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a cura di Paolo di Luca e Doriana Piacentino
Codici, testi, interpretazioni: studi sull’epica romanza medievale a cura di
Paolo Di Luca e Doriana Piacentino
Linguistiche e Filologie
Codici, testi, interpretazioni UniversityPress
Università degli studi di Napoli “L’Orientale”
NAPOLI 2015
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CAPITOLO I
Le trasformazioni storiche del territorio
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Università degli studi di Napoli “L’Orientale”
Codici, testi, interpretazioni: studi sull’epica romanza medievale
a cura di
Paolo di Luca e Doriana Piacentino
NAPOLI 2015
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CAPITOLO I
In copertina:
Ms. London, British Library, Royal 15 E VI, c. 43r (dettaglio)
In copertina:
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Proprietà letteraria riservata
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INDICE
PAOLO DI LUCA - DORIANA PIACENTINO, Premessa ................................................
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MARIA CARERI, Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont. Con una riflessione sulle modalità di copia dei testi in versi ..........................................
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PAOLO RINOLDI, Confini di lassa, iniziali e lettrines nella tradizione della Chanson d’Aspremont ........................................................................................
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ANNA CONTANTINIDIS - PAOLO DI LUCA, Appunti sulla fisionomia testuale della redazione γ della Chanson d’Aspremont .............................................................
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DORIANA PIACENTINO, Metrica e ammodernamento linguistico: l’esempio della Chanson d’Aspremont tràdita dal ms. Royal 15 E VI ........................................
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LAURA MINERVINI, Sui frammenti epici della moschea di Damasco (Fierabras, lasse 106-108, 117-118) ..........................................................................................
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ANTONELLA NEGRI, Frammenti e dintorni nel Renaut de Montauban ...................
105
FRANCESCO CARAPEZZA, Su una ‘traccia’ musicale epica poco nota ai filologi romanzi (British Library, Royal 20 A XVII, c. 177r) ..............................................
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CHARMAINE LEE, Daurel e Beton: tra modelli francesi e ideologia occitana ..............
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MICHELA SCATTOLINI, Interpretazione delle varianti e dinamiche della tradizione: l’episodio della discesa all’inferno nell’Huon d’Auvergne ...................................
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Premessa
Le ricerche riunite in questo volume sono state presentate in occasione delle Giornate di studio che si sono tenute all’Università L’Orientale di Napoli il 5 e il 6 dicembre 2013. Oggetto di analisi sono le problematiche relative alla trasmissione dei testi epici romanzi e la loro ricaduta sul piano dell’ermeneutica letteraria, che i contributi qui pubblicati affrontano a partire da diverse prospettive, sollevando importanti questioni d’ordine ecdotico, linguistico, letterario e musicologico, e offrendo nuove interpretazioni di opere ben conosciute. I primi quattro saggi sono stati elaborati nell’ambito del progetto di ricerca italo-belga (FRFC-FNRS) coordinato da Giovanni Palumbo La Chanson d’Aspremont: étude de la tradition et édition du corpus français, il cui obiettivo è la realizzazione della prima edizione critica della chanson de geste. All’interno di questo opificio sono fioriti numerosi studi preparatori che esaminano l’opera e la sua tradizione. Maria Careri analizza, da un punto di vista tipologico e distribuzionale, alcuni degli errori incipienti commessi dai copisti dell’Aspremont, con lo scopo di ricostruirne l’eziologia e delinearne eventuali specificità, nonché di far luce sulle fasi e i meccanismi di trasmissione della chanson. Paolo Rinoldi affronta un campo ancora inesplorato, quello delle lettrines che nelle chansons de geste dovrebbero di norma evidenziare il cambio di timbro dell’assonanza o della rima e, di conseguenza, l’apertura di una nuova lassa: l’autore esamina le infrazioni a questa norma reperite nella tradizione dell’Aspremont, cercando di stabilirne di volta in volta la genesi e, per alcuni casi particolari, l’eventuale rilevanza da un punto di vista ecdotico. Anna Constantinidis e Paolo Di Luca si soffermano sulla macrovarianza che caratterizza la trasmissione della chanson al punto da poterne individuare tre redazioni diverse: lo studio si focalizza in particolare sulla branche siglata γ, della quale viene analizzata la consistenza manoscritta e la fisionomia letteraria in rapporto alle altre due. Doriana Piacentino esamina le numerose irregolarità metriche che caratterizzano una versione tarda dell’Aspremont trasmessa dal ms. London, British Library, Royal 15 E VI, ricollegandole alla necessità del copista di adeguare il testo della geste all’evoluzione della lingua. I contributi di Laura Minervini e Antonella Negri si occupano entrambi di testimoni frammentari di chansons de geste, con l’obiettivo di valorizzarli da un punto di vista filologico-letterario e ricontestualizzarli all’interno delle tradizioni delle rispettive opere. Il primo fornisce una riedizione dei frammenti del Fierabras conservati nel tesoro della moschea di Damasco, preziosa testimonianza della diffusione Oltremare della letteratura epica antico-francese. Il secondo individua nel ms. Oxford, Bodleian Library, Hatton 59, un testimone frammentario del Renaut de Montauban, un progetto consapevole di assemblaggio di sezioni narrative in parte
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preesistenti, in parte riadattate dagli interventi degli autori medievali, per comporre un prodotto unitario e fruibile. Francesco Carapezza ritorna sulla questione del rigo musicale tracciato e annotato in fondo alla lassa epico-parodica di Thomas de Bailleul nota col titolo di Bataille d’Annezin, che costituisce una delle due sole melodie di testi epici a noi pervenute ed è stato variamente intepretato dai musicologi: dopo aver passato in rassegna le precedenti posizioni critiche, l’autore ripropone, adducendo nuovi riscontri, l’ipotesi di Georg Schläger secondo la quale il rigo musicale costituirebbe un dispositivo formale di chiusura della lassa corrispondente a quello del piccolo verso eptasillabico. Il volume si chiude con i lavori di Charmaine Lee e Michela Scattolini, entrambi dedicati alla produzione epica extra-oitanica. Nel primo, l’autrice indaga i rapporti fra il Daurel et Beton e la tradizione francese, della quale la geste recupera numerosi temi per sovvertirli, tuttavia, dall’interno con lo scopo di riaffermare i valori della società occitana. Nel secondo, una serrata analisi delle varianti nella tradizione di uno degli episodi più noti dell’Huon d’Auvergne, quello della discesa agli inferi del protagonista, induce l’autrice a formulare l’ipotesi che il frammento Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, B 3489 debba essere considerato ‒ contrariamente a quanto fatto finora ‒ il testimone più vicino all’originale di questa chanson francoitaliana. Questa rapida panoramica degli argomenti affrontati negli studi qui raccolti testimonia della vitalità, varietà e ricchezza della ricerca sull’epica romanza medievale in Italia. Nel pubblicare il volume, vorremmo esprimere la nostra riconoscenza a tutti gli specialisti che hanno partecipato alle Giornate di studio con i loro interventi. Siamo molto grati a Salvatore Luongo, che ha promosso e sostenuto con entusiasmo questa iniziativa fin dalla sua concezione, e al Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati dell’Università L’Orientale, che ha permesso la realizzazione delle Giornate e la pubblicazione degli Atti. Un ringraziamento finale va ad Alberto Varvaro, che aveva generosamente accettato di presiedere una delle sessioni dell’incontro, contribuendo con la sua sapienza ad approfondire la discussione, e suggerendo, animato dalla sua inappagabile curiosità intellettuale, nuove prospettive di ricerca: ci sia consentito di chiudere queste note con un omaggio alla sua memoria. Paolo Di Luca e Doriana Piacentino
MARIA CARERI Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont. Con una riflessione sulle modalità di copia dei testi in versi
Questo intervento, come alcuni degli altri qui pubblicati (Constantidinis - Di Luca, Piacentino, Rinoldi), si inserisce nell’ambito del progetto di ricerca italobelga (FRFC-FNRS) La Chanson d’Aspremont: étude de la tradition et édition du corpus français, il cui scopo ultimo è quello di realizzare la prima edizione critica della chanson de geste.1 Allo stato attuale della ricerca abbiamo a disposizione trascrizioni complete e riproduzioni digitali di tutti i mss.; in corso di allestimento (sotto mia responsabilità) è il catalogo illustrato dei mss. dell’Aspremont: ad oggi ho visionato direttamente quasi tutti i mss. e ne ho fatto una prima descrizione, precisando il più possibile date e luoghi di produzione.2 In questa occasione vorrei presentare una prima lista degli errori di copia attestati nella tradizione dell’Aspremont mettendo in rapporto la tipologia di questi con i mss. in cui si presentano (luogo, data, tipo di libro). La tradizione manoscritta dell’Aspremont è un’ottima ‘palestra’ per questo tipo di indagine sia qualitativamente che quantativamente: il testo ha infatti goduto di un notevole successo essendo tràdito da una ventina di mss. – alcuni frammentari – databili tra la fine del XII secolo e la metà del XV e localizzabili in Inghilterra, Francia, Italia.3 Ho scelto di tenere conto principalmente degli errori legati al momento dell’esecuzione della scrittura e forse anche alla sua velocità (currenti calamo), cor1 Per la presentazione e lo stato di avanzamento del progetto si vedano rispettivamente Giovanni Palumbo e Anna Constantidinis, “La Chanson d’Aspremont: à propos d’une nouvelle édition du corpus français”, in Carlos Alvar e Constance Carta (a c. di), In Limine Romaniae. Chanson de geste et épopée européenne, Peter Lang, Berne, 2012, pp. 533-551, e Giovanni Palumbo e Paolo Rinoldi, “Prolégomènes à l'édition du corpus français de la Chanson d'Aspremont”, in Marianne J. Ailes, Philip E. Bennett and Anne Elizabeth Cobby (a c. di), Epic Connections/Rencontres épiques. Proceedings of the Nineteenth International Conference of the Société Rencesvalsm (Oxford, 13-17 August 2012), British Rencesvals Publications, Edinburgh, 2015, 2 voll., II, pp. 549-576. Rinvio, inoltre, alle note del contributo di Paolo Rinoldi in questo stesso volume per una bibliografia più completa e per lo stato dell’arte del progetto. 2 Oggi abbiamo finalmente alcune possibilità di confronto relativamente agli aspetti codicologici e paleografici della letteratura francese medievale. Si vedano i capitoli dedicati ai mss. francesi di Geneviève Hasenohr, in Henri-Jean Martin e Jean Vezin (a c. di), Mise en page et mise en texte du livre manuscrit, Éditions du Cercle de la librairie Promodis, Paris, 1990, pp. 229-352; Maria Careri, Françoise FeryHue, Françoise Gasparri, Geneviève Hasenohr, Gillette Labory, Sylvie Lefèvre, Anne-Françoise Leurquin e Christine Ruby, Album de manuscrits français du XIIIe siècle. Mise en page et mise en texte, Viella, Roma, 2001 ; Keith Busby, Codex and Context. Reading Old French Verse Narrative in Manuscript, Rodopi, Amsterdam - New York, 2002, 2 voll.; Maria Careri, Ian Short e Christine Ruby, Livres et écritures en français et en occitan au XIIe siècle. Catalogue illustré, Viella, Roma, 2011. 3 Cfr. Maria Careri e Giovanni Palumbo, “Pratiques de lecture des chansons de geste: le cas de la Chanson d’Aspremont”, in Xavier Hermand, Étienne Renard e Céline Van Hoorebeec (a c. di), Lecteurs, lectures et groupes sociaux au Moyen Âge, Brepols, Turnhout, 2014, pp. 147-167.
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MARIA CARERI
retti inter scribendum, dunque tutti errori con buon margine di certezza attribuibili alla fase della copia e non a fasi successive (non si può escludere, comunque, l’ipotesi meno probabile che si tratti di errori derivati da fasi di copia precedenti corretti in sede di trascrizione dai copisti). Si tratta di errori definiti anche come “incipienti”4 nella letteratura critica perché vengono immediatamente corretti dallo scrivente; dunque non dei veri e propri errori ma delle “corrections à la volée, au fur et à mesure d’une copie ‘en miroir’ (une copie imitative sans intention marquée de remanier le modèle)”.5 Di solito questi errori vengono utilizzati per ricostruire “l’immagine grafico-visiva del modello”6 o per ragionare sulle possibilità di riconoscere codices descripti. Come ho appena detto, invece, l’obiettivo principale del presente lavoro sarà quello di ragionare sulla lista degli errori più comuni commessi dai copisti per evidenziarne eventuali specificità e provare a ricostruire fasi e meccanismi dell’attività di trascrizione; 7 il catalogo degli errori corretti inter scri-
4 Cfr. Aubrey Diller, “Incipient Errors in Manuscripts”, Transactions and Proceedings of the American Philological Association, 67, 1936, pp. 232-239, che li definisce così: “Incipient repetitions and omissions and all other forms of self-correction in a manuscript are especially useful as evidence of its derivation, since they often prove direct copying from a particular archetype” (p. 232). Secondo Diller, la particolarità di questo errore consisterebbe nella coesistenza nel modello di lezione corretta ed elementi che portano all’errore; si veda anche Anna Ferrari, “Sbagliando (loro) si impara (noi): tipologia e interesse dell’incipiens error nel Colocci-Brancuti”, in Patrizia Botta, Carmen Parrilla e Ignacio Pérez Pascual (a c. di), Canzonieri iberici, Toxsosoutos, Padova - A Coruña, 2001, 2 voll., I, pp. 107-123. Lo stesso tipo di errore/correzione è definito ‘pentimento’ da Luigi Bravi, “Rapporti tra manoscritti e assetto metrico in Aristofane, Cavalieri 1111-1150”, Quaderni Urbinati di Cultura Classica, 85, 2007, pp. 131-136, a p. 133. 5 Jean-Baptiste Camps, “Le Scribe face au texte. Regards sur quelques cas de doute et sur des formes de pensée philologique au Moyen Âge”, Questes. Bulletin des jeunes chercheurs médiévistes, 23, 2012, pp. 65-84, a p. 67. 6 Aurelio Roncaglia, “L’immagine paleografico-visiva dell’antecedente perduto e l’immagine intellettuale della struttura originaria, strumenti di critica del testo”, in Saverio Guida e Fortunata Latella (a c. di), La filologia romanza e i codici. Atti del Convegno (Messina, 19-22 dicembre 1991), Sicania, Messina, 1993, 2 voll., I, pp. 15-28. 7 Su questi argomenti si trova molto poco (i manuali di ecdotica anche recenti si limitano a elencare ed esemplificare le categorie di errori ma poco spazio è dedicato alla loro motivazione) oltre ai classici Albert Curtis Clark, The Descent of Manuscripts, Clarendon Press, Oxford, 1918 (19692); Louis Havet, Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins, Hachette, Paris, 1911; Alphonse Dain, Les manuscrits, Les Belles Lettres, Paris, 1964 (19491), per i testi francesi si vedano Eugène Vinaver, “Principles of textual emendation”, in Studies in French Language and Mediæval Literature presented to Professor Mildred K. Pope, Manchester University Press, Manchester, 1939, pp. 351-369; Aurelio Roncaglia, Principi e applicazioni di critica testuale, Bulzoni, Roma, 1975, in particolare le pp. 96-140, e, più recentemente, Françoise Vieilliard e Olivier Guyotjeannin (a c. di), Conseils pour l’édition des textes médiévaux, Éditions du Comité des travaux historiques et scientifiques - École nationale des chartes, Paris, 2001-2002 (si veda in particolare il fascicolo II, alle pp. 25-30). Spunti molto interessanti nel lavoro di Teresa Proto, “Speech and scribal errors as a window into the mind. Evidence for mechanisms of speech (re)production and systems of mental representations”, Cognitive Philology, 3, 2010; si veda anche Paolo Canettieri, “Il testo e la mente”, Critica del Testo, 15, 2012, pp. 297-333, alle pp. 320-322; e anche, ma di pertinenza meno evidente nonostante il titolo, Michelangelo Zaccarello, “Psicopatologia della copia e manifestazioni dell’attività redazionale nella tradizione manoscritta d’alcuni testi volgari (secoli XIV-XV)”, Medioevo e Rinascimento, 24, 2010, pp. 277-309.
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
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bendum8 potrà poi essere utilizzato in sede di edizione per riflettere sull’eziologia di tutti gli altri tenendo conto che, com’è noto, “il migliore emendamento è quello che spiega l’errore”.9 Nel condurre questa ricerca, la mia prima fonte sono state le riproduzioni dei mss. che ho potuto affiancare alle ‘note paleografiche’ compilate dagli editori in sede di trascrizione dei codici.10 Come elementi di confronto all’interno della tradizione manoscritta della chansons de geste ho utilizzato gli studi sul ms. O della Chanson de Roland,11 sul ms. unico della Chanson de Guillaume12 e su alcuni dei codici del Cycle de Loherains e del Cycle de Guillaume d’Orange.13 Gli errori sono suddivisi per tipologia, differenziando ‒ anche se in alcuni casi le categorie si sovrappongono e non sono così nette ‒ tra gli errori ‘involontari’ (omissioni, dittografie, ripetizioni, anticipazioni, riscritture/innovazioni) e quelli ‘volontari’ (interventi ‘filologici’). Per ogni tipologia ho scelto una serie di esempi cercando di conservare in linea di massima la proporzione tra le occorrenze presentate e quanto attestato nei mss. 1. Omissioni Sono i casi in cui i copisti omettono una o più parole e si autocorreggono reinserendole. Si vedano i primi esempi,14 a partire dal testimone L3: L3, f. 19v
Ja ceste ]terre[ ne nus avra mestier
8 Una sorta di Catalogue des éventualités, come quello che proponeva Louis Havet, “La lois des fautes naissantes“, Revue des Études latines, 1, 1923, pp. 20-26, sulla base dei “fautes naissantes”, direttamente (senza intermediari) derivati dalla lezione genuina “où est apparu soudain le premier germe d’erreur, où la faute est vraiment née, tout comme naît un être vivant, capable elle aussi de durer, d’évoluer, de se développer, de troubler peut-être le voisinage, de susciter ailleurs d’autres fautes, capable même, si les circonstances y prêtent, d’envoyer à distance des colonies de fautes dérivées“ (p. 23). 9 Franca Brambilla Ageno, “Gli errori auditivi nella trasmissione dei testi letterari”, Italia Medioevale e Umanistica, 29, 1986, pp. 89-105, a p. 105. 10 Si tratta di note che descrivono tutte le anomalie della copia. Ringrazio qui tutti gli editori dell’équipe Aspremont per avermi fornito i loro materiali in fase di elaborazione. 11 Ian Short (a c. di), The Oxford Version, in Joseph J. Duggan (a c. di), La Chanson de Roland / The Song of Roland. The French Corpus, Brepols, Turnhout, 2005, 3 voll., I, part I, I/14-I/20. 12 Maria Careri, “Membra disiecta. I mss. di Londra, BL, Add. 38662 (Gui de Warewic), 38663 (Chanson de Guillaume) e 40142 (Pseudo-Turpin)”, Cultura Neolatina, 62, 2002, pp. 211-228. 13 Maria Careri e Paolo Rinoldi, “Copisti e varianti: codici gemelli nella tradizione manoscritta della Geste de Guillaume d’Orange e della Geste des Loherains”, Critica del testo, 7, 2004, pp. 41-104. 14 Le trascrizioni riportate negli esempi sono diplomatico-interpretative; le abbreviazioni sono segnalate dal corsivo; le integrazioni sono indicate tra ][; le eliminazioni (che siano per espunzione, erase, barrate ecc.) tra []; le parentesi uncinate evidenziano le integrazioni degli editori. Ogni citazione è individuata dalla sigla del ms. e dal foglio in cui compare, seguito se possibile dal rinvio al numero della lassa nelle edizioni di François Suard (a c. di), Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, Champion, Paris, 2008 (= Su) e/o Louis Brandin (a c. di), La Chanson d’Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, texte du manuscrit de Wollaton Hall, Champion, Paris, 1923-1924, 2 voll. (= Br).
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MARIA CARERI L3, f. 24v [Su 203; Bra 223] L3, f. 34v [Su 291; Bra 313] L3, f. 61v [Su 514; Bra 523]
Quinze ].M.[ [ba]baruns de valur15 Li ]rois[ respont dulcement enriant16 E les ]reines[ vestir . e afubler
L’omissione risulta frequentissima anche in P1: P1, f. 70v [Su 21; Bra 22] P1, f. 71v [Su 24; Bra 25] P1, f. 74v [Su 36; Bra 38] P1, f. 86v [Su 84; Bra 89] id. P1, f. 87v [Su 86; Bra 92] P1, f. 89r [Su 95; Bra 106] P1, f. 96r [Su 117; Bra 132] P1, f. 96r [Su 118; Bra 133] id. P1, f. 97r [Su 122; Bra 137] P1, f. 99r [Su 129; Bra 144] P1, f. 117v [Su 189; Bra 209]
Ne s’en puet mie le premier ]jor[ raler Avra son ]chief[ a Rome coroné Quant ]vos[ creez le roi Salatiel Et si te croi en ]ton[ bon consillier Ne croire ]ja[ nul home novelier La veissiez ]tant[ elme de Dor]do[ne Richiers ]i ira[ a Deu beneiçon Que l’aiez chiere]mant[ conparee Ja mais ariere ne seroit ]il[ veuz Devant qu’il ait ]son[ mesage rendu Si me ]donra[ une gentil moillier Agolan sire molt ]puis[ me mervillier Icil conduient ]l’estandart[ roi Eaumont
Numerosi i casi in R: R, f. 4r R, f. 4v R, f. 1r [Bra 41] R, f. 5r [Su 64; Bra 68]
Qu’a Paris ]vindrent[ la fort cité garnie Dum nul ni a qui ]un home[ ne vaille Tryamodes par moult ]grant[ felenie Por ]granz[ batailles ne por granz cox doner Tint .i. coustel qu’il ]out[ fait acerer Agudavent moult fit a redoter Voit l’arcevesque se li prit agiter Qu’il li cuida anz ou ]corps[ ensarrer
Meno frequenti, ma presenti anche alcuni esempi in P5: P5, f. 90r [Su 318; Bra 337] P5, f. 108v [Su 395; Bra 408] P5, f. 116v [Su 421; Bra 429] P5, f. 133r [Su 488; Bra 497]
Qui ja m]ais p[ort son garnement en champ17 Ul’. ]l’ot[ n’i ot que corrocier Et autrui [do] regne doné et departi18 Tel .M. l’en chaucent se il [est] conseuz
Il verso è irregolare ed ipometro. Il copista aveva scritto Lirospont, corregge la o in e ed inserisce rois nell’interlinea. 17 Il copista aveva scritto mort, poi lo corregge in mais. 18 Il copista aveva iniziato a scrivere do (dopo autrui), poi espunge e continua correttamente. 15 16
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
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Casi isolati si trovano infine in P2, in Cha e in P3: P2, f. 5r [Su 28; Bra 29] Cha, f. 11v P3, f. 8r
Puille ]trespasse[ et Calabre delez Puis prent ]li bref[ en la man ja ot mise Non seras pas ]senz[ segnor longament
Si veda per confronto qualche esempio dal copista del Digby 23 (=O)19. Un caso in cui il copista si è corretto: O, f. 19v, v. 1044
Bataille ]avrez[, unches mais tel ne fut
e alcune tra le omissioni riconosciute dagli editori: O, f. 53r, v. 2927-2928
Quant cil est ki tuz jurz nos cadelet ? E ! France , cum remeines deserte !
In O le omissioni riguardano anche sillabe: 1829 guardent; 1850 caignes; 1926 vors; 2768 Sarrace;
e addirittura singole lettere : 158 Chares ; 3358 Fanceis.
Alcuni altri esempi di omissioni sono riscontrabili nel ms. unico della Chanson de Guillaume:20 1440 e fud frere Vivien ]le[ hardiz; 2066 Quant veit Willame ]que[ ne la purrad endurer; 2215 Serrement le porter en ]va[ apeler; 2382 Allas, pecchable, ]dist[ Willame li bers.
È un tipo di errore schedato in tutti i manuali di critica del testo, dove si sottolinea il fatto che i copisti tendono ad omettere parole corte, della lunghezza di una sillaba o due, in corrispondenza dell’“intervallo di tempo [che] s’interpone inevitabilmente tra il momento della lettura sull’esemplare e il momento d’esecuzione
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L’elenco completo dei casi si trova in Short, The Oxford Version, cit., p. i/34. L’elenco completo dei casi si trova in Careri, “Membra desiecta”, cit.
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MARIA CARERI
materiale della copia”.21 Tale errore sarebbe dovuto per alcuni ad una mancata coordinazione tra ‘occhio’ e ‘mano’ (o tra lettura e scrittura) per cui la minore velocità della scrittura rispetto alla lettura viene recuperata con l’omissione di piccole parti del discorso.22 Da altri studiosi l’omissione viene anche spiegata col fatto che “il copista ripete a sé stesso, scrivendo, le parole più lunghe, quelle che hanno maggior rilievo e che gli sono rimaste meglio impresse nella memoria, e dimentica, e quindi omette, quelle brevi, meno caratterizzate”.23 I casi di omissione riguardano in genere preposizioni, congiunzioni ed avverbi (per i testi latini); nell’epica francese troviamo anche omissioni di articoli e di aggettivi possessivi e anche di molte parole che non possono essere definite né corte né di poco rilievo (ad esempio: terre, rois, reines, l’estandart, vindrent, trespasse ecc.). Piuttosto diversi da quelli dell’Aspremont alcuni dei casi riscontrati nel Digby 23; l’indagine è da approfondire perché la prima impressione è quella di una copia condotta attraverso la memorizzazione di porzioni molto brevi di testo, che sarebbe confermata dai molti esempi di errore per omoteleuto all’interno di parola o di sintagma ricostruiti da Ian Short 24. 2. Dittografie Altra tipologia di errore molto diffusa è quella della dittografia. Si vedano i primi esempi in L2 (qui e di seguito sottolineo le ripetizioni per meglio evidenziarle): L2, f. 3r L2, f. 27v [Su 449 ; Bra 476] L2, f. 33r [Su 484 ; Bra 493]
Si est sages curcois [cortois] e se bien parler Par voz [par voz] consails fors de ma terre issi Fiert Moadas le fiz [le fiz] le rei Phacun
I copisti che maggiormente incorrono in questo errore sono quelli di B ed R:25 B, f. 158v [Su 52-54; Bra 52-53] B, f. 159r [Su 85 ; Bra 91] B, f. 159v [Su 87; Bra 93] B, f. 162v
Car aidier [doit] doit26.K. de Saint Denise Et tant tant destrier a la grant croupe lee Hiau. vont vont querre li fort roi Sarrazin .iii. lions voit voit ou fonz d’une valee
21 Roncaglia, Principi e applicazioni, cit., p. 113; cfr. anche Vinaver, “Principles of textual emendation”, cit., pp. 360-361, che parla di “Middle Movements”. 22 Ibid., spiega sia le omissioni che le dittografie con una sorta di arythmia: “a break in the rhythm of writing”. 23 Cfr. Brambilla Ageno, “Gli errori auditivi”, cit., pp. 90-91. 24 Riporto solo alcuni esempi da Short, The Oxford Version, cit., p. 28: 1610 ba[ta]ille; 1610 me[rve]illuse; 1612 tren[chen]t; 1723 f[orsf]eistes. 25 In questo caso registro anche gli esempi nei quali il copista non si accorge dell’errore.
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
R, f. 1v [Bra 41] R, f. 18 v [Bra 117] R, f. 56v [Bra 223]
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Tant com je [soie] soie si hatiez et em vie Morel a son froin [froin] la nuit rongié Ansemble lu sui [sui] bon conbataor [?]
Esempi isolati si trovano anche in P2 e V4: P2, f. 61r [Su 395; Bra 408]
Uliiens l’ot n’i ot [niotz] que corocier
V4, f. 3ra V4, f. 6ra
Amiré sire [sire] fato m’avi manent Tant [cum] cum du]re[ra tota ta poesté
Nel ms. O della Chanson de Roland si trovano diverse dittografie, sia di parole: 75 ço ço; 1547 paient paient; 1564 tantes tantes; 1803 ad celoi ad celoi; 2009 amur amur; 2060 felun feluns; 2864 ne ne; 3094 fut fut; 3591 mort as mort as;
che di sillabe: 1221 sesescriet; 1290 brobrochet; 1769 cucumbatant; 1843 desur sur; 2912 demandemanderunt ; 3302 trestutuz;
e addirittura di singole lettere: 827 Frrancs; 1316 qu’ell; 1811 espiezz ; 2963 e e; 3342 aad.
