mixedema, caratterizzato da lentezza sia fisica sia mentale (tuttavia non si ha ritardo mentale). Altri segni sono il rigonfiamento del volto, la stanchezza, lo scarso tono muscolare, la bassa temperatura del corpo (il soggetto ha sempre freddo), l’obesità, la secchezza della cute. Per trattare questa condizione viene prescritta tiroxina per via orale. L’ipertiroidismo è di solito la conseguenza di un tumore del-

Figura 8.8 Gozzo Ingrossamento della tiroide (gozzo) in un bambino del Bangladesh.

la tiroide. L’iperproduzione estrema di tiroxina provoca un elevato metabolismo basale, intolleranza al caldo, tachicardia, perdita di peso, comportamento nervoso e agitato, generale incapacità di rilassarsi. Il morbo di Graves è una forma di ipertiroidismo; oltre ai sintomi sopra indicati, si ha un ingrossamento della tiroide e i bulbi oculari possono diventare sporgenti (esoftalmo). L’ipertiroidismo può essere trattato chirurgicamente, mediante l’asportazione di parte della tiroide (e/o del tumore, se presente), o chimicamente, mediante la somministrazione di farmaci che bloccano l’attività della tiroide o di iodio radioattivo, che distrugge parte delle cellule tiroidee.

L’altro ormone importante prodotto dalla tiroide, la calcitonina, fa diminuire il livello del calcio nel sangue inducendo il deposito del calcio nelle ossa. Agisce come ormone antagonista del paratormone prodotto dalle paratiroidi. Mentre la tiroxina viene prodotta dalle cellule follicolari e accumulata nei follicoli prima di essere immessa nel sangue, la calcitonina è prodotta dalle cellule parafollicolari, che si trovano nel tessuto connettivo tra i follicoli (figura 8.7b) ed è liberata direttamente nel sangue in risposta all’aumento del livello ematico del calcio. Si conoscono pochi effetti dell’ipo- o dell’ipersecrezione di calcitonina, e la produzione di calcitonina è scarsa o cessa del tutto nell’adulto. Questo può contribuire a spiegare (almeno in parte) la progressiva decalcificazione delle ossa che si accompagna all’invecchiamento. Le paratiroidi Le paratiroidi sono piccole masse di tessuto ghiandolare situate molto spesso sulla faccia posteriore della tiroide (vedi figura 8.3; di regola si trovano due paratiroidi su ciascun lobo della tiroide). Le paratiroidi secernono l’ormone paratiroideo (PTH), o paratormone, che è il più importante regolatore dell’omeostasi degli ioni calcio (Ca2Œ) nel sangue. Quando il livello ematico del calcio cade al di sotto di un determinato livello, le paratiroidi liberano PTH, che stimola le cellule che distruggono l’osso (osteoclasti) a degradare la matrice ossea liberando il

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

?

Quale effetto avrebbe l’asportazione delle paratiroidi sul livello ematico del calcio?

Il PTH e la calcitonina agiscono con un meccanismo di controllo a feedback negativo in cui ciascuno influisce sull’altro.

Calcitonina

La tiroide libera calcitonina

Figura 8.9 Controllo ormonale del livello degli ioni calcio nel sangue

La calcitonina stimola il deposito di sali di calcio nell’osso

Tiroide

Sq

Aumento del livello di Ca2+ nel sangue

uili

bri o

Diminuzione del livello di Ca2+ nel sangue

Omeostasi del calcio nel sangue 9–11 mg/100 mL Sq uili

bri

o

Tiroide

Paratiroidi Gli osteoclasti degradano la matrice ossea rilasciando Ca2+ nel sangue

PTH

calcio nel sangue. Quindi il PTH è un ormone ipercalcemizzante (cioè che aumenta il livello ematico del calcio), mentre la calcitonina è ipocalcemizzante. L’interazione a feedback negativo tra questi due ormoni nel controllo del livello del calcio nel sangue durante la giovinezza è illustrata nella figura 8.9. Il bersaglio principale del PTH è lo scheletro, ma il PTH stimola anche i reni e l’intestino a un maggiore assorbimento di calcio (rispettivamente dal filtrato glomerulare e dal materiale alimentare). SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Se il livello del calcio nel sangue si riduce troppo, i neuroni diventano estremamente irritabili e iperattivi. Inviano ai muscoli stimoli in così rapida successione che i muscoli sono soggetti a spasmi incontrollabili (tetano) che possono essere fatali. Prima che i chirurghi sapessero della presenza delle piccole paratiroidi alla faccia posteriore della tiroide, nei pazienti ipertiroidei l’asportazione della tiroide era totale. Molte volte l’esito era la morte. Una volta dimostrato che le paratiroidi sono funzionalmente molto differenti dalla tiroide, i chirurghi hanno cominciato a lasciare almeno parte del tessuto contenente le paratiroidi (se possibile), per consentire l’omeostasi del calcio nel sangue.

Le paratiroidi liberano il paratormone (PTH)

Il grave iperparatiroidismo provoca una massiccia distruzione dell’osso: un esame radiologico delle ossa dimostra grandi buchi scavati nella matrice ossea. Le ossa diventano fragilissime e cominciano a verificarsi fratture spontanee. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

8. Dov’è localizzata la tiroide? 9. Quale ormone determina l’aumento del livello del calcio nel sangue, e quale ghiandola endocrina lo produce? 10. Quale ormone determina la diminuzione del livello del calcio nel sangue, e quale ghiandola endocrina lo produce? 11. Perché lo iodio è importante per il corretto funzionamento della tiroide?

Le ghiandole surrenali Come è illustrato nella figura 8.3, le due ghiandole surrenali sono situate sopra il polo superiore dei reni. La surrenale appare simile a un organo unico, tuttavia, dal punto di vista strutturale e funzionale, è costituita da due organi endocrini in uno. Ha una parte chiaramente ghiandolare (la corticale) e una parte che per certi aspetti ri-

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8. L’APPARATO ENDOCRINO Ghiandola surrenale

Rene

Capsula Zona che secerne mineralcorticoidi

Zona che secerne glucocorticoidi

Ghiandola surrenale • Midollare

Corticale

• Corticale Rene Zona che secerne ormoni sessuali

Midollare

Figura 8.10 Struttura microscopica della ghiandola surrenale Rappresentazione schematica delle tre zone della corticale e di parte della midollare (‰ 200).

corda il tessuto nervoso (la midollare). La midollare è racchiusa dalla corticale, la quale è costituita da tre zone distinte (figura 8.10). Gli ormoni della corticale surrenale La corticale surrenale produce tre gruppi principali di ormoni steroidi, definiti nell’insieme corticosteroidi, che sono i mineralcorticoidi, i glucocorticoidi e gli ormoni sessuali.

• I mineralcorticoidi, particolarmente l’aldosterone, sono prodotti dalla zona più esterna della corticale. Come il nome lascia intuire, i mineralcorticoidi sono importanti nel regolare il contenuto in sali minerali del sangue, specialmente la concentrazione degli ioni sodio e potassio. Il loro bersaglio sono i tubuli renali, che riassorbono in modo selettivo i sali minerali o lasciano che siano eliminati con l’urina. Quando nel sangue aumenta il livello dell’aldosterone, le cellule tubulari del rene riassorbono più ioni sodio e immettono più ioni potassio nell’urina. Quindi i mineralcorticoidi contribuiscono alla regolazione del bilancio sia idrico sia elettrolitico dei liquidi dell’organismo. Come è illustrato nella figura 8.11, la liberazione dell’aldosterone è stimolata da fattori umorali come la diminuzione degli ioni sodio o l’aumento degli ioni potassio nel sangue. Anche la renina, un enzima prodotto dai reni quando la pressione sanguigna diminuisce, determina la liberazione di aldosterone stimolando una serie di reazioni per cui si forma angiotensina II, un po-

tente stimolatore del rilascio di aldosterone. Un ormone prodotto dal cuore, il peptide natriuretico atriale (ANP, atrial natriuretic peptide), impedisce la liberazione dell’aldosterone e il suo effetto è quello di ridurre il volume ematico e la pressione del sangue. • I glucocorticoidi, prodotti dalla zona intermedia della corticale, comprendono il cortisone e il cortisolo. I glucocorticoidi stimolano il metabolismo normale delle cellule e contribuiscono a rendere l’organismo resistente agli agenti stressanti a lungo termine, soprattutto aumentando il livello del glucosio nel sangue. Quando nel sangue il livello dei glucocorticoidi è elevato, le cellule degradano i grassi e anche le proteine e li convertono in glucosio, che viene immesso nel sangue. Per questa ragione si dice che i glucocorticoidi sono ormoni iperglicemizzanti; inoltre sembrano controllare gli effetti più spiacevoli dell’infiammazione diminuendo l’edema, e riducono il dolore inibendo certe molecole che lo causano, le prostaglandine (vedi tabella 8.2). Per le loro proprietà antinfiammatorie i glucocorticoidi vengono spesso prescritti come farmaci che contrastano l’infiammazione. La corticale surrenale libera glucocorticoidi in risposta all’aumento dell’ACTH nel sangue. • Gli ormoni sessuali, sia maschili sia femminili, sono prodotti dalla corticale surrenale sia negli uomini sia nelle donne, per tutta la vita, in quantità relativamente piccole.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO Diminuzione di Na+ o aumento di K+ nel sangue

Adenoipofisi

Stress Ipotalamo

Diminuzione del volume ematico e/o della pressione del sangue

CRH

Aumento della pressione del sangue o del volume ematico

ACTH

Rene

Renina Stimolazione indiretta attraverso l’angiotensina

Cuore

Peptide natriuretico atriale (ANP)

Angiotensina II Stimolazione diretta

Inibizione Zona della corticale che secerne mineralcorticoidi L’aumento della secrezione di aldosterone agisce sui tubuli renali

Aumentato riassorbimento di Na+ e acqua; aumentata escrezione di K+

Aumento del volume ematico e della pressione sanguigna

Figura 8.11 Principali meccanismi di regolazione del rilascio di aldosterone dalla corticale surrenale Le frecce continue indicano fattori che stimolano la liberazione di aldosterone; la freccia tratteggiata indica un fattore inibitore. (CRH, corticotropin releasing hormone, «ormone di rilascio della corticotropina».)

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA L’iposecrezione generalizzata di tutti gli ormoni della corticale surrenale porta al morbo di Addison, caratterizzato da una particolare tonalità di colore bronzo della cute. Poiché il livello dell’aldosterone è basso, l’organismo perde sodio e acqua, e sorgono di conseguenza problemi di bilancio elettrolitico e idrico. Questo, a sua volta, provoca grande debolezza muscolare, ed è possibile che si verifichi uno shock. Altri segni e sintomi del morbo di Addison sono dovuti al deficit di glucocorticoidi: ipoglicemia, ridotta capacità di fare fronte allo stress e depressione del sistema immunitario (e quindi aumentata suscettibilità alle infezioni). L’assenza completa di glucocorticoidi è incompatibile con la vita.

I disturbi da ipersecrezione possono essere la conseguenza di un tumore, e l’affezione che ne deriva dipende dalla zona corticale colpita. L’iperfunzione della zona più esterna provoca un iperaldosteronismo. Si ha una ritenzione eccessiva di sodio e acqua, che determina aumento della pressione sanguigna ed edema, e la perdita di potassio può essere tale da compromettere l’attività del cuore e del sistema nervoso. Quando il tumore interessa la zona intermedia della corticale si ha una sindrome di Cushing. L’eccesso di glucocorticoidi determina una «faccia a luna piena» e l’aumento del tessuto adiposo «a gobba di bisonte» nella parte superiore del dorso. Altri effetti comuni e indesiderabili sono l’ipertensione arteriosa, l’iperglicemia, la maggiore fragilità delle ossa e la grave depressione del sistema immunitario. L’ipersecrezione di ormoni sessuali provoca una mascolinizzazione, indipendentemente dal sesso. Nei maschi adulti questi effetti possono essere mascherati, ma nelle femmine le conseguenze sono spesso drammatiche. Tra gli altri effetti si ha sviluppo della barba e una distribuzione dei peli di tipo mascolino.