Riporto infine alcuni esempi segnalati dagli editori della Chanson de Guillaume: 79 batataille, 390 dedevant , 792 ne ne, 1181 nafrererent, 1190 querrereie , 1275 Seignurs frans frans homes, 1811 a sun en sun escu, 3324 dedevant , 3385 ainz ainz vus.
Di solito questo errore si spiega come errore di sutura: nel ritorno dalla copia al modello lo scriba comprenderebbe nella nuova pericope l’ultima parola copiata. Se fosse così – ma non sarei così certa, potrebbe anche qui dipendere da un problema che si presenta nella fase del dettato interiore ‒ sarebbe forse possibile capire in quale punto del verso il copista spezzi la pericope da trascrivere. Il caso del Roland e della Chanson de Guillame, con ripetizioni di sillabe e anche di singole lettere potrebbe forse ancora spiegarsi con un diverso ritmo di ritorno al modello e dunque di tipologia di copia (per sillabe o addirittura per singoli grafemi).
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MARIA CARERI
3. Ripetizioni, anticipazioni e riscritture Altra categoria di errori involontari, legata alla tipologia formulare del testo, è quella delle ripetizioni. I copisti tendono a farsi influenzare da quanto appena trascritto, specialmente in posizione di rima: L3, ff. 14r-14v [Su 113 ; Bra 128]
Au chief . de chief les suspirs angoissus Asprement puie que si fu travaillus Naimes devale le tertre perillus Gorham le veit . e il lui a estrus E l’un a l’altre de parler angoissus Pur les noveles . dunt il sunt [angoissus] desirus
L3, f. 54r [Su 444 ; Bra 471]
Sempres i ont tant pesant cop fer[ant]]u[
L2, f. 38v [Su 510 ; Bra 519]
Le veissez en sun estant [ester] drescer
P1, f. 99r [Su 129; Bra 144]
Se je vos puis fors de ce tref baillier Je vos i cuit issi apareillier N’avrez talant de franc home baillier jugier
P1, f. 110r [Bra 176]
An mi François demainne tel merel L’un fiert el col et l’autre el haterel De Durendart lor done maint [merel] bendel
W, f. 248r-248v [Bra 41]
Trianes par molt grant felonie regarde ne laira ne li die Par Mahomet mervelles ai oie Triamodés li rois de Valorie Qui desor moi demandés signorie Tant con jo soie si haitiés et en vie Prenderés France s’il est quil vos [die] otrie
B, f. 162v
Dedenz la guele li a tot enbatu Que le heut d’or i est as [tot] denz arestu
R, f. 47r
Il et sui home chavauchent fieremant Qu’antor se cudent voingier moult [fie] chierement
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
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R, f. 55v [Bra 219]
A Charlemainne lou for roi coraious Et ciz respont moult estes [corai] paouroux
P5, f. 28v
Cest chevalier servez premierement Fors lor escuz [servez p] n’osterent solement
P5, f. 128v
Et Damedex en fist conmandement Et mainte dame en ot le cuer dolent 27
P2, f. 31r [Su 245; Bra 266]
Cil cheval sont par le champ estraier Ça .V. ça .VI. n’i a home [est] an estrier28
P2, f. 58v [Su 385; Bra 398]
Ne poez mie la coronne lansier Si aideroiz le treu [alansier] a chacier
P3, f. 5r [Su 31; Br 32]
Dist al mesage Ballant entendi ça E dis ke Kll’emaine a vos jura Fuiran s’en il oil s’en [fugira] conbatra
V4, f. 10r-10v
Aleç en vos ne non tardeç ne mie Li chivaler qui non ont [tardeç ne mie] terre en bailie
P3, f. 2v [Su 19; Bra 20]
Devers Spange en vente un altre partie Rois Troians ses fils li ançines les guie Tant n’es moinés ne say nonbres ke vos die Avant ke vos entrés en le plans de Lonbardie Ne ke vees Vercels ne Yvorie Devers Engletere ert la terre sasie Crestentes soit em male [partie] envaye
Riporto di seguito alcuni casi dello stesso tipo di errore riconosciuto dagli editori della Chanson de Guillaume:
27 28
Ms. dame mainte con segno di spostamento. Può anche essere un caso di anticipazione e/o omissione.
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MARIA CARERI 232 Clers fu li jurz e bels li matins ; 798-799 tramettez mei, dame, Lowis u Willame! / Cest oreisun dist Vivien en la presse ; 1549 bone est la sele, mais curt sunt li estriver
È il caso meglio spiegabile con il ricorso al dettato interno dei copisti : a forza di trascrivere versi molto ripetitivi gli scribi introducono involontariamente delle ripetizioni ulteriori; definiti “errori auditivi” dalla Brambilla Ageno, “essi hanno luogo, non esclusivamente, però prevalentemente, quando vi è somiglianza tra parole vicine: nel senso che una parola viene anticipata o ripetuta al posto non di un’altra qualsiasi, ma di un’altra che le somiglia” 29 (il ché spiega anche la frequenza del fenomeno in posizione rimica). Molto simili a questi ultimi i casi di anticipazione, anch’essi errori legati al dettato interno: P3, f. 5r [Su 31; Bra 32] P3, f. 8v [Su 73; Bra 78]
Congé [senva] demande a son ostel senva Bel fu [lemois] le ior de may le mois
P1, f. 131r [Su 247; Bra 268]
Nostre emperes ot molt le cuer dolant De sa masnie que il voit mort [el chanp] gisant A .xx.m. homes est repairiez el chanp
V4, f. 2v
Heumont l’oit s’il pris [desor mer] ad embracer. Adonch li done un castel desor mer
V4, f. 22v
Tel dol riens il n’a qu’il cuite enraçer Entre dos riens fait senblant de ioster
Riporto di seguito alcuni esempi dal ms. della Chanson de Guillaume : 514 Lur armes pristrent, as chevals sunt sailliz ; 923 Ço fu damage quant si prodome chet ; 1599 deça la Rin ne de dela la mer ; 2440 Se dunc se sunt paiens aperceuz. 511 nes estust; 1837 les asteles; 2498 Les vis deables le nus unt amené.
Dal momento che affinché si verifichino questi errori il copista deve aver memorizzato almeno fino alla parola che anticipa, il fatto che l’anticipazione intervenga anche su due versi apre la possibilità all’ipotesi – già formulata a proposito dell’omissione - che la memorizzazione possa essere avvenuta su almeno due versi 29
Brambilla Ageno, “Gli errori auditivi”, cit., pp. 96-97.
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
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alla volta (nei casi di anticipazione di parola rima è forse anche possibile che si verifichi un errore di sutura: il copista sa che deve copiare l’ultima parola e nel ritorno al modello scende inavvertitamente di una riga). Anticipazioni e ripetizioni vanno messe a confronto con alcuni altri esempi in cui i copisti sembrano innovare in modo autonomo, non sulla base di quanto precede o segue, ma riscrivendo il testo secondo formule o varianti sinonimiche a volte presenti nel testo ma non nelle immediate vicinanze 30; si tratta di quanto Short definisce “scribal formulaic variation” 31: P1, f. 77r [Su 46; Bra 48]
Franc chevalier dist Charles a son [lignage] barnage Esgardez ore quel onte et quel domage Ont fait sor moi la pute gent salvage C’arivé sunt dedenz mon eritage Et sunt issu et d’Aufrique et d’Arrage Venez o moi en ce pelerinage Qui n’i venra n’i laira autre gage Cuivers sera et il son lignage .IIII. deniers donra por son chevage
B, f. 160v [Su 95; Bra 106]
Eiles avoit .i. lance de [bodon] lonc32 S’out .xxx piez. de la queue au chanihnon Il portast bien le fes a .i. asnon De tele beste n’est se merveille non Les euz avoit roges comme charbon .iii. piez avoit des le bec jusqu’au fron Et quant il vole si meine tel tençon Qu’en l’oist bien le tret a .i. bodon
P1, f. 96v [Su 120; Bra 135]
Gorhanz et Naimmes avalent le rochier
30 Negli esempi che seguono ho riportato un contesto un po’ più ampio quando l’innovazione può essere stata influenzata da quanto segue o precede. 31 Short, The Oxford Version, cit., pp. 50-51: “What I term oral variation might more accurately be described as scribal formulaic variation. By this is meant disjunction between oral transmission and written transmission whereby individual scribes are led to deformularise, or occasionally to reformularise, the texts they are relaying. It consists, in other words, of a process in which the hemistich-formula, which is an integral and constant feature of oral delivery, is modified in the written tradition either by alteration or by substitution, depending both on scribes’ exemplars and on their personal familiarity with the techniques of the oral tradition. Epithets can also be affected. A critical understanding of this interface between the oral and the written provides, in the present edition, a criterion for editorial intervention and emendation”.
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MARIA CARERI Deci a l’ost ne vorrent atargier Paien les voient sel vunt au roi noncier Agolanz sire nobile justicier Molt par devez vo senechal prisier Ci le veons d’Aspremont repairier Si en amainne .i. [enfant] François prisonier Dist Agolanz por ce l’aim et tieng chier Qui m’a toz jors an grant besoing mestier P1, f. 108v [Bra 171]
An l’autre eschiele ot .iiii.m. barons Icels conduit li riches [rois] dus33 Sansons
R, f. 59r
Dedanz vianne an son palais mabrin Quant fut messaiges [riche r] au fil ou roi Pepin
P2, f. 42r [Su 287; Bra 309]
Envers .Y. en est venuz errant Tel cop li done ou hiame par devant Que la cervelle li [copa] vala sor lou branc
P2, f. 47r [Su 310; Bra 329]
Et se Mahons an fait sa volenté Qu’il an champ soient ne ocis ne [tué] finé
P2, f. 72r [Su 448; Bra 475]
La grosse lance conmence a paumoier Sel veissiez a ses dex [apoier] derraisnier34
P2, f. 74v [Su 458; Bra 451]
XV.M. homes me mistrent [ampresent] a neant
P3, f. 4v [Su 28; Br 29]
Al terço jor in Aspremont monté Agolant trove de sot un pin [alonbral] ramé Il le demande bellament et soé Se il l’oit al rois Kll’om parlé
Sono casi paragonabili a quelli riscontrati nello studio della variance all’interno di un gruppo compatto di codici del ciclo dei lorenesi: P au loherant Herui* 33 34
ma).
EM au riche duc Herui (= F 1191)
2875 riches dus] riches rois (rois espunto con sei puntini) dus (aggiunto nell’interlinea). Cfr. P2, f. 64v [Su 412; Bra 425] La grosse lance sor le fautre apoier (e altri otto casi di apoier in ri-
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
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P Qelle ciet bien par foi le vous afi EM Quelle siet bien 7 je le vous aquis P Ou se ce non foi qe doi S. denis EM Ou se se non foi qe doi mes amis A 2558 Ou se ce non, foi que doi saint Remi P Cortoisement qe bien en fut aprins E Cortoisement li a contei et dit P et de boriois des chevaliers de pris EM et des borios et des gens dou pais; P sa suer manda elle vint la gentis EM sa suer manda et la courtoise i vint P mil mars tot d’argent fin EM mil mars de bon or fin;
4. Altri errori Segnalo qui qualche caso che sembra spiegabile con un errore di lettura del modello anche se nel primo esempio si deve tener conto di una eventuale anticipazione (ma le due cose forse non si escludono): B, f. 161r
Qi [aspremont] as paiens vait en messagier Vers Aspremont commece a chevauchier
P2, f. 41v [Su 285; Bra 307]
.Y. ot honte dou cop c’ot receu Molt se tint bien quant ne l’a [confeid] confondu
Interessante infine un fenomeno particolare che ho riscontrato in P3, dove si trovano diverse varianti (sostanziali, grafiche, fonetiche) tra il testo riportato nei richiami a fine fascicolo e quello poi copiato ad inizio fascicolo, come a testimoniare una notevole ‘distacco’ del copista rispetto al testo: 8v 16v 47v 55v 63v 87v 95v
Que dira deu Et sallemon Desor lielme Aces paroles Cil destrer fuient Et si len pese Fors .i. sol castel
9r 17r 48r 56r 64r 88r 96r
Que diras a deu quant tu niras altrapas Et salemon lenevo tuerin De sor lielmes A cel paroles Cist dester fuient Et si len pesse For sollement .i. castel oil ert enseres
5. Correzioni sulla base del modello o per collazione In due dei mss. presi in esame, entrambi copiati entro il primo quarto del XIII secolo in Inghilterra, si presenta un’ultima tipologia di intervento, di tipo volontario; mi riferisco a correzioni inserite dai copisti in sede di controllo a partire dal modello o per collazione con altri testimoni. Entrambi i casi sono stati recentemente studiati da Paolo Di Luca e riporto di seguito le sue conclusioni.
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MARIA CARERI
Ch Si possono isolare due tipi di revisione: il primo consta di correzioni stricto sensu e prevede l’aggiunta o la soppressione di parole e singole lettere utili a emendare lezioni e grafie palesemente erronee oppure a ricostruirne altre considerate migliori; il secondo tipo è rappresentato dall’aggiunta di uno o più versi, l’assenza dei quali non pregiudica il senso della lezione di Ch. In entrambi i casi le integrazioni sono quasi sempre segnalate con un segno di rinvio a margine o sotto il verso; le lezioni da eliminare e sostituire vengono espunte, biffate o erase.35 P4+C Dans la partie relative à l’Aspremont, P4 contient une série de corrections en marge et dans l’interligne. Le texte de la chanson a été revu par le biais de quatre types d’interventions : des corrections graphiques, des intégrations de mots omis, des corrections de leçons particulières, des ajouts d’un ou plusieurs vers. Ces interventions sont imputables soit au copiste principal, soit à une main anglaise contemporaine ou de peu postérieure; elles sont presque toujours signalées avec un renvoi dans la marge ou en dessous du vers.36
*** Sulla base della serie di dati qui presentati, si può concludere che se è vero che tutti gli scribi incorrono nello stesso tipo di errori, risulta anche che i copisti continentali della seconda metà del XIII secolo (BRP1P5) ne commettono di più e spesso innovano, mentre i copisti di area insulare hanno più rispetto per il testo che trascrivono, fanno meno errori e a volte ricontrollano la copia sul modello (forse ricorrendo anche ad altri esemplari). L’impressione generale è che tendenza all’intervento involontario aumenti in presenza di una maggiore competenza linguistica e testuale. Per quanto riguarda invece la ricostruzione delle modalità della copia pare importante tenere conto del fatto che è possibile che l’entità della pericope memorizzata fosse maggiore di quanto comunemente si creda37, e che un elemento condizionante sia stato quello della lunghezza dei versi (con eventuale interferenza della
35 Paolo Di Luca, “Lettura e rilettura di un testimone della Chanson d'Aspremont: il caso del ms. Ch (Cologny, Fondation Bodmer, Cod. Bodmer 11)”, in Hermand, Renard e Van Hoorebeeck, Lecteurs, lectures, cit., pp. 169-184, a p. 174. 36 Paolo Di Luca, “Deux fragments anglo-normands de la Chanson d’Aspremont: description et étude de P4 et C” , in Ailes, Bennett e Cobby, Epic Connections, cit., I, pp. 191-214. 37 Di solito, a partire da Dain, Les manuscrits, cit., p. 42, si propone una lunghezza quantificata in circa dodici lettere.
Per una tipologia dei copisti della Chanson d’Aspremont
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cesura per il decasillabo). Inoltre gli errori di omissione fanno pensare a una memorizzazione38 che spezzava i sintagmi (parole e aggettivi/articoli/pronomi), diversamente da quanto ci aspetteremmo e da quanto risulta dagli studi sulla segmentazione dei testi nei mss. Risulta infine notevole la specificità del ms. Digby 23, che presenta degli errori che sembrano testimoniare un ritmo di passaggio da modello a copia più intenso (e dunque la memorizzazione di pericopi molto più brevi); il dato è interessante e merita approfondimenti.
Università di Chieti - Pescara
38 Cfr. Malcolm B. Parkes, Their hands before our eyes. A closer look at scribes, Aldershot, Ashgate, 2009, che sostiene che l’attenzione divisa fra copia ed esemplare e il grado di concentrazione richiesta si riflette nella frequenza della transizione dall’una all’altro (si veda in particolare il capitolo IV, dal titolo Which came first, Reading or Writing?, pp. 57-59, a p. 63).
PAOLO RINOLDI Confini di lassa, iniziali e lettrines nella tradizione della Chanson d’Aspremont
Introduzione Chi sfoglia virtualmente il ms. O della Chanson de Roland1 si imbatte al f. 56v in una delle piccole e semplici iniziali rosse che marcano per l’occhio una nuova lassa, ma questa volta in un punto, corrispondente al v. 3110, in cui l’assonanza non cambia (in -ant esce il v. 3109, con il nome altisonante Rollant, e con estant si chiude il v. 3110): certo a ben guardare si nota che i versi della prima metà sono prevalentemente in -ent e quelli della seconda prevalentemente in -ant, ma l’imbarazzo è palpabile nella tradizione (O è l’unico a proporre questa divisione contro tutto il ramo ) e nelle scelte editoriali.2 Uno studio delle lettrines, iniziali sovrammodulate – talvolta filigranate o decorate – che aprono sezioni secondarie di un testo (coblas, lasse, paragrafi, partizioni interne), può essere affrontato da varie angolature ma si situa sempre all’incrocio fra più discipline: anche avendo come unico obiettivo l’intelligenza del testo, è importante comunque tenere a mente che si tratta di un’operazione in più fasi (il copista lascia lo spazio per l’iniziale e lo correda di una lettre d’attente per il miniatore), non necessariamente vicine nel tempo, coinvolgenti più persone (ma copista, decoratore e filigranatore possono coincidere) che possono lavorare affiancate e ‘in progressione’ (il copista lascia al decoratore i fascicoli via via che li ha terminati) o meno, con diverso grado di disponibilità e diversa attitudine nei confronti dell’antigrafo. La bibliografia è poderosa in relazione a codici importanti, vuoi perché autografi (come l’Hamilton 90 di Boccaccio), vuoi perché celebri da un punto di vista testuale o artistico: studî insomma limitati ad un solo, privilegiato, testimone manoscritto; più rare, ma ben consolidate, le indagini che si aprono al confronto in seno ad una tradizione testuale. In entrambi i casi l’ottica è perlopiù retorico/compositiva e ricezionale, legata alle pratiche di scrittura e lettura: la disposizione delle lettrines sottolinea la pertinen
A Maria Careri, Yan Greub, Antonella Negri, Giovanni Palumbo, Gabriella Ronchi vanno i ringraziamenti per l’attenta lettura, ferma restando la mia responsabilità per gli errori rimasti. 1 Cfr. (05/15). 2 Cesare Segre (a c. di), La Chanson de Roland, Droz, Genève, 1989, 2 voll. (e cfr. la nota relativa alle pp. 376-377 del vol. II, dove lo studioso difende O e ipotizza un intervento seriore da parte di ); Ian Short (a c. di), The Oxford Version, in Joseph J. Duggan (a c. di), La Chanson de Roland / The Song of Roland. The French Corpus, Brepols, Turnhout, 2005, 3 voll., I, part I.
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PAOLO RINOLDI
za del testo ad un genere piuttosto che ad un altro, enfatizza momenti del racconto e blocchi narrativi o strutturali, autorizza diverse interpretazioni della conjointure. Soprattutto la narrativa medievale in distici di octosyllabes si presta a questo genere di esercizio – basti evocare gli studi pionieristici sulla Châtelaine de Vergi e i contributi sui romanzi di Chrétien de Troyes3 – per ovvie ragioni: nella mise en page manoscritta dei romanzi la posizione e la funzione di questi elementi paratestuali, non obbligata dal metro4, riveste un immediato valore a fini ricezionali e anche, in subordine, stemmatici.5 Uno studio sulle lettrines che aprono le lasse nelle canzoni di gesta e, più in generale, sulle zone di confine tra lasse rappresenta invece, se non proprio una novità, una scommessa certo arrischiata, dato il rapporto univoco (perciò non stimolante) che sembra stringere fenomeni di ordine diverso quali cambio di timbro (assonanza o rima) / nuova lassa / lettrine.6 Se tale rapporto rimane complessivamente verificato (al punto che anche a noi capiterà per comodità di esposizione di indicare promiscuamente con il termine ‘lassa’ sia l’unità aperta da una nuova lettrine, sia l’unità individuata dal cambio di timbro come se si trattasse di sinonimi tout court), non mancano, endemicamente 3 Limitandoci ad alcuni articoli importanti e/o recenti, utili per una ricognizione bibliografica: Alexandre Micha, “Couleur épique dans le Roman de Thèbes”, Romania, 91, 1970, pp. 145-160; Jean-Pierre Bordier, François Maquère e Michel Martin, “Disposition de la lettrine et interprétation des œuvres: l’exemple de La Chastelaine de Vergi”, Le Moyen Âge, 79, 1973, pp. 231-250; Keith Busby, Codex and Context. Reading Old French Verse Narrative in Manuscript, Rodopi, Amsterdam - New York, 2002, 2 voll., I, pp. 184-195. Per Chrétien, cfr. Françoise Gasparri, Geneviève Hasenohr e Christine Ruby, “De l’écriture à la lecture: réflexion sur les manuscrits d’Erec et Enide”, in Keith Busby, Terry Nixon, Alison Stones e Lori Walters (a c. di), Les Manuscrits de Chrétien de Troyes / The Manuscripts of Chrétien de Troyes, Rodopi, Amsterdam - Atlanta, 1993, 2 voll., I, pp. 97-148; Roger Middleton, “Coloured Capitals in the Manuscripts of Erec et Enide”, ivi, pp. 149-193; Anatole Pierre Fuksas, “Ordine del testo e ordine del racconto nella tradizione manoscritta del Chevalier de la Charrette (vv. 1-398)”, Segno e testo, 3, 2005, pp. 343-389 (che si raccomanda anche per l’ampia introduzione al problema); Id., “Ordine del testo e ordine del racconto nella tradizione manoscritta del Chevalier de la Charrette (vv. 400-2023)”, Critica del testo, 15, 2012, pp. 185-213; Id., “Hierarchical Segmentation of Chrétien’s Chevalier au Lion in Ms. Princeton, University Library, Garrett 125”, Segno e testo, 10, 2012, pp. 377-397. Anche i testi in prosa sono stati studiati in questa direzione, basti il rinvio a Ludmilla Evdokimova, “Disposition des lettrines dans les manuscrits du Bestiaire d’amour et sa composition: des lectures possibles de l’œuvre”, Le Moyen Âge, 102, 1996, pp. 465-478. 4 Ma condizionata sì, se è vero che la lettrine non rompe quasi mai il couplet, cfr. Middleton, “Coloured Capitals”, cit., pp. 164-166 (regola che sembra progressivamente illanguidirsi, cfr. Danièle JamesRaoul, “La poétique de la lettrine dans Le Roman de Silence”, Cahiers de recherches médiévales, 12, 2005, pp. 227-245, online all’indirizzo , 05/15). 5 Ludmilla Evdokimova, “La disposition des lettrines dans le ‘Bestiaire’ de Pierre de Beauvais et dans le ‘Bestiaire’ de Guillaume le Clerc. La signification de la lettrine et la perception d’une œuvre”, Le moyen français, 55-56, 2004-2005, pp. 85-105. 6 Cfr. Jean Rychner, La chanson de geste. Essai sur l’art épique des jongleurs, Droz - Giard, Genève Lille, 1955, pp. 68-73; osservazioni interessanti in Anne Iker Gittleman, Le style épique dans Garin le Loherain, Droz, Genève, 1967, pp. 45 sgg., e in Richard Hartman, “Initials and Laisse Division in Two later Epics: Aiol and Parise la Duchesse”, Olifant, 12, 1987, pp. 5-27. Non introduco qui, perché difficilmente attingibile, la variante del cambio di intonazione musicale.
Confini di lassa, iniziali e lettrines
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diffuse anche se in proporzioni e con motivazioni diverse, le deviazioni che costituiscono l’oggetto del presente contributo, che non apporta grandi risultati se non, in molti casi, il valore ermeneutico del dubbio. Ci concentreremo su ‘alterazioni’ che sembrano doversi imputare a fatti di trasmissione (con residui di incertezza cui accenneremo in seguito, cfr. § 2). Si tratta banalmente di tre fenomeni, i primi due (speculari) in cui la lettrine è vista nel suo legame con l’unità lassa, il terzo concernente la lettrine in sè: 1. due (o più) lasse consecutive individuate dalla lettrine ma sullo stesso timbro; 2. uno o più cambi di timbro non marcati da una nuova lettrine; 3. problemi di grandezza e posizione della lettrine nel manoscritto. Si dovrà subito notare che, ad un primo sguardo, la Chanson d’Aspremont,7 cui riserveremo le nostre attenzioni, non sembra particolarmente reattiva: è una canzone di struttura ‘classica’, senza le lunghissime lasse di centinaia di versi in una sola assonanza (-i, -é) presenti in altre canzoni che sollecitano particolarmente l’intervento ‘divisorio’ dei copisti, senza lettrines puramente ‘estetiche’ svincolate dal timbro che pure si riscontrano altrove (cfr. § 3). Il lavoro preliminare, che non infliggiamo al lettore, include la rilevazione completa (o almeno a largo campione)8 e la schedatura di tutte le ‘devianze’
7 Le sigle dei manoscritti sono quelle usuali nella tradizione della Chanson d’Aspremont. Ricordo solo quelle che verranno evocate nel corso di queste pagine, rimandando per le altre (e per supplementare bibliografia) al saggio di Giovanni Palumbo e Anna Constantinidis, “La Chanson d’Aspremont: à propos d’une nouvelle édition du corpus français”, in Carlos Alvar e Constance Carta (a c. di), In Limine Romaniae. Chanson de geste et épopée européenne, Peter Lang, Berne, 2012, pp. 533-551, alle pp. 538-539: B = Berlin, Staatsbibliothek, Preussischer Kulturbesitz, Gall. IV 48; C = Clermont-Ferrand, Archives du Puy de Dôme, ms. F 2 (1); Ch = Cologny-Genève, Bibliothèque Bodmer, 11; Cha = Chantilly, Musée Condé, Bibliothèque, 470; L1 = London, BL, Royal 15 E VI ; L2 = London, BL, Landsowne 782 ; L3 = London, BL, Add. 35289 ; P1 = Paris, BnF, fr. 2495 ; P2 = Paris, BnF, fr. 25529 ; P3 = Paris, BnF, fr. 1598 ; P5 = Paris, BnF, nouv. acq. fr. 10039 ; R = Città del Vaticano, BAV, Reg. Lat. 1360; W = Nottingham, University Library, Wollaton Library Collection LM/6; V4 = Venezia, Biblioteca Marciana, Fr.Z.IV; V6 = Venezia, Biblioteca Marciana, Fr.Z.VI. 8 Nell’ambito del progetto Aspremont, la cui équipe attende ad una nuova edizione del testo, è stato realizzato un sito, ancora ad accesso riservato (, 05/15), in cui sono raccolte riproduzioni digitali dei manoscritti che hanno costituito la base del mio lavoro. Le riproduzioni sono quasi tutte di ottima qualità (con qualche inevitabile smagliatura) e coprono l’intera tradizione con l’eccezione del ms. Reginense per il quale mi sono affidato alla trascrizione di Maria Careri, che qui ringrazio. La mancata ispezione dell’originale enfatizza qualche difficoltà (complessivamente di modesto rilievo) nell’interpretazione delle intenzioni del copista e dello stato dell’antigrafo, fra cui un paio di qualche interesse: la grandissima maggioranza dei casi (ed è una proposizione generalizzabile non solo alla tradizione dell’Aspremont) comporta lettrines di 2 unità di rigatura (d’ora in poi ur) con rientro dei versi corrispondenti, ma non mancano lettrines in apertura di lassa di una sola ur e senza rientro del verso successivo: in questi casi risulta difficile (se la lettre d’attente è rifilata) sceverare fra il caso di un copista che semplicemente non apre una lassa e il copista che invece lascia lo spazio per la lettrine a pennello e, sfuggita questa al miniatore, interviene in un momento suc-
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dall’automatismo ‘cambio di timbro / cambio di lassa / lettrine’: ciò consente di delineare la personalità di ogni testimone e di fornirne una buona descrizione,9 non facile né spregevole, ma di interesse meno immediato in questa sede.10 I livelli di analisi, che implicano già un tentativo di spiegazione, sono a mio giudizio due. 1. Un primo livello è per così dire ‘testuale’, nel senso che il gioco delle lettrines contribuisce a definire la fisionomia testuale e/o retorica di ogni testimone, così come qualsiasi altra variante, e deve per questo entrare a pieno titolo nella valutazione della sua qualità (forse anche qui si potrebbero sondare le tendenze diverse, filologiche o poetiche, dei vari copisti o delle varie nationes studiate in questo stesso volume da Careri).11 Spesso, specie all’interno di lasse lunghe, un copista decide di aprire una lassa senza cambio di timbro quando un verso ne offre l’occasione, vale a dire in concomitanza di un avverbio temporale, di un cambio di scena, dell’inizio di un dialogo, della presentazione o focalizzazione su un personaggio (tramite il nome proprio o apposizioni come li rois ecc.): come è lecito attendersi, sono questi, con ottima corrispondenza, gli stessi luoghi testuali che propiziano la lettrine anche nei testi nar-
cessivo a integrare il buco con una semplice iniziale a penna (il ms. B offre qualche esempio in tal senso); in più di un caso, dove ci attenderemmo una lettrine e questa manca (cioè quando il timbro cambia ma il ms. non apre una nuova lassa), si trovano segni di paragrafo (esempi nei mss. Ch, L2), sicuramente di mano antica (che in qualche caso sembra coincidere con il copista, ma di certo non automaticamente né sempre). Il fenomeno compare in molti altri manoscritti (cfr. ad es. Joseph J. Duggan, The Châteauroux - Venice 7 Version, in Id., La Chanson de Roland, cit., part III, p. 23 per V7) ed è di interpretazione difficile, probabilmente non univoca: tentativo di ripristinare a posteriori la struttura dell’antigrafo? Variante ‘purista’ di un lettore antico, di un revisore (che può essere lo stesso copista)? In qualche caso forse, come mi suggerisce Maria Careri, segno paratestuale gerarchicamente inferiore alla lettrine. 9 Tipologia, grandezza, posizione delle lettere iniziali di lassa, studio dell’insieme paratestuale di ogni codice, rapporti con la decorazione e le altre iniziali (miniate, puzzle ecc.): un esempio di descrizione dettagliatissima, completa di statistiche e tavole per ogni testimone, è offerto da Middleton, “Coloured Capitals”, cit. 10 La descrizione codicologica del corpus manoscritto è affidata in seno al progetto Aspremont alle cure di Maria Careri. Cfr. Maria Careri e Giovanni Palumbo, “Pratiques de lecture des chansons de geste: le cas de la Chanson d’Aspremont”, in Xavier Hermand, Étienne Renard e Céline Van Hoorebeec (a c. di), Lecteurs, lectures et groupes sociaux au Moyen Âge, Brepols, Turnhout, 2014, pp. 147-167. 11 Lo studio delle pratiche editoriali è istruttivo sulla reticenza degli studiosi in tal senso, dato che anche editori di osservanza bédieriana non esitano a manipolare le lettrines del loro manoscritto (non è però il caso, se non raramente, delle edizioni dell’Aspremont): cfr. Middleton “Coloured Capitals”, cit., pp. 150-151 e 170-171; Busby, Codex and Context, cit., I, p. 194.
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rativi in couplets di octosyllabes e nei testi in prosa.12 Soffermiamoci invece su alcuni casi di natura diversa che possiamo assimilare a figure retoriche. Ch a f. 8rb spezza con una nuova lettrine (senza cambio di rima) la lassa 38 al v. 692 (Triamodés le fiz le rei Gandiz),13 per ovvia analogia con lo stesso nome proprio che apre le lasse 30 e 37 (cfr. Fig. 1, col. a e b per le due iniziali delle lasse 37 e 38a). La ‘variante’ è singularis.
Figura 1: Ch, f. 8r
Talora il gioco di lasse capdenals (che è uno dei più semplici e comuni, anche al di fuori della tradizione dell’Aspremont) può essere disatteso o meno scoperto: lo stesso Ch, al f. 79rb (Fig. 2), apre la lassa 521 con un verso in ritardo rispetto all’atteso Florez beau frere, nonostante versi di attacco identico o leggermente variato aprano le lasse immediatamente vicine (visibili nella Fig. 2 alla prima e seconda colonna), e si riscontrino pure all’interno di qualche lassa (Florent bel sire è il primo verso visibile nella Fig. 2 col. a). Qui pare che il copista abbia voluto scientemente allineare questa lassa (che ora si apre E le matinet…) non con le precedenti ma con la successiva Au/Lu matinet della carta seguente. In realtà i fatti sono più complicati, perché nel margine si vede bene una piccola f, che parrebbe una tipica lettre 12 Gasparri, Hasenohr e Ruby, “De l’écriture à la lecture”, cit., passim. Per i testi in prosa e la relazione fra le lettrine e l’entrelacement (di cui, sia detto en passant, l’epica fornisce antecedenti significativi), cfr. ad es. Elspeth Kennedy, “The Placing of the Miniatures in Relation to the Pattern of Interlace in Two Manuscripts of the Prose Lancelot”, in Keith Busby e Catherine M. Jones (a c. di), “Por le soie amisté”. Essays in Honor of Norris J. Lacy, Rodopi, Amsterdam - Atlanta, 2000, pp. 269-282. 13 Salvo diversa indicazione, l’edizione di riferimento per la numerazione di versi e lasse è quella di François Suard (a c. di), Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, Champion, Paris, 2008.
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d’attente ma non è del tutto identica alle altre lettres d’attente superstiti (non numerose, soprattutto per le iniziali della colonna di destra, in genere chiuse da due puntini): se si tratta di una lettre d’attente, il copista avrebbe inteso aprire la lassa nel punto normale con un’iniziale di 2 ur, ma si fatica a capire cosa sia successo in seguito (che il miniatore sbagli sia di lettera, sia di posizione, sia di grandezza, riducendosi volontariamente ad una sola ur, sembra difficilmente ipotizzabile: se lo ha fatto è perché la F- di Florent era già presente, e del resto l’iniziale maiuscola e rientrata L- di Le matinet dimostra che la lettrine per il copista concideva con l’iniziale del verso precedente); diversamente potrebbe trattarsi di un intervento après coup di cui si vedono male le ragioni (può aver influito nel generare confusione il pessimo stato – buco, cucitura – della pergamena nei versi immediatamente superiori?). L’ipotesi più semplice è che il copista abbia vergato la F-, si sia accorto dell’errore e abbia scritto la piccola lettre d’attente per allertare il collega, il quale, anziché eradere F- e scrivere la normale lettrine di 2 ur, ha adottato la soluzione più rapida vergando una lettrine estemporanea e di una sola ur (vedi comunque infra § 2).
Figura 2: Ch, f. 79r
Un caso estremo offre sempre il ms. Ch, uno dei più vivaci dal nostro punto di vista, al f. 8vb: la lassa 42 viene spezzata perché il verso A Ais fu K. (che individua
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un nuovo personaggio e un nuovo contesto, in più è anche ‘classico’ e formulare, riscontrabile come verso di apertura in molte lasse di numerose altre canzoni) induce il copista a sottolineare il luogo: appena due versi sotto, però, la rima cambia (da -on/-un a -ort/-urt), ma dato che due iniziali così vicine sono difficili da realizzare concretamente, le due lasse si trovano per forza di cose fuse (Fig. 3). L’elemento retorico prevale dunque su quello timbrico.
Figura 3: Ch, f. 8v (dettaglio)
Come abbiamo visto, all’interno di molte lasse si trovano versi che si prestano di per sé a fungere da apertura, il che può oggettivamente aver favorito la percezione di una rottura e l’inserimento di una nuova lettrine da parte del copista. Ma talora la tradizione rivela (a meno di errori di prospettiva indotti dai testimoni perduti) innovazioni testuali da parte di un testimone (o di un suo antigrafo), fino all’estremo di tic e idiosincrasie: fra confine di lassa e generazione di variante il rapporto diventa dunque complicato, e spesso è impossibile distinguere fra causa e conseguenza, fra una lezione che si presta come verso di apertura e la variante pensata appositamente in funzione dell’apertura di una lassa. L’esempio più semplice è quello di versi variati per fungere da iniziale. Il ms. B, al f. 171rb, divide in due la lunga lassa 166 (Fig. 4), in coincidenza con un cambio di prospettiva da un personaggio all’altro: i manoscritti che presentano la redazione lunga di questao brano (fra cui B stesso), pur non aprendo una nuova lassa, sottolineano il passaggio con una formula standard (valga per tutti la lezione di W
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stampata da Brandin, v. 3477: Del viel Girart vos redoi acointier),14 ma nel Berlinese il verso è modificato per renderlo ancora più marcato come verso d’intonazione (la maldestra ripetizione del verbo in clausola tradisce però un intervento infelice): [S]eigner baron or vus doi acointier / de duc Girart vus redoi acointier / qui de Viane se departi l’autrier.
Figura 4: B, f. 171r (dettaglio)
Allo stesso modo, il ms. L1 al f. 44va rompe la lassa 22: il verso divenuto ora iniziale è singularis del manoscritto e, focalizzato com’è su un nuovo personaggio, adatto al suo nuovo status (Charlemain tient nef or couppe d’or fin). Molto più raro, mi pare, il fenomeno opposto di ritocchi testuali dovuti alla fusione di due lasse di timbro diverso (attenuazione dell’intonazione iniziale), sia perché, come abbiamo visto, la presenza di versi con intonazione d’apertura all’interno di una lassa è un fenomeno corrente che non sembra aver imbarazzato i copisti né richiesto aggiustamenti, sia probabilmente perché la fusione di lasse è un fenomeno più facilmente inconsapevole rispetto al suo opposto, e non il frutto di strategia retorica. Nel corpus aspremontiano trovo un esempio vagamente affine (riduzione dell’effetto di ‘inizio lassa’) in corrispondenza di 104 di W, edita da Brandin (nell’ed. Suard, che segue il ms. siglato P2, manca un corrispettivo esatto). Il contesto è ricco di parallelismi, dato che le lasse W 100 e 104 si aprono con Baron, dist Carles (discorso di Carlo rivolto ai suoi) e W 101, 102, 103 con En piés se dresce (i diversi baroni si alzano per prendere la parola). En piés se dresce, compare, secondo una tipologia già riscontrata, anche all’interno della lassa 104, in -ier; il verso, che sarà stato percepito come eco attenuata dell’iniziale delle lasse vicine, non crea problemi se non a quattro individui:
14 Il riscontro migliore in questo caso non è infatti con l’ed. Suard, ma con l’ed. Brandin, dove la lassa è la n. 188: Louis Brandin (a c. di), La Chanson d’Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, texte du manuscrit de Wollaton Hall, Champion, Paris, 1923-1924, 2 voll.
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Ch (f. 14rb, Fig. 5) e V6 aprono qui una lassa (e il fenomeno sarà poligenetico); W e B, appartenenti alla stessa famiglia,15 variano in Lors se dreça… forse appunto per evitare l’effetto di parallelismo.
Figura 5: Ch, f. 14r
La fenomenologia, lo si intuisce, è in realtà molto più frastagliata e sfuggente nelle sue motivazioni, come in qualsiasi referto di patologia della copia. Segnalo la 15 Cfr. Giovanni Palumbo e Paolo Rinoldi, “Prolégomènes à l’édition du corpus français de la Chanson d’Aspremont”, in Marianne J. Ailes, Philip E. Bennett e Anne Elizabeth Cobby (a c. di), Epic Connections/Rencontres épiques. Proceedings of the Nineteenth International Conference of the Société Rencesvals, (Oxford, 13-17 August 2012), British Rencesvals Publications, Edinburgh, 2015, 2 voll., II, pp. 549-576. Avverto però che in questo gruppo di lasse la tradizione manoscritta è avviluppata e anche P2 legge Lors se dreça, all’interno di una versione a lui propria.
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presenza di qualche esempio di ‘vischiosità’, termine con cui intendo il fenomeno, meno raro di quanto si potrebbe supporre ed endemicamente diffuso nei manoscritti, per cui il primo verso di una lassa viene ritoccato, paradossalmente per inerzia, sulla rima della lassa precedente, 16 come nel caso di P2, f. 19rb, lasse 162163-163a: nonostante ci troviamo in fogli dovuti ad una mano più tarda e poco attenta, Suard nella nota di commento valuta le uscite in rima di 163 (in -a/-age e prive di senso) non come semplice trascuratezza ma come ritocco delle uscite originarie in -in appunto per “rattacher ces vers à la laisse précédente” 17 che è in -al, e forse la spiegazione è sufficiente. Il caso potrebbe però essere più complesso, dato che la rima originaria, appunto in -in, è identica a quella della lassa successiva (163a), che P2 marca con una lettrine (mentre in altri manoscritti essa è fusa a 163). Il tentativo del copista potrebbe dunque essere dettato da purismo: trovandosi di fronte a due lasse consecutive sulla stessa rima, egli avrebbe deciso di differenziare la prima (163), lasciandosi guidare in questo, per semplicità o per calcolo, dalla rima di 162, senza tuttavia replicarla (si sarebbe riproposta in quel caso una situazione identica a quella che si voleva evitare), ma con una sorta di compromesso e ‘armonizzazione’.
Figura 6: P2, f. 19r (dettaglio) Figura 7: P2, f. 19r (dettaglio)
16 In generale, anche al di là di questi fenomeni di aderenza o vischiosità, il primo o i primi versi di una lassa sono soggetti ogni tanto ad alterazioni che si spiegano con scambi suffissali (ad es. in L2, f. 35rb, il copista apre la lassa 494, secondo una variante tipica dell’anglonormanno, con il verbo mesbailler in rima anziché maubaillir, poi è costretto a riscrivere la fine del verso successivo in finer al posto di morir, ma si arrende, dal terzo verso in poi, alla rima originaria -ir). 17 Suard, Aspremont, cit., p. 221.
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2. Abbandoniamo ora questa analisi incentrata sostanzialmente sulla personalità del copista (che pure richiede il confronto con l’insieme dei testimoni), e scendiamo ad un altro livello: l’omogeneità del corpus permette in effetti di mettere le varianti in comparazione e in prospettiva, affrontando questioni di natura ecdotica. Su questo punto sarà bene soffermarsi: “the most obvious influences whilst copying would be the text itself and the position of the capitals in the exemplar. Even if only a certain proportion of the coloured capitals were transferred from manuscript to manuscript, there should be a tradition for the placing of the capitals to match that for the text itself”, ma “unfortunately, the existence of such a tradition for Erec is far from self-evident”.18 In effetti, i primi studî sulle lettrines o su altri elementi paratestuali sono stati fatti da filologi e con un fine ecdotico abbastanza evidente, ma sempre con risultati oscillanti o francamente deludenti rispetto alle aspettative, tali da indicare un cattivo rapporto fra costi e benefici.19 Tentativi non molto lontani nel tempo, sulla scorta di un’esortazione di Guglielmo Cavallo a verificare “se certe caratteristiche esterne dei testimoni siano indicative di raggruppamenti o ramificazioni”,20 hanno allargato la prospettiva ecdotica tradizionale basata sull’errore testuale congiuntivo non negando ascolto anche a fenomeni di altra natura che evidenzino somiglianze fra codici e perduti antigrafi, ed è chiaro che si tratta di indagini affascinanti e delicatissime allo stesso tempo.21 Procediamo con cautela e chiediamoci innanzitutto: aprire una lassa senza cambio di timbro o viceversa fondere due lasse con timbro diverso sono davvero ‘errori’? Il caso delle lasse composite (o multirime o impure che dir si voglia) è molto complesso e – pare – abbastanza marginale, studiato quasi solo in relazione ad un testo – la Chanson de Guillaume – e un manoscritto – il ms. Additional 38663 della
18 Middleton, “Coloured Capitals”, cit., p. 160, che parla appunto dei manoscritti di Erec ma è facilmente generalizzabile. 19 Per Chrétien, che è ancora una volta un caso di studio esemplare, penso ai lavori di Foerster, Micha, Roques: cfr. la discussione e la bibliografia in Middleton, “Coloured Capitals”, cit. 20 Guglielmo Cavallo, “Un’aggiunta al ‘decalogo’ di G. Pasquali”, Rivista di Filologia e istruzione classica, 112, 1984, pp. 374-377, a p. 376. 21 Maria Careri, “Ressemblances matérielles et critique du texte: exemples de chansonniers provençaux”, Revue des langues romanes, 98, 1994, pp. 79-98, da leggere insieme alle riserve (troppo rigide a giudizio di chi scrive) di Carlo Pulsoni, “Considerazioni a margine d’un recente contributo dedicato alla filologia materiale”, Anticomoderno, 2, 1996, pp. 327-335; Alberto Vàrvaro, “Il libro I delle Chroniques de Jean Froissart. Per una filologia integrata dei testi e delle immagini”, Medioevo Romanzo, 19, 1994, pp. 3-36.
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British Library latore della stessa – del tutto speciali;22 il caso opposto, di lasse consecutive sulla stessa assonanza, rivela in qualche caso una tale raffinatezza nel disegno da rendere dubbiosi sulla sua origine. 23 Se aggiungiamo che il fattore centrale rappresentato dalla musica è a dir poco sfuggente 24 (il cambio di linea melodica da solo può essere sufficiente a generare lo ‘stacco’ fra due lasse), l’invito alla prudenza è d’obbligo. Per quel che riguarda la mise en texte i manoscritti più antichi giunti fino a noi, del XII secolo, si comportano esattamente come i loro discendenti dei secoli successivi,25 ma la composizione delle chansons de geste resta sempre oggetto di aspro contendere e anche ammettendone una esclusivamente scritta e a tavolino il rischio di deviazioni dalla norma e licenze esiste. Meglio dunque parlare più modestamente di analisi della tradizione, attenersi ad un protocollo rigido e vincolare i risultati ad una serie di restrizioni, soprattutto nel caso di testi epici in cui spesso anche la nozione di errore tradizionale è vacillante: - Non terrei in considerazione, se non accessoriamente, le lasse in -ant/-ent, -è /-ié (-er/-ier ecc.), vocale orale/vocale nasale, vocale stretta/vocale aperta, che meriterebbero un discorso a sé,26 dove la distinzione delle rime o assonanze non pare rigorosa nemmeno a livello di composizione. Uscite isolate in -ant in una lassa in -ent, ad esempio, sono ovviamente frequenti in moltissime tradizioni, a seconda del periodo e del dialetto dell’autore. Il caso di una lassa compatta in -er o -ant fusa con un’altra compatta in -ier o -ent desterebbe comunque sospetti, come abbiamo visto nell’esempio di apertura della Chanson de Roland, ma l’eventualità che si presenta con una certa frequenza è assai meno netta. Oltre a questo, simili lasse sono di difficile valutazione perché i copisti reagiscono in modi diversi, sempre da esaminare caso per caso (fusione, rimaneggiamento, ritocco puramente per l’occhio, sem22 Edward A. Heinemann, L’art métrique de la Chanson de geste. Essai sur la musicalité du récit, Droz, Genève, 1993, pp. 152-156. 23 Ivi, p. 155. 24 Rimando a John Stevens, Words and music in the Middle Ages: song, narrative, dance and drama, 10501350, Cambridge University Press, Cambridge, 1986, pp. 222-235 e a Antoni Rossell, Literatura i música a l’edat mitjana: la cançó épica, DINSIS, Barcelona, 2004, da cui si ricava agevolmente la bibliografia in merito. 25 Maria Careri, Christine Ruby e Ian Short, Livres et écritures en français et en occitan au XIIe siècle, Viella, Roma, 2011, nn° 9, 17, 25, 57, 86, 93. 26 Per -é/ié e derivati (é-e / ié-e, -er/ier ecc.) cfr. Cesare Segre, “De l’assonance, réputée fautive, de -é avec -ié”, in Nadine Henrard, Paola Moreno e Martine Thiry-Stassin (a c. di), Convergences médiévales. Épopée, lyrique, roman. Mélanges offerts à Madeleine Tyssens, De Boeck Université, Bruxelles, 2001, pp. 459468. Prendo come esempio la lassa 143 dell’Aspremont, assonanzata in -ié nel ms. P2 (con un’uscita -iés, una in -ié, due in -ier, una -iez, le altre -iers) e anche, ma con un testo diverso e diverse incertezze, in P3 Cha V4 V6; gli altri mss. (W P1 Ch L1 L3 B) optano invece per due lasse rimate tenute distinte anche dall’iniziale filigranata, una in -ier, l’altra in -iers: l’assonanza gode di simpatie istintive superiori alla rima, ma non sempre motivate, e solo il dato testuale potrà eventualmente rivelare il gruppo in posizione deteriore.
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plice imbarazzo come – per restare nell’Aspremont ‒ nel caso eclatante di P3 e soprattutto dei manoscritti franco-italiani che, com’è noto fin dagli studi sul Roland, faticano a distinguere é/ié), in cui comunque la poligenesi è insidiosa e l’errore non sempre identificabile. Vediamo un paio di esempi. Tre manoscritti (W, B e P1) dividono in due la lassa 256 in corrispondenza del v. 4524 (Granz fu la noise...), che è un tipico verso di intonazione iniziale e di fatto si trova come verso di apertura di una lassa vicina (255). Se la strategia retorica è trasparente e già incontrata, in questo caso il verso segna pure un turning point fra una serie di versi a larghissima predominanza -ant e una seconda serie a larghissima predominanza -ent (meno netto P1), al punto che il cumulo di indizi potrebbe far sospettare un’originaria sequenza di lasse -ant/-ent, con un effetto di sottile variatio che si nota in molte canzoni (e anche nell’Aspremont) nell’accostamento di lasse -e/-ié: per quanto ragionevole, l’ipotesi si scontra però con lo stemma della canzone, che vede riuniti nella famiglia appunto W B P1 (e R), all’intelligente solerzia del cui antigrafo andrà imputata la scelta di evidenziare con uno stacco più forte quella che probabilmente era solo una lassa bipartita. Oppure si vedano le lasse 326-327, assonanzate in i-e, dove però 327 comincia con 3 uscite compatte e rimate in -irent (le uscite seguenti sono dire, faillirent, vivre, martire). Il comportamento dei manoscritti è oscillante, perché alcuni tengono separate le due lasse senza difficoltà (P2 L2), altri (W L1 P5) non le separano, altri infine non le separano ma tradiscono un certo imbarazzo (L3 ad esempio corregge per l’occhio tutte le uscite verbali -irent in -ire, similmente Ch V4 V6, mentre P3 interviene più pesantemente): a parte il ritocco testuale che denuncia la parentela dell’ultimo gruppo, si potrebbe forse speculare sulla presenza di dire, vivre, martire in 327 come indizio di un’unica lassa assonanzata in i-e(nt), ma le basi sono troppo fragili e la possibilità di un intervento poligenetico troppo alta. - fondere o spezzare lasse, anche se ne fosse acclarata la natura erronea, è sempre un intervento a rischio appunto di poligenesi (si pensi – anche se il nesso fra lusso e abbondanza di lettrines non pare automatico – al caso di manufatti in cui per ragioni estetiche o di committenza è richiesto un alto numero di iniziali decorate), come prova già il numero di soluzioni singulares proprie, in misura diversa, a ciascuno dei manoscritti: l’apertura di una nuova lassa è un intervento sempre facile (facilissimo se si sfrutta un verso già disponibile in questo senso che non richiede ritocchi), e soprattutto la correzione è decisamente alla portata di uno scriba ‘purista’. Ne consegue che non si tratterebbe comunque di errori significativi, e il loro valore risiede nella serialità. I risultati si iscrivono di necessità in un orizzonte ristretto:
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valgono come orientamento a livello preliminare in tradizioni vaste e intricate; - sono sempre e solo elementi di conferma e sostegno di legami stemmatici già stabiliti. Per fare la controprova, dal momento che uno stemma dell’Aspremont non è definito con sicurezza in ogni sua parte, soprattutto a causa di qualche manoscritto mobile, meglio fissarsi su un settore dei piani bassi ben noto, quello dei codici franco-italiani, i cui rapporti, stabili da un capo all’altro del testo, sono delineati con buona chiarezza da Boni prima e Fassò poi,27 e sono così rappresentabili:
Figura 8
Limitandosi alle lettrines ‘irregolari’, la situazione è riassumibile nella seguente tabella:28
V6 34a-b 2a-b 27-28 69a-b W+ V6 104a-b 122-3 308a-b 334a-b 408a-b
Cha
V4
X X
X X
V6 X
X X
X X
X X X X X X
27 Andrea Fassò (a c. di), Cantari d’Aspramonte inediti (Magl. VII 682), Casa Carducci, Bologna, 1981, p. XLVIII, cui rimando anche per la bibliografia pregressa (in primis i lavori di Boni) sui mss. francoitaliani. 28 Nella tabella il numero di lassa è sempre quello dell’ed. Suard, salvo il caso in cui essa sia assente (lo si trova allora accompagnato dalla sigla del ms. che la tramanda); l’indice alfabetico a-b sta ad indicare che la lassa corrispondente è divisa in due nel manoscritto nonostante il timbro non cambi, mentre due numeri uniti dal trattino indicano che le lasse in questione sono fuse in una nonostante il cambio timbrico.
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450a-b 456a-b Cha 504a-b 499-500 508a-b
X X X X
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X X
X X
X
X X
Si notano subito, trascurando le singulares (soprattutto di V6, talora sparsamente condivise da altri codici): - coincidenze Cha / V4 / V6: 450a-b, 456a-b e 499-500 puntano probabilmente al comune antigrafo; 122-123 è condivisa da P3 (ms. di posizione probabilmente non stabile ma comunque vicino ai franco-italiani) e potrebbe rimontare più in alto nello stemma; 308a-b è un luogo molto complesso e rimaneggiato, la fusione è comunque condivisa da molti testimoni e scarsamente significativa; - coincidenze Cha / V4: la dipendenza dal subarchetipo y è difficile da postulare, perché 2a-b, molto diffusa, sarà da considerare poligenetica e 27-28 sono fuse anche in P3 (potrebbero quindi rimontare ad uno stadio antecedente regolarizzato da V6). Un caso complicato tocca i mss. C e Ch. La lassa 521, di cui abbiamo brevemente discorso, si apre in Ch al f. 79r con un verso di ritardo (Fig. 2) con la variante E le matinet, dove E- è incongruo, superfluo e di una sola ur; C, al f. 1r (Fig. 8), presenta una situazione confusa, in cui si alternano lasse su rime diverse non distinte in alcun modo, iniziali non eseguite ma previste di 2 ur (col. a in basso, F- di Florent), iniziali di 1 ur variamente enfatizzate (dal copista?; a posteriori? cfr. Q- alla colonna c), iniziali di 1ur appena distinte per formato o tracciato (F- di Florent alla colonna a, diciannovesima linea dal fondo). Alla colonna 2, l’iniziale della lassa 521 appare solo leggermente sovrammodulata, ma non di F(lorent) si tratta, bensì di una lettera ritoccata (cfr. Fig. 9). Anche se questa lettera non è una E- come in Ch ma probabilmente una L- maldestramente trasformata in F-, immaginare un antigrafo pasticciato e variamente aggiustato dai due discendenti è forse eccessivo ma senz’altro seducente, e confermerebbe i legami stemmatici individuati fra i due testimoni da Paolo Di Luca.29
29 Paolo Di Luca, “Deux manuscrits anglo-normands de la Chanson d’Aspremont: description et étude de P4 et C”, in Ailes, Bennett e Cobby, Epic Connections, cit., I, pp. 191-214.
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Figura 9: C, pièce 1, f. 1r.