Gli ormoni della midollare surrenale Quando le cellule della midollare surrenale sono stimolate da neuroni del sistema nervoso simpatico immettono nel circolo sanguigno due ormoni simili: l’adrenalina e la noradrenalina. Nell’insieme questi ormoni sono detti catecolamine. Quando siamo (o ci sentiamo) minacciati fisicamente o psicologicamente, il nostro sistema nervoso simpatico mette in atto una reazione di fuga o di contrasto per aiutarci ad affrontare la situazione di stress. Uno degli organi stimolati è la midollare surrenale, che riversa i suoi ormoni nella circolazione sanguigna, esaltando e prolungando gli effetti dei neurotrasmettitori del sistema nervoso simpatico. Fondamentalmente le catecolamine determinano l’aumento della frequenza cardiaca e del livello di glucosio nel sangue, e la dilatazione dei bronchioli polmonari. Di conseguenza il sangue è più ricco di ossigeno e di glucosio e circola più velocemente negli organi (quel che più conta, nell’encefalo, nei muscoli e nel cuore). Così l’organismo è maggiormente in grado di fare fronte a un agente stressante a breve termine, sia che si debba lottare, o dare avvio a un processo infiammatorio, o ci si debba mettere in allarme così da pensare con maggiore lucidità (figura 8.12 a pagina seguente). Le catecolamine della midollare surrenale preparano l’organismo ad affrontare una situazione stressante improvvisa o di breve durata e determina la cosiddetta fase di allarme della risposta allo stress. Invece, i glucocorticoidi prodotti dalla corticale surrenale sono più importanti nell’aiutare l’organismo ad affrontare stress prolungati o continui, come la morte di un familiare o un importante intervento chirurgico. I glucocorticoidi agiscono soprattutto nella fase di resistenza della risposta allo stress. Se riescono a proteggere l’organismo, alla fine il problema sarà risolto senza lasciare danni. Il ruolo dei glucocorticoidi nella risposta allo stress è illustrato nella figura 8.12.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO Breve

Più prolungato

Stress Ipotalamo Stimoli nervosi

Ormone di rilascio

Cellule adrenocorticotrope dell’adenoipofisi

Midollo spinale Fibre simpatiche pregangliari

ACTH

Corticale surrenale

Midollare surrenale

Mineralcorticoidi Risposta allo stress a breve termine Catecolamine (adrenalina e noradrenalina)

1. Aumento della frequenza cardiaca 2. Aumento della pressione del sangue 3. Il fegato converte il glicogeno in glucosio che immette nel sangue 4. Dilatazione dei bronchioli

Glucocorticoidi

Risposta allo stress a lungo termine 1. Ritenzione di sodio e acqua ad opera dei reni 2. Aumento del volume ematico e della pressione del sangue

1. Le proteine e i grassi sono convertiti in glucosio o degradati per ottenere energia 2. Aumento della glicemia 3. Depressione del sistema immunitario

5. Modificazioni della distribuzione del sangue che determinano aumento della vigilanza e diminuzione dell’attività digestiva e renale 6. Aumento del ritmo metabolico

Figura 8.12 Ruolo dell’ipotalamo, della midollare e della corticale del surrene nella risposta allo stress (Va notato che in condizioni normali l’ACTH stimola soltanto debolmente la liberazione di mineralcorticoidi.)

SE L’OMEOSTASI È ALTERATA Il danneggiamento o la distruzione della midollare surrenale non hanno effetti importanti finché i neuroni del sistema nervoso simpatico continuano a funzionare normalmente. Tuttavia l’ipersecrezione di catecolamine determina sintomi caratteristici dell’esagerata attività del sistema nervoso simpatico: tachicardia, aumento della pressione del sangue, tendenza alla sudorazione e alla marcata irritabilità. L’asportazione chirurgica delle cellule secernenti catecolamine corregge questa situazione.

Le isole pancreatiche Il pancreas, localizzato nella cavità addominale in prossimità dello stomaco (vedi figura 8.3), è una ghiandola mista, esocrina ed endocrina. Le isole pancreatiche, o isole di Langerhans, sono probabilmente le strutture endocrine meglio nascoste dell’organismo. Queste masserelle di tessuto endocrino sono disseminate nel tessuto ghiandolare esocrino del pancreas, che produce enzimi digestivi. Del pancreas esocrino, che fa parte dell’apparato digerente, tratteremo più avanti; qui prenderemo in considerazione soltanto le isole pancreatiche. Per quanto le isole siano oltre un milione, separate dal-

le cellule esocrine, ciascuno di questi piccoli gruppi di cellule produce attivamente i suoi ormoni e funziona come un organo all’interno di un altro organo. Due ormoni importanti prodotti dalle cellule insulari sono l’insulina e il glucagone. Le cellule insulari agiscono come i sensori del livello di carburante, secernendo l’insulina e il glucagone in modo appropriato in condizioni di nutrizione e di digiuno. Un elevato livello di glucosio nel sangue stimola la liberazione di insulina da parte delle cellule beta (figura 8.13) delle isole pancreatiche. L’insulina agisce su tutte le cellule dell’organismo aumentando la loro capacità di trasportare il glucosio attraverso la membrana plasmatica. Una volta all’interno delle cellule, il glucosio viene ossidato per ottenere energia, oppure può essere convertito in glicogeno o grassi da immagazzinare. Anche queste attività sono accelerate dall’insulina. L’insulina ha un effetto ipoglicemizzante in quanto fa uscire glucosio dal circolo sanguigno. Quando il livello del glucosio nel sangue diminuisce, lo stimolo alla liberazione di insulina cessa: un altro esempio classico di meccanismo a feedback negativo. Molti ormoni hanno effetti iperglicemiz-

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

?

Cosa accade alla capacità del fegato di sintetizzare e immagazzinare glicogeno quando aumenta il livello ematico del glucagone?

Attivazione delle cellule del pancreas secernenti insulina; immissione dell’insulina nel sangue

Aumento dell’assunzione di glucosio dal sangue in molte cellule dell’organismo

Aumento del livello ematico del glucosio Stimolo: aumento del tasso di glucosio nel sangue (per esempio, dopo aver mangiato quattro krapfen alla marmellata)

Il livello ematico del glucosio si abbassa verso il punto stabilito; lo stimolo alla liberazione di insulina diminuisce

Il fegato assume il glucosio e lo accumula sotto forma di glicogeno

Sq

uil

ibr

io Stimolo: diminuzione del tasso di glucosio nel sangue (per esempio, dopo aver saltato un pasto)

Omeostasi: livello normale del glucosio nel sangue (90 mg/100mL)

Sq

uil

ibr

io

Diminuzione del livello ematico del glucosio L’aumento della glicemia fa tornare il livello ematico del glucosio al punto di omeostasi fissato; lo stimolo alla liberazione di glucagone diminuisce

Attivazione delle cellule del pancreas che secernono glucagone; liberazione del glucagone nel sangue; l’organo bersaglio è il fegato Il fegato scinde i depositi di glicogeno e libera glucosio nel sangue

Figura 8.14 Regolazione del livello ematico del glucosio per mezzo di un meccanismo di feedback negativo in cui intervengono gli ormoni pancreatici

L’epifisi L’epifisi, o ghiandola pineale, è una piccola ghiandola di forma conica attaccata al tetto del terzo ventricolo cerebrale (vedi figura 8.3). La funzione endocrina di questa minuscola ghiandola è ancora piuttosto misteriosa. Sebbene nell’epifisi siano state individuate diverse sostanze, soltanto l’ormone melatonina viene secreto in quantità consistente. Il livello della melatonina aumenta e diminuisce nel corso del giorno e della notte. I livelli più elevati si verificano di notte e ci rendono assonnati; i livelli più bassi

si verificano con la luce diurna, attorno a mezzogiorno. La melatonina è ritenuta un «induttore del sonno» che ha un ruolo importante nello stabilire il ciclo giorno-notte dell’organismo. In alcuni animali la melatonina contribuisce anche a regolare il comportamento e i ritmi dell’accoppiamento. Nella specie umana si ritiene che coordini gli ormoni della fertilità e che inibisca l’apparato genitale (in particolar modo le ovaie nelle femmine) così da impedire che la maturazione sessuale avvenga prima che siano state raggiunte le dimensioni dell’organismo adulto.

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

Il timo Il timo è localizzato nella parte superiore del torace, dietro allo sterno. Bene sviluppato nell’infanzia e nell’adolescenza, si riduce di grandezza per tutta l’età adulta. Nella vecchiaia è composto principalmente da tessuto connettivo fibroso e da tessuto adiposo. Produce un ormone detto timosina e altre sostanze che appaiono essenziali per il normale sviluppo di una speciale popolazione di leucociti (i linfociti T, o cellule T ) e della risposta immunitaria. Il ruolo del timo (e dei suoi ormoni) nell’immunità è descritto nel capitolo 11. Le gonadi Le gonadi femminili e maschili (vedi figura 8.3) producono ormoni sessuali che sono identici a quelli prodotti dalle cellule della corticale surrenale. Le differenze principali riguardano la fonte e le quantità relative prodotte. Gli ormoni delle ovaie Le gonadi femminili, le ovaie, sono organi pari che hanno la forma di una mandorla e sono situati nella cavità pelvica. Oltre a formare i gameti femminili (oociti), le ovaie producono due gruppi di ormoni steroidi, gli estrogeni e il progesterone. Gli estrogeni, da soli, sono responsabili dello sviluppo delle caratteristiche sessuali delle femmine (in particolar modo dell’accrescimento e della maturazione degli organi genitali) e della comparsa dei caratteri sessuali secondari alla pubertà (peli della regione pubica e di quella ascellare). Insieme al progesterone, gli estrogeni inducono lo sviluppo della ghiandola mammaria e le modificazioni cicliche della mucosa uterina (ciclo mestruale). Il progesterone, come abbiamo già detto, regola insieme agli estrogeni il ciclo mestruale. Nel corso della gravidanza permette all’embrione di rimanere impiantato nell’utero e contribuisce a preparare il tessuto mammario alla produzione del latte. Le ovaie sono stimolate a liberare ciclicamente estrogeni e progesterone dagli ormoni gonadotropi dell’adenoipofisi. Maggiori dettagli su questa regolazione ciclica a feedback e sulla struttura, funzione e regolazione delle ovaie si trovano nel capitolo 15, ma dovrebbe essere ovvio che l’iposecrezione di ormoni ovarici ostacola gravemente la capacità di una donna di concepire un bambino e portare avanti la gravidanza. Gli ormoni dei testicoli Le gonadi maschili, i testicoli, sono organi pari, di forma ovoidale, sospesi in un sacco cutaneo, lo scroto, all’esterno della cavità pelvica. Oltre a formare i gameti maschili, gli spermatozoi, i testicoli producono anche ormoni sessuali maschili, o androgeni, il più importante dei quali è il testosterone. Alla pubertà il testosterone determina l’accrescimento e la maturazione degli organi

genitali, preparando il giovane uomo alla riproduzione. Induce inoltre la comparsa dei caratteri sessuali secondari maschili (crescita dei peli della faccia, maggiore sviluppo delle ossa e dei muscoli, modificazione della voce che diviene più profonda) e stimola l’impulso sessuale maschile. Nell’adulto il testosterone è necessario per la continua produzione di spermatozoi. In caso di iposecrezione l’uomo può diventare sterile; questi casi di solito sono trattati con iniezioni di testosterone. La liberazione degli ormoni delle gonadi è regolata dalle gonadotropine dell’adenoipofisi, come abbiamo visto in precedenza. La produzione di testosterone è specificamente stimolata dall’LH. Maggiori informazioni sulla struttura e la funzione dei testicoli si trovano nel capitolo 15, che tratta dell’apparato genitale. La tabella 8.1 a pagina seguente presenta un riassunto delle principali ghiandole endocrine e di alcuni dei loro ormoni. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

15. Quale ormone è un induttore del sonno, e quale organo endocrino lo produce? 16. In che modo la timosina contribuisce alle difese dell’organismo? 17. Quale ormone prodotto dalle gonadi stimola l’organismo di una bambina a sviluppare alla pubertà caratteristiche femminili: gli estrogeni o il progesterone?

3. Altri tessuti e organi che producono ormoni Oltre ai principali organi endocrini, piccoli gruppi isolati di cellule endocrine si trovano nel tessuto adiposo, nella parete dell’intestino tenue e dello stomaco, nei reni e nel cuore, organi le cui funzioni principali hanno poco a che fare con la produzione di ormoni. Descriveremo la maggior parte di tali ormoni nei prossimi capitoli; qui ci limitiamo a riassumere le loro caratteristiche principali nella tabella 8.2 a pagina 218 e a trattare ulteriormente solo gli ormoni placentari. La placenta La placenta è un importante organo che si forma transitoriamente nell’utero durante la gravidanza. Oltre a provvedere alla respirazione, all’escrezione e alla nutrizione del feto, produce anche diversi ormoni proteici e steroidi che contribuiscono a fare progredire la gravidanza e a preparare la via del parto. Nelle fasi del tutto iniziali della gravidanza l’ormone detto gonadotropina corionica umana (hCG) viene prodotto dall’embrione in via di sviluppo e poi dalla parte fetale della placenta. L’hCG, che è simile all’LH (ormone luteinizzante), stimola le ovaie a continuare a produrre estrogeni e progesterone, così da evitare lo sfaldamen-

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8. L’APPARATO ENDOCRINO Tabella 8.1 Principali organi endocrini e loro ormoni

Organo

Ormone

Classe chimica

Epifisi

Melatonina

Ipotalamo

Ormoni liberati dalla neuroipofisi; ormoni di rilascio e di inibizione che regolano l’adenoipofisi (vedi oltre)

Azioni caratteristiche

Regolato da

Amine

Interviene nei ritmi biologici (giornaliero e stagionale)

Ciclo luce/buio

Ossitocina

Peptidi

Stimola la contrazione dell’utero e il riflesso di emissione del latte

Sistema nervoso (ipotalamo) in risposta alla distensione dell’utero e/o alla suzione del neonato

Ormone antidiuretico (ADH)

Peptidi

Provoca il riassorbimento di acqua da parte dei reni

Ipotalamo in risposta a uno squilibrio idro-salino

Ormone della crescita (GH)

Proteine

Stimola l’accrescimento (soprattutto di ossa e muscoli) e il metabolismo

Ormoni di rilascio e di inibizione dell’ipotalamo

Prolattina (PRL)

Proteine

Stimola la produzione del latte

Ormoni ipotalamici

Ormone follicolostimolante (FSH)

Proteine

Stimola la produzione di oociti e di spermatozoi

Ormoni ipotalamici

Ormone luteinizzante (LH)

Proteine

Stimola le ovaie e i testicoli

Ormoni ipotalamici

Ormone tireo-stimolante (TSH)

Proteine

Stimola la tiroide

Tiroxina nel sangue; ormoni ipotalamici

Ormone adrenocorticotropo (ACTH)

Proteine

Stimola la corticale surrenale a secernere glucocorticoidi

Glucocorticoidi; ormoni ipotalamici

Tiroxina (T4) e triiodotironina (T3)

Amine

Stimolano il metabolismo

TSH

Calcitonina

Peptidi

Riduce il livello del calcio nel sangue

Livello del calcio nel sangue

Paratiroidi

Ormone paratiroideo (PTH)

Peptidi

Aumenta il livello del calcio nel sangue

Livello del calcio nel sangue

Timo

Timosina

Peptidi

«Programma» i linfociti T

Non è noto

Adrenalina e noradrenalina

Amine

Aumentano il livello ematico del glucosio; aumentano il metabolismo; provocano costrizione di certi vasi sanguigni

Sistema nervoso (sezione del simpatico)

Ipofisi • Neuroipofisi (libera ormoni prodotti dall’ipotalamo)

• Adenoipofisi

Tiroide

Surrenali • Midollare

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8. L’APPARATO ENDOCRINO Tabella 8.1 Segue

Organo

Ormone

Classe chimica

• Corticale

Glucocorticoidi

Azioni caratteristiche

Regolato da

Steroidi

Aumentano il livello del glucosio nel sangue

ACTH

Mineralcorticoidi

Steroidi

Inducono il riassorbimento di NaŒ e l’escrezione di KŒ nei reni

Variazioni del volume o della pressione del sangue; livello di KΠo di NaΠnel sangue

Insulina

Proteine

Riduce il livello del glucosio nel sangue

Livello del glucosio nel sangue

Glucagone

Proteine

Aumenta il livello del glucosio nel sangue

Livello del glucosio nel sangue

Gonadi • Testicoli

Androgeni

Steroidi

Sostengono la formazione degli spermatozoi; sviluppo e mantenimento dei caratteri sessuali secondari maschili

FSH e LH

• Ovaie

Estrogeni

Steroidi

Stimolano la proliferazione della mucosa uterina; sviluppo e mantenimento dei caratteri sessuali secondari femminili

FSH e LH

Progesterone

Steroidi

Favorisce la gravidanza

FSH e LH

Pancreas

to mestruale della mucosa uterina. (I test di gravidanza che si acquistano in farmacia verificano la presenza di hCG nell’urina.) Nel terzo mese di gravidanza il ruolo di produrre estrogeni e progesterone viene assunto dalla placenta e le ovaie divengono inattive per tutto il resto della gravidanza. Gli elevati livelli di progesterone ed estrogeni nel sangue mantengono la mucosa uterina (e quindi consentono il proseguimento della gravidanza) e preparano le ghiandole mammarie a produrre latte. L’ormone lattogeno placentare umano (hPL) agisce in cooperazione con gli estrogeni e il progesterone nel preparare le ghiandole mammarie alla lattazione. La relaxina, un altro ormone placentare, determina il rilassamento e aumenta la flessibilità dei legamenti pelvici e della sinfisi pubica della madre, facilitando il passaggio al parto.

4. Aspetti dello sviluppo dell’apparato endocrino Ogni ghiandola si forma durante lo sviluppo embrionale da un tipo differente di tessuto e continua a svolgere la sua funzione per tutta la vita. Nella mezza età avanzata l’efficienza delle ovaie co-

mincia a diminuire, determinando la menopausa. In questo periodo gli organi dell’apparato genitale femminile cominciano ad andare in atrofia e cessa la capacità di iniziare una gravidanza. Cominciano a verificarsi problemi connessi alla carenza di estrogeni, come arteriosclerosi, osteoporosi, riduzione dell’elasticità della cute e modificazioni dell’attività del sistema nervoso simpatico che causano «vampate di calore». Sono inoltre comuni stanchezza, nervosismo e variazioni dell’umore come la depressione. Negli uomini non sembra accadere alcuna modificazione così evidente. Infatti molti uomini rimangono fertili per tutto l’arco della vita, indicando che il testosterone è ancora prodotto in quantità adeguata. L’efficienza dell’apparato endocrino nel suo insieme si riduce gradualmente nella vecchiaia. Le importanti modificazioni presenti nelle donne anziane sono dovute alla diminuzione degli ormoni femminili, e non c’è dubbio che la secrezione di ormone della crescita da parte dell’adenoipofisi si riduce, e questo spiega in parte l’atrofia dei muscoli nella vecchiaia. Le persone anziane presentano minore resistenza allo stress e alle infezioni. Tale ridotta resistenza può essere dovuta a iper- o ipoproduzione degli ormoni di difesa, poiché sia l’una sia l’altra alterano l’e-

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8. L’APPARATO ENDOCRINO Tabella 8.2 Ormoni prodotti da organi diversi dalle principali ghiandole endocrine

Ormone

Composizione chimica

Fonte

Stimolo alla secrezione

Organo bersaglio/Azione

Prostaglandine (PG); diversi gruppi indicati con le lettere da A a I (PGA–PGI)

Derivate da molecole di acidi grassi

Membrana plasmatica di praticamente tutte le cellule

Stimoli vari (irritazione locale, ormoni, ecc.)

Hanno molti bersagli, ma agiscono localmente nella sede di rilascio. Sono esempi della loro azione l’aumento della pressione del sangue attraverso la vasocostrizione; la costrizione delle vie respiratorie; la stimolazione della mucosa uterina che induce le doglie; l’incremento della coagulazione del sangue; l’induzione dell’infiammazione e del dolore; l’aumento della secrezione di enzimi digestivi dello stomaco; l’induzione della febbre.

Gastrina

Peptide

Stomaco

Cibo

Stomaco: stimola le ghiandole a liberare acido cloridrico (HCl).

Gastrina intestinale

Peptide

Duodeno e intestino tenue

Cibo, soprattutto i grassi

Stomaco: inibisce la secrezione di HCl e la motilità del tratto gastrointestinale.

Secretina

Peptide

Duodeno

Cibo

Pancreas: stimola il rilascio di secreto ricco di bicarbonati. Fegato: aumenta la secrezione di bile. Stomaco: riduce la secrezione.

Colecistochinina (CCK)

Peptide

Duodeno

Cibo

Pancreas: stimola il rilascio di secreto ricco di enzimi. Cistifellea: stimola l’emissione della bile immagazzinata. Papilla duodenale: provoca il rilassamento dello sfintere, consentendo alla bile e al succo pancreatico di entrare nel duodeno.

Eritropoietina

Glicoproteina

Rene

Ipossia

Midollo osseo: stimola la produzione di eritrociti.

Vitamina D3 attiva

Steroide

Rene (attiva la provitamina D prodotta dalle cellule della epidermide)

PTH

Intestino: stimola il trasporto attivo del calcio introdotto con gli alimenti attraverso la membrana delle cellule intestinali.

Peptide natriuretico atriale (ANP)

Peptide

Cuore

Distensione degli atri del cuore

Rene: inibisce il riassorbimento di ioni sodio e la liberazione di renina. Corticale surrenale: inibisce la secrezione di aldosterone, diminuendo così il volume e la pressione del sangue.

Leptina

Peptide

Tessuto adiposo

Cibi grassi

Encefalo: deprime l’appetito e aumenta il dispendio di energia.

Resistina

Peptide

Tessuto adiposo

Sconosciuto

Tessuto adiposo, muscolo, fegato: ha azione antagonista dell’insulina sulle cellule epatiche.

quilibrio delle difese dallo stress e il metabolismo generale dell’organismo. Inoltre l’esposizione a molti pesticidi, a sostanze chimiche industriali, alla diossina e ad altri inquinanti del suolo e dell’acqua provoca la riduzione delle funzioni endocrine, e questo può spiegare l’aumento della frequenza del cancro tra gli adulti anziani in certe regioni del paese. Le persone anziane sono spesso moderatamente ipotiroidee, e tutti gli anziani hanno una certa

diminuzione della produzione di insulina; inoltre in questo gruppo di età è molto comune il diabete di tipo 2. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

18. Quale organo transitorio produce gli stessi ormoni delle ovaie? 19. L’insufficienza di quale(i) organo(i) endocrino(i) provoca la menopausa nelle donne?