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Figura 10: C, pièce 1, f. 1r (dettaglio)
3. Torniamo ora, brevemente, al punto 3 della nostra divisione iniziale, quello riservato a problemi di grandezza e posizione della lettrine all’interno del manoscritto. Per quel che riguarda la grandezza, si dovrà tener conto delle eccezioni alla normale taglia della lettrine di apertura (che nella grande maggioranza dei casi è, come detto, di 2 ur): molto spesso si tratterà di varianti senza particolare significato (così, ad es., la presenza di lettrines di una sola ur causate dal fatto che la lassa si apre all’ultima riga della colonna) o sulle quali comunque non è lecito pronunciarsi. Più significative le iniziali di modulo superiore a 2 ur (spesso puzzle o variamente decorate) che in molte tradizioni chiaramente individuano partizioni strutturali o episodi chiave (si pensi alla morte di Bégon in Garin le Loherains, individuato da un’iniziale particolarmente importante in molti manoscritti).30
30 Mi permetto di rimandare a Paolo Rinoldi, “Lire Gerbert de Metz hors du manuscrit A”, in Carlos Alvar e Juan Paredes (a c. di), Les Chansons de Geste. Actes du XVIe Congrès Internactional de la Société Rencesvals (Granada, 21-25 juillet 2003), Editorial Universidad de Granada, Granada, 2005, pp. 547-578, alle pp. 550-552; cfr. anche Anne Iker-Gittleman, Le style épique, cit., pp. 88-90 e Maria Careri, “Codici facsimilati e tradizione attiva nella Geste des Loherains”, in Romania, 119, 2001, pp. 323-356.
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Aspremont da questo punto di vista è avaro di esempî, ma almeno uno tocca i mss. Ch e V6, appartenenti sicuramente alla stessa famiglia . I due mss. condividono, alla lassa 202, un’iniziale sovrammodulata rispetto alle altre (V6 f. 34rb, Fig. 10; Ch f. 30rb, Fig. 11): una casualità, data appunto l’estrema rarità di questo fenomeno nella tradizione della canzone, sarebbe bizzarra. Poiché gli altri, numerosi, codici della famiglia non offrono particolarità in questo punto, inclino con ogni cautela a considerare questa somiglianza come residuo di un lontano antigrafo, poi regolarizzato (poligeneticamente) negli altri testimoni.
Figura 11: V6, f. 34r. (dettaglio)
Confini di lassa, iniziali e lettrines
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Figura 12: Ch, f. 30r (dettaglio)
La fenomenologia di ‘posizione’ della lettrine all’interno del manoscritto riguarda tutte le strategie messe in opera per far cadere l’iniziale in una posizione forte o armoniosa: nella tradizione dell’Aspremont mancano ricercatezze estreme come quelle che si riscontrano, ancora una volta, nella tradizione della Geste des Loherains,31 e, stando ai miei sondaggi, sono men che marginali anche altri fenomeni a motivazione strettamente estetica (ad esempio la mancata presenza di una lettrine semplicemente a causa di un’altra lettrine troppo ingombrante poco sopra),32 ma una più semplice casistica si può comunque tentare. Che anche nel Medioevo l’inizio di pagina o colonna fosse percepito, come da noi oggi, quale posizione ‘forte’ è dimostrato dai numerosissimi esempi, in mano31 Penso al ms. Bern, Burgerbibliothek, 113, che inserisce le lettrines (normalmente una per colonna) secondo le regole di una presentazione visivamente armoniosa e regolare a dispetto del timbro (Middleton, “Coloured Capitals”, cit., pp. 158-159). Assimilabile il caso di copisti che mostrano, al di là di ogni altra ragione, una particolare predilezione per lettere particolari (ad es. I, cfr. Edmond Faral, Le manuscrit 19152 du fonds français de la Bibliothèque Nationale, Droz, Paris, 1934, pp. 9-10). 32 Il fenomeno si produce nel ms. V4, nella porzione della Chanson de Roland (cfr. Heinemann, L’art métrique, cit., p. 153).
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scritti di tutti i generi letterari, di colonne o porzioni di colonna lasciate bianche per iniziare un nuovo testo appunto in una colonna o pagina nuova. Si tratta nondimeno di un fenomeno raro nel nostro corpus, anche perché non ci muoviamo alla frontiera fra un testo e l’altro ma fra unità discrete – le lasse – all’interno di uno stesso testo: la tendenza alla posizione forte è ovviamente meno sentita33 e si esercita là dove il testo ne offre l’occasione giungendo naturaliter in prossimità della fine della colonna. Possiamo individuare in vivo qualche caso di alterazione del rapporto fra rigo e verso, appunto mirato a chiudere la lassa contestualmente alla colonna/pagina (ad es. il ms. P5 inizia la lassa 475 al f.132r, ma per arrivare a questo risultato al f. 131v alloggia il penultimo verso su due righe, Fig. 12) o qualche incidente estemporaneo (ad es. B al f. 160vb inizia la lassa 96 all’ultimo rigo ma poi la ricomincia a 161ra, Fig. 13-14).
Figura 13: P5, f. 131v. (dettaglio)
Figura 14: B, f. 160v (dettaglio)
33 Di fatto tutti i manoscritti non esitano ad aprire lasse in corrispondenza dell’ultimo o del secondo rigo della colonna, anche se ciò genera imbarazzo, manifestato da iniziali di una sola ur, che debordano, che si sviluppano nella riga precedente o nei margini, ecc.
Confini di lassa, iniziali e lettrines
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Figura 15: B, f. 161r (dettaglio)
In genere sono questi incidenti (finta scrittura, versi spezzati su più righe, bianchi, ripetizioni, cambio di mano) a denunciare un intervento ad hoc. Più raffinato – e complesso da snidare – il caso di lasse manipolate testualmente currenti calamo, che solo un’analisi della tradizione nel suo complesso (quindi sostanzialmente in sede di edizione) può evidenziare. Mi limito qui ad un primo confronto (per campionatura) fra due testimoni tradizionalmente molto vicini lungo tutto il corso della canzone, vale a dire ancora una volta Cha/V4: su una ventina circa di casi in cui la lassa si apre nei due manoscritti in corrispondenza di una pagina o di una colonna, gran parte sembra essere del tutto fortuita, ma non manca un manipolo di casi interessanti, come ad esempio V4 f. 36r, lassa 274.34 V4 è tre versi più lungo di Cha, e si tratta di versi che non sembrano avere riscontro altrove nella tradizione: possibile quindi che si tratti di un intervento pensato proprio per questo manoscritto, anche se va detto che la loro qualità testuale in sé non li denuncerebbe immediatamente come aggiunte e nemmeno la posizione (non sono alla fine della colonna, la posizione più ovvia ed attesa per un intervento estemporaneo, ma a metà). L’intreccio di fattori si cristallizza in esempi estremi come quello del ms. B, ff. 185-186 (all’interno di fascicolo e senza cambio di mano): a 185va si legge la prima parte della lassa 277 (vv. 5125-5177) fino alla fine della colonna; 185vb si apre, senza iniziale, con la seconda parte della lassa 278 (4 vv., 5213-5217), e prosegue con due lasse (in -er e in -ance) provviste di regolare iniziale e singulares che completano la colonna; 186ra contiene la seconda parte di 277 (vv. 5178-5204) e la prima parte (vv. 5205-5212) di 278, entrambe senza iniziale, che completano la colonna; infine, 186rb comincia, con regolare iniziale a inizio di colonna, la lassa 279. È fuori di dubbio che questo gioco combinatorio di lasse e porzioni di lassa, non inusuale nelle tradizioni epiche e di cui proprio l’Aspremont offre un esempio macroscopico 34 Anche in questi casi la componente testuale e il rispetto per l’antigrafo sono sempre forti e la manipolazione si produce là dove il testo si avvicina di per sé ad una posizione forte: questo implica però che lo scarto di versi fra i due testimoni è sempre di poco conto e la sua significatività sempre insidiata da un margine di dubbio.
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nella parte finale, produca qui un risultato erroneo, né saprei individuarne la genesi: pare tuttavia che su una patologia probabilmente meccanica (salto di colonna) si sia innestato un tentativo di rabberciamento (che non è indicato dal copista con richiami o segni speciali) di cui sono spia non solo le lasse singulares ma anche le porzioni di lassa con cambio di timbro ma senza iniziale, in cui comunque è evidente il tentativo di far coincidere testi redatti ad hoc e testi ritoccati con i confini di colonna.
Università di Parma
ANNA CONSTANTINIDIS - PAOLO DI LUCA Appunti sulla fisionomia testuale della redazione γ della Chanson d’Aspremont
1. La tradizione della branche γ e le ipotesi sulla sua formazione I primi sondaggi effettuati in seno alla tradizione della Chanson d’Aspremont hanno condotto alla conclusione che la geste ci è stata trasmessa in tre redazioni principali, le quali, rispetto alla prima parte dell’opera, che è quella finora studiata con maggior attenzione, sono testimoniate dai seguenti manoscritti:1 α: mss. P2, P5; β: mss. B, R, P1, W; γ: mss. L1, L2, L3, Ch, Cha, P3, P4, V4, V6.
Lo scopo di questo intervento è di delineare la fisionomia testuale di γ rispetto a quella delle altre due redazioni. L’indagine sarà condotta su tutta la chanson e sarà articolata su due livelli di trasmissione: l’intera famiglia γ da un lato; la sottofamiglia x dall’altro, comprendente i tre manoscritti franco-italiani Cha, V4 e V6, i cui rapporti stemmatici sono stati definiti con chiarezza. Si privilegerà l’aspetto macrostrutturale, verificando, in particolare, se e in che modo la presenza o l’assenza di determinate lasse nella sola redazione γ contribuisce a caratterizzarne il disegno narrativo d’insieme. Prima di affrontare l’argomento, converrà, tuttavia, vagliare le precedenti posizioni critiche relative alla genesi di questa redazione e alle sue peculiarità letterarie.
I paragrafi 1 e 2 sono stati scritti da Paolo Di Luca, i paragrafi 3, 4, 5 da Anna Constantinidis; il paragrafo 6 è frutto della collaborazione dei due autori. 1 Si veda Giovanni Palumbo e Paolo Rinoldi, “Prolégomènes à l'édition du corpus français de la Chanson d'Aspremont”, in Marianne J. Ailes, Philip E. Bennett e Anne Elizabeth Cobby (a c. di), Epic Connections/Rencontres épiques. Proceedings of the Nineteenth International Conference of the Société Rencesvals, (Oxford, 13-17 August 2012), British Rencesvals Publications, Edinburgh, 2015, 2 voll., II, pp. 549576, a p. 551. Per le sigle e le rispettive segnature dei manoscritti si rimanda a Giovanni Palumbo e Anna Constantinidis, “La Chanson d’Aspremont: à propos d’une nouvelle édition du corpus français”, in Carlos Alvar e Constance Carta (a c. di), In Limine Romaniae. Chanson de geste et épopée européenne, Peter Lang, Berne, 2012, pp. 533-551. Va segnalato che sono esclusi dai raggruppamenti i frammenti che non sono ancora stati oggetto di analisi approfondite. I rapporti stemmatici intercorrenti fra i testimoni delle singole redazioni sono in corso di determinazione, fatta eccezione per i tre mss. franco-italiani Cha V4 V6, di cui si possiede uno stemma certo: cfr. infra. Nella seconda parte della chanson “le cadre change, des accords inédits se manifestent, qui mettent à mal certains groupes de témoins établis pour la première [partie]” (Palumbo e Rinoldi, “Prolégomènes”, p. 554).
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Rispetto alle altre due branches dell’Aspremont, γ è rappresentata dal numero più cospicuo di testimoni, i cui dati principali, sintesi della descrizione codicologica effettuata da Maria Careri,2 sono elencati di seguito: Sigla L1 L2 L3 Ch P4 Cha P3 V4 V6
Luogo Francia (Rouen) Inghilterra Inghilterra Inghilterra Inghilterra Italia (Emilia-Romagna) Italia (Emilia-Romagna) Italia (Veneto ?) Italia (Veneto ?)
Data XVmed (1444-1445) XIII3/4 (dopo il 1260) XIII1/3 (circa 1230) XIIex - XIIIin XIII1/4 XIIIex - XIVin XIII3/4 XIV2/3 (1330-1340) XIV3/4 (1371)
Appare interessante notare che la tradizione di γ, fatta eccezione per il tardo e rimaneggiato L1, consta esclusivamente di manoscritti di provenienza inglese e italiana, alcuni dei quali – tutti anglonormanni – sono fra più antichi dell’Aspremont. Questa circostanza ha indotto André De Mandach a ipotizzare che la genesi della Chanson d’Aspremont vada rintracciata “en terre anglo-normande”,3 non solo per la precocità delle testimonianze ascrivibili a quest’area, ma anche perché la versione da esse tràdita sarebbe volta a celebrare la dinastia Plantageneta, soprattutto attraverso il personaggio di Girart de Fraite, vassallo orgoglioso e insofferente all’autorità regia che incarnerebbe Riccardo Cuor di Leone.4 L’originaria matrice pro-plantagenta della chanson avrebbe poi subito delle profonde modificazioni a seguito di un “processus de francisation”5 testimoniato dalle versioni ‘continentali’ dell’Aspremont, che coincidono con le nostre redazioni α e β: qui verrebbero eliminati o accorciati i passaggi relativi a personaggi legati in qualche modo alla dinastia plantageneta o considerati ostili a Carlomagno – oltre a 2 Maria Careri e Giovanni Palumbo, “Pratiques de ’lecture’ des chansons de geste: le cas de la Chanson d’Aspremont”, in Xavier Hermand, Étienne Renard e Céline Van Hoorebeeck (a c. di), Lecteurs, lectures et groupes sociaux au Moyen Âge, Brepols, Turnhout, 2014, pp. 147-167. 3 André De Mandach, Naissance et développement de la chanson de geste en Europe. III-IV. Chanson d’Aspremont. Manuscrit Venise VI et textes anglo-normands inédits, British Museum Additional 35289 et Cheltenham 26119, Droz, Genève, 1975-1980, III, p. 2. 4 De Mandach, Naissance, cit., IV, pp. 13-16. Sui problemi letterari posti dal personaggio di Girart nell’Aspremont si vedano: René Louis, De l’histoire à la légende. Tome Ier: Girart, comte de Vienne (... 819877) et ses fondations monastiques. Tomes II et III: Girart, comte de Vienne, dans les chansons de geste : Girart de Vienne, Girart de Fraite, Girart de Roussillon, Imprimerie Moderne, Auxerre, 1946-47, 3 voll., I, pp. 115-176; William Calin, “Problèmes littéraires soulevés par les chansons de geste: l’exemple d’Aspremont”, in Au carrefour des routes d’Europe: la chanson de geste. Xe Congrès international de la Société Rencesvals pour l’étude des épopées romanes (Strasbourg, 1985), CUERMA, Aix-en-Provence, 1987, 2 voll., I, pp. 333-350. 5 De Mandach, Naissance, cit., III, p. 52.
Appunti sulla fisionomia testuale
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Girart de Fraite, Geoffroy Grisegonnelle, Naimes di Baviera e Ogier le Danois – a favore di amplificazioni dal sapore psicologico o religioso più consone al gusto letterario della Francia del secolo XIII; questi accorgimenti concorrerebbero a connotare come ‘pro-francesi’ le versioni suddette. La tesi di De Mandach non ha incontrato il favore della critica. Oggi si tende a credere che la composizione della Chanson d’Aspremont sia stata ispirata dai preparativi per la terza crociata.6 Se è vero che l’opera contiene numerosi riferimenti all’Inghilterra e l’accostamento di Girart a Riccardo sembra fondato, 7 essa tradisce piuttosto “une vision critique de la dynastie Plantagenêt”,8 che si esplica nel conflitto fra Eaumont e Agoulant da un lato e di Girart de Fraite e Turpin dall’altro, episodi che rimanderebbero rispettivamente alla rivolta degli eredi di Enrico II di Inghilterra e alla disputa di quest’ultimo con Thomas Beckett. Ancora meno evidente appare lo spirito pro-francese che animerebbe le redazioni continentali della geste, che si configura, in’ultima analisi, non come teatro delle rivalità fra le varie potenze europee, ma “comme un appel à la cohésion des forces chrétiennes, indispensable pour que la croisade en cours soit un succés”.9 Questo non vuol dire che non esistano differenze, anche significative, a livello narrativo fra le varie redazioni dell’Aspremont: esse andranno interpretate non già nell’ottica di una mouvance revisionista, ma tenendo conto, come ci proponiamo di fare in questa sede, delle dinamiche di trasmissione manoscritta dell’opera. La filiazione fra i testimoni anglo-normanni e quelli franco-italiani della redazione γ sarebbe stata favorita, secondo De Mandach, da alcuni manoscritti che formerebbero un “pont littéraires entre les textes de ces régions”.10 I tre manoscritti franco-italiani Cha, V4, V6 conservano, come è noto, un prologo relativo alla corte di Agoulant, in cui viene rappresentato il consiglio di guerra che ratificherà 6 Roelof van Waard, Études sur l’origine et la formation de la Chanson d’Aspremont, Wolters, Groninche - Batavia, 1937, pp. 231-235, seguito da Karl Heinz Bender, König und Vasall. Untersuchungen zur Chanson de geste des XII. Jahrhunderts, Winter, Heidelberg, 1967, p. 119, ritiene, sulla base di argomenti non sempre probanti, che la chanson sia stata composta alla corte di Messina, dove nell’inverno del 1190 erano stanziati i soldati al seguito di Riccardo Cuor di Leone e Filippo Augusto in attesa di partire per l’Oriente la primavera successiva. In particolare, priva di fondamento, perché non supportata dalla fonte chiamata in causa dallo studioso, l’Estoire de la guerre sainte di Ambroise, risulta l’ipotesi che la chanson venisse cantata alla truppe crociate per incitarle alle battaglie venture. Nella cronaca anglonormanna, Ambroise cita per tre volte l’Aspremont, ma in contesti che non permettono di corroborare questa ricostruzione: si vedano a tal proposito le osservazioni di Wolfgang Van Emden, “La Chanson d’Aspremont and the Third Crusade”, Reading Medieval Studies, 18, 1992, pp. 57-80, a p. 58. 7 Su cui si vedano van Waard, Études, cit., p. 254 e n. 5; Philipp August Becker, “Aspremont”, Romanische Forschungen, 60, 1947-1948, pp. 27-67; Bender, König und Vasall, cit., pp. 115-137; De Mandach, Naissance, cit., IV, p. 13. 8 François Suard, Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, Champion, Paris, 2008, p. 14; si vedano anche Dominique Boutet, Charlemagne et Arthur ou le roi imaginaire, Champion - Slatkine, Paris - Genève, 1992, p. 478; Van Emden, “La Chanson d’Aspremont”, cit., p. 64. 9 Suard, Aspremont, cit., p. 14. 10 De Mandach, Naissance, cit., III, p. 153.
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l’attacco a Carlomagno e alla cristianità. De Mandach individua un procedimento stilistico ben preciso che soggiace alla struttura narrativa dell’Aspremont, quello del “dyptique littéraire”: la trama si dipanerebbe secondo una struttura binaria, ossia con gli episodi ordinati in parallelo o in contrapposizione.11 Su questa scorta, egli giudica il prologo franco-italiano non già opera di un rimaneggiatore, ma episodio originale della chanson: esso fungerebbe, infatti, da perfetto contraltare all’inizio di tutte le altre versioni della gesta, che si aprono con il consiglio tenuto da Carlomagno alla corte di Aix-la-Chapelle. Giudicando normale che le redazioni α e β non lo trasmettano, perché meno conservative, lo studioso cerca comunque di trovarne traccia in due altri testimoni di γ, il frammento acefalo anglo-normanno P4 e i dodici versi iniziali del prologo franco-italiano copiati sul foglio di guardia di V6. Per quanto riguarda il frammento, le conclusioni di De Mandach appaiono prive di qualsiasi fondamento: la stima dei versi mancanti di P4, che dovrebbe provare che il manoscritto trasmetteva in origine il prologo relativo alla corte di Agoulant, è erronea, così come inconsistente è il criterio di prossimità geografica – P4 è stato ritrovato nella regione del Massiccio Centrale e dunque a metà strada fra l’Inghilterra e l’Italia – posto a sostegno della filiazione fra l’area di trasmissione anglo-normanna e quella franco-italiana.12 La testimonianza di V6 appare senz’altro di maggiore interesse. La riportiamo di seguito: nella colonna di sinistra figurano i versi reperiti nel terzo foglio di guardia anteriore, mentre in quella di destra gli stessi versi tratti dalla copia effettiva dell’Aspremont; entrambe le trascrizioni interpretative sono state effettuate da Anna Constantinidis. [foglio di guardia] [Qu]i voyt entendre voyre çançon De Agulant e de Heumun, Nen doyt pays estre mal bricun, Mener mençogne ne traysun; Mai voit entendre senç tençon.
[f. 6r] Qui voyt entendre voyre çançon De Agulant e de Heumon, Nen doit pays estre mal bricon, Mener mençogne ne trayson; Ma voyt entendre senç tençon.
11 De Mandach, Naissance, cit., III, pp. 5-20. L’opera si articolerebbe in cinque dittici: I) Les cours d’Agoland et de Charlemagne. II) Départ des armées, première victoire. III) Batailles contre Eaumont, sa mort. IV) Préparatifs à la bataille finale. V) Bataille finale contre Agoland. L’analisi stilistica dello studioso è confermata anche da Suard, Aspremont, cit., p. 31, secondo cui, tuttavia, “la construction en dyptique […] divise l’œuvre en deux parties à peu près égales, la lutte contre Eaumont et la bataille contre Agoulant”. 12 De Mandach, Naissance, cit., III, pp. 19-20 e p. 153. Sono in realtà solo un’ottantina i versi iniziali mancanti a P4 ‒ a fronte dei circa settecento (quattrocento nella versione di Cha: cfr. infra) che compongono il prologo ‒ come ha dimostrato Ernest Langlois, “Deux fragments épiques: Otinel, Aspremont”, Romania, 12, 1883, pp. 433-458; sul frammento si veda anche Paolo Di Luca, “Deux manuscrits anglonormands de la Chanson d’Aspremont: description et étude de P4 et C”, in Ailes, Bennett e Cobby, Epic Connections, cit., I, pp. 191-214.
Appunti sulla fisionomia testuale Asay li trove bon sermon Et exempli li sont a gran fusun. Or se començe la traysun Del rois Agullant li sclavun: Com il corona son filç Heumun; E sicum Karllon poia in Aspremun E de Girard d’Aufrate li Bergognun
51 Asay li trove bon sermon Et exempli li sont a gran fuison. Or se començe la trayson De rois Agullant, li sclavon: Com il corona son filç Heumon ; E sicum Karllon poia in Aspremon E de Girart d’Aufrate li Bergognon […]
Si tratta verosimilmente di una prova di penna. La guardia su cui è stata vergata è pergameancea e apparteneva, assieme al f. 1, “al quaderno che è stato poi tagliato e ridotto ad essere il binione iniziale”.13 La mano è la stessa che ha copiato anche la Passion du Christ (ff. 1r-4r) e l’Aspremont (ff. 6r-69r). Rispetto a queste due opere, qui il modulo risulta più serrato; si noti, inoltre, che il copista ha lasciato anche lo spazio necessario per decorare l’iniziale, come se volesse effettuare anche una prova di impaginazione da sottomettere all’approvazione del committente del volume (Fig. 1).14
Figura 1: a sinistra V6, terzo foglio di guardia anteriore; a destra V6, f. 6r
13 Sebastiano Bisson, Il fondo francese della Biblioteca Marciana di Venezia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2008, p. 27. 14 Su questo punto ci siamo avvalsi dei suggerimenti di Maria Careri e Paolo Rinoldi, che ringraziamo. Altri esempi di carte di prova simili al nostro sono analizzati da Marco Cursi, “Un’antica carta di prova del Decameron (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, cod. Castiglioni 12)”, Studi sul Boccaccio, 37, 2009, pp. 105-126, che commenta: “tali dinamiche di commissione libraria dovevano essere piuttosto comuni, soprattutto nel caso di committenze di manoscritti di alto livello esecutivo” (p. 115).
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Basandosi sull’alternanza delle grafie -un/-on per la rima in /õ/, De Mandach ritiene di poter identificare una scripta anglo-normanna, che sarebbe stata poi normalizzata al momento della copia effettiva dei suddetti versi a f. 6r: qui la rima è resa sempre resa con -on. A supporto di questa tesi, aggiunge che le lezioni lesclauun e doner mençonge sarebbero state italianizzate nel passaggio dalla prova alla copia, diventando rispettivamente li sclavun e dener mençonge.15 Quest’ultimo agomento è frutto, in realtà, di un errore di lettura: nella prova si legge infatti li sclavun e mener mençonge. Per quanto riguarda la resa grafica della rima in /õ/, abbiamo ritenuto opportuno analizzare quali sono le soluzioni che si ritrovano con maggiore frequenza in V6. Diamo di seguito una tavola riassuntiva delle lasse rimate in /õ/ reperite nei primi quattromila versi di V6.16 I (De Man 1) XXXVIII (De Man 23b) 63 (Bra 63) 86 (Bra 87) 106 (Bra 106)
-on -on -un -on -un/-on
VII (De Man 7) 30 (Bra 27) 65 (Bra 67) 95 (Bra 97) 111 (Bra 120)
-on -un/-on -un -un -unt
XVIII (De Man 16) 36 (De Man 58) 75 (Bra 77) 98 (Bra 97) 141 (Su 131)
-on -un -on -ont -on
XXXII (De Man 20h) 48 (Bra 44) 83 (manca) 101 (Bra 101) 148 (Su 139)
-on -un -un -un -on
Come si può notare, V6 presenta tutte le soluzioni possibili: le grafie -un e -on sono impiegate in ugual misura, e non mancano lasse in cui c’è alternanza fra le due.17 Se dunque, come vuole De Mandach, il copista di V6 si è preoccupato di 15 André De Mandach, “À la découverte d’un nouvel Aspremont de la Bibliothèque des Gonzague de Mantoue”, Cultura neolatina, 21, 1961, pp. 116-121, a p. 120. 16 La numerazione delle lasse – in cifre romane per il prologo e in cifre arabe per il resto del testo – è desunta dalla trascrizione interpretativa realizzata da Anna Constantinidis. Ad essa segue, di norma, quella corrispondente dell’edizione Brandin basata sul ms. W (Bra = Louis Brandin, Chanson d’Aspremont, chanson de geste du XIIe siècle, texte du manuscrit de Wollaton Hall, Paris, Champion, 19231924, 2 voll.); qualora una lassa non dovesse figurare in questa edizione, si dà il riferimento dell’edizione Suard basata sul ms. P2 (Su = Suard, Aspremont, cit.), e, nel caso entrambe le edizioni non la presentassero, quella dell’edizione De Mandach basata su L3 (De Man e De Mandach = De Mandach, Naissance, cit.). Accanto al numero di lassa viene registrata la grafia con cui la rima viene resa; nel caso la soluzione non sia unitaria, ma presenti una sensibile alternanza – ossia non limitata a uno o due versi –, viene indicata per prima la grafia prevalente (es.: -un/-on indica che la grafia -un è maggioritaria rispetto a -on). 17 Per completezza di informazione segnaliamo che un simile sondaggio operato negli altri testimoni di γ ha dato i seguenti risultati: negli altri testimoni franco-italiani Cha, P3, V4 la grafia impiegata è sempre -on; fra gli anglo-normanni, Ch e L2 presentano sempre la grafia -un, mentre L3 prevalentemente -on.
Appunti sulla fisionomia testuale
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“italianise[r] les formes et normalise[r] les rimes à la manière continentale”18 perché copiava da un modello anglo-normanno, lo ha fatto in modo limitato e discontinuo. Bisogna ricordare, inoltre, che la chiusura Ō > u non è un tratto esclusivo dell’anglo-normanno, ma riguarda più in generale le varietà nord-occidentali del francese antico,19 ragion per cui risulta essere poco significativo per la determinazione della lingua del modello.20 È versosimile, piuttosto, che quest’ultimo presentasse già una scripta italianizzante, come lasciano presupporre le forme voyt, çançon, tençon. Rispetto alla grafia -un per /õ/, non andrebbe escluso che il fenomeno possa celare un regionalismo del copista: è stato notato, infatti, che in testi veneti o copiati in Veneto, con sconfinamenti a sud fino al Ferrarese, anteriori o coevi a V6 “la chiusura di Ō in u avviene sporadicamente nelle forme in -ONE”.21 Limitandosi all’epica, si possono portare a titolo di esempio alcune lasse della Chanson de Roland tràdita da V4, dove si registra la medesima alternanza -un/-on,22 o le lasse CCCXIII e CCLXVI dell’Entrée d’Espagne, dove la rima /õ/ è resa in prevalenza con -un.23 Il fenomeno in V6 ha un’estensione maggiore rispetto a questi testi. Esso figura per la prima volta in un contesto – la prova di penna/impaginazione – in cui la scrittura del copista è necessariamente meno sorvegliata; scompare all’inizio della copia del testo, per poi riaffiorare in vari punti e con insolita frequenza. Questo stato di cose ci porta a concludere che la sua presenza in V6 non sia imputabile tanto al modello del codice,24 quanto alla lingua del copista, l’analisi della quale è attualmente in corso per le cure di Anna Costantinidis. Appare evidente, come sarà illustrato in dettaglio infra, che il prologo incentrato sulla corte di Agoulant costituisce un rimaneggiamento tardivo proprio dei manoscritti franco-italiani, ed è dunque inutile postularne la presenza in quelli anglonormanni per chiarire meglio i rapporti intercorrenti fra i testimoni della redazione De Mandach, “À la découverte”, cit., p. 120. Cfr. Pierre Fouché, Phonétique historique du français. Volume II: Les voyelles, Klincksieck, Paris, 1958, p. 208). 20 Si vedano, a tal proposito, le riserve espresse da Jacques Monfrin, recensione a De Mandach, “À la découverte”, cit., Romania, 86, 1965, pp. 417-421, a p. 421. 21 Lorenzo Tomasin, Testi padovani del Trecento, Esedra, Padova, 2004, p. 109 e n 94, con rimandi bibliografici. Sull’argomento si veda anche Carlo Beretta e Giovanni Palumbo, “Il franco-italiano in area padana”, Medioevo Romanzo, 38, 2015, in corso di stampa. 22 Notoriamente le lasse XII, XIV, XLIV, CXVI (si vedano le edizioni a cura di Carlo Beretta, Il testo assonanzato franco-italiano della Chanson de Roland, cod. Marciano fr. IV(=225), Università degli studi di Pavia, Pavia, 1995, e Robert F. Cook, The Venice 4 version, in Joseph J. Duggan (a c. di) La Chanson de Roland / The Song of Roland. The French Corpus, Brepols, Turnhout, , 2005, 3 voll., part II), dove però la presenza di grafie -un è limitata a uno o due versi. 23 Antoine Thomas (a c. di), L’Entrée d’Espagne. Chanson de geste franco-italienne publiée d’après le manuscrit unique de Venise, Firmin-Didot, Paris, 1913, 2 voll. 24 Sulla possibilità che la condivisione di un’iniziale sovrammodulata nei mss. Ch e V6 possa costituire il “residuo di un lontano antigrafo, poi regolarizzato (poligeneticamente) negli altri testimoni”, si veda lo studio di Paolo Rinoldi, in questo stesso volume, p. 41. 18 19
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γ dell’Aspremont. Un ulteriore elemento di riflessione su tale questione è stato di recente suggerito da Giuseppina Brunetti,25 che individua delle somiglianze fra l’apparato decorativo previsto, ma mai realizzato, del ms. Cha, del quale ci si può fare però un’idea grazie alle dettagliate istruzioni per il miniatore vergate dal copista nei margini inferiori del codice, e le miniature del ms. L2. Queste ultime seguono puntualmente il testo, dando luogo ad un’illustrazione continua che potrebbe essere definita “à petits films”;26 secondo Brunetti, “il programma iconografico di Chantilly, riproducendo strettamente la costruzione del racconto”, come indicano chiaramente le istruzioni per il miniatore, “si inserisce in tale modello”.27 Consapevole di operare un parallelo in absentia, giacché dell’apparato decorativo di Cha, come si è detto, si conserva solo la descrizione, la studiosa si domanda se sia possibile “ipotizzare un contatto specifico per le due […] rappresentazioni, ossia un rapporto fra i centri italiani da cui proviene il ms. Chantilly e l’ambiente anglonormanno”.28 Dal momento che manoscritti miniati con decorazione continua simile a quella di L2 non sembrano esclusivi dell’Inghilterra, ma vengono prodotti e circolano anche in Italia29 – ne è un esempio il celebre ms. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, francese Z 21 (257), relatore dell’Entrée d’Espagne –30 non pare necessario formulare una simile ipotesi. Ma, al di là della questione iconografica, al quesito posto da Brunetti non si può, allo stato attuale delle conoscenze, fornire una risposta precisa e definitiva: se è vero che i legami fra l’Inghilterra e l’Italia, in termini di circolazione di opere letterarie, non saranno stati tenui, come suggerisce non solo la tradizione
25 Giuseppina Brunetti, “La Chanson d’Aspremont e l’Italia: note sulla genesi e ricezione del testo”, Critica del testo, 8, 2006, pp. 643-668, alle pp. 665-668. 26 Secondo la definizione in Rita Lejeune e Jacques Stiennon, La légende de Roland dans l’art du Moyen Age, Bruxelles, Arcade, 1966, 2 voll., I, p. 264. A questo stesso lavoro, I, p. 210, si rimanda per la descrizione delle miniature di L2, nonché a Nigel Morgan, Early Gothic Manuscripts 2: 1250-1285, Harvey Miller, London, 1988, pp. 1190-1250 (n° 82) e al Catalogue of Illuminated Manuscripts della British Library: (05/15). 27 Brunetti, “La Chanson d’Aspremont”, cit., p. 665. Quand’anche la tecnica decorativa dei due manoscritti fosse la stessa, la realizzazione sarebbe stata differente: come ci fa notare Gabriele Giannini in una comunicazione privata, i margini di Cha sono di misura inferiore rispetto a quelli di L2, ed è dunque impossibile che avrebbero potuto ospitare immagini della medesima dimensione di quest’ultimo codice. 28 Brunetti, “La Chanson d’Aspremont”, cit., p. 667. L’ambiente anglo-normanno cui fa riferimento la studiosa è stato identificato in via ipotetica con un atelier legato all’abbazia di St. Alban e specializzato nella copia e nell’illustrazione di manoscritti profani: si veda David J. A. Ross, “A Thirteenth-Century Anglo-Norman Workshop Illustrating Secular Literary Manuscripts”, in Mélanges offerts à Rita Lejeune, Duculot, Gembloux, 1969, 2 voll., I, pp. 689-694. 29 Come ci fa notare Maria Careri in una comunicazione privata. 30 Sulla cui decorazione si rimanda all’accurata scheda con rinvii bibliografici realizzata da Serena Modena per il RIALFrI: Repertorio informatizzato dell’antica letteratura franco-italiana (05/15).
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dell’Aspremont, ma anche quella della Chanson de Roland,31 di essi non arriviamo ancora a comprenderne le dinamiche e le caratteristiche. 2. Lasse/episodi tipici di γ Come ha evidenziato Giovanni Palumbo, “à en juger au moins par la concordance des laisses dans toute [la première partie de la chanson], les témoins relatant les trois rédactions principales de l’Aspremont [s’opposent] de manière assez constante”.32 In effetti, è soprattutto la redazione γ a conservare varie lasse in più e, più sporadicamente, a non trasmetterne altre attestate in α e β. La presenza o l’assenza di queste lasse, che spesso coincidono con degli episodi ben precisi, contribuisce a caratterizzare la fisionomia testuale della redazione γ nelle modalità che illustreremo di seguito. Precisiamo che, a questo livello di trasmissione, non abbiamo elementi per determinare quale sia la redazione più prossima all’originale: 33 pertanto le differenze di γ rispetto ad α e β saranno valutate non sul piano genetico, ma solo su quello letterario. Per facilitare la ricognizione delle lasse, le numeriamo secondo le edizioni dell’Aspremont ad oggi disponibili. Nello specifico, usiamo la numerazione dell’edizione De Mandach per le lasse presenti solo in γ, quella dell’edizione Brandin – o, all’occorrenza, Suard – per le lasse comuni a tutte e tre le redazioni. 2.1 Episodi comuni a tutte le redazioni ma dalla resa strofica differente Cominceremo dalle lasse presenti solo in γ che non contengono snodi narrativi compiuti e indipendenti, ma passaggi attestati anche in α e β in forma diversa. Questa difformità nella resa del tessuto narrativo si manifesta quasi sempre di fronte a episodi che in γ presentano una struttura strofica articolata: lasse similari, costruzioni parallelistiche, ripresa della stessa rima da una lassa all’altra.34 -
Dopo le lasse Bra 169 - Bra 171 - Bra 173 - Bra 179, γ presenta rispettivamente una lassa in più (De Mandach 170, 173, 176, 182). Nell’ambito dell’episodio della battaglia ai piedi della torre di Agoulant, questa redazione offre una perfetta descrizione a specchio delle due armate in procinto di combattere: all’avanzata dell’esercito saraceno (Bra 169, rima -ir) segue l’avanzata di
31 Su cui si veda Giovanni Palumbo, La Chanson de Roland in Italia nel medioevo, Salerno Editrice, Roma, 2012, in particolare alle pp. 58-78. 32 Palumbo e Rinoldi, “Prolégomènes”, cit., p. 551. 33 Per questo motivo l’edizione critica dell’Aspremont in corso di realizzazione prevede la ricostruzione dei tre subarchetipi α, β e γ, senza risalire oltre nella tradizione. 34 Per meglio orientare il lettore, in questa sezione indichiamo per ogni lassa anche la rispettiva rima.
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quello francese (De Mandach 170, rima -er); la presentazione dell’armata cristiana si estende su due lasse (Bra 170-171, rime -oi, -on): ne seguono altrettante (De Mandach 173-174, rime -er, -uz) dedicate all’organizzazione del contrattacco saraceno. Nelle altre redazioni questo parallelismo non si riscontra: le lasse comuni relative all’elenco delle schiere franche sono sensibilmente più sviluppate. Nel corso del medesimo episodio, γ dedica due lasse alla descrizione di Eaumont che si posiziona a capo delle sue truppe affiancandosi al portabandiera (De Mandach 175-176, rime -al, -er), e altrettante (De Mandach 181182, rime -on, -er) all’inseguimento di Eaumont da parte di Richier; nelle altre redazioni questi avvenimenti sono condensati in un’unica lassa (rispettivamente Bra 173, rima -al, e Bra 179, rima -on). Nel corso della prima giornata della battaglia contro Eaumont, γ trasmette un episodio, articolato in quattro lasse similari (De Mandach 222-224a, rime: -or, -ier, -er, -ant) nel quale Eaumont, preso dallo sconforto per la perdita della torre e di migliaia dei suoi combattenti, si rivolge ai baroni: prima ammette le sue colpe e contempla la possibilità di arrendersi ai francesi; poi, incoraggiato dai suoi a reagire, formula un lungo proposito di rivalsa. In α e β l’episodio risulta essere più breve, estendendosi alle sole lasse Bra 211212, rime -or, -ier. Accortosi che i Saraceni stanno organizzando una controffensiva, Girart prepara e incita a sua volta le truppe. Questo passaggio occupa tre lasse nella redazione γ (De Mandach 225-226a, rime -ee, -ers, -er); in α e β le ultime due lasse vengono fuse in una (Bra 214, rima -er), probabilmente a causa della rima molto simile (-ers/-er). Dopo la lassa Bra 215, rima -on, che quantifica l’avanguardia di Carlo, la famiglia γ presenta una lassa supplementare (De Mandach 228, rima -iz) in cui viene descritta la preparazione alla battaglia. Il discorso di incitazione alla lotta per la salvaguardia della cristianità pronunciato dal papa occupa in γ tre lasse similari (De Mandach 248-250, rime er, -on, -ir): attraverso una sapiente modulazione, i motivi tipici delle preghiere formulari vengono inframmezzati a svariati appelli alle truppe cristiane affinché combattano i miscredenti. In α e β (Bra 235-236, rime -er, -ir) manca la seconda lassa, laddove viene enucleato il parallelo fra la morte di Dio e quella dei crociati: “Quant Deu per glaive reçut mort en cest mon, / si nus per glaive receivre le volon […] altresi beals devant Deu en serron, / envers icels qui altrement murun” (De Mandach 249, vv. 4650-4656); questa comparazione costituisce un importante presupposto per la promessa della remissione dei peccati ai futuri martiri con cui il papa conclude la sua arringa.
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In α e β il duello fra Ogier e Eaumont si dipana su due lasse (Bra 260-261, rime -ant, -ier), quello concomitante fra Anquetin e Boïdant su una (Bra 262, rima -ant). Questo episodo è reso da γ in un’unica lassa (De Mandach 274, rima -ant): è possibile che la fusione delle tre lasse in una sia qui dovuta al ricorrere a breve distanza della rima -ant.
2.2 Episodi tipici di γ Alcuni gruppi di lasse attestati esclusivamente da γ comprendono degli episodi tipici di questa redazione. -
Dopo la lassa Bra 21, γ presenta tre lasse supplementari (De Mandach 4547)35 che proseguono l’episodio dell’ambasciata del pagano Balan alla corte di Carlo. Siamo all’inizio della canzone: nei toni tipici della vanteria militare, l’ambasciatore evidenzia la supremazia dell’esercito saraceno, provocando una violenta reazione da parte di Carlo; nell’acceso dibattito si inserisce Naimes, che placa l’imperatore. In α e β la scena si conclude qui, mentre in γ Balan torna a provocare Carlo attraverso un lungo monologo che riprende, amplificandoli, gli argomenti del precedente; Carlo, in preda all’ira, gli si scaglia contro con l’intento di ucciderlo, ma Naimes interviene di nuovo per evitare il peggio (De Mandach 45). Per difendere l’onore dell’imperatore, Ogier si offre di sfidare a duello Balan, ma Carlo e Naimes non ritengono conforme all’etica cavalleresca rivalersi su un ambasciatore (De Mandach 46). Ogier insiste, ingaggiando con Naimes un lungo dibattito sulla necessità di vendicare l’oltraggioso discorso di Balan, ma alla fine il duello sarà scongiurato (De Mandach 46-47). In queste lasse viene enucleato un tema molto diffuso nelle chansons de geste, quello dell’inviolabilità degli ambasciatori, ovvero della loro immunità diplomatica. Nell’epica questo tema è declinato in maniera variegata e denota la mancanza di un principio giuridico generalmente condiviso: per coloro che la riconosco e la accettano, “la règle de l’immunité diplomatique résulte moins d’une obligation collective que d’une exigence individuelle, et le droit fait alors place à l’éthique”.36 È esattamente quanto accade nella redazione γ dell’Aspremont:
L1 non trasmette le lasse in questione; Ch ne trasmette una in più (De Mandach 47bis). Jean-Claude Vallecalle, “L’immunité diplomatique dans les chansons de geste”, in Danielle Buschinger, Le Droit et sa perception dans la littérature et les mentalités médiévales. Actes du Colloque du Centre d'Études Médiévales de l’Université de Picardie (Amiens, 17-19 mars 1989), Kümmerle Verlag Göppingen, pp. 183-193; dello stesso autore si veda Messages et ambassades dans l'épopée française médiévale. L'illusion du dialogue, Champion, Paris, 2006. Più in generale sul tema del messaggio e del messaggero nella letteratura francese medievale, cfr. Jacques Merceron, Le message et sa fiction. La communication par messager dans la littérasture française des XIIe et XIIIe siècles, University of California Press, Berkeley, 1998. 35 36
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la decisione di Naimes di proteggere Balan deriva essenzialmente dalla mesure del personaggio che contrasta con la surquidance di Ogier, per il quale non battersi a duello con l’ambasciatore in virtù di un principo eticogiuridico rappresenta una limitazione del proprio eroismo.37 Arrivato in Aspromonte con il suo esercito, Carlomagno decide di inviare un ambasciatore presso l’accampamento saraceno, stanziato al di là della montagna. Dopo aver rifiutato una serie di candidature illustri, nelle redazioni α e β (Bra 105 e sgg.), il sovrano accetta quella di Richier, cavaliere povero ma desideroso di dare prova del proprio coraggio, contro il parere del protettore di quest’ultimo, Naimes. Nel corso della missione, tuttavia, Richier viene sovrastato da una serie di ostacoli, fra cui l’attacco di un grifone, ed è costretto a ritornare sui suoi passi. A questo punto sarà Naimes a tentare la scalata all’Aspromonte: pur dovendo affrontare le medesime difficoltà di Richier, egli riuscirà a superarle e ad arrivare a destinazione. In γ (De Mandach 115 e sgg.), Carlomagno segue il suggerimento di Naimes e respinge la candidatura di Richier: sarà soltanto il primo cavaliere a recarsi in Aspromonte.38 Nell’ambito dell’episodio relativo all’assedio della torre saracena, e in particolare dopo la lassa Bra 194, la famiglia γ presenta una lassa supplementare (De Mandach 203) in cui viene descritta l’uccisione del guardiano della torre da parte di un guerriero al seguito di Girart de Fraite, chiamato Girard de Selenei o Gauter de Salatrei, a seconda delle versioni.39 Questo personaggio non è menzionato altrove nel resto della chanson. Dopo la conquista della torre saracena da parte dei franchi, la redazione γ trasmette un episodio, articolato in cinque lasse (De Mandach 208-211), relativo alla piazzaforte calabra di Bagnara – la Baniere nel testo –, dove Eaumont si rifugia, riuscendo a sfuggire all’inseguimento di Claires. Il toponimo non figura nelle altre redazione dell’Aspremont,40 né pare essere partico-
37 È interessante notare che i protagonisti di questo episodio si comportano in maniera opposta in altre chansons de geste: in Aiquin un altrimenti irreprensibile Naimes fa massacrare una nutrita ambasceria saracena; nella Chevalerie Ogier, il protagonista omonimo prima minaccia e poi difende, in virtù del principio dell’immunità diplomatica, l’ambasciatore di Carlo. Da rigettare, a nostro avviso, la tesi di De Mandach, Naissance, cit., III, p. 53, secondo la quale α e β, alla luce della loro matrice pro-francese, non trasmetterebbero l’episodio perché incentrato su Naimes e Ogier: il primo personaggio in particolare incarnerebbe “non seulement l’Allemand idéal, mais aussi le feudataire idéal”. 38 Questo episodio è stato analizzato nel dettaglio da Palumbo e Rinoldi, “Prolégomènes”, cit., pp. 552-554, cui si rimanda per ulteriori approfondimenti. 39 Gauter de Salatrei ChChaP3V4V6; Girard de Selenei L3; Gautier de sans lei P3; Gauters de Salori V6. 40 Tranne una volta nel ms. W, in riferimento al luogo in cui si sono rifugiati i saraceni dopo la sconfitta subita dall’esercito franco nel corso della prima battaglia: “A le baniere sont li vencu tornés“ (Bra 341, v. 6907); va segnalato, tuttavia, che Brandin non interpreta baniere come un toponimo. Il verso è attestato, oltre che da W, anche da Ch (che legge: A la Beverie sunt les vencuz turnéz), L3, P3 (che legge: A lla bataille fu vencus e reculés), V6. La lezione di Ch, Beverie, sembra prossima a quella trasmessa
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larmente frequentato dalla letteratura epica.41 Esso doveva essere tuttavia abbastanza noto per la presenza del monastero di Santa Maria, fatto costruire da Ruggero d’Altavilla nel 1085. Secondo De Mandach, 42 Bagnara sarebbe menzionata in γ per celebrare la dinastia plantageneta, e in particolare Giovanna d’Inghilterra, sposa di Guglielmo II di Sicilia, e suo fratello, Riccardo Cuor di Leone. Guglielmo morì nel 1189 senza eredi; gli succedette pertanto il nipote Tancredi. Questi segregò Giovanna, rifiutandosi di riconoscerle i diritti dotali, finché Riccardo, giunto in Sicilia con Filippo Augusto a capo di un imponente esercito crociato nel settembre del 1190, non la liberò. Il re d’Inghilterra fece restituire alla sorella i domini che le spettavano e dispose che questa soggiornasse a Bagnara, un insediamento costiero che egli aveva occupato militarmente, in attesa del suo ritorno dall’Oriente. 43 La presenza crociata e, più in generale, il dominio istituito da Riccardo nella città furono causa fra gli autoctoni di malumori e disordini, ai quali egli reagì saccheggiando Messina.44 Non sembra un caso che la città venga menzionata nell’Aspremont, opera composta, come si è detto, in occasione dei preparativi per la terza crociata. Risulta più difficile vedere dietro questa allusione un encomio dei plantageneti, come vuole De Mandach: Bagnara sarà andata ad arricchire la scarna toponomastica dell’Aspremont proprio perché teatro di avvenimenti legati al passaggio dei crociati in Calabria e Sicilia che avranno avuto una sicura risonanza al momento della composizione dell’opera.
dalla Karlamagnús saga, dove la città in cui si ritiene si sia rifugiato Eaumont è chiamata in un passo Beiuere (con variante Befueris), in un altro Benaris: per il testo norreno si veda l’edizione critica di Carl Rikard Unger, Karlamagnus saga ok kappa Hans. Fortaellinger om keiser Karl Magnus og Hans Jaevninger i norsk Bearbeidelse fra det trettende Aarhundrede, Christiania 1860, p. 215 e 321; si vedano anche le traduzioni rispettivamente in inglese a c. di Constance B. Hieatt, Karlamagnús saga: The Saga of Charlemagne and his Heroes, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto, 1975-1980, 3 voll., II, p. 294 e 297, e in francese a c. di Daniel W. Lacroix, La saga de Charlemagne: traduction française des dix branches de la Karlamagnús saga norroise, Le livre de poche, Paris, 2000. 41 È assente dal repertorio di André Moisan, Répertoire des noms propres de personnes et de lieux cités dans les chansons de geste françaises et les œuvres étrangères dérivées, Droz, Genève, 5 voll., 1986. 42 De Mandach, Naissance, cit., IV, p. 15. 43 Bagnara è menzionata nel De rebus gestis Ricardi Primi del chierico inglese Richard of Devizes, che registra gli avvenimenti occorsi fra l’incoronazione di Riccardo nel 1189 e l’ottobre del 1192. Citiamo dall’edizione a cura di Richard Howlett, Chronicles of the reigns of Stephen, Henry II, and Richard I, Longman & co., London, 1884-1889, 4 voll., III (1886), p. 396: “Sequenti die tertio, rex Angliae, transmisso flumine magno Del Far, quod a Sicilia Kalabriam separat, armatus venit Kalabriam, et cepit in ea oppidum munitissimum quod dicitur La Banniere, ejectisque Grifonibus, posuit ibi sororem suam, et locum milite munivit armato”. Si veda anche Edmond-René Labande, “Les filles d’Aliénor d’Aquitaine: étude comparative“, Cahiers de civilisation médiévale, 29, 1986, pp. 101-112, alle pp. 108-110. 44 Si veda Ralph V. Turner e Richard R. Heiser, The Reign of Richard Lion Heart: Ruler of the Angevin Empire (1189-99), Longman, Harlow, 2000.
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Va detto, tuttavia, che l’eco di quanto accaduto a Bagnara si sarà presto affievolito, poiché già in fase di trasmissione testuale il toponimo ha dato luogo a fraintendimenti, forse anche per la confusione con l’omografo baniere ‘bandiera, insegna’. Se si prendono a titolo di esempio i vv. 4000-1 dell’edizione De Mandach, “La Baniere est el funz d’one valee / entre dous eves est la vile enfermee”, notiamo che solo i mss. Ch, L1, L3 e V6 conservano la lezione vile (tor V6), che ci permette di interpretare Baniere in senso toponomastico; va segnalato, ad ogni modo, che L1 e L3 trasmettono rispettivamente belee e bataille al posto di Baniere.45 Ch: La Baniere est el funz d’une valee, / Entre dous eves i est la vile fermé. L1: La bataille est au fons d’une vallee, / Entre deux caves fut la ville fermee. L3: La belee est es funz d’one valee, / Entre dous eves est la vile enfermee. V6: La Bannere est al fond d’une valee, / Entre dos eves si estoit la tor fermee.
La lezione sopravvive nei mss. Cha, P3, V4, dove però assume il significato, a nostro avviso facilior, di insegna, al di sotto della quale si radunano i saraceni. Cha: La baniere Heumont fu al font d’une valé, / Entre dos eves se sunt Pain loçé. V4: La baniere Heumont fu al font d’une valé, / Entre dos eves erent Paians loçé. P3: La banere ert al fondo d’une vallee, / Entres due eves ert l’ensegne fermee.
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Nel corso delle varie battaglie fra l’esercito saraceno e quello cristiano, γ inserisce, dopo la lassa Bra 258, un breve episodio (De Mandach 272) che narra l’uccisione da parte di Balan di un guerriero francese che non viene qualificato per nome. Più avanti, come preludio all’episodio della sottrazione dell’insegna saracena da parte di Girart, γ presenta una lassa (De Mandach 285) che descrive lo scontro fra le truppe di ques’ultimo e i pagani. I momenti conclusivi della prima battaglia contro i saraceni, preludio dell’uccisione di Eaumont da parte di Carlo, sono narrati diversamente dalle varie redazioni. Subito dopo la sottrazione dell’insegna saracena da parte dei franchi, la redazione γ prosegue in questo modo la narrazione: Eaumont incita Rodoan e Salatiel alla riscossa (De Mandach 296); l’azione si sposta sul campo di battaglia, dove il papa assolve i guerrieri cristiani dai loro peccati (De Mandach 297); Salatiel, pur dando prova di essere un ottimo arciere, viene abbattuto da Ogier (De Mandach 298); Naimes, in sella a Morel, uccide
45 I versi di L1, L3 e, più avanti, di P3 sono citati secondo le trascrizioni interpretative rispettivamente di Doriana Piacentino, Paolo Rinoldi e Annick Englebert, che ringraziamo per i materiali e l’aiuto che ci hanno fornito.