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

MAPPA DEGLI APPARATI RELAZIONI OMEOSTATICHE DELL’APPARATO ENDOCRINO CON GLI ALTRI APPARATI

Sistema nervoso • Molti ormoni (ormone della crescita, tiroxina, ormoni sessuali) agiscono sulla normale maturazione e sulle funzioni del sistema nervoso • L’ipotalamo regola la funzione dell’adenoipofisi

Apparato endocrino

Sistema linfatico/immunità

Apparato respiratorio

• I linfociti «programmati» dagli ormoni timici si disseminano nei linfonodi; i glucocorticoidi deprimono la risposta immunitaria e l’infiammazione • La linfa costituisce una via di trasporto per gli ormoni

• L’adrenalina agisce sulla ventilazione (dilata i bronchioli) • L’apparato respiratorio fornisce l’ossigeno ed elimina il diossido di carbonio; nei polmoni, gli enzimi di conversione convertono l’angiotensina I in angiotensina II Apparato cardiovascolare • Diversi ormoni hanno effetti sul volume ematico, sulla pressione sanguigna e sulla contrattilità del cuore; l’eritropoietina stimola la produzione di eritrociti • Il sangue è il principale mezzo di trasporto degli ormoni; il cuore produce il peptide natriuretico atriale

Apparato digerente • Gli ormoni gastrointestinali locali agiscono sulla funzione del tratto gastrointestinale; la vitamina D attivata è necessaria per l’assorbimento del calcio della dieta; le catecolamine agiscono sull’attività dell’apparato digerente • L’apparato digerente fornisce le sostanze nutritizie per gli organi endocrini

Apparato genitale • Ormoni dell’ipotalamo, dell’adenoipofisi e delle gonadi regolano lo sviluppo e le funzioni dell’apparato genitale; l’ossitocina e la prolattina intervengono nel parto e nell’allattamento al seno • Gli ormoni delle gonadi agiscono a feedback sulle funzioni dell’apparato endocrino

Apparato urinario • L’aldosterone e l’ADH agiscono sulla funzione dei reni; l’eritropoietina rilasciata dai reni induce la produzione di eritrociti • I reni attivano la vitamina D (considerata un ormone)

Apparato tegumentario • Gli androgeni attivano le ghiandole sebacee; gli estrogeni aumentano l’idratazione della cute • La cute produce un precursore della vitamina D (colecalciferolo o provitamina D)

Sistema muscolare • L’ormone della crescita è essenziale per il normale sviluppo dei muscoli; altri ormoni (tiroxina e catecolamine) agiscono sul metabolismo dei muscoli • Il sistema muscolare fornisce protezione meccanica ad alcune ghiandole endocrine; l’attività muscolare stimola la liberazione di catecolamine

Sistema scheletrico • Il PTH è importante nella regolazione del livello ematico del calcio; l’ormone della crescita, il T3, il T4 e gli ormoni sessuali sono necessari per il normale sviluppo dello scheletro • Lo scheletro protegge alcuni organi endocrini, specialmente quelli situati nell’encefalo, nel torace, nella pelvi

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

■■■ RIASSUNTO 1. L’apparato endocrino e la funzione degli ormoni: concetti generali (pp. 200-203)

1. L’apparato endocrino è un fondamentale sistema di regolazione dell’organismo. Per mezzo degli ormoni stimola processi a lungo termine come l’accrescimento e lo sviluppo, il metabolismo, la riproduzione e le difese dell’organismo. 2. Gli organi endocrini sono piccoli e ampiamente distribuiti nell’organismo. Alcuni fanno parte di ghiandole miste (a funzione sia endocrina sia esocrina). Altri secernono soltanto ormoni. 3. Quasi tutti gli ormoni sono molecole basate su aminoacidi oppure steroidi. 4. Gli organi endocrini sono attivati a rilasciare nel sangue i loro ormoni da stimoli ormonali, umorali o nervosi. Nella regolazione del livello degli ormoni nel sangue è importante il meccanismo di feedback negativo. 5. Gli ormoni presenti nel sangue modificano le attività metaboliche dei loro organi bersaglio. La capacità di un organo bersaglio di rispondere a un ormone dipende dalla presenza all’interno o sulla superficie delle sue cellule di recettori ai quali quell’ormone possa legarsi. 6. Gli ormoni basati su aminoacidi agiscono attraverso un secondo messaggero. Gli ormoni steroidi agiscono direttamente sul DNA delle cellule bersaglio. 2. I principali organi endocrini (pp. 203-215)

1. Ipofisi a) L’ipofisi è appesa mediante un peduncolo all’ipotalamo ed è racchiusa da osso. È costituita da un lobo anteriore ghiandolare (adenoipofisi) e da un lobo posteriore nervoso (neuroipofisi). b) Tranne l’ormone della crescita e la prolattina, gli ormoni dell’adenoipofisi sono tutti ormoni che hanno la funzione di tropine. (1) Ormone della crescita (GH): ormone anabolizzante e conservatore di proteine che stimola l’accrescimento generale dell’organismo. I suoi effetti più importanti riguardano i muscoli scheletrici e le ossa. L’iposecrezione nell’infanzia, se non trattata, è causa di nanismo ipofisario; l’ipersecrezione provoca gigantismo (nell’infanzia) e acromegalia (nell’adulto). (2) Prolattina (PRL): stimola la ghiandola mammaria a produrre il latte. (3) Ormone adrenocorticotropo (ACTH): stimola la secrezione degli ormoni della corticale surrenale. (4) Ormone tireostimolante (TSH): stimola la tiroide a secernere gli ormoni tiroidei. (5) Ormoni gonadotropi (a) Ormone follicolostimolante (FSH): a partire dalla pubertà, nella femmina stimola le ovaie a sviluppare follicoli e produrre estrogeni; nel maschio stimola la produzione di spermatozoi. (b) Ormone luteinizzante (LH): a partire dalla pubertà, nella femmina stimola l’ovulazione e la produzione

di progesterone da parte del follicolo che ha ovulato; nel maschio stimola i testicoli a produrre testosterone. c) La secrezione degli ormoni dell’adenoipofisi è regolata da ormoni di rilascio e di inibizione prodotti dall’ipotalamo. L’ipotalamo produce anche due ormoni che vengono trasportati alla neuroipofisi, dove sono immagazzinati e rilasciati in seguito. d) La neuroipofisi accumula ormoni ipotalamici e li libera in risposta a uno stimolo. (1) Ossitocina: stimola le energiche contrazioni della mucosa uterina e induce l’emissione del latte nell’allattamento. (2) Ormone antidiuretico (ADH): stimola il riassorbimento e la ritenzione di acqua da parte dei tubuli renali, e provoca aumento della pressione del sangue determinando vasocostrizione. L’iposecrezione causa il diabete insipido. 2. Tiroide a) La tiroide è situata nella parte anteriore del collo. b) Gli ormoni tiroidei (tiroxina [T4] e triiodotironina [T3]) sono rilasciati dai follicoli tiroidei quando nel sangue aumenta il livello del TSH. Regolano il metabolismo basale dell’organismo. Aumentano la velocità con cui le cellule ossidano il glucosio e sono necessari per il normale accrescimento e sviluppo. La carenza di iodio provoca il gozzo. L’iposecrezione di tiroxina è causa del cretinismo nei bambini e del mixedema negli adulti. L’ipersecrezione è dovuta al morbo di Graves o ad altre forme di ipertiroidismo. c) Le cellule parafollicolari, adiacenti ai follicoli tiroidei, secernono calcitonina in risposta all’aumento del livello del calcio nel sangue. La calcitonina favorisce il deposito del calcio nelle ossa. 3. Paratiroidi a) Le paratiroidi sono quattro piccole ghiandole localizzate alla superficie posteriore della tiroide. b) La diminuzione del livello del calcio nel sangue stimola le paratiroidi a secernere il paratormone (PTH), che induce la liberazione nel sangue del calcio depositato nell’osso. L’iposecrezione del PTH provoca tetania; l’ipersecrezione porta a un’estrema degradazione e a fratture delle ossa. 4. Ghiandole surrenali a) Le surrenali sono ghiandole pari situate sopra il polo superiore dei reni. Ciascuna è formata da due parti endocrine, la corticale e la midollare. b) Gli ormoni della corticale sono: (1) I mineralcorticoidi, soprattutto l’aldosterone, che regolano il riassorbimento renale degli ioni sodio (NaŒ) e potassio (KŒ). La loro secrezione è stimolata principalmente dalla diminuzione di NaŒ e/o dall’aumento di KŒ nel sangue. (2) I glucocorticoidi, che consentono all’organismo di resistere allo stress a lungo termine aumentando il li-

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

vello del glucosio nel sangue e deprimendo la risposta infiammatoria. (3) Gli ormoni sessuali (soprattutto androgeni), prodotti in piccole quantità nel corso di tutta la vita. c) L’ipofunzione generalizzata della corticale porta al morbo di Addison. L’ipersecrezione può causare iperaldosteronismo, il morbo di Cushing e/o mascolinizzazione. d) La midollare produce catecolamine (adrenalina e noradrenalina) in seguito alla stimolazione da parte del sistema nervoso simpatico. Le catecolamine accentuano e prolungano gli effetti della reazione di contrasto o di fuga (del sistema nervoso simpatico) allo stress a breve termine. L’ipersecrezione determina sintomi caratteristici dell’iperattività del sistema nervoso simpatico. 5. Isole pancreatiche a) Il pancreas, localizzato nell’addome in prossimità dello stomaco, è una ghiandola sia esocrina sia endocrina. La parte endocrina (le isole pancreatiche) libera nel sangue insulina e glucagone. b) L’insulina viene secreta quando nel sangue il livello del glucosio è alto. Aumenta l’assunzione e il metabolismo del glucosio in tutte le cellule dell’organismo. La ridotta secrezione di insulina provoca il diabete mellito, che altera gravemente il metabolismo del corpo. I segni cardinali sono la poliuria, la polidipsia e la polifagia. c) Il glucagone, secreto quando il livello del glucosio nel sangue è basso, stimola il fegato a immettere glucosio nel sangue aumentandone così il livello. 6. L’epifisi libera melatonina, che agisce sul sonno, oltre che sui ritmi biologici e sul comportamento riproduttivo in altri animali. 7. Il timo, che si trova nella parte superiore del torace, è attivo nel giovane, mentre è soggetto ad atrofia con l’aumentare dell’età. Il suo ormone, la timosina, stimola la maturazione dei linfociti T, che sono importanti per le difese dell’organismo. 8. Gonadi a) Nella femmina le ovaie producono:

(1) Estrogeni, la cui liberazione dai follicoli ovarici inizia alla pubertà per lo stimolo dell’FSH. Gli estrogeni stimolano la maturazione degli organi genitali femminili e dei caratteri sessuali secondari femminili. Insieme al progesterone regolano il ciclo mestruale. (2) Progesterone, la cui liberazione dall’ovaio è indotta dall’aumento del livello dell’LH nel sangue. Insieme agli estrogeni determina il ciclo mestruale. b) Nel maschio i testicoli cominciano a produrre testosterone alla pubertà sotto lo stimolo dell’LH. Il testosterone induce la maturazione degli organi genitali maschili, i caratteri sessuali secondari maschili e la produzione di spermatozoi da parte dei testicoli. c) L’iposecrezione degli ormoni delle gonadi porta alla sterilità sia nella femmina sia nel maschio. 3. Altri tessuti e organi che producono ormoni (pp. 215-217)

1. La placenta è un organo transitorio che si forma nell’utero durante la gravidanza. Il suo principale ruolo endocrino è la produzione di estrogeni e progesterone, che fanno progredire la gravidanza e preparano le ghiandole mammarie alla lattazione. 2. Diversi organi (come lo stomaco, l’intestino tenue e il cuore) possono secernere ormoni anche se la loro funzione prevalente non è quella endocrina. 4. Aspetti dello sviluppo dell’apparato endocrino (pp. 217218)

1. In assenza di malattie, l’efficienza dell’apparato endocrino resta elevata fino all’età avanzata. 2. Nella femmina, la diminuzione dell’attività delle ovaie alla menopausa porta a disturbi quali l’osteoporosi, il maggiore rischio di cardiopatie e possibili mutamenti dell’umore. 3. L’efficienza di tutte le ghiandole endocrine diminuisce gradualmente con l’invecchiamento, portando a un aumento generalizzato dell’incidenza del diabete mellito, a depressione del sistema immunitario, a riduzione del metabolismo e, in alcune zone, alla maggiore frequenza di cancro.