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il re saraceno Alfaigne (De Mandach 299); Gautier, guerriero francese, annuncia la sottrazione dell’insegna saracena e la rotta di Eaumont a Carlo (De Mandach 300). α e β, dal canto loro, trasmettono solo una lassa (Bra 288) che ha in comune con γ parte del discorso del papa sul campo di battaglia, ma le differenze non si fermano qui: le due redazioni presentano un antefatto (Bra 279284; 287-288) non attestato in γ che riassumiamo di seguito. Triamodés consiglia a Eaumont di suonare l’olifante perché Agoulant accorra con dei rinforzi, ma egli, per orgoglio, si rifiuta, attirandosi il biasimo del suo interlocutore. Più avanti, quando i saraceni, accerchiati dalla schiera di Ogier, sono ormai prossimi alla disfatta, Eaumont viene duramente accusato da Balan di imperizia bellica per aver sottovalutato la potenza del nemico e per non aver chiesto soccorso a Agoulant. Eaumont si risolve, infine, a suonare il corno, inutilmente, tuttavia, perché “Trop fu lonc Risse, la grans cité maior; / nel pot oïr Agolans l’alamçor / ne les grans jens qui li sïent entor” (Bra 288, vv. 5461-5463). In γ, al contrario, è proprio Eaumont a chiedere allo zio Boïdant, che lo porta con sé, di suonare l’olifante, “car perdu sumes sanz nul recovrement” (De Mandach 209, v. 3987). In seguito (De Mandach 281) il normanno Anquetin uccide Boïdant e tenta di impadronirsi del corno, ma vien subito colpito a morte da Eaumont. Questi suonerà più avanti l’olifante non già per mobilitare le truppe del padre, eventualità che in γ non viene né auspicata né caldeggiata da nessuno dei saraceni, ma solo “pour sa gent esbaudir” (De Mandach 295, v. 5421). L’episodio trasmesso dalle redazioni α e β si configura come una chiara imitazione della prima scena del corno della Chanson de Roland. È noto che quest’opera rappresenta una delle fonti principali dell’Aspremont: nella nostra chanson, infatti, oltre a narrare le enfances di Rolando, descrivendone anche l’acquisizione degli attributi più celebri del suo corredo guerriero – l’olifante, Durlidana e Vegliantino –, vengono ripresi anche alcuni temi e scene del modello.46 Nello specifico, le analogie fra il personaggio di Eaumont e quello di Roland sono presenti in tutte le redazioni dell’Aspremont; in α e β, tuttavia, esse risultano arricchite dalla riproposizione non solo del celeberrimo tema della desmesure,47 ma anche delle circostanze in cui questa si palesa, nonché delle sue nefaste conseguenze. 46 Si veda Michael Heintze, König, Held und Sippe. Untersuchungen zur Chanson de geste des 13. und 14. Jahrhunderts und ihrer Zyklenbildung, Winter, Heidelberg, 1991, pp. 590-592; Suard, Aspremont, cit., pp. 27-30. 47 Questo tema è ripreso da numerose chansons de geste: si vedano a tale proposito i lavori di W. G. van Emden, “La réception du personnage de Roland dans quelques œuvres plus ou moins épiques des 12e, 13e et 14e siècles”, in Hans van Dijk e Willem Noomen (a c. di), Aspects de l’épopée romane: mentalités,
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3. Lasse/episodi tipici di x Il secondo livello di trasmissione oggetto della nostra analisi è costituito dai tre codici franco-italiani V6, V4 e Cha che formano la sotto-famiglia chiamata x da Marco Boni, 48 il quale ne ha anche stabilito i legami stemmatici:49
Situata ai piani bassi della tradizione dell’Aspremont, questa sotto-famiglia trasmette una versione profondamente rimaneggiata della geste: il nostro intento è di sistematizzare le informazioni già in parte note sui cambiamenti testuali avvenuti a questo livello, confrontando e arricchendo questi dati sulla base dei materiali più vasti di cui disponiamo oggi grazie alle ricerche effettuate nel quadro del progetto Aspremont;50 ci interrogheremo, inoltre, sulle particolarità delle interpolazioni proidéologie intertextualités, Forsten, Groningen, 1995, pp. 353-362; Id., “The Reception of Roland in Some Old French Epics”, in Karen Pratt (a c. di), Roland and Charlemagne in Europe: Essays on the Reception and Transformation of a Legend, King’s College, London, 1996, pp. 1-30. 48 Marco Boni, “Il ‘Prologo’ inedito dell’Aspremont del manoscritto di Chantilly”, Convivium, 30, 1962, pp. 588-602, a p. 588. 49 Allo stemma di Boni si possono integrare anche i tre frammenti franco-italiani del poema: F, Tn e Bess. Il frammento Tn può essere aggregato al sotto-gruppo y, come dimostrato da Marco Infurna, “Un nuovo frammento franco-italiano della Chanson d’Aspremont, Medioevo Romanzo, 26, 2002, pp. 69-81; l’ipotesi di un legame più stretto con V4 non è sufficientemente sicura e non può quindi essere adottata nello stemma; tornerò su questo argomento in altra sede. Possiamo invece avvicinare, sulla base tra l’altro di varie lezioni congiuntive, i frammenti di F e Bess a V6. Lo studio dei frammenti è stato affrontato da Anna Constantinidis, La Chanson d’Aspremont entre France et Italie. Étude et édition critique partielle des manuscrits franco-italiens, Université de Namur, 2015, tesi di dottorato legata al progetto Aspremont, e pertanto on sarà ripreso in questa sede; basterà aggiungere che la stessa conclusione – il legame con V6 – è stata tratta, in base a un’argomentazione parzialmente diversa, in una tesi di laurea dedicata ai due frammenti di Firenze e Venezia presentata da Enrico Calderari nel 2009 all’Università di Bologna. 50 All’interno del progetto, l’edizione dei tre manoscritti franco-italiani della sotto-famiglia x sarà realizzata da Anna Constantinidis, che ha già pubblicato, nell’ambito della sua tesi di dottorato, la prima metà del testo: La Chanson d’Aspremont entre France et Italie, cit. L’edizione è strutturata come segue: V6 è edito come rappresentante della versione x ed è confrontato con il testo di Cha, presentato in versione sinottica come rappresentativo di y. La versione di V4, più rimaneggiata e dunque meno vicina a y, si trova in apparato di Cha. Le interpolazioni di un manoscritto rispetto agli altri sono indicate da un punto; le omissioni sono segnalate da un trattino, in modo che il lettore sia in grado di ricostruire mentalmente l’antigrafo dei tre codici. Nell’edizione la numerazione dei versi è unica per tutti e
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prie sia di x sia y, in modo da mettere in luce la fisionomia di queste aggiunte e le caratteristiche che esse presentano rispetto alle versioni precedenti del poema. 3.1 Il prologo caratteristico di x I legami che uniscono i testimoni V6, V4 e Cha sono stati messi in evidenza essenzialmente grazie ad alcune interpolazioni caratteristiche dei tre manoscritti.51 Come è stato già detto supra, questi codici tramandano in primo luogo un prologo centrato sulla corte di Agoulant, assente negli altri manoscritti della Chanson. Ne esistono due versioni: quella trasmessa dai due codici marciani, che chiameremo ‘versione marciana’ (conta 703 versi in V6, 461 in V4; la trama è del tutto sovrapponibile, eccezion fatta per qualche dettaglio)52 e la versione, rimaneggiata e leggermente più breve, di Cha (443 versi). Soffermiamoci brevemente sul contenuto delle due redazioni. Nel prologo marciano, il poema è introdotto da una richiesta di Eaumont a suo padre Agoulant: il giovane saraceno vorrebbe essere incoronato a Roma e conquistare le terre dei cristiani. In seguito, Agoulant riunisce i suoi baroni e chiede il loro parere su un’eventuale spedizione in Europa (V6, vv. 1-75; V4, vv. 1-67). Ogni barone interviene (V6, vv. 76-181; V4, vv. 68-166). Si decide di mandare una spia nelle terre cristiane. Sobrin, scelto dai saggi, parte per la corte di Carlo, vi si introduce e torna in Africa con preziose informazioni sul nemico (V6, vv. 182-397; V4, vv. 167334). Eaumont è incoronato e cominciano i preparativi per la spedizione (V6, vv. 398-527; V4, vv. 335-366).53 Nel frattempo Agoulant riunisce di nuovo i suoi baroni; tre i manoscritti, a differenza delle trascrizioni interpretative dei singoli codici, ognuna delle quali è provvista di una numerazione indipendente. In questa sede si impiegherà la numerazione dell’edizione per le citazioni relative alla prima parte del testo, quella delle singole trascrizioni per le citazioni relative alla seconda parte (a partire circa dal verso 5800 di V6); in tutti i casi, salvo rare eccezioni, non si inserisce la punteggiatura. 51 I primi articoli di Marco Boni erano dedicati solo a V6 e V4; Cha, ritrovato più tardi, è stato subito individuato come un collaterale di V4, il che non ha rimesso in questione le conclusioni dello studioso. Per i legami tra i codici franco-italiani, cfr. i seguenti articoli di Marco Boni, in ordine cronologico: “I manoscritti marciani della Chanson d’Aspremont e l’Aspramonte di Andrea da Barberino”, Convivium, 2, 1949, pp. 253-272; “Nuove ricerche intorno ai manoscritti marciani della Chanson d’Aspremont”, Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze morali, serie 5, 7, 1957-1959, pp. 3-23; “I rifacimenti franco-italiani della Chanson d’Aspremont conservati nella Biblioteca Marciana”, Cultura Neolatina 21, 1961, pp. 123-134; “Il ‘Prologo’ inedito”, cit.; “Un manoscritto poco noto della Chanson d’Aspremont: il codice 470 (703) del Musée Condé di Chantilly”, in Romania. Scritti offerti a Francesco Piccolo, Armanni, Napoli, 1962, pp. 123-147; “Note sul testo dei manoscritti marciani della Chanson d’Aspremont”, Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze morali, serie 5, 10, 1962, pp. 59-68. 52 Soprattutto il viaggio dei saraceni verso Risa evocato in V4, del tutto assente in V6 (cfr. nota seguente); e varie interpolazioni di V6, che non aggiungono nessuna informazione fondamentale per il racconto. 53 I vv. 350-366 di V4 sono dedicati alla descrizione di un viaggio dei pagani a Risa. Lì, Agoulant tiene di nuovo consiglio e chiede a uno dei suoi uomini di offrirsi volontario per andare alla corte di Carlo
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questi decidono di inviare a Carlo un messaggero per chiedergli di convertirsi e di diventare vassallo del re saraceno (V6, vv. 528-613; V4, vv. 367-401). Balant si propone per questa missione. Agoulant gli affida un anello e il messaggero si mette in viaggio (V6, vv. 614-650;54 V4, vv. 402-461). Più breve, il prologo del manoscritto di Chantilly presenta numerose differenze rispetto alla versione tramandata dai codici marciani. Innanzitutto, mancano i diversi interventi dei baroni saraceni che occupano le lasse 4-11 in V6 e V4: già nella seconda lassa, Agoulant convoca i suoi baroni e decide subito (nella terza lassa) di mandare Sobrin come spia alla corte di Carlo. Al verso 52 viene descritto l’arrivo di Sobrin in Francia, e il suo soggiorno è raccontato nelle lasse 5 e 6 55 (vv. 66-98). All’assemblea dei saraceni segue l’incoronamento di Eaumont e dei suoi cugini Ulien e Maudachin (vv. 99-157). Dopodiché i saraceni intraprendono un viaggio verso Risa, dove si riuniscono per escogitare un espediente per assalire la città (vv. 158-195). Fingendo di essere mercanti, entrano nel porto e prendono la città d’assalto (vv. 196-220). I cristiani che rifiutano di convertirsi al paganesimo sono uccisi (vv. 221-257). Per stabilire il suo potere sul territorio, Agoulant decide di edificare una torre sull’Aspromonte in onore del dio Machon (vv. 258-315). Nel frattempo, Sobrin arriva a Risa e racconta tutto quello che ha visto alla corte di Carlo (vv. 316-323): egli consiglia ad Agoulant di inviare un messaggero al re francese per intimargli di convertirsi (vv. 324-341). Agoulant rifiuta le proposte dei suoi baroni, che si candidano l’uno dopo l’altro per la missione (vv. 342-393); alla fine, la scelta cade su Balant (vv. 394-418). Il prologo si chiude con la descrizione del viaggio che intraprende il messaggero e del suo arrivo alla corte di Carlomagno (vv. 419-443). Come si può osservare, le due versioni presentano numerose differenze a livello contenutistico: già a partire dalla seconda lassa, la trama di Cha diverge da quella di V6 e V4. Anche sul piano formale, Cha si distingue dagli altri due codici, che condividono numerose rime e presentano una successione di lasse più o meno simile, come dimostrano le seguenti tabelle: 1. Occorrenza delle rime nei tre prologhi Rime -a -am -an
V6 (39 lasse) 2 / 2
V4 (25 lasse) 1 / /
Cha (29 lasse) 5 1 /
in quanto messaggero (vv. 367-385). Come detto precedentemente, il viaggio a Risa non viene menzionato, invece, in V6. 54 I versi successivi (vv. 651-703), che chiudono il prologo di V6, sono centrati sulla corte di Carlomagno e fungono dunque da transizione con l’inizio del poema ‘francese’. 55 Più precisamente, nella prima parte della sesta lassa.
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6 4 / 3 7 2 3 2 / / / / 5 1 1 1 /
65 6 2 1 1 4 1 2 1 / / / / 3 1 1 1 /
/ 1 1 1 6 3 / 3 2 1 2 1 1 / / / 1
2. Schema/successione delle rime nei tre prologhi V4: -on, -ant, -u, -er, -ant, -ant, -on, -é, -in, -ors, -er, -é, -a, -ent, -ie, -on, -er, -ant, -és, -ee, -ant, -or, -ant, -ie, er. V6: -on, -ant, -u, -er, -ant, -ant, -on, -é, -in, -ors, -er, -é, -a, -és, -er, -ent, -ie, -on, -er, -é, -ant, -és, -ent, -or, -in, -an, -ie, -ant, -an, -é, -ant, -on, -ent, -ie, -er, -er, -er, -on, -a. Cha: -am, -in, -er, -is, -a, -er, -és, -a, -in, -a, -er, -ee, -ine, -é, -a, -er, -ir, -in, -és, -on, -is, -a, er, -in, -é, -ent, -er.
Malgrado tali differenze, entrambe le versioni risalgono ad un antigrafo comune, il cui autore era verosimilmente italiano. 56 Tanto i dati stemmatici, quanto gli elementi formali portano a tale conclusione.57 Per diverse ragioni,58 è verosimile 56 Si tratta dell’argomento decisivo che permette di rigettare l’ipotesi di André De Mandach secondo cui V6 sarebbe stato copiato direttamente da un modello anglonormanno (cfr. supra). 57 Questi elementi sono esplicitati da Boni, “Il ‘Prologo’ inedito”, cit., p. 594, essenzialmente in riferimento al prologo di Cha. Lo studioso aveva eseguito uno studio di riconvertibilità delle rime che permetteva di concludere che l’autore era “come è naturale, un italiano (un italiano, come è ovvio, del Nord), come è provato, senza lasciar adito a dubbi, da vari italianismi usati in rima, che non potrebbero in alcun modo essere imputati al copista (o ai copisti), giacché la restituzione della forma francese porterebbe a una violazione della rima” (ibid.); aggiungeva in nota che “consimili italianismi in rima, legati alla rima della lassa, e risalenti quindi all’autore, e non a un copista, si trovano pure nel prologo di V1 V2 [= V4 V6] [...] il quale deve anch’esso ritenersi opera di un rimatore italiano” (ibid.). Lo studio non era completo e Boni si proponeva di tornare su quest’ultimo aspetto in altra sede. Questo proposito non si è purtroppo mai realizzato. Nell’ambito dell’edizione delle versioni franco-italiane dell’Aspremont ho completato i dati forniti da Boni a proposito del prologo marciano. Vi si trovano, in effetti, una serie di
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ipotizzare che la versione più vicina all’originale sia quella di V4 e V6, di cui Cha costituisce un rimaneggiamento da interpretare come un “atto di indipendenza del suo copista”.59 Innanzitutto, la disposizione degli eventi in V4 e V6 (presentazione della corte di Agoulant, consiglio dei suoi baroni e incoronamento di Eaumont) sembra più logica e conforme alla tecnica abituale delle chansons de geste rispetto a quella di Cha, che mescola le diverse parti della narrazione in modo meno convenzionale. In particolare, l’intervento di ogni membro della corte saracena nelle prime lasse del prologo marciano ricorda l’inizio della versione francese del poema, che si apre con la presentazione della corte di Carlo, della quale fornisce al lettore un opportuno antefatto. È probabile perciò che la versione più vicina all’originale sia questa, piuttosto che il racconto fortemente riassunto di Cha. Si aggiunga ancora l’episodio del viaggio a Risa, che è centrale in Cha, mentre è solo rapidamente menzionato in V4 e non è nemmeno evocato in V6. Lo stratagemma dei saraceni, l’assalto di Risa e la caccia ai cristiani ha l’aspetto in Cha di un episodio rimaneggiato, verosimilmente sulla base di una versione simile a quella testimoniata da V4. Allo stesso modo, gli incoronamenti di Ulien e Maudachin nello stesso manoscritto sembrano ricalcare quello di Eaumont, presente in entrambe le versioni. Sarebbe sorprendente, infatti, nel caso in cui Cha fosse la versione originaria, che tali episodi siano stati omessi – o riassunti – negli altri due testimoni del prologo. Infine, tra i due codici marciani, è verosimile che V6 sia un ampliamento di una versione affine a V4. In effetti, le lasse 26-33 non aggiungono nessun elemento essenziale al racconto;60 sono addirittura ripetitive rispetto a quelle immediatamente precedenti61 (in particolare, la rime ‘inconvertibili’ in entrambi i manoscritti (che risalgono dunque al loro modello): nella lassa 13 (-a), V6P 242 (la lettera P indica il prologo, la cui edizione è realizzata a parte): “Chi tint omaçe ne fedelta”/V4P 222: “E qui li rent homaç e feelta”; nella lassa V6 17/V4 15 (-ie), si individuano: V6P 313 “D’un jorn e de autre est tant travailie”/V4P 252 “D’un jor e d’autre s’est tant travaillie” (a proposito di Sobrin; afr. travailié); V6P 315 “El vint a Rome, .iii. jorn se sejornie”/V4P 254 “A Ròma vint, tres jorn oit sejornie” (afr. sejorne/sejorna/sejornoit; o oit sejorné); V6P 312 “Adunc se part nul hom ne·l conosie”/V4P 251 “Adonch s’en voit, nul hom ne·l conosie » (afr.: imp. conoisoit; pass. conut); e, infine, nella lassa V6 34/V4 24 (-ie), si legge, al verso V6P 611 “Frere Ballant Agulant disie”/V4P 422: “‘Frere Ballant’, Agulant disie” (afr.: imp. diseit/disoit; prét. dist). Aggiungiamo che si osserva anche l’infrazione alla legge di Bartsch nelle lasse in -er e in -é, con un’alternanza di forme che, convertite in afr., alternerebbero in -er e -ier/-é e ié. Uno studio formale approfondito del prologo è in corso. 58 Alcune delle quali già rilevate da Boni in “Il ‘Prologo’ inedito”, cit. 59 Ivi, p. 593. 60 Queste lasse contengono: la descrizione da parte di Sobrin della corte di Carlo, l’assemblea di Agoulant e la descrizione delle sue ricchezze, una nuova menzione dell’incoronamento di Eaumont, vari discorsi dei baroni saraceni, e infine la proposta di Synagon di diventare il messaggero saraceno in terra cristiana. 61 Le descrizioni delle ricchezze saracene figurano già alla lassa V6P 24; l’incoronazione del figlio di Agoulant è già menzionata alle lasse V6P 21-22 (V4P 18-19); i discorsi dei baroni saraceni sono formulari e non veicolano nuove informazioni; la proposta di Synagon di diventare messaggero sembra costruita sul modello delle proposte che occupano le lasse V6 6-10, in cui i saraceni devono scegliere una spia da mandare in Francia.
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lassa 25 rispetto alle lasse 18 e 20).62 Di conseguenza, è probabile che V4 proponga la redazione più vicina all’originale – alla quale solo il suo modello ha aggiunto l’episodio di Risa, sviluppato ulteriormente da Cha – e che questa versione sia stata da una parte amplificata da V6 e dall’altra diffusamente rimaneggiata dal codice di Chantilly.63 3.2 Altre interpolazioni macrostrutturali caratteristiche di x Dal momento che parte dei lavori di Marco Boni è antecedente al ritrovamento del manoscitto di Chantilly e non tiene conto dell’insieme della tradizione manoscritta, non ci pare inutile tornare, punto per punto, sui dati da lui individuati per costituire la famiglia x, al fine di sistematizzarli e di verificarli. L’articolo in cui Boni enuclea gli argomenti che provano l’esistenza di una sottofamiglia x è uscito nel 1949 sulla rivista Convivium.64 Lo studio verteva sulla “redazione marciana” della Chanson d’Aspremont, ossia il testo tramandatoci da V6 e V4.65 Secondo Boni “uno studio più minuto rivela numerosissime altre analogie. Innanzitutto i due manoscritti hanno in comune, oltre al prologo [...] varie lasse che soltanto in essi si trovano”.66 Boni citava una lassa in -ant67 (dopo la lassa Bra 212), una lassa in -ace (V4)/-aie (V6) dopo Su 276/Bra 298,68 seguita da due altre lasse (in -i
62 Nuovo discorso di Sobrin sulla corte di Carlo e sulle grandi potenzialià dei saraceni in una guerra contro i cristiani. 63 Tuttavia, la questione è più complessa di quanto sembri. In effetti, i testimoni V6 e Cha paiono presentare qualche affinità: ad esempio, due lasse presenti all’inizio del testo di V6 (prologo escluso), numerate nella nostra edizione 12a e 12b, sono chiaramente ispirate a tre lasse del prologo di Cha (19, 26 e 28). Essendo V6 il solo manoscritto a presentarle in quel punto della narrazione, ci sono molte possibilità che si tratti di un’aggiunta individuale da parte di V6, dovuta ad una contaminazione tra i modelli di Cha e V6. Si riscontrano similarità tra i due codici anche nel prologo stesso: come già osservato da Boni, l’episodio del re Synagon che si offre volontario sembra ispirato all’assemblea convocata da Agoulant in Cha (durante la quale numerosi baroni si propongono come volontari ma sono rifiutati dal re); la convocazione di quest’assemblea è, nei due casi, suggerita da Sobrin; inoltre, la lassa V6P 25 (rima in in), ripetitiva rispetto al contenuto precedente, potrebbe essere stata suggerita dalla lassa 19 di Cha (rima -in); anche le lasse 14 e 15, assenti in V4, potrebbero essere ispirate alla quinta lassa del prologo di Cha. Sono dunque vari gli indizi che portano a pensare che il copista di V6 o del suo antigrafo ha avuto davanti agli occhi, oltre al suo modello, un prologo simile a quello del codice di Chantilly. L’ipotesi, pur essendo ragionevole, è compromessa da un elemento: se il copista responsabile della redazione di V6 ha letto il prologo di Cha e se ne è ispirato, perché non ha ripreso da nessuna parte l’evento maggiore narrato in questo prologo, ossia la presa di Risa? La domanda resta ancora irrisolta. 64 Boni, “I manoscritti marciani”, cit. 65 Ivi, p. 255. 66 Ibid. 67 “Almont dispone le sue schiere per la battaglia” (ibid.). 68 Aggiungiamo noi il riferimento all’edizione Suard.
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e in -és);69 infine, riferendosi alla numerazione della tabella di Friedrich Roepke, 70 la lassa R 412, dopo Bra 396 (in -iz in V4, -iç in V6).71 In seguito ad una verifica di questi dati possiamo affermare che due delle lasse citate non devono essere considerate: la prima lassa, infatti, è condivisa anche dal codice franco-italiano P3 (lassa 215), la cui posizione nello stemma non è ancora stabilita con precisione,72 ma che sicuramente non fa parte della sotto-famiglia x ed è situtato più in alto nello stemma; per quanto riguarda l’ultima lassa, in -iç, essa è trasmessa sia da P3 (lassa 401) sia da L3 (lassa 384): 73 la sua aggiunta va fatta risalire a uno stadio più alto dello stemma della branche γ. Quanto alle tre altre interpolazioni menzionate da Boni (lasse in -ace, in -i e in -és), sono in effetti caratteristiche di Cha, V4, V6, ma bisogna evidenziare che non si tratta di segmenti consecutivi; queste sono infatti inserite in una serie di lasse in parte condivise anche da P3, ma non dal resto della tradizione manoscritta. Proponiamo qui di seguito una tabella che permetterà di precisare il quadro, seguita da un riassunto della sezione caratteristica in parte di x, in parte dei quattro testimoni franco-italiani (P3, V6, Cha, V4):
-ois -aje/-açe -er -ant -on
P374 301 / 30278 304 /
V6 35576 35677 35779 35880 /
Cha75 345 346
V4 347 348
34781
349
69 “Colloquio tra Balante fatto prigioniero e Namo (...); inseguimento di Almonte da parte di Carlo; sogno profetico di Agolante a Risa” (ivi, pp. 255-256). 70 Fritz Roepke, Studien zur Chanson d’Aspremont (Beschreibung der Handschriften, Bibliographie, Concordanztabelle, Textproben), F.W. Kunike, Greifswald, 1909. Il riferimento alla tabella delle lasse di Roepke è indicato dall’iniziale R. 71 “Parole di Ulieno a Galindres” (ivi, p. 256). 72 Per la prima parte del poema, P3 sembra vicino agli altri tre codici franco-italiani, senza condividere con loro le aggiunte maggiori, come il prologo (si situerebbe, dunque, tra il codice L3 e il sottogruppo x); per la seconda parte del poema, invece (la battaglia finale d’Aspremont), il codice si allontana dalla branche γ per avvicinarsi a . A questo proposito rinviamo all’articolo di Palumbo e Rinoldi, “Prolégomènes”, cit. 73 La numerazione delle lasse è desunta dalle trascrizioni interpretative a cura di Annick Englebert per P3 e di Paolo Rinoldi per L3, che ringraziamo. 74 Contenuto delle lasse simile a V6 (cfr. note successive). 75 Per quanto riguarda Cha indichiamo il contenuto delle lasse solo quando questo diverge da quello del manoscritto V6. Il contenuto di V4 è analogo a quello di Cha. 76 Naimes guarda Carlomagno e Roland che seguono Eaumont. 77 Ogier e Naimes piangono Morel. Discussione tra Balant e Namo. 78 P3 trasmette anche una lassa in più, assente di x: la lassa 303, in -er, che ha lo stesso contenuto di V6 356 (Namo e Ogier seguono Carlomagno per aiutarlo). 79 Naimes si lamenta della perdita di Morel. 80 Carlomagno esprime in una preghiera a Dio il suo desiderio di ritrovare Eaumont.
Appunti sulla fisionomia testuale -i -és -elle/èlla
/ / 305
69 35982 36083 36184
348 349 350
350 351 352
L’aggiunta in questione si colloca nel punto della narrazione in cui Eaumont, in fuga, viene inseguito da Carlo e Roland (dopo la lassa Su 276/Bra 298). Nel frattempo, Balant, caduto dal suo cavallo Morel e minacciato dai pagani, è salvato da Naimes che lo ha riconosciuto. Roland, il cui cavallo fatica ad andare avanti, si impossessa di Morel e continua la sua corsa. Le lasse aggiunte da x e parzialmente da P3 non hanno esattamente lo stesso contenuto nei tre manoscritti, ma la sostanza si può riassumere come segue:85 Naimes guarda Carlo e Roland che si allontanano verso la montagna; Balant gli spiega che stanno inseguendo Eaumont, figlio di Agoulant. Ogier e Naimes piangono Morel. Balant giura di convertirsi al cristianesimo ma ricorda il gran valore di Eaumont e consiglia a Naimes e Ogier di andare ad aiutare il loro re. I personaggi principali della scena, Carlo e Eaumont, pregano, ognuno a suo modo, per ottenere la vittoria. Agoulant, rinchiuso nella sua stanza, ha un sogno premonitore: vede il figlio attaccato da un leopardo e da un leoncino, simboli di Carlo e Roland. L’ultima lassa, in -elle, mostra la corsa di Eaumont nella valle di Pinella. Il saraceno promette di uccidere Carlo e di tornare a Risa.
Possiamo ora arricchire questa lista con altre tre lasse, che sono state omesse da Cha ma sono condivise da V6 e V4 e risalgono, di conseguenza, a x: dopo Su 181/Bra 220, una lassa in -an, attestata sia in V6 che in V4, mostra Eaumont scoraggiato e disperato dopo la sua prima disfatta; dopo Su 318/Bra 337, due lasse consecutive (la prima in -ixe, la seconda in -on) presentano Agoulant che risale nel suo palazzo a Risa e chiede consiglio ai suoi baroni sulla sorte di Carlo; si meraviglia di non aver ancora ricevuto notizie dal figlio. Come possiamo osservare, le interpolazioni macrostrutturali di x sono piuttosto limitate in termini quantitativi. Il prologo resta l’aggiunta caratteristica di maggior peso introdotta da questa sottofamiglia. Le principali modifiche rispetto al resto dei testimoni della famiglia γ si sono svolte ad un livello stemmatico inferiore: infatti, è soprattutto y ad introdurre innovazioni notevoli.
81 Ogier e Naimes partono per aiutare Carlomagno che sta inseguendo Eaumont. Eaumont prega Machon e Carlomagno prega Dio. 82 Lassa riassuntiva: “Il fu un jorn chi se dist mardi […]”. 83 Agoulant si trova a Risa e ha il sogno premonitore. 84 Eaumont fugge “por la val de Pinelle”. Piange e prega il suo dio Machon. 85 Per quanto riguarda l’ordinamento della narrazione seguiamo il ms. di riferimento, V6.
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4. Interpolazioni macrostrutturali caratteristiche di y Al livello di y, si conta in effetti un numero molto superiore di lasse interpolate. Sul modello impiegato sopra per la branche γ, proponiamo di seguito una lista delle aggiunte, con una breve indicazione del loro contenuto: -
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Dopo Su 15/Bra 15, una lassa in -ie (-ìa in V4) amplifica il discorso di Balant a Carlomagno (Cha 46; V4 42). Dopo Su 26/Bra 27, una lassa in -ant amplifica di nuovo il discorso di Balant, che descrive il suo capo, Agoulant (Cha 63; V4 59). Dopo Su 42/Bra 44, una lassa in -on evoca la costruzione della torre di Eaumont in Aspromonte (Cha 80; V4 75). Dopo Su 84/Bra 89, una lassa in -ant e una lassa in -elle (-èlla in Cha) prolungano la scena dell’addobamento dei figli di Girard: Arnalt e Rainer (Cha 116-117; V4 111-112). Dopo Su 108/Bra 122, una lassa in -om (-on in V4) è dedicata alla descrizione del padiglione di Agoulant, che è ornato di scene della guerra di Troia (Cha 146; V4 141)86. Dopo Su 110/Bra 125, una breve lassa in -ant riunisce di nuovo V4 e Cha (V4 144; Cha 149): Triamodés propone di portare il messaggio di Agoulant a Carlomagno. Dopo Su 114/Bra 129, una lassa in -om/-on prolunga la scena dell’incontro tra Gorant e Naimes. Dopo Su 123/Bra 137, una lassa in -ise (V4 158; Cha 163) modifica il racconto del messaggio di Naimes ai saraceni. Dopo Su 133/Bra 146 (prima parte della lassa, che in x è divisa in due), una lassa in -oie (Cha 173; V4 169) evoca la nascita dell’amore tra Naimes e la regina saracena. Una donzella suona l’arpa e canta gli amori di Tristano e Isotta. La seconda parte della lassa Su 133/Bra 146 segue questa lassa in -oie. Dopo Bra 159 (assente in Su), viene aggiunta una brevissima lassa in -ogne (Cha 187; V4 183): Carlo comanda la retroguardia. Dopo Su 150/Bra 167, una lassa in -ois contiene il discorso del messaggero di Eaumont, Butran, a Berenger. Dopo Su 158/Bra 181, una lassa in -u racconta il ritorno di Eaumont alla torre, prima della sua fuga (Cha 213; V4 209). Dopo Su 191/Bra 211, Cha e V4 aggiungono una lassa in -aine (Cha 251; V4 248), in cui si legge un ulteriore discorso di Eaumont ai suoi uomini.