■■■ CONOSCENZE E ABILITÀ Test a risposta multipla (è possibile più di una risposta).

1. I principali organi endocrini del corpo a) tendono a essere organi molto grandi b) sono strettamente connessi l’uno con l’altro c) contribuiscono tutti alla stessa funzione (digestione) d) tendono a essere situati vicino alla linea mediana del corpo 2. Quale affermazione è vera a proposito degli ormoni? a) sono prodotti dalle ghiandole esocrine b) sono trasportati in tutto l’organismo per mezzo del sangue c) agiscono soltanto su organi che non producono ormoni d) tutti gli ormoni steroidi hanno sull’organismo effetti fisiologici molto simili

3. Quale dei seguenti ormoni è secreto da neuroni? a) ossitocina b) insulina c) ADH d) cortisolo 4. L’ANP, l’ormone secreto dal cuore, ha esattamente la funzione opposta a quella del seguente ormone secreto dalla zona più esterna della corticale surrenale. a) adrenalina b) cortisolo c) aldosterone d) testosterone 5. Quale dei seguenti ormoni agisce direttamente o indirettamente aumentando il livello del glucosio nel sangue? a) GH b) cortisolo c) insulina d) ACTH 6. L’ipertensione può essere conseguenza dell’ipersecrezione di:

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8. L’APPARATO ENDOCRINO

a) tiroxina b) cortisolo c) aldosterone d) ADH 7. Tra gli ormoni che regolano il livello dei (sali) minerali troviamo a) la calcitonina b) l’aldosterone c) il peptide natriuretico atriale d) il glucagone 8. Quale dei seguenti ormoni è somministrato come farmaco per ridurre l’infiammazione? a) adrenalina b) cortisolo c) aldosterone d) ADH 9. L’elemento necessario per la funzione della tiroide è a) il potassio b) lo iodio c) il calcio d) il manganese Rispondi in cinque righe.

10. Spiega le differenze tra sistema nervoso e apparato endocrino per quanto concerne (a) la rapidità con cui effettuano la regolazione, (b) la modalità con cui comunicano con le cellule dell’organismo, (c) i tipi di processi che regolano. 11. Perché il pancreas si può considerare una ghiandola mista? 12. Descrivi la natura chimica degli ormoni. 13. Definisci il meccanismo di feedback negativo e spiega in che modo regola il livello ematico dei vari ormoni.

14. Spiega perché non tutti gli organi sono bersaglio degli ormoni liberati nel sangue. 15. Descrivi la localizzazione di ciascuno dei seguenti organi endocrini: adenoipofisi, epifisi, timo, pancreas, ovaie, testicoli. Di ciascuno indica poi gli ormoni prodotti e l’azione sui processi dell’organismo. 16. Indica due strutture endocrine importanti nella risposta di reazione allo stress, e spiega perché sono importanti. 17. L’adenoipofisi è spesso indicata come la ghiandola endocrina che regola le altre, ma è anch’essa soggetta a regolazione. Come viene controllata la liberazione degli ormoni dell’adenoipofisi? 18. Qual è la causa più comune dell’ipersecrezione delle ghiandole endocrine? 19. Indica il nome di tre ormoni antagonisti dell’insulina e di uno antagonista del PTH. 20. Nella regolazione del bilancio idrico ed elettrolitico dell’organismo sono fortemente impegnati due ormoni: indicane il nome e l’azione sull’organo bersaglio che hanno in comune. 21. Nell’invecchiare, l’apparato endocrino diventa in generale meno efficiente. Indica alcuni esempi dei problemi che si verificano negli anziani come conseguenza della ridotta produzione di ormoni.

■■■ VERSO LE COMPETENZE 22. Di quale disfunzione endocrina presenta i sintomi esteriori una donna con esagerato sviluppo dei peli e voce profonda? 23. I genitori di Marta, che ha 14 anni, sono preoccupati per la sua statura, perché è alta soltanto 120 cm mentre essi misurano entrambi circa 180 cm. Dopo aver effettuato esami presso il loro medico, alla ragazza vengono prescritti determinati ormoni. Qual è la probabile diagnosi? Quali ormoni sono stati prescritti e perché ci si potrebbe aspettare che la ragazza raggiunga un’altezza normale? 24. Paola, che ha 28 anni, è in travaglio di parto da 15 ore. Le contrazioni uterine sono deboli e il travaglio non sta procedendo in modo normale. Poiché Paola e il suo medico optano per un parto naturale, il dottore dispone che venga infusa ossitocina. Qual è l’azione di questo ormone?

25. Il signor Rossi porta la moglie in clinica, preoccupato del suo nervosismo, della tachicardia e della sudorazione eccessiva. Le analisi dimostrano iperglicemia e ipertensione. Quali ormoni è probabile che siano secreti in eccesso? 26. Quali sono i possibili effetti dannosi dell’uso di steroidi anabolizzanti per incrementare la massa e la forza muscolare? 27. Una signora quarantenne va in clinica, preoccupata per la sua faccia gonfia e l’inconsueto deposito di grasso sul dorso e sull’addome. Riferisce che le compaiono facilmente lividi. Le analisi del sangue dimostrano livelli elevati di glucosio. Quale potrebbe essere la diagnosi? Quali ghiandole sarebbero coinvolte?

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9. IL SANGUE

Il sangue è il «fiume di vita» che scorre dentro di noi. È il veicolo impiegato da tutto quello che deve essere trasportato da un punto all’altro dell’organismo (sostanze nutritizie, prodotti di rifiuto destinati a essere eliminati dall’organismo e calore) attraverso i vasi sanguigni. Molto prima dell’avvento della medicina moderna il sangue era visto come qualcosa di magico, perché quando usciva dal corpo se ne andava anche la vita. In questo capitolo prenderemo in considerazione la composizione e le funzioni di questo liquido essenziale per la vita. I mezzi che ne determinano la circolazione in tutto l’organismo sono trattati nel capitolo 10.

1. Composizione e funzioni del sangue Componenti Il sangue è assolutamente speciale: è l’unico tessuto liquido dell’organismo. Per quanto si presenti come un liquido denso e omogeneo, al microscopio si dimostra composto da una fase liquida e una solida. Fondamentalmente il sangue è un tipo particolare di tessuto connettivo in cui cellule viventi, gli elementi corpuscolati, sono sospese in una matrice liquida non vivente, il plasma. Nel sangue non si trovano le fibre collagene ed elastiche tipiche di tutti i tessuti connettivi, ma proteine presenti in soluzione si rendono visibili come filamenti di fibrina durante la coagulazione del sangue. Se si centrifuga un campione di sangue, gli elementi corpuscolati, più pesanti, per effetto della forza centrifuga si concentrano nel fondo della provetta, mentre il plasma rimane al di sopra (figura 9.1). La gran parte del precipitato di colore rosso è costituito dagli eritrociti (eritro, «rosso») o globuli rossi, gli elementi corpuscolati che hanno la funzione di trasportare l’ossigeno. Anche se nella figura 9.1 è appena visibile, tra gli eritrociti e il plasma soprastante si trova un sottile strato biancastro, il buffy coat. Questo strato contiene gli altri elementi corpuscolati, i leucociti (leuco, «bianco») o globuli bianchi, che agiscono in vari modi nelle difese dell’organismo, e le piastrine, che non sono vere cellule ma soltanto frammenti cellulari attivi nell’arrestare le perdite di sangue. Gli eritrociti costituiscono normalmente circa il 45% del volume totale di un campione di sangue, e tale percentuale è l’ematocrito («frazione del sangue»). I globuli bianchi e le piastrine corrispondono a meno dell’1%, e il plasma forma la massima parte del rimanente 55% del sangue totale. Caratteristiche fisiche e volume Il sangue è un liquido opaco, viscoso, dal caratteristico sapore metallico. Da bambini ci siamo resi conto che è salato la prima volta che ci siamo messi in bocca un dito

dopo essercelo tagliato. Secondo la quantità di ossigeno che sta trasportando, il suo colore varia dal rosso vivo (ricco di ossigeno) al rosso cupo (povero di ossigeno). Il sangue è almeno cinque volte più denso, o più viscoso, dell’acqua, in larga misura a causa dei suoi elementi corpuscolati. È leggermente alcalino, con pH compreso tra 7,35 e 7,45. La sua temperatura (38 °C) è sempre lievemente superiore alla temperatura corporea. Il sangue costituisce circa l’8% del peso del corpo e il suo volume, in un uomo sano, è compreso tra 5 e 6 litri. Il plasma Il plasma, formato per circa il 90% da acqua, è la parte liquida del sangue. In questo liquido di colore giallo paglierino sono disciolte oltre 100 sostanze differenti. Tra le sostanze presenti in soluzione sono comprese molecole nutritizie, sali (elettroliti), gas respiratori, ormoni, proteine plasmatiche, vari prodotti di rifiuto e prodotti del metabolismo cellulare. Le proteine plasmatiche sono i soluti più abbondanti del plasma. Tranne gli anticorpi e gli ormoni di natura proteica, la maggior parte delle proteine plasmatiche è prodotta dal fegato. Le proteine plasmatiche svolgono diverse funzioni. L’albumina, per esempio, serve a veicolare nel circolo sanguigno determinate molecole, è importante nei sistemi tampone del sangue e contribuisce a determinare la pressione osmotica del sangue che trattiene l’acqua nella corrente circolatoria. Le proteine della coagulazione contribuiscono ad arrestare la perdita di sangue nel caso di lesioni dei vasi sanguigni; gli anticorpi partecipano alle difese dell’organismo contro agenti patogeni. Le proteine plasmatiche non vengono assunte dalle cellule per essere utilizzate come materiale nutritizio o per ottenere energia, come avviene per altri soluti, quali glucosio, acidi grassi e ossigeno. La composizione del plasma varia continuamente poiché le cellule prelevano o immettono sostanze nel sangue. Tuttavia, presupponendo una dieta sana, la composizione del plasma viene mantenuta relativamente costante da vari meccanismi omeostatici dell’organismo. Per esempio, quando le proteine del sangue diminuiscono troppo, il fegato è stimolato a produrne di più, e quando il sangue comincia a diventare troppo acido (acidosi) o troppo alcalino (alcalosi), l’apparato respiratorio e i reni intervengono per riportarlo a valori di pH lievemente alcalino compresi tra 7,35 e 7,45 che sono i suoi valori normali. Vari organi effettuano senza tregua una quantità di aggiustamenti per mantenere molti soluti plasmatici ai livelli adeguati per la vita. Oltre a trasportare nell’organismo varie sostanze, il plasma contribuisce a distribuire uniformemente in tutto l’organismo il calore corporeo che è prodotto durante il metabolismo cellulare.

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9. IL SANGUE

?

Figura 9.1 Composizione del sangue Quali effetti avrebbe una diminuzione delle proteine plasmatiche sul volume del plasma?

Plasma 55% Costituente

Funzioni principali

Acqua

Solvente per il trasporto delle varie sostanze; assorbimento del calore

Sali (elettroliti) Sodio Potassio Calcio Magnesio Cloro Bicarbonato Proteine plasmatiche Albumina Fibrinogeno Globuline

Equilibrio osmotico, sistema tampone del pH, regolazione della permeabilità delle membrane

Elementi corpuscolati 45% Numero (per mm3 di sangue)

Tipo Eritrociti (globuli rossi)

4 – 6 milioni

Trasporto dell’ossigeno e, in parte, del diossido di carbonio

Leucociti (globuli bianchi)

4000 – 11 000

Difesa e immunità

Equilibrio osmotico, sistema tampone Coagulazione del sangue Difesa (anticorpi) e trasporto di lipidi

Funzioni

Linfocito Basofilo Eosinofilo

Sostanze trasportate dal sangue Sostanze nutritizie (glucosio, acidi grassi, aminoacidi, vitamine) Prodotti di rifiuto del metabolismo (urea, acido urico) Gas respiratori (O2 e CO2) Ormoni

■■ FACCIAMO IL PUNTO

1. Quale organo ha un ruolo principale nella produzione delle proteine del sangue? 2. Quali sono i tre tipi fondamentali di elementi corpuscolati? 3. Cosa determina se il colore del sangue è rosso vivo o rosso cupo?

Gli elementi corpuscolati Se si osserva al microscopio ottico uno striscio colorato di sangue umano, si possono vedere gli eritrociti di forma discoidale, vari leucociti di forma rotondeggiante vistosamente colorati e alcune piastrine sparse dall’aspetto

Monocito

Neutrofilo Piastrine

250 000 – 500 000

Coagulazione del sangue

di detriti (figura 9.2 a pagina seguente). Gli eritrociti, tuttavia, sono gli elementi corpuscolati di gran lunga più numerosi. Le caratteristiche importanti degli elementi corpuscolati sono riassunte nella tabella 9.2 a pagina 229. Gli eritrociti Gli eritrociti o globuli rossi hanno fondamentalmente la funzione di trasportare l’ossigeno nel sangue a tutte le cellule dell’organismo. Sono un esempio eccellente della corrispondenza tra struttura e funzione nelle cellule. Gli eritrociti differiscono dalle altre cellule del sangue perché sono anucleati, cioè privi di nucleo; sono inoltre privi degli organuli citoplasmatici. Infatti gli eritrociti maturi cir-

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9. IL SANGUE Piastrine

Linfocito

Quante più molecole di emoglobina contengono, tanto maggiore sarà la quantità di ossigeno che gli eritrociti sono in grado di trasportare. Forse il modo più accurato di valutare la capacità del sangue di trasportare ossigeno è determinare quanta emoglobina contiene. Un unico eritrocito contiene circa 250 milioni di molecole di emoglobina, ciascuna capace di legare 4 molecole di ossigeno, cosicché ciascun eritrocito, pur così piccolo, è in grado di trasportare circa un miliardo di molecole di ossigeno! Questo è un dato sbalorditivo, ma non molto pratico. Dal punto di vista clinico è molto più importante il fatto che il sangue normalmente contiene da 12 a 18 grammi (g) di emoglobina per 100 millilitri (mL). Il contenuto di emoglobina è leggermente superiore nei maschi (13-18 g/mL) che nelle femmine (12-16 g/mL). SE L’OMEOSTASI È ALTERATA

Eritrociti

Neutrofili

Figura 9.2 Microfotografia di uno striscio di sangue Le cellule osservabili in questo campo sono per la maggior parte eritrociti (globuli rossi). Sono presenti anche due tipi di leucociti (globuli bianchi): linfociti e neutrofili. Si notano anche le piastrine.

colanti nel sangue sono letteralmente «sacchetti» di emoglobina. L’emoglobina (Hb) è una proteina contenente ferro che trasporta l’ossigeno nel sangue. (Lega anche una piccola quantità di diossido di carbonio.) Inoltre, poiché sono privi di mitocondri e producono l’ATP con meccanismi anaerobi, gli eritrociti non utilizzano per nulla l’ossigeno che trasportano, dimostrandosi così trasportatori di ossigeno davvero straordinariamente efficienti. Gli eritrociti sono elementi piccoli, flessibili, che hanno la forma di disco biconcavo, cioè di disco appiattito schiacciato al centro (figura 9.2). Le loro piccole dimensioni e la forma caratteristica fanno sì che l’area della superficie sia ampia rispetto al volume, rendendoli particolarmente adatti agli scambi gassosi. Gli eritrociti sono in numero circa mille volte superiore rispetto ai leucociti e sono il principale fattore determinante della viscosità del sangue. Sebbene il numero degli eritrociti in circolo sia soggetto a variazioni, normalmente sono circa 5 milioni per millimetro cubo di sangue. (Un millimetro cubo [mm3] è una gocciolina di sangue minutissima, quasi non visibile.) Quando il numero degli eritrociti per mm3 aumenta, aumenta la viscosità del sangue. Analogamente, quando il numero diminuisce, il sangue diventa più fluido e scorre più velocemente. Tuttavia, non lasciamoci fuorviare dalle considerazioni sul numero degli eritrociti; sebbene questo sia importante, è la quantità di emoglobina a determinare quanto efficientemente gli eritrociti stiano svolgendo il loro ruolo di trasporto dell’ossigeno.

La diminuzione della capacità del sangue di trasportare ossigeno, qualunque ne sia la causa, è una anemia («mancanza di sangue»). L’anemia può essere dovuta (1) a un numero di eritrociti inferiore al normale, oppure (2) al contenuto di emoglobina anomala o insufficiente. Nella tabella 9.1 sono classificati e descritti diversi tipi di anemia, ma uno di questi, l’anemia falciforme, merita un poco più di attenzione perché nel pronto soccorso degli ospedali capitano spesso all’osservazione persone affette da questa malattia genetica. Nell’anemia falciforme l’emoglobina anomala provoca la deformazione degli eritrociti, che assumono un aspetto «a falce» (figura 9.3b), quando cedono le molecole di ossigeno o quando il contenuto in ossigeno del sangue è inferiore al normale, come nel caso di intensa attività fisica, di ansia, o di altre situazioni di stress. Gli eritrociti, rigidi e deformati, si rompono facilmente e ostruiscono i piccoli vasi sanguigni. Questo interferisce con la cessione dell’ossigeno (lasciando chi ne è affetto in affanno per respirare) e provoca un estremo dolore. Stupisce che conseguenze così devastanti siano dovute alla sostituzione di un solo aminoacido in due delle quattro catene polipeptidiche della molecola di emoglobina! L’anemia falciforme si riscontra soprattutto nella popolazione nera che vive nella fascia dell’Africa in cui è diffusa la malaria e nei suoi discendenti. È evidente che lo stesso gene che provoca la falcemia fa sì che gli eritrociti infettati dal parassita malarico aderiscano alle pareti dei capillari e poi perdano potassio, che è essenziale per la sopravvivenza del parassita. Quindi il parassita che provoca la malaria non può moltiplicarsi all’interno degli eritrociti e le persone portatrici del gene della falcemia hanno una maggiore probabilità di sopravvivere nelle zone a elevata diffusione malarica. Soltanto coloro che hanno due copie del gene anomalo sono affetti dall’anemia falciforme. Coloro che hanno una sola copia del gene falcemico sono portatori del tratto falcemico, e generalmente non hanno sintomi, ma possono trasmettere il gene mutato ai discendenti. Un aumento eccessivo del numero degli eritrociti è la policitemia, che può essere dovuta a una neoplasia maligna del midollo osseo (policitemia vera). La policitemia può anche essere una risposta fisiologica normale (omeostatica) alla permanenza ad altitudine elevata, dove l’aria è più rarefatta ed è disponibile meno ossigeno (policitemia secondaria). Il problema più importante che consegue all’aumento del numero di globuli rossi è l’aumento della viscosità del sangue, per cui questo scorre più lentamente, causando problemi alla circolazione.

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9. IL SANGUE Tabella 9.1 Tipi di anemia

Causa diretta

Conseguente a

Provoca

Diminuzione del numero di eritrociti

Emorragia improvvisa

Anemia postemorragica Anemia emolitica Anemia perniciosa

Lisi degli eritrociti in seguito a infezioni batteriche Carenza di vitamina B12 (di solito dovuta a carenza di fattore intrinseco, necessario per l’assorbimento della vitamina; il fattore intrinseco è prodotto dalle cellule della mucosa gastrica) Depressione/distruzione del midollo osseo per cancro, radiazioni, determinati farmaci Carenza di ferro nella dieta o sanguinamento lento/prolungato (come flusso mestruale molto abbondante o ulcera sanguinante) che esaurisce le riserve di ferro necessarie per produrre l’emoglobina; gli eritrociti sono piccoli e pallidi per la carenza di emoglobina Un difetto genetico porta alla produzione di emoglobina abnorme che causa la deformazione falciforme degli eritrociti in condizioni di ridotta pressione di ossigeno; colpisce soprattutto persone di origini africane

Insufficiente contenuto di emoglobina negli eritrociti Emoglobina anomala negli eritrociti

1

2

3

4

7...146 5

6

(a) Emoglobina normale

1

2

3

4

7...146 5

6

(b) Emoglobina dell’anemia falciforme Figura 9.3 Confronto tra (a) un eritrocito normale e (b) un eritrocito falcemico (Ž 6700)

Anemia aplastica Anemia sideropenica

Anemia falciforme

I leucociti Pur essendo di gran lunga meno numerosi degli eritrociti, i leucociti o globuli bianchi sono essenziali per le difese dell’organismo. In media sono da 4000 a 11 000 per mm3 e costituiscono meno dell’1% del volume totale del sangue. I leucociti sono le uniche cellule complete, vale a dire contenenti il nucleo e gli organuli abituali, presenti nel sangue. I leucociti formano un contingente mobile di difesa che contribuisce a proteggere l’organismo dai danni prodotti da batteri, virus, parassiti e cellule neoplastiche. Come tali, possiedono caratteristiche del tutto particolari. Gli eritrociti circolano e svolgono le loro funzioni nel sangue. I leucociti, invece, sono capaci di scivolare dentro e fuori dai vasi sanguigni, con un processo definito diapedesi («saltare attraverso»). Il sistema circolatorio è semplicemente il mezzo con cui i leucociti vengono trasportati nelle zone dell’organismo in cui devono svolgere le loro funzioni nelle risposte infiammatorie o immunitarie (come è descritto nel capitolo 11). Inoltre i leucociti sono in grado di localizzare nell’organismo aree di danno tessutale e di infezione rispondendo a determinate sostanze che diffondono dalle cellule danneggiate. Questa capacità è la chemiotassi positiva. Una volta recepito il segnale, i leucociti si spostano negli spazi tessutali con movimento ameboide (emettono propaggini citoplasmatiche retrattili che permettono loro di spostarsi in avanti). Seguendo il gradiente di diffusione, individuano le zone danneggiate e si raccolgono in grande numero per distruggere i microrganismi ed eliminare le cellule morte. Ogni volta che i leucociti si mobilizzano per svolgere la loro azione, l’organismo ne accelera la produzione e nel tempo di poche ore il numero dei leucociti può arrivare a essere il doppio del normale. La presenza di leucociti in

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9. IL SANGUE

numero superiore a 11000/mm3 è detta leucocitosi. Generalmente una leucocitosi indica che nell’organismo è in corso un’infezione batterica o virale. La condizione opposta, la leucopenia, consiste in un numero abnormemente basso di leucociti ed è comunemente provocata da determinati farmaci, come i corticosteroidi e gli antineoplastici. SE L’OMEOSTASI È ALTERATA La leucocitosi è una risposta normale e auspicabile alle minacce di infezione. Invece, la produzione di un grande numero di leucociti abnormi che si verifica nella mononucleosi infettiva e nella leucemia è nettamente patologica. La leucemia (letteralmente «sangue bianco») è una neoplasia maligna del midollo osseo nella quale sono immesse rapidamente in circolo enormi quantità di leucociti. Può sembrare che questo non costituisca un problema, ma in realtà i leucociti di nuova formazione sono immaturi e incapaci di svolgere le loro normali funzioni di difesa. Di conseguenza l’organismo diventa facile preda di batteri patogeni e di virus. Inoltre, nel midollo le altre linee cellulari sono soffocate per la mancanza di spazio e si possono avere gravi problemi di anemia ed emorragie.