86 Su questa interpolazione, si veda Giuseppina Brunetti, “L’Antiquité partagée: la tente historiée du païen Agolant dans la Chanson d’Aspremont franco-italienne”, in Alvar e Carta, In Limine Romaniae, cit., pp. 151-174.
Appunti sulla fisionomia testuale
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Dopo Bra 212 (lassa assente in Su), un’altra lassa allunga il discorso di Eaumont alle sue truppe (rima in -ei in Cha /-ey in V4: Cha 254; V4 251). Dopo Su 276/Bra 298, all’interno di un gruppo di lasse interpolate da x, una lassa in -on è aggiunta da Cha e V4 (Cha 347; V4 349): presenta l’inseguimento di Eaumont da parte di Carlomagno. Dopo Su 284/Bra 306, due lasse, in -oil e in -é, allungano la scena della battaglia tra Carlomagno e Eaumont (Cha 358-359; V4 369-370). Dopo Su 286/Bra 308, il racconto del combattimento è di nuovo amplificato in y, con una lassa in -aine, che annuncia l’intromissione di Roland nella lotta tra i due uomini (Cha 362; V4 376). Dopo Su 288/Bra 310, V4 e Cha condividono una lassa in -in (-im in Cha): Uger e Naimes discutono della morte di Eaumont (Cha 365; V4 380). Dopo Su 291/Bra 313, una lassa in -er narra il ritorno di Asperant e Amargon a Risa. Dopo Su 293/Bra 315, una lassa in -i amplifica il dialogo di Agoulant e Asprerant, che discutono della loro disfatta (Cha 372; V4 387).
Anche se Marco Boni aveva notato che V6 era “rimaneggiato assai modestamente [poiché] le lasse aggiunte sono in numero relativamente ristretto, e anche le aggiunte inserite in lasse esistenti sono in complesso piuttosto rare e in genere di scarso rilievo”87, l’assunto di una famiglia franco-italiana caratterizzata da “numerosissime” interpolazioni resta corretto, a condizione tuttavia di attenuarlo e precisarlo. Infatti, le due liste di lasse fornite sopra mettono in luce il fatto che non è il responsabile dell’antigrafo dei codici franco-italiani ad imprimere una svolta alla tradizione manoscritta della Chanson d’Aspremont (tranne, forse, per il prologo); è invece il rimaneggiatore responsabile della redazione y che ha apportato alcune delle aggiunte macrostrutturali maggiori nella trasmissione del testo. Benché V6 sia il codice cronologicamente più recente – risale al 1371 –, è molto affine ai manoscritti collocati più in alto nella branche γ: in particolare, la versione che ci tramanda è vicina a quella del codice anglo-normanno L3, tanto dal punto di vista macrotestuale quanto delle lezioni puntuali. 88
Boni, “I rifacimenti franco-italiani”, cit., pp. 123-134, a p. 124. Speriamo di tornare in altra sede su questo argomento e di fornirne uno studio approfondito. Anche la fisionomia dei singoli testimoni della sotto-famiglia y sarà studiata nell’ambito dell’edizione delle versioni franco-italiane della Chanson d’Aspremont, prevista nell’ambito del progetto di edizione in corso. 87 88
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4.1 Fisionomia della aggiunte Il contenuto delle aggiunte macrostrutturali di y è interessante in quanto viene a confermare un dato già osservato a proposito dei primi 4000 versi del poema:89 eccezion fatta per qualche ampliamento, 90 gran parte delle lasse interpolate dall’antigrafo di Cha e V4 sono dedicate all’universo saraceno. Discorsi amplificati, descrizione degli edifici pagani, evocazione del sogno premonitore del re saraceno, descrizioni più dettagliate della battaglia di Eaumont e Carlomagno sono tutti elementi che, uniti al prologo, contribuiscono a dare più ampio spazio nel poema al nemico saraceno, all’‘altro’. I saraceni non sono così diversi dai cristiani: come questi ultimi, tengono delle assemblee, si mettono in discussione, temono per la vita delle loro famiglie. Tra gli episodi più rilevanti, segnaliamo quello del sogno di Agoulant, che conferisce al re saraceno una maggiore umanità rispetto al testo francese. Attraverso i suoi interventi, il rimaneggiatore di y stabilisce un rapporto speculare tra la corte cristiana e la corte saracena, e riequilibra così la focalizzazione narrativa sui due campi. Inoltre, come già osservato da Giuseppina Brunetti, nelle versioni franco-italiane i pagani non sono più “vus comme un peuple sans histoire, comme des barbares féroces sans passé”:91 essi rivendicano un’eredità greca, come mostrano per esempio le descrizioni del padiglione di Agoulant e della torre di Eaumont. L’immagine del pagano più umano, più eroico, probabilmente correlata alle buone relazioni commerciali e economiche tra l’Italia del Nord e il mondo islamico,92 è stata identificata da tempo come una caratteristica dell’epica franco-italiana: Günter Holtus l’aveva osservato a proposito dell’Entrée d’Espagne,93 e Peter Wunderli a proposito dell’Aquilon de Bavière.94 Sembra dunque che questa “étrange fascination pour l’altérité”95 riveli un universo nel quale “s’impose la conscience de la diversité du monde, de la nature et de l’homme. Tout doit alors se comprendre
89 Ci permettiamo di rinviare, a questo proposito, all’articolo seguente: Anna Constantinidis, “Identité et altérité: les Sarrasins dans la Chanson d'Aspremont franco-italienne”, in Ailes, Bennett e Cobby, Epic Connections, cit., I, pp. 171-190. 90 Le due lasse dedicate a Girard dopo Su 84/Bra 89; l’amplificazione del discorso di Namo, dopo Su 123/Bra 137, una descrizione amplificata dei cristiani in battaglia, dopo Bra 159; e naturalmente, dopo Su 133/Bra 146, la lassa sugli amori di Namo e della regina saracena, in cui si evoca la leggenda di Tristano. 91 Brunetti, “L’Antiquité partagée”, cit., p. 162. 92 Cfr. Constantinidis, “Identité et altérité”, cit. 93 Holtus, Günter, “Zur Darstellung und Motivation der christlich-heidnischen Beziehungen in der franko-italienischen Entrée d’Espagne”, in Italia Viva. Studien zur Sprache und Literatur Italiens. Festschrift für Hans Ludwig Scheel, Gunter Narr Verlag, Tübingen, 1983, pp. 201-212. 94 Raffaele da Verona, Aquilon de Bavière. Roman franco-italien en prose (1379-1407). Introduction, édition et commentaire par Peter Wunderli, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 2007, 3 voll., III, pp. 2223. 95 Jean-Claude Vallecalle, “Les chansons de geste franco-italiennes: héritage et réinterprétation d’une tradition littéraire”, in Alvar e Carta, In Limine Romaniae, cit., pp. 61-90, a p. 64.
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dans une perspective radicalement différente, dominée par la multiplicité et le changement”.96 5. Altri rimaneggiamenti tipici delle sotto-famiglie x e y Oltre alle aggiunte macrostrutturali messe in evidenza precedentemente, la sotto-famiglia x è caratterizzata anche da brevi passaggi che sono assenti nel resto della tradizione, da omissioni, da piccoli rimaneggiamenti di contenuto, da rime particolari97 o dalla sostituzione di nomi propri.98 I tre codici sono anche legati da errori certi, che non saranno trattati, tuttavia, in questa sede. 99 Ci soffermeremo qui, in particolare, sulle aggiunte. Le interpolazioni puntuali possono essere di un solo verso (ad esempio, V6 v. 64:100 “Chi vos venient li esperons çauçer”)101 o di gruppi di versi (ad esempio, V6 vv. 202-206: “E non soieç trop urgoilos ni fiers / Mais douç et umles soit vestre mesters, / E bien parler a paubres civalers / E ses paroles amar e tenir clers, / Dunt funt il ço chi li ert mesters”;102 vv. 569-576: “En mun pugne destre ma spèa de color / Dund je metrai vestre jent a dolor:/ Lor trençerai cum herbe falceor. / Chi moi atendra nen poroit paser cel jor, / Ja ne·l guarra eume chi seit a flor, / Ne nul aubers chi ait si grant vigor”;103 vv. 3622-3625: “Dunche oit Ballant .x. Ivi, p. 82. Ad esempio, la lassa 10, che nei manoscritti francesi ha una rima in -ee, che i franco-italiani sostituiscono con una rima in -ie. 98 Ad esempio, al verso 541, lì dove i mss. francesi danno Yvorie (Suard, Aspremont, cit., v. 334; Brandin, La Chanson d’Aspremont, cit., v. 344), V6 ha la lezione Navarie e V4/Cha Pavie. Più avanti nel testo, il nome di Roland è sostituito con quello di Carlomagno, errore che permette di collegare il frammento di Trento alla sotto-famiglia x: “Oeç segnor e soieç entendant / Com Karle el Maine fu armeç in estant (V6 vv. 8443-8444); “Oieç segnor e si soieç entendant / Con Karles fu armés et sue çant (Cha, vv. 8827-8828); “Oieç signor e soiez intendant / Cum Karle fu armé in estant” (V4 vv. 9482-9483). La tradizione francese, e il ms. franco-italiano P3 leggono rispettivamente: “Savés, segnor, chevaliers fu Rollant. / Il et li autre en i orent fait tant” (Brandin, Chanson d’Aspremont, cit., vv. 7683-84); “Oï avés con civaler fu Roland / Els e altres en firent tant” (P3 vv. 6708-6709). 99 Bisogna sottolineare il fatto che questi errori non sono numerosi. Spesso, in effetti, si osserva che le lezioni erronee trasmesse da V6 e che risalgono ad una tappa anteriore della tradizione sono talvolta corrette o omesse dall’antigrafo dei mss. Cha e V4. Restano dunque pochi errori sicuri che permettono di collegare i tre testimoni; essi sono trattati in Constantinidis, La Chanson d’Aspremont entre France et Italie, cit. 100 La semplice indicazione del numero di verso costituisce un rimando alla nostra edizione. Per i versi che non figurano nell’edizione, ci riferiamo, come già detto, alle trascrizioni dei tre codici francoitaliani. 101 Il verso è condiviso da V4 e risale dunque a x: “Que vos venent li experons cauçer” (V4 v. 64). 102 Cha vv. 202-206: “E ne soiez ni orgoilos ne fiers / Mes douç e umle e soviners / De bien parler a popres chevalers: / A soi l’apelez et se·l tenez chiers, / Bien le servez quant li ert mestiers” [varianti di V4: 202. E n. soit mie o. 203. Mes dòlce e humile e s. 205. A s. les appelle e si li tiegne c. 206. Dont li servent q. li fait m.]. 103 Cha vv. 569-576: “En mon poing destre un brant saracinor, / Que Agolant me la cist, mon seignor; / lus trence acer que fauce erbe e flor: / Cele metra vestre çent a dolor, / Qui je atendrai ne pasara del jor, / Ne li garintera heume, ne son labor, / Ne uberc, ne scu, tante soit de vigor.” [varianti di V4: 569. E. m. 96 97
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destrier demandeç, / Selle ad or, si furent enfrenneç, / Tant furent beus come or exmereç, / E dist Ballant: ‘Sirre Naume, or ne prendeç’.”;104 vv. 3633-34: “Le streve nen furent de fer ne de metal / Ançi furent de buen or communal”).105 Alcune aggiunte sembrano delle reminiscenze del Roman d’Alexandre, come già notato da Boni,106 ma restano tuttavia, rispetto alle citazioni ben più precise di y, molto generiche. Citiamo, ai vv. 874-875 di V6: “Quant che Alexandr conquist in sun aage / Volt il mun sir, car il est sun eritage”;107 ai vv. 3633-3634: “Plus est priseç che non fu Bucifal / Cel de Alexandre chi tant dura del mal”;108 ai vv. 6429-6431 di V6: “Plus fait priser Heumunt por son gran vassalaje / Che nen fist Menedus chi è neç de Cartaje / Ni Troian ni Hector chi tant aveit vassalaje”.109 Troviamo anche due riferimenti a Constantino nel prologo comune a V6 e V4: “Prendés Rome o ert Constantin”; “E li palleys Constentin l’amiré”.110 Infine, citiamo ancora un’allusione alla guerra di Cesare contro Pompeo, attestata però solo in V6 (vv. 5276-5277): “Nen fu si gran bataille en Tessal / Che fist Cesar e Pompèi li roial”. Se si escludono questi riferimenti generici all’Alexandre, è impossibile ricavare una tipologia uniforme delle aggiunte di x. Contrariamente a quanto si rileva per la sotto-famiglia y (cfr. infra), non possiamo individuare temi specifici ricorrenti o citazioni intertestuali chiare. Invece, in y, come sappiamo, molte delle aggiunte di versi singolari sono riconducibili a tre categorie principali: i riferimenti ai romanzi antichi, i riferimenti ai romanzi bretoni111 e i riferimenti biblici.112 Non riprenderemo qui lo sviluppo e gli esempi enumerati da Boni nei suoi articoli; i dati tratti dalla nostra edizione (e soprattutto dal manoscritto di Cha, che Boni non aveva a disposizione) confermano pùgno d. 570. A. m. l. c. m. lige s. 571. qua falç hèrba ne f. 572. A cèlla metrai 574. Qui m’atendra 575. Ne li guara heumes de bon lavor 576. Ni aubers n. s. t. s. d. grant v.]. 104 Cha vv. 3622-3625: “Donc ot Balant dit destrier demandés, / Selles el dos e son d’or lavorés, / Ausi sont beles con fusent penturés./ ‘Sire’, dist il, ‘cest cheval en menés’.” [varianti di V4: 3622. N. un destrer d. 3623. S. al d. d’or sunt li loriés]. 105 Cha e V4 omettono il secondo verso, che è verosimilmente originale, visto il suo contenuto che sembra completare quello del verso precedente: Cha v. 3633: “Le stres n’erent mie de fer ne de mital” [varianti di V4: 3633. L. s. ne tient m.]. 106 Boni, “Nuove ricerche”, cit., pp. 25-27. 107 Cha vv. 874-875: “Que tant con Alexandre conquis en sun ahage / Voil cil avoir, ch’el est sun eritage” [varianti di V4: 874. Tant cum A. 875. Volt mon sire car e. s. heritage]. 108 Cha vv. 3633-3634: “Plus ot bonté que ne n’ot Bucifal, / Cil d’Alexandre c’ot cornu le frontal” [varianti di V4: 3633. q. non oit B.]. Un po’ più avanti, e solo in V6 vv. 5868-5869, leggiamo anche: “E mantes terres. chi nomer le vora / Unques Alexandre plus n’en aquista”. 109 Cha vv. 6633-6635: ”Plus fait a priser li son grant vasallaçes / Que ne fist Menedux qui fu sire d’Archaçes / Ni Hetor li Troian ch’ot tant bernaçes”; V4 vv. 6958-60: “Plus fait a doter li son grant vasalaçe / De celui Menadus qui fu nez in Cartaçe / Ne li Troian Hector que tant oit vasalaçe”. Come indicato da Boni, Nuove ricerche”, cit., p. 25, “molto probabilmente è una reminiscenza del Roman d’Alexandre in alessandrini il ricordo di Menedus”. 110 V4P v. 144: “Prenderon Rome o’ est Costantin” e V4P 198: “E li palés Costantin l’amirés”. 111 Entrambi studiati da Boni, “Nuove ricerche”, cit. 112 Studiati da Boni, “I rifacimenti franco-italiani”, cit.
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in gran parte le sue conclusioni. Tuttavia occorre precisare che, mentre i riferimenti ‘antichi’ e biblici sono condivisi dai due codici V4 e Cha e risalgono dunque a y – il che conferma il carattere fortemente rimaneggiato di questa versione –, parte dei riferimenti ‘bretoni’, meno numerosi e più vaghi, sono in realtà attestati solo in V4. Solo due aggiunte possono essere riconducibili a y: una citazione del re Artu ai vv. 5209-5212 di Cha: “En son chief ot li son helme fermé / Li rois Artus avoit maint amz porté / Qui l’ot sor soi ne puet estre maté / Çint ot Joiose li buen brant açaré”; V4, vv. 5385-5389: “E oit en son cef li cler heumes fermé / Li roi Artux l’avoit mant an porté / Cil que li oit sor soi ni poit estre mathé / Cint oit Joiose que blanch est e letré”, e l’episodio notissimo della donzella che canta gli amori di Tristano e Isotta, nel momento in cui Naimes e la regina saracena si incontrano e si innamorano: Cha, lassa 138a113 La dame regarde Namo en recoie Por qui Balant de rien ne s’apercoie. La polcele arpoit qui devant lor estoie : L’arpe fu riche et le cordes de soie, E fet une stanpé c’on apelle l’Angloie : Çele fist Tristan por la belté d’Isoie Quant la rendi a ses oncle li roie, Puis li oucist d’une mort molt croie ; Il morut por la dame, por el mori la bloie ; Maor fu cel amor que de Paris de Troie. Namo entent le son, d’amor tuit en ragoie, Et le dame fu prise con ouselet al broie.
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Questa scena, tratta con molta probabilità dal Roman de Tristan in prosa,114 dovette avere una certa importanza, visto che viene ricordata più avanti nel racconto, una volta da entrambi i manoscritti115 (Cha vv. 3739-41: “E la pucele qu’arpoit le douç som / Del bel Tristan e d’Iselt al cef blom”116), e un’altra volta dal solo V4 (vv. 6780-6782: “Mostras moi la raine que de belté oit tans / E la noble donçelle que li arpoit davans / Que cantoit li cant d’Isote e de Tristans”). Come detto precedente113 La lettera a indica che la lassa è aggiunta da y. Qui di seguito le varianti di V4: 3556. n. s’en percoie 3559. s. que appellez fu l’Angloie 3565. N. e. li cant d’a. t. 3566. d. est si pris cum la perdiç a proie 3566. Quand l’astor la regarde qu’ele ne se devoie. 114 Lo sappiamo grazie al verso 3562, che dà un’informazione di rilievo sulla versione usata dal rimaneggiatore. Infatti, il verso evoca la morte di Tristano, ucciso da zuo zio: “Puis li oucist d’une mort molt croie”. Le redazioni in versi, più antiche, raccontano che Tristano è morto di dolore, credendo Isotta morta, mentre la morte di Tristano per mano di Marco avviene nel Roman de Tristan en prose (cfr. Boni, “Nuove ricerche”, cit., pp. 38-39). 115 Boni 1960, p. 37. 116 V4 vv. 3682-83: “E la pulcelle que arpoit li dolce son / Del bel Tristan a la clere façon”.
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mente, oltre a questa ultima citazione, si leggono in V4 altri riferimenti alla materia bretone: ai versi 157a-b leggiamo: “Unques Artux ne se fist tant prisers / Cil de Bertagne que de tuit fu priers”; ai versi 4971-4972: “Crient paian bien est cestu le graine / De tot li chevaler qui fust pois au temp Ivaine”, lì dove Cha legge: “Crient paians bien c’est ui la graine / De toz li chivaler que fust en tere paiaine” (vv. 479697). Questi episodi attestano l’ampia circolazione che hanno avuto i testi epici e romanzeschi francesi in Italia settentrionale e la grande erudizione del rimaneggiatore responsabile della versione y. 6. Conclusioni Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di illustrare in che modo il testo della redazione γ si differenzia a livello macrostrutturale da quello di α e β. Alla luce dei dati raccolti possiamo senz’altro confermare l’inconsistenza dell’ipotesi di De Mandach circa la militanza pro-plantageneta della redazione. Le numerose amplificazioni e le più rare, ma non meno interessanti, contrazioni del tessuto narrativo di γ rispetto alle altre due branches non paiono a nostro avviso governate da alcun principio celebrativo o propagandistico. Aggiungeremo che risulta oltremodo difficile individuare una giustificazione univoca alla macrovarianza di γ. 117 Gli episodi che la caratterizzano risultano essere, come abbiamo visto, di natura e di importanza estremamente varie, e non permettono di ricomporre in maniera chiara la ‘personalità’ della redazione, pur lasciando intravedere alcune costanti stilistiche e letterarie, come una particolare propensione per i disegni strofici complessi e per le costruzioni parallelistiche, nonché per alcuni temi cari all’immaginario epico. Le interpolazioni tipiche del testo trasmesso dai manoscriti franco-italiani rispondono, al contrario, a delle dinamiche simili a quelle che caratterizzano la metamorfosi della matière de France in Italia sia in fase di trasmissione testuale, sia in fase di composizione di nuove opere. Come esemplifica perfettamente anche il testo dell’Aspremont, l’epica franco-italiana si contraddistingue, fra le altre cose, per una mescolanza sempre più marcata di generi, per un fitto reticolo di riferimenti intertestuali ad altri testi letterari, per la particolare attenzione riservata all’universo saraceno.118 Il testo profondamente rimaneggiato della sotto-famiglia y avrà un’importanza fondamentale per la posterità della Chanson d’Aspremont per-
117 Sul concetto di macrovarianza e sulle sue possibili cause si vedano i fondamentali lavori di Alberto Varvaro, “Il testo letterario”, in Piero Boitani, Mario Mancini, A.V. (dir.), Lo spazio letterario del medioevo. 2: Il medioevo volgare, I: La produzione del testo, I, Salerno Editrice, Roma, 1999, pp. 387-422; “Élaboration des textes et modalités du récit dans la littérature française médiévale”, Romania, 119, 2001, pp. 135-209. 118 Cfr. Günter Holtus e Peter Wunderli, Franco-italien et épopée franco-italienne, in Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters, III, tome 1/2, fasc. 10, Winter, Heidelberg, 2005, pp. 134-156.
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ché costituirà la fonte principale per la tradizione letteraria italiana dell’opera, una tradizione che, diretta e indiretta, si estenderà fino al Morgante di Luigi Pulci.119
Université de Namur Università di Napoli Federico II
119 Per la tradizione diretta dell’Aspremont in Italia citiamo l’Aspramonte in prosa della British Library (Additional 10808), i Cantari d’Aspramonte, ms. Firenze, BNF, Magl. VII 682 e l’Aspramonte di Andrea da Barberino. Per quanto riguarda la tradizione indiretta e il successo delle ‘storie d’Aspramonte’ (cfr., per la citazione, Marco Boni, “Le ‘Storie d’Aspramonte’ nei Fatti de Spagna”, in Jean-Marie D’Heur e Nicoletta Cherubini (a c. di), Études de philologie romane et d'histoire littéraire offertes à Jules Horrent à l'occasion de son soixantième anniversaire, Liège, 1980, pp. 33-40) nella tradizione epico-cavalleresca italiana successiva, basta ricordare qui le diverse Spagne (Spagna in rima, Fatti de Spagna, Spagna in prosa, Spagna magliabechiana) ma anche, più tardi, il Morgante di Pulci. Si rinvia per una sintesi, al libro di Palumbo, La Chanson de Roland, cit., in particolare alle pagine 298 e sgg. e 319 e sgg.
DORIANA PIACENTINO Metrica e ammodernamento linguistico: l’esempio della Chanson d’Aspremont tràdita dal ms. Royal 15 E VI
Celui qui entreprendra l’édition de la chanson d’Aspremont aura une tâche malaisée. Car non seulement les mss. en sont nombreux et présentent des variantes considérables, mais ils sont très dispersés, et les meilleurs sont incomplets. […] On remarquera que les seuls mss. complets ont été exécutés en Italie et en Angleterre, et par conséquent contiennent un texte incorrect.1
L’Aspremont è un testo che ha goduto di una grande fortuna, come è attestato dal considerevole numero di testimoni che tramandano l’epopea, e che vanta una tradizione di ampia estensione cronologica: il primo testimone, il frammento vaticano H, è databile tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, 2 mentre il più recente, il manoscritto londinese L1, risale alla prima metà del XV secolo. 3 Quest’ultimo trasmette, dal f. 39r al f. 65v, una versione della Chanson d’Aspremont di 7308 versi,4 e occupa sicuramente un posto di rilievo nel panorama della tradizione aspromontiana: commissionato tra il 1444 e il 1446 da John Talbot, conte di Shrewsbury, in occasione delle nozze di Margherita d’Angiò con Enrico VI (si apre con la dedicatoria: “Princesse tres excellente / ce livre cy vous presente / De Schrosbery le conte”), è un codice pergamenaceo di straordinario pregio, arricchito da lussuose miniature, contenente una sorta di antologia cavalleresca formata da testi di varia natura, in versi e in prosa. Vi ritroviamo infatti, tra gli altri, una versione in francese dell’Historia de proeliis, due canzoni di gesta carolinge, ossia Simon de Pouille e Fierabras, una versione delle Enfances Ogier, Renaut de Montauban e Quatre fils Aymon, una versione di Pontus et Sidoine, il Gui de Warrewik, lo Chevalier au
1 Paul Meyer, “Fragment d’Aspremont conservé aux Archives du Puy-de-Dome suivi d’observations sur quelques mss. du même poème”, Romania, 19, 1890, pp. 201-236, a p. 201. 2 Cfr. Maria Careri, Christine Ruby, Ian Short, Livres et écritures en français et en occitan au XIIe siècle, Viella, Roma, 2011, p. 210. 3 Per i tentativi di classificazione dei testimoni finora condotti si vedano almeno Meyer, “Fragment d’Aspremont”, cit.; Fritz Roepke, Studien zur Chanson d’Aspremont (Beschreibung der Handschriften, Bibliographie, Concordanztabelle, Textproben), F.W. Kunike, Greifswald, 1909; Marco Boni, “I rifacimenti franco-italiani della Chanson d’Aspremont conservati nella Biblioteca Marciana”, Cultura Neolatina, 21, 1961, pp. 123-34, e Id., “Il Prologo inedito dell’Aspremont del manoscritto di Chantilly”, Convivium, 30, 1962, pp. 588-602; André De Mandach, Naissance et développement de la chanson de geste en Europe. III-IV. Chanson d’Aspremont. Manuscrit Venise VI et textes anglo-normands inédits, British Museum Additional 35289 et Cheltenham 26119, Droz, Genève, 1975-1980, III, pp. 1-58. 4 La cui edizione critica sarà parte integrante del progetto di ricerca Aspremont, più volte citato in questo volume, per cui si veda Giovanni Palumbo e Anna Constantinidis “La Chanson d’Aspremont: à propos d’une nouvelle édition du corpus français”, in Carlos Alvar e Constance Carta, In Limine Romaniae. Chanson de geste et épopée européenne, Peter Lang, Berne, 2012, pp. 532-551.