I leucociti sono suddivisi in due grandi gruppi (granulociti e agranulociti) a seconda che contengano o no granuli visibili nel citoplasma. Le caratteristiche specifiche dei leucociti sono elencate nella tabella 9.2. L’aspetto microscopico si può osservare nella figura 9.1. I granulociti sono leucociti con evidenti granuli citoplasmatici. Hanno nucleo plurilobato, formato da più lobi rotondeggianti connessi da esili tratti di materiale nucleare. I granuli del citoplasma si colorano in modo specifico con la colorazione di Wright. I granulociti possono essere neutrofili, eosinofili, o basofili. 1. I neutrofili sono i leucociti più numerosi. Svolgono un’intensa attività fagocitaria nelle sedi di infezione acuta e sono particolarmente attivi contro batteri e funghi. 2. Gli eosinofili aumentano rapidamente nelle allergie e nell’infestazione da parassiti (platelminti, cestodi, ecc.) ingeriti con il cibo (pesce crudo) o penetrati attraverso la cute. 3. I basofili, i leucociti meno numerosi, hanno grossi granuli contenenti istamina che si colorano in blu. L’istamina è una sostanza liberata durante l’infiammazione che aumenta la permeabilità dei capillari e richiama altri leucociti nella sede infiammatoria. Il secondo gruppo di leucociti, gli agranulociti, non presenta granuli citoplasmatici visibili. Il loro nucleo ha forma abbastanza regolare, vale a dire che è sferico, ovale o reniforme. Gli agranulociti possono essere linfociti e monociti. 1. I linfociti hanno nucleo voluminoso che occupa la maggior parte della cellula. I linfociti tendono a inse-

diarsi nei tessuti linfatici, dove svolgono un ruolo importante nella risposta immunitaria. Dopo i neutrofili, sono i leucociti più numerosi nel sangue. 2. I monociti sono i leucociti più grandi. Tranne che per il citoplasma più abbondante e per il caratteristico nucleo reniforme o a ferro di cavallo, sono simili a grandi linfociti. Quando migrano nei tessuti si trasformano in macrofagi con attività fagocitaria particolarmente intensa. L’ordine delle percentuali relative in cui i vari tipi di leucociti si trovano nel sangue, dai più numerosi ai meno numerosi, è il seguente: neutrofili, linfociti, monociti, eosinofili e basofili. Le piastrine Le piastrine non sono cellule, ma frammenti citoplasmatici di bizzarre cellule giganti dal nucleo plurilobato che si trovano nel midollo osseo: i megacariociti. Da questi si staccano migliaia di piastrine che rapidamente si separano nell’andare in circolo. Le piastrine si presentano come corpiccioli irregolari che assumono colorazione scura, sparsi tra gli altri elementi del sangue. Il loro numero normale è circa 300000/mm3. Come è indicato nella tabella 9.2, le piastrine sono necessarie per il processo di coagulazione che avviene nel plasma in caso di lesioni dei vasi sanguigni. (Spiegheremo tale processo più avanti.) ■■ FACCIAMO IL PUNTO

4. Qual è il ruolo dell’emoglobina negli eritrociti? 5. Quali leucociti sono i più importanti nell’immunità? 6. In presenza di una grave infezione, ti aspetteresti che il numero dei tuoi leucociti fosse più vicino a 5000, 10000 o 15 000/mm3? 7. La piccola Lisa è pallida e fiacca. Quali cellule del sangue potrebbero essere alterate?

L’emopoiesi (produzione degli elementi del sangue) La formazione degli elementi del sangue, o emopoiesi, avviene nel midollo rosso delle ossa, o tessuto mieloide. Nell’adulto questo tessuto si trova essenzialmente nelle ossa piatte e nelle epifisi prossimali dell’omero e del femore. Gli elementi del sangue di ciascun tipo sono prodotti in numero differente secondo il variare delle necessità dell’organismo e i diversi stimoli. Dopo essere maturati, vengono immessi in circolo nei vasi sanguigni circostanti. In media il midollo rosso produce ogni giorno quasi 30 grammi di nuovo sangue contenente 100 miliardi di nuove cellule. Tutti gli elementi si formano da una cellula staminale emopoietica comune pluripotente (detta anche emocitoblasto) che ha sede nel midollo osseo. Lo sviluppo dei vari elementi è tuttavia differente, e quando una cellula

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9. IL SANGUE Tabella 9.2 Caratteristiche degli elementi corpuscolati del sangue

Tipo

Numero (per mm3 di sangue)

ERITROCITI

4–6 milioni

Anatomia cellularea

Funzioni

Dischi biconcavi di colore salmone; anucleati; veri e propri sacchetti di emoglobina, privi degli organuli citoplasmatici

Trasporto dell’ossigeno legato alle molecole di emoglobina; trasporto di una piccola parte del diossido di carbonio

3000–7000 (40–70% dei leucociti)

Il citoplasma si colora in rosa pallido e contiene fini granuli poco visibili; nucleo colorato in viola, formato da tre–sette lobi uniti da sottili filamenti di cromatina

Attivi fagociti; il loro numero aumenta rapidamente nelle infezioni acute

• Eosinofili

100–400 (1–4% dei leucociti)

Grossi granuli di colore rosso nel citoplasma; nucleo bilobato colorato in viola

Uccidono i vermi parassiti sommergendoli di enzimi litici; aumentano durante gli attacchi di allergia; potrebbero fagocitare i complessi antigene-anticorpo e inattivare alcune sostanze infiammatorie

• Basofili

20–50 (0–1% dei leucociti)

Pochi voluminosi granuli citoplasmatici colorati in azzurro-viola; nucleo a forma di U o di S, con strozzature, colorato in blu

Liberano istamina (sostanza vasodilatatrice) nelle sedi di infiammazione; contengono eparina, un anticoagulante

1500–3000 (20–45% dei leucociti)

Il citoplasma azzurro appare come un sottile margine attorno al nucleo; nucleo sferico (o lievemente dentellato) colorato in blu-viola

Fanno parte del sistema immunitario; un tipo (i linfociti B) produce anticorpi; un altro tipo (i linfociti T) interviene nel rigetto dei trapianti e nella difesa contro tumori e virus mediante l’attacco diretto alle cellule

100–700 (4–8% dei leucociti)

Abbondante citoplasma azzurro-grigio; nucleo blu-viola spesso reniforme

Attivi fagociti che nei tessuti diventano macrofagi; «spazzini» che eliminano i detriti; aumentano di numero nelle infezioni croniche come la tubercolosi

150 000– 500 000

Frammenti cellulari di forma irregolare; si colorano in viola

Necessarie per la normale coagulazione del sangue; danno inizio alla cascata della coagulazione aderendo alla zona lesa; contribuiscono a fermare la perdita di sangue da lesione dei vasi sanguigni

(globuli rossi)

LEUCOCITI

(globuli bianchi) Granulociti • Neutrofili

Agranulociti • Linfociti

• Monociti

PIASTRINE

a

4000–11 000

Aspetto al microscopio con la colorazione di Wright.

è predeterminata a divenire uno specifico tipo non può più cambiare. Come è illustrato nel diagramma della figura 9.4 a pagina seguente, la cellula staminale pluripotente dà origine a due tipi di discendenti: la cellula staminale linfoide, da cui si originano i linfociti, e la cellula staminale mieloide, da cui derivano tutti gli altri tipi di elementi corpuscolati.

La produzione degli eritrociti Poiché sono privi di nucleo, gli eritrociti non sono in grado di sintetizzare proteine, di accrescersi, o di dividersi. La loro vita media in circolo è compresa tra 100 e 120 giorni; quando invecchiano diventano più rigidi e cominciano a frammentarsi e i loro residui vengono fagocitati soprattutto nella milza e poi eliminati da diversi or-

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9. IL SANGUE

l’eritropoietina è il midollo osseo che è stimolato ad aumentare la produzione di eritrociti. Un numero eccessivo di eritrociti deprime la liberazione di eritropoietina e la produzione degli stessi. La distruzione dei globuli rossi La vita media dei globuli rossi è di circa 120 giorni; dopo questo periodo essi vanno incontro a un processo di demolizione, detto emocateresi, che avviene prevalentemente nella milza e che prevede varie tappe:

1. I globuli rossi invecchiati vengono fagocitati dai macrofagi presenti nella milza in modo che l’emoglobina in essi contenuta sia scomposta nelle sue componenti: l’eme e la parte proteica (globina). 2. La globina viene scissa nei singoli amminoacidi che potranno essere riutilizzati per la sintesi di nuove proteine. 3. Il gruppo eme rilascia il ferro e la molecola risultante, detta biliverdina (pigmento di colore verde), viene trasformata in bilirubina (di colore giallo). 4. Il ferro libero si lega a una proteina trasportatrice, la tranferrina, e tramite il sangue raggiunge i tessuti emopoietici in modo da essere riutilizzato. 5. La bilirubina viene trasportata nel sangue legata all’albumina e arriva al fegato. Qui entra a far parte della composizione della bile che viene riversata nell’intestino tenue per permettere la digestione dei lipidi. 6. Di qui la bilirubina continua il suo viaggio attraversando l’intestino crasso, dove viene attaccata dalla flora batterica intestinale che la trasforma in urobilinogeno. 7. Parte dell’urobilinogeno passa nel sangue e arriva ai reni, dove è convertito in urobilina, un pigmento giallo che viene eliminato con le urine (è a questo pigmento che si deve il colore dell’urina) 8. L’urobilinogeno rimasto nell’intestino crasso viene trasformato in stercobilina che conferisce il tipico colore marrone alle feci. L’emocateresi mette in luce l’efficienza del nostro organismo che riesce a «riciclare» le sostanze utili rendendo innocue quelle dannose, anche grazie alla collaborazione della flora microbica intestinale. La produzione dei leucociti e delle piastrine La formazione dei leucociti e delle piastrine, come quella degli eritrociti, è stimolata da ormoni. I fattori stimolanti la formazione di colonie (CSF, colony stimulating factor) e le interleuchine non soltanto stimolano il midollo osseo a produrre leucociti, ma predispongono anche un

contingente di leucociti a evitare l’azione di agenti dannosi incrementando le capacità di difesa dei leucociti maturi. Appare evidente che sono liberati in risposta a specifici segnali chimici locali, come sostanze dell’infiammazione. L’ormone trombopoietina accelera la produzione delle piastrine, ma si conosce poco sulle modalità di regolazione di questo processo.

2. L’emostasi In condizioni normali il sangue scorre agevolmente lungo il rivestimento endoteliale integro dei vasi sanguigni. Ma se la parete di un vaso sanguigno è danneggiata, si mette in moto una serie di reazioni che portano all’emostasi (emo, «sangue», stasis, «immobilità»), cioè all’arresto del sanguinamento. Questa risposta, che è rapida e localizzata, coinvolge numerose sostanze normalmente presenti nel plasma, oltre a quelle che vengono liberate dalle piastrine e dai tessuti danneggiati. L’emostasi consta di tre fasi principali, che si verificano in sequenza rapida: vasocostrizione, formazione del tappo piastrinico e coagulazione del sangue. Nella zona lesa la perdita di sangue risulta impedita in modo permanente quando all’interno del coagulo si forma tessuto fibroso che chiude la rottura del vaso. Fondamentalmente l’emostasi avviene nel modo seguente (figura 9.6 a pagina seguente): 1. Vasocostrizione. La risposta immediata alla lesione di un vaso sanguigno è una contrazione del vaso. Si restringe così in quel punto il lume del vaso riducendo la perdita di sangue fino a quando avviene la coagulazione. 2. Formazione del tappo piastrinico. In condizioni normali tra l’endotelio e le piastrine c’è repulsione, ma quando l’endotelio è danneggiato le fibre collagene sottostanti risultano esposte, le piastrine diventano «appiccicose» e aderiscono alla zona lesa. Le piastrine così ancorate liberano sostanze che intensificano la vasocostrizione e richiamano nella stessa zona altre piastrine. Con l’aggregazione di un numero sempre maggiore di piastrine, si forma una piccola massa detta tappo piastrinico o trombo bianco. 3. Coagulazione del sangue. a) Contemporaneamente i tessuti danneggiati liberano il fattore tessutale, una sostanza che ha un ruolo importante nella coagulazione. b) Il PF3 è un fosfolipide che riveste la superficie delle piastrine. Esso interagisce con il fattore tessutale, la vitamina K e altri fattori proteici della coagulazione presenti nel sangue, determinando, in presenza di ioni calcio, l’attivazione di una serie di reazioni successive chiamate cascata della coagulazio-

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9. IL SANGUE 1. Vasocostrizione

2. Formazione del tappo piastrinico Esposizione delle fibre collagene a causa della lesione dell’endotelio vasale; adesione delle piastrine

3. Coagulazione del sangue Precipitazione della fibrina che imprigiona eritrociti

Formazione del tappo piastrinico

Fibre collagene

Fibrina

Piastrine

Liberazione da parte delle piastrine di sostanze che richiamano altre piastrine e ne determinano l’aggregazione

PF3 piastrinico

+ Fattore tessutale dei tessuti lesi

Fasi della coagulazione (cascata della coagulazione)

Figura 9.7 Coagulo di fibrina Immagine al microscopio elettronico a scansione (in colori artificiali) di eritrociti imprigionati in una rete di filamenti di fibrina.

Calcio e altri fattori plasmatici della coagulazione

1 Formazione dell’attivatore della protrombina

ne. Il prodotto di queste reazioni è la formazione di una molecola detta attivatore della protrombina. c) L’attivatore della protrombina così formato catalizza la conversione della protrombina presente nel plasma in trombina. d) La trombina agisce sul fibrinogeno (molecola solubile) che si trasforma in fibrina (insolubile). Si forma così una rete di filamenti di fibrina in cui restano intrappolati i globuli rossi, che costituisce la base del coagulo ed è anche detta trombo rosso (figura 9.7). Nel giro di ore il coagulo comincia a restringersi, spremendo fuori il siero (plasma privo delle proteine della coagulazione) e avvicinando tra loro i margini della lesione del vaso. Normalmente la coagulazione del sangue avviene in un tempo compreso tra 3 e 6 minuti. Di regola, una volta avviata la cascata della coagulazione, i fattori scatenanti sono rapidamente inattivati per impedire la coagulazione diffusa del sangue. Alla fine l’endotelio si rigenera e avviene la rimozione del coagulo. Le alterazioni dell’emostasi SE L’OMEOSTASI È ALTERATA

2

Protrombina

Trombina

3 Fibrinogeno (solubile)

Fibrina (insolubile)

Figura 9.6 Emostasi Il processo a più passaggi, dettagliati nel testo, inizia quando un vaso sanguigno viene danneggiato e il tessuto connettivo della parete vasale viene esposto al sangue.

Le due principali alterazioni dell’emostasi, la trombosi e le malattie emorragiche, sono ai poli opposti. La trombosi Nonostante l’organismo controlli l’anomala coagulazione del sangue, talvolta si formano in modo imprevisto coaguli all’interno di vasi sanguigni integri, soprattutto negli arti inferiori. Un coagulo che si forma e persiste in un vaso sanguigno integro è un trombo. Se è sufficientemente grande, il trombo può impedire l’afflusso del sangue alle cellule situate oltre l’osta-

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9. IL SANGUE colo. Se per esempio l’ostruzione avviene nei vasi sanguigni che irrorano il cuore, la conseguenza può essere una necrosi miocardica e un attacco cardiaco fatale. Se un trombo si stacca dalla parete vasale ed è trascinato libero nella corrente sanguigna, diventa un embolo che di solito non costituisce un problema, a meno che (o fino a quando) non imbocchi un vaso troppo stretto per consentirne il passaggio. Per esempio, un embolo cerebrale può provocare un ictus. La trombosi può essere provocata da qualsiasi causa renda ruvido l’endotelio di un vaso sanguigno e favorisca l’adesione delle piastrine, come le ustioni gravi, le contusioni e l’accumulo di materiale lipidico. Il rallentamento della circolazione del sangue, o stasi sanguigna, è un altro fattore di rischio, specialmente nei pazienti immobilizzati. In questo caso i fattori della coagulazione non scorrono via come di solito e si accumulano rendendo possibile la formazione di un coagulo. Per i pazienti a rischio di trombosi si impiegano diversi anticoagulanti, i più importanti dei quali sono l’aspirina, l’eparina e il dicumarolo. Le malattie emorragiche Le cause più comuni di sanguinamento abnorme sono la diminuzione delle piastrine (trombocitopenia) e i deficit di fattori della coagulazione come quelli che conseguono ad alterazioni della funzione epatica o a determinate alterazioni genetiche. La trombocitopenia è data da un numero insufficiente di piastrine in circolo. Anche i comuni movimenti provocano il sanguinamento spontaneo dei piccoli vasi sanguigni, che si manifesta con numerose piccole chiazze cutanee color porpora, le petecchie. La trombocitopenia può essere dovuta a qualsiasi causa che deprima l’attività del midollo osseo, come tumori maligni del midollo, radiazioni e determinati farmaci. Quando il fegato non è in grado di sintetizzare i fattori della coagulazione che produce, si verificano episodi emorragici abnormi e spesso gravi. Se vi è carenza di vitamina K (necessaria alle cellule epatiche per produrre i fattori della coagulazione), il problema è facilmente corretto dalla somministrazione di tale vitamina. L’emofilia comprende diverse malattie emorragiche ereditarie dovute al deficit di uno qualunque dei fattori necessari per la coagulazione. Le varie forme di emofilia presentano segni e sintomi simili che compaiono precocemente nel corso della vita. Traumi anche minimi provocano un sanguinamento prolungato e possono mettere in pericolo la vita. Quando si verifica un episodio emorragico, gli emofilici sono sottoposti alla trasfusione di plasma fresco o all’iniezione del fattore della coagulazione purificato di cui è carente. Poiché gli emofilici sono assolutamente dipendenti dall’una o dall’altra di queste terapie, alcuni sono stati colpiti da malattie virali che si trasmettono con il sangue, come l’epatite e l’AIDS. Questi problemi sono stati in larga misura risolti dal fatto di potere disporre di fattori della coagulazione prodotti con l’ingegneria genetica e di vaccini per l’epatite. ■■ FACCIAMO IL PUNTO

8. Quali sono le cellule che danno origine a tutti gli elementi corpuscolati del sangue? 9. Quale proprietà degli eritrociti li destina a una durata di vita limitata di circa 120 giorni? 10. Qual è la differenza tra la produzione delle piastrine e quella di tutti gli altri elementi corpuscolati del sangue? 11. Cos’è la bilirubina e sotto quale forma viene eliminata dall’intestino crasso?

3. I gruppi sanguigni e la trasfusione di sangue Come abbiamo visto, il sangue è essenziale per il trasporto di sostanze nell’organismo. Nel caso di emorragie i vasi sanguigni si contraggono e il midollo osseo accelera la produzione di elementi del sangue, nel tentativo di mantenere attiva la circolazione. Tuttavia, l’organismo può compensare una perdita di volume del sangue soltanto fino a un certo limite. Perdite comprese tra il 15 e il 30% causano pallore e debolezza muscolare (astenia). Perdite superiori al 30% provocano uno shock grave, che può essere fatale. Abitualmente vengono effettuate trasfusioni di sangue intero per rimpiazzare le perdite di sangue consistenti. I gruppi sanguigni umani Anche se le trasfusioni di sangue intero possono salvare la vita, gli individui hanno gruppi sanguigni differenti e la trasfusione di sangue incompatibile può risultare fatale. Come mai? La membrana plasmatica degli eritrociti, come quella di tutte le altre cellule dell’organismo, presenta proteine (antigeni) determinate geneticamente che sono caratteristiche di ogni persona. Un antigene è una sostanza che l’organismo riconosce come estranea e contro la quale produce anticorpi, cioè mette in atto un sistema di difesa. Per la maggior parte gli antigeni sono proteine estranee, come quelle che fanno parte di virus o batteri che sono riusciti a penetrare nell’organismo. Sono sostanze estranee tutte le proteine che non vengono riconosciute come proprie (self ), cioè sia proteine virali o batteriche sia proteine, presenti sui globuli rossi, differenti dalle proprie. Per questo, se un paziente riceve una trasfusione con globuli rossi che presentano antigeni diversi dai propri, produce anticorpi che si legano agli eritrociti del sangue del donatore. Il legame con gli anticorpi determina l’agglutinazione (cioè l’ammassarsi) dei globuli rossi estranei, che porta all’ostruzione di piccoli vasi sanguigni in tutto l’organismo. Nelle poche ore che seguono, gli eritrociti estranei vengono distrutti e la loro emoglobina è liberata nel sangue circolante. L’emoglobima in circolo può bloccare i tubuli renali, provocando insufficienza renale e la morte. Le più intense reazioni da trasfusione sono dovute agli antigeni del sistema AB0 e del gruppo Rh. Come è illustrato nella tabella 9.3 a pagina seguente, i gruppi sanguigni AB0 sono determinati da quale dei due antigeni, di tipo A o di tipo B, un individuo ha ereditato. L’assenza di entrambi gli antigeni determina il gruppo 0, la presenza di entrambi determina il gruppo

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9. IL SANGUE Tabella 9.3 Gruppi sanguigni del sistema AB0

Frequenza (% della popolazione degli Stati Uniti) Gruppo sanguigno AB

B

Nativi Agglutinogeni americani eritrocitari

Bianchi

Neri

Asiatici

Illustrazione

4

4

5

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