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Cygne, il De regimine principum di Egidio Romano, tradotto in francese da Henri de Gauchi, Les fais d'armes et de chevalerie di Christine de Pisan.5 Per quanto riguarda la sua collocazione nella tradizione, André De Mandach ha avanzato l’ipotesi ‒ da prendere con la dovuta cautela – che per la redazione della versione londinese dell’Aspremont siano stati utilizzati due modelli principali, il ms. L3 e il ms. Ch, ai quali si aggiungerebbe, per alcuni passaggi, il manoscritto W.6 A un primo sondaggio, i cui risultati sono stati resi noti da Giovanni Palumbo e Paolo Rinoldi in occasione dell’ultimo congresso della Société Rencesvals, sembrerebbe confermata la vicinanza, almeno nella prima parte del testo, di L1 con L3, oltre alla sua afferenza alla redazione γ della chanson. 7 5 Nutritissima la bibliografia al riguardo. Si vedano almeno: André De Mandach, “A Royal Wedding-Present in the Making”, Nottingham Medieval Studies, 18, 1974, pp. 56-76; Id., “L’anthologie chevaleresque de Marguerite d’Anjou (B.M. Royal 15 E VI) et les officines Saint-Augustin de Canterbury, Jean Wauquelin de Mons et David Aubert de Hesdin”, in Jean Subrenat (a c. di), Actes du VIe Congrès International de la Société Rencesvals (Aix-en-Provence, 29 août-4 septembre 1973), Université d’Aix-en-Provence, Aix-en-Provence, 1974, pp. 315-350; Outi Merisalo, “Un codice miscellaneo per Margherita d’Angiò (London, British Library, Royal 15.E.VI)”, Segno e testo, 2, 2004, pp. 445-458; Cathrine Reynolds, “The Shrewsbury Book, British Library Royal MS. 15.E.VI”, in Jenny Stratford (a c. di), Medieval Art, Architecture, and Archeology at Rouen, The British Archeological Association Conference Transactions Series, vol. 12, Leeds, 1993, pp. 109-16; Marc Le Person, Fierabras. Chanson de geste du XIIe siècle, Champion, Paris, 2003, pp. 43-46; Andrew Taylor, “The Time of an Anthology: British Library MS Royal 15 E.VI and the Commemoration of Chivalric Culture”, in Karen Fresco e Anne D. Hedeman (a c. di), Collections in Context: The Organization of Knowledge and Community in Europe (14th-17th Centuries), Ohio State University Press, Columbus, 2011, pp. 169-91; Craig Taylor, The Shrewsbury Book (BL MS Royal 15 E. VI) and Chivalric Writing in Late Medieval England, ivi, pp. 193-223. Una descrizione del codice, nonché ulteriori riferimenti bibliografici, sono reperibili sul sito della British Library, al seguente indirizzo: (05/15). 6 “[…] in very numerous cases, the lessons of L1 were combining those of L3 or Ch, or following one manuscript for a while, then the other ‒ according to the text”. Ma, prosegue lo studioso, “[…] Queen Margaret’s version had now and then a third model, one which could easily be identified as a ‘Blue version’ of France […]. Apparently the redactor of L1 hesitated between his models L3, Ch and W in the beginning of his edition. In the first stanzas he seems to have gleaned elements from each in order to edit his own text. Later on he seems to have realized that the combination of the two interrelated Canterbury manuscripts L3 and Ch was a sure guide which need only occasionally be corrected by the third model W. So the latter seems to have played the part of a control, after the beginning passages of the epic” (De Mandach, “A Royal Wedding-Present”, cit., pp. 63-66). 7 “Dès qu’on commence à lire la Chanson d’Aspremont dans sa tradition manuscrite, on s’aperçoit assez vite que le poème nous a été transmis par trois rédactions principales. Dans la première partie du texte, on peut en effet aisément dégager trois versions concurrentes, que nous appellerons : - α, représentée par P2 P5 ; - β, représentée par P1 B W ; - γ, représentée par tous les autres témoins analysés : L1 L3 Ch Cha P3 V4 V6. […] La situation stemmatique que nous venons d’esquisser semble rester relativement stable dans toute la première moitié du poème, c’est-à-dire dans la partie correspondant environ aux cinq ou six mille premiers vers de l’éd. Suard. À en juger au moins par la concordance des laisses dans toute cette section, les témoins relatant les trois rédactions principales de l’Aspremont continuent à s’opposer de manière assez constante” (Giovanni Palumbo e Paolo Rinoldi, “Prolégomènes à l'édition du corpus français de la Chanson d'Aspremont”, in Marianne J. Ailes, Philip E. Bennett e Anne Elizabeth Cobby (a c. di), Epic Connections/Rencontres épiques. Proceedings of the Nineteenth International Conference of the Société
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Ciò premesso, il presente contributo si propone l’analisi delle particolarità metriche della versione dell’Aspremont tràdita dal manoscritto londinese, così come appare allo stato attuale della ricerca. L’indagine è stata condotta sui primi 3500 versi, ossia circa la metà della chanson; come testo di riferimento principale, laddove possibile, verrà utilizzata l’edizione De Mandach8 (fondata su L3), al quale si affiancheranno, all’occorrenza, come testi di controllo, le altre due versioni finora edite, ciascuna basata su un testimone unico: l’edizione di Louis Brandin (W),9 e l’edizione di François Suard (P2).10 Il campione analizzato si presenta così articolato:11
Versi di dieci posizioni metriche: 2023 (57,8%), suddivisibili in: o Decasillabi regolari (4(’) + 6(’)): 1968; o
Decasillabi con cesura mediana: 3612
o
Decasillabi a maiore: 6
o
Seigneurs dit le roy se vous y alés (v. 155) Car les vostres sont ennuiés d’aler (v. 347) Puis quist tant le roy qu’il le pot trouver (v. 766) ecc.
Au vestir au lever et au chaucer (v. 73) Le mien mesmes leur donne tout le premier (v. 76) Avant que ton tresor y soit venu (v. 90) Chascun de le vëoir s’est merveillé (v. 189) L’empereur descendi du cheval blanc (v. 3175) Haubers heaumes n’avoient mie tous mie (v. 3229)
Decasillabi con cesura italiana: 3
Savez quelle choze le fait plourer (v. 254) Pour nous en la Vierge fu encharné (v. 464) Derriere les aultres bien ung arpent (v. 2579)
Rencesvals, (Oxford, 13-17 August 2012), British Rencesvals Publications, Edinburgh, 2015, 2 voll., II, pp. 549-576, a p. 551 8 De Mandach, Naissance et développement, cit. Questa edizione è stata controllata sulla trascrizione approntata da Paolo Rinoldi, che ringrazio, in vista della prossima edizione del corpus. 9 Louis Brandin (a c. di), La Chanson d’Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, texte du manuscrit de Wollaton Hall, Champion, Paris, 1923-1924, 2 voll. 10 François Suard (a c. di), Aspremont. Chanson de geste du XIIe siècle, Champion, Paris, 2008. 11 I casi analizzati riguardano solo i versi accettabili semanticamente; i casi di irregolarità metriche dovuti a palese corruzione non sono stati presi in considerazione. 12 Si fornisce un’esemplificazione esaustiva fino a 6 occorrenze; nel caso di versi più frequenti, verranno riportate solo tre attestazioni.
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o
Decasillabi con cesura di incerta collocazione: 10
Ains vendrés nostre feste regarder (v. 344) Ne tendroye de nul homme fors de Dé (v. 942) Tel deul a du sens cuide forsener (v. 2191)
Casi di ipometria: 1038 (29,65%), così distinguibili: o Versi con una posizione in meno nel primo o nel secondo emistichio: 895
o
Versi con una posizione in meno sia nel primo che nel secondo emistichio: 28
o
L’archevesque se dresce en estant (v. 277) Puis qu’euz armes vous di en oyant (v. 602) Mais duc Naymes a tout refusé (v. 1880) ecc.
Versi con due posizioni in meno nel primo emistichio, la cui uscita è sempre femminile: 11
o
Qui sont bel com s’ilz fussent ouvré (v. 1882) Tant en y a ne le sçay esmer (v. 3101) Avec eulz Godebof le Frison (v. 3145) ecc.
Car pendre les faisoit maintenant (v. 9) Dit Naymes bien croy que revendron (v. 1292) Mais Neymes feri Gorham premier (v. 1555) ecc.
Versi con due posizioni in meno nel secondo emistichio, con il primo emistichio a uscita femminile13: 62
13 A meno di volerli considerare ottosillabi con cesura epica, vale a dire con una posizione soprannumeraria dopo la quarta posizione, come sembra suggerire Andrea Fassò nel suo “Ritorno all’ottosillabo”, Medioevo Romanzo, 35, 2011, pp. 381-405, in particolare alle pp. 397-404, il quale conta otto posizioni anche in versi come i seguenti, tratti dalla c. 54 del nostro codice: Souvent se pasme sur le perron; Se Dieu en France nous doint tourner; Tant heaume, tante targe roee; S’il ne nous donne, nous pourchaçon; Vous avrés armes legierement; Au duc Anceaume les a livrés; Dist Oger: «Sire, que l’essayons» (solo in questo caso la misura del verso (8) è esplicitamente accompagnata dalla precisazione “cesura epica”). La scomposizione in due emistichi non si applicherebbe però sistematicamente: è quanto si evince da esempi quali: Rien ne ceaignoie qui fut nee; La se herbergent Sarrazin; .iiii. banieres font monter; Quatre banieres l’ont criee; O lui venimes povrement; Les riches hommes des contés, tutti ottosillabi canonici, che altrimenti conterebbero una posizione in meno. Nei manuali di metrica da me consultati non si riscontra alcun riferimento all’ottosillabo con cesura metrica. Scrive ad esempio Wilhelm Theodor Elwert, Traité de versification française, Klincksieck, Paris, 1965, p. 123: “Il n’y a pas de césure dans l’octosyllabe. Le vers peut avoir jusqu’à trois syllabes accentuées, dont l’intensité et le point d’application sont variables. On ne trouve que dans les textes anciens des exemples de vers divisés symétriquement par un accent sur la quatrième syllabe (en fin de mot), subdivisés donc en deux hémistiches égaux par une césure au milieu. En général cette césure a été évitée, parce qu’elle faisait de l’octosyllabe une suite de vers de quatre syllabes alternativement avec et sans rime”. Rammento che Fassò aveva avanzato per la prima volta la
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De bonne geste diray le chant (v. 21) Balan regarde si fu enclins (v. 368) Cil list les lectres sans plus targer (v. 775) ecc.
Versi di sei posizioni metriche: 4
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Filz fut au duc Regnier (v. 1254) Tant heaume tant espee (v. 2102) Vois com Mahom m’a cher (v. 2109) Au mien courroy jouster (v. 3104)
Versi di sette posizioni metriche: 38
A ceulz des ysles d’Almaigne (v. 131) Qu’avon par grant baronnie (v. 687) Mort suis destroit com mesel (v. 1397) ecc.
Casi di ipermetria: 202 (5,77%), catalogabili in:
o
Versi con una posizione in più nel primo o nel secondo emistichio: 185
o
Versi con una posizione in più sia nel primo che nel secondo emistichio o con due posizioni in più nel secondo emistichio, la cui cesura non consente di considerarli alessandrini: 12
o
Et les compaignies des crestïens esmer (v. 1466) Ne chevalier ne le sçayt tant regarder (v. 1475) Je vous donne France tenés la de mon don (v. 1789) ecc.
Cil rompi la cire si commença a garder (v. 244) Ceste bonté vous cuideroye guerdonner (v. 354) Estouf Astez et Berenger que j’ayme tant (v. 859) ecc.
Versi di undici posizioni metriche: 4
Jamais jour de ma vie n’en serai joyeulx (v. 2325) Cil respont je n’y avraie ja honneurs (v. 2873) Des mailles du haubert trence plus de cent (v. 2968) Les haubers ont vestu les heaumes en son (v. 3423)
sua ipotesi sull’ottosillabo epico in “L’ottosillabo nelle chansons de geste: il caso dei versi ’a dittico’”, in Actes du XIe Congrès international de la Société Rencesvals (Barcelone, 22-27 août 1988), in Memorias de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona, 21, 1990, 2 voll., I, pp. 195-214, poi ripresa in “Un’ipotesi sul verso epico francese”, Le forme e la storia, 1, 1989, pp. 55-92, e ampliata in “L’ottosillabo, verso epico”, in Id., Gioie cavalleresche. Barbarie e civiltà fra epica e lirica medievale, Carocci, Roma, 2005, pp. 71-110.
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o
Versi di tredici posizioni metriche: 1
Ottosillabi: 206 (5,88%)
Ne s’en retournera ne le petit ne li grant (v. 2650)
C’est la premiere dont feist sang (v. 17) Drapz et armes sans demouree (v. 141) Sur ung cheval blanc comme flour (v. 323) ecc.
Alessandrini: 31 ( 0,88%);
Les povres orphelins ne laissés essiller (v. 61) S’ainsi n’y a fay moy vilainnement dampner (v. 240) Par ma foy sire roy la bataille en avon (v. 2816) ecc.
Come è facile notare osservando i dati, il nostro rimaneggiatore mostra una scarsa attenzione per la metrica, e i casi di irregolarità sono davvero molto diffusi: considerando il décasyllabe come la norma, esse rappresentano una percentuale piuttosto alta rispetto al numero complessivo dei versi presi in considerazione. In linea generale, la maggior parte dei versi ‘irregolari’ conta nove posizioni metriche: sembra infatti che l’estensore di L1 abbia la propensione ad ‘accorciare’ uno degli emistichi ogni volta che ciò è possibile, forse per adeguarlo a una propria abitudine scrittoria (non si dimentichi che egli verga, prima e dopo l’Aspremont, centinaia e centinaia di octosyllabes). All’interno di questa diffusa irregolarità, è tuttavia possibile individuare alcune ‘tendenze’, che sembrano dar ragione di una parte delle ipometrie o ipermetrie. In altri casi, il rimaneggiatore parrebbe mirare alla realizzazione, conscia o inconscia, di altre tipologie di versi, quali l’ottosillabo e l’alessandrino. 1. Presenza/assenza del pronome personale soggetto Un certo numero di casi irregolari sembrerebbe conseguenza dell’omissione del pronome personale soggetto: nonostante, a quest’altezza cronologica, l’uso del pronome cominci ad essere molto più stabile, spesso il copista preferisce infatti ometterlo o sottintenderlo.
L1: La tierce Auffrique n’en pot plus trouver (v. 212) 14 L3: L’altre [Afrike], ne pot l’om plus trover (v 965)15
14 Riporto, qui e in seguito, i versi di L1 in trascrizione strettamente interpretativa, limitata dunque agli intereventi di prassi in questo tipo di edizione: scioglimento delle abbreviazioni; separazione tra le parole; distinzione u/v, j/i; normalizzazione delle maiuscole secondo l’uso moderno; introduzione dei segni diacritici, ma non della punteggiatura.
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W: La tierce Alfrique, l’on n’en puet puis trover (v. 246)
L1: Tien en mon gaige se l’oses pencer (v. 225) L3: Ore tien mon gage – se tu ç’osez penser – (v. 982)16
L1: La loy payenne ne prise neant (v. 391) L3: La lei paene ne prise il nïent (v. 1363) W: La loi paiene ne prise il noient (v. 437)
L1: Fel est Girard n’en fera neant (v. 944) L3: Fel est Girard, nel en [e]frait nïent (v. 2062) P2: Que vers Girart ne feroit il noient (v. 1052) W: Que por Carlon ne fera il noient (v. 1180)
Non mancano del resto esempi di versi non attestati nelle versioni edite a disposizione, e che dunque parrebbero innovazioni proprie di L1, in cui l’omissione del soggetto produce un’irregolarità metrica. Qui di seguito qualche caso:
L1: Desi qu’aye ung des tiens detrencé (v. 207) L1: Car ses menaces ne prisons nung gant (v. 289)
2. Presenza/assenza dell’articolo Tendenza abbastanza diffusa all’interno del testo è l’uso di sostantivi non preceduti da un determinante, in particolare dall’articolo. Come rileva Christiane Marchello-Nizia, “en moyen français, il existe encore un certain nombre de cas où, dans la majorité des textes, le substantif est employé sans déterminant ; ce phénomène est lié soit à la fonction syntaxique du substantif, soit à la catégorie sémantique à laquelle il appartient”.17 La studiosa fa riferimento, in particolare, ai sostantivi che designano categorie astratte o concetti generici. Come vedremo negli esempi che seguono, la versione londinese dell’Aspremont, pur non sottraendosi a questa tendenza, estende il mancato uso dell’articolo determinativo anche a sostantivi che si riferiscono a categorie più concrete.
L1: Mais traistres le haӱoient tant (v. 8)18
Il grassetto, qui e negli altri casi, è mio. Il verso risulta tuttavia ipermetro nel primo emistichio. 17 Christiane Marchello-Nizia, Histoire de la langue française au XIVe et XVe siècles, Bordas, Paris, 1979, p. 109. 18 Ipotizzando la soluzione dello iato in traistres, il verso risultante sarebbe un ottosillabo. 15 16
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L1: Avant que Karles se levast sur piés (v. 161) L3: Ainz ke li rois se dresçast sor ses piez (v. 907)
L1: Char prit humaine en Vierge nasquié (v. 461)19
L1: En bataille en val de Timorel (v. 629) L3: En la ‘Bataille al Val de Timorel’(v. 1656) P2: En la bataille ou val de Timorel (v. 649)
L1: Quant duc Nayme ot Aspremont passé (v. 1367)20
Se negli esempi sopra riportati l’assenza di un determinante prima del sostantivo rende il verso ipometro, si registra tuttavia anche un caso opposto, ossia un verso nel quale il copista, introducendo l’articolo in un sintagma formulare, rende il verso ipermetro:
L1: Soubz le ciel n’a home qui t’osast courroucer (v. 53) L3: Sus ciel n’a home qui vus ost curocier (v. 756) P2: Souz ciel n’a home qui vos ost corocier (v. 52) W: Sos ciel n’a home qui vos ost corecier (v. 46).
3. Ammodernamento linguistico Trattandosi di una redazione tarda, la versione dell’Aspremont del codice londinese tradisce una preferenza per forme linguistiche che potremmo definire più ‘moderne’ o comunque più familiari al rimaneggiatore. Tale predilezione compromette in molti casi la misura del verso. Vediamo qualche esempio concreto.
19 Interessante, a mio parere, il caso rappresentato dal sostantivo Vierge il quale, in questo verso, non è preceduto dall’articolo determinativo, il che rende il verso ipometro; poco più avanti tuttavia, precisamente al v. 464, si legge: Pour nous en la Vierge fu encharné (decasillabo con cesura italiana). 20 “Les noms propres de personne, seuls ou précédés d’un nom de titre (sire, messire, monseigneur, dame, maistre, frere, etc) ou du mot saint(e), ne sont pas déterminés, pas plus que Dieu” (Marchello-Nizia, Histoire de la langue française, cit., p. 110). Tuttavia, non mancano nel testo esempi di personaggi citati con un titolo preceduto dall’articolo determinativo : Mais le duc Naymes le veult courber (v. 340); Et le duc Naymes a o soy herbergé (v. 430); Le duc Miles l’avoit maint jour gardee (v. 1139) ecc.
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3.1 Risoluzione degli iati In linea generale, il testo di L1 sembra prediligere le forme con lo iato risolto. Ciò è particolarmente evidente per il perfetto di alcuni verbi, nonché per il pronome meïsmes, ormai bisillabico: 21
L1: Et vous mesmes qui avés la baillie (v. 310) L3: E vus meïsmes qui l’avez en baillie (v. 1094) W: Et vos meïsmes, qui avés en ballie (v. 348)
L1: Vis tu Karle par ma foy sire oal (v. 513) L3: ‒ Veïs tu Karle ? ‒ Par Mahun, sire, oal (v. 1502) P2: ‒ Veïs tu Charle ? ‒ Par ma foi, sire, oal (v. 521) W: ‒ Veïs tu Carle ? ‒ Par Mahomet, oal (v. 565)
L1: Le jour mesmez que je parti de la (v. 560)
L1: L’en en filt pelote pour jouer (v. 905) L3: L’om en feïst pelote pur juer (v. 2019) P2: On en feïst pelote por joer (v. 1004)
L1: Ses hoirs amas et puis les occis / Et ses deulz filles qu’en putaige mis (vv.1064-65) L3: Ses eirs chaças, e lui en occeïs; / Cil ont les terres en qui mains les meïs (vv. 2233-34) P2: Ses oirs chaças et lui an oceïz, / Et ses .ii. filles a putage meïs (vv. 1230-31)
L1: Et lui mesmes cercher et demander (v. 1468) L3: A lui meïme enquere e demander (v. 2734) P2: Et lui meïsmes anquerre et demander (v. 1744) W: A lui meïsme enquerre et demander (v. 2177)
3.2 Forme elise Uno degli aspetti più palesi dell’ammodernamento linguistico operato riguarda l’elisione: in linea generale, possiamo affermare che, ogni qualvolta è possibile, il copista sostituisce le forme elise a quelle estese; praticando l’elisione grafica, egli mostra di non accettare incontri vocalici del tipo Li + vocale, que + vocale, je + vocale ecc.:22 21 In effetti, secondo Marchello-Nizia, ivi, p. 57, “Meïsmes, encore trisyllabique au XIVe siècle […] et au début du XVe […], ne l’est plus par la suite”. 22 Si tratta di casi in cui, in antico e medio francese, la dialefe era piuttosto comune e la sinalefe facoltativa : “-e final suivi de mots monosyllabiques n’est pas nécessairement élidé ; l’élision est faculta-
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L1: L’archevesque se dresce en estant (v. 277) P2: Li arcevesques se leva an estant (v. 302) W: Li arcevesques se dreça en estant (v. 313)
L1: L’emperiere a Balan appellé (v. 396) L3: L’emperere ad Balan apelé (v. 1367)23 P2: Li empereres a Balan apelé (v. 412) W: Li emperere a Balant apielé (v. 441)
L1: Roy Agolant qu’a il empencé (v. 398) L3: Rois Agolant qu’a il enpensé ? (v. 1368)24 P2: Rois Agoulanz, que a il ampensé (v. 414) W: Rois Agolans que il a enpensé ? (v. 443)
L1: Quant j’avray mon message compté (v. 490) L3: Quant jo averai mon message conté (v. 1475)25 P2: Qant je avrai mon mesage conté (v. 499) W: Quant jo avrai mon message conté (v. 539)
L1: Toute l’eslite qu’il peut encercher (v. 793)
L1: S’il se laisse a garçon justicer (v. 1160) L3: Se il se laisse a garçon a conseiller (v. 2346)26 P2: Se il se laisse a garçon conseillier (v. 1336)
In tutti i casi sopra elencati, le forme elise provocano inevitabilmente ipometria. 3.3 Aggettivi e pronomi dimostrativi Dans la langue littéraire de l’Ile-de-France et dans la langue juridique ‘commune’, le double système des formes démonstratives sans -i et de celles avec i- prosthétique
tive, notamment pour ne (< nec), ce, que, je, se (< lat. si), si (lat. sic.) ; souvent elle n’a pas lieu dans li (article) (…). Je et ce ne s’élidaient plutôt pas s’ils gardaient leur forme plus ancienne : jo et ço […]”. (Elwert, Traité de versification, cit., pp. 31-32). 23 Questo verso presenta tuttavia la stessa ipometria di L1. 24 Anche in questo caso, come nell’esempio precedente, il verso è ipometro. 25 Il verso è tuttavia ipermetro nel primo emistichio. 26 Ipermetro il secondo emistichio.
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remonte sans doute au XIVe siècle : Dees n’a relevé aucune forme en i- dans les 120 chartes du XIIIe siècle qu’il a dépouillées (…).27
A differenza di quanto osservato da Christiane Marchello-Nizia, nel nostro testo non compaiono mai le forme dei dimostrativi con i- protetica, che avrebbero evitato, nei casi che elencherò, l’ipometria del verso:
L1: Et tous ceulz qui si t’ont conseillé (v. 196) L3: E tot icels qui ço t’ont conseillié (v. 948) P2: Et toz içaus qui ce t’ont conseillié (v. 223) W: Et tols icels qui tolt t’ont consellié (v. 229)
L1: A ce mot est la chartre finie (v. 315) P2: A icest mot est la charte fenie (v. 342) W: A icest mot est la cartre fenie (v. 355)
L1: A ce mot a finé sa raison (v. 699) L3: A icel mot abaisse sa raison (v. 1759) P2: A icest mot abaissent lor raison (v. 746) W: A icest mot abassa li tençon (v. 811)
3.4 Scelte verbali Per quanto riguarda le forme verbali, possiamo notare che, in presenza di voci alternative, sinonimiche, o di verbi che conoscono, a parità di significato, una forma semplice e una forma composta (prirent/porprirent), il copista predilige i lemmi o le forme più vicini all’uso moderno, anche a scapito della regolarità del verso.
L1: Plaise vous escouter bonne chançon | vailant (v. 1) L3: Plaist vus oïr bone chançon vaillian (v. 705) P2: Plaist vos oïr bonne chançon vaillant (v. 1) W: Plaist vos oïr bone cançon vallant (v. 1) L1: Tint son gant destre en son poing ployé (v. 187)
27 Ivi, p. 132. Di diverso avviso Mildred Katharine Pope, che nel suo From Latin to Modern French with especial consideration of Anglo-Norman, The University Press, Manchester, 1952, p. 325, scrive: “In Late Latin the demonstrative pronouns gradually lost force and were often strengthened by combination with the particle ecce […] and it is these compounded forms that are the starting-point of the Old French demonstrative pronouns and adjectives: cil, cist, ço. The initial syllable of these strengthened forms was slurred early, under conditions not yet fully determined, but in the course of Early Old French the analogical forms icil, icist, iço were created under the influence of the adverb ici […]”.
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DORIANA PIACENTINO L3: Tint son gant destre entre ses poinz pleié (v. 939) P2: Et tint son gant an son poing amploié (v. 214)
L1: Quant le roy l’entend a poy ne meurt d’irour (v. 326) L3: Li rois l’entent, a poi n’est mort d’irur (v. 1114)28 P2: Qant li rois l’ot, par poi ne muert d’iror (v. 354) W: Ot le li rois ; a poi ne muert d’iror (v. 370)
L1: Quant Balan l’entendi se leva en estant (v. 596) L3: Quant Balan l’ot, si se leve en estant (v. 1615) P2: Qant Balanz l’ot, si se dresce an estant (v. 608)
L1: Dessur une eave leurs herbeges prirent (v. 1203) W: Desor une eve lor herberges porprirent (v. 1690)
L1: Ne de venin ne sera empoisonné (v. 1859) P2: Ne de venin de serpent poisonné (v. 2179)
4. Semplificazione stilistica Riunisco sotto questa “macro-categoria” fenomeni linguistici anche diversi tra loro, ma che sembrano essere espressione di una tendenza diffusa nella versione londinese dell’Aspremont, in cui il rimaneggiatore, quando possibile, preferisce costruzioni sintattiche semplificate, scorrevoli o, per così dire, “snelle”. Tale tendenza, ancora più evidente nel confronto con le versioni di “controllo” della chanson, si palesa attraverso delle “abitudini” scrittorie ricorrenti. Qualche esempio concreto servirà a chiarire meglio quanto detto. 4.1 Introduttori di proposizioni Quando non lede il senso della frase, il copista generalmente tralascia l’uso di introduttori di proposizioni, preferendo un attacco lineare ed essenziale: ciò però compromette in molti casi la regolarità metrica.
L1: Dist Balan assés en as parlé (v. 488) L3: «E, dist Balan, assez en as parlé (v. 1473)
28 Il rimaneggiatore opera la medesima scelta verbale, producendo tuttavia un verso regolare ; l’introduttore di proposizione della nostra versione, invece, causa l’ipermetria del primo emistichio.
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P2: Et dist Balanz: «Assez an as parlé (v. 497) W: Et dist Balans: «Assés en as parlé (v. 537)
L1: Dist Girart j’ay tout ce oublïé (v. 931) L3: Ço dist Girard: «Ore m’en as amembré (v. 2049) W: Et dist Gerars: «Or le m’as ramenbré (v. 1164)
L1: François l’ont regardé et veüs (v. 1269) L3: Quant Franceis l’ourent esgardé e veü (v. 2501)
L1: En bataille fu bel et estorteux (v. 1501) L3: E en bataille felun e est(u)reus (v. 2766) P2: Et an bataille fel et de bons trestors (v. 1776)
L1: Avec eulx damp Jupiter le grant (v. 2331)29
4.2 Congiunzioni correlative Tra gli elementi che il rimaneggiatore sembra considerare pleonastici, va certamente annoverata la congiunzione et utilizzata per istituire una correlazione. Il testo registra, infatti, in molte occasioni, l’assenza della congiunzione in strutture di questo tipo, con la conseguente perdita di una sillaba.
L1: Balan fut bel parfait et creüz (v. 581) L3: Balan fu grant e bel e parcreü (v. 1576) P2: Balanz estoit et granz et bien corsuz (v. 591) W: Balans fu grans et fors et parcreü (v. 639)
L1: D’or et d’argent de fer et d’acier (v. 788) L3: D’or et d’argent, de fer e d’acier (v. 1874)30 P2: D’or et d’argent et de fer et d’acier (v. 859) W: D’ot et d’argent et de fier et d’achier (v. 910)
L1: Garissez hui moy et mon cheval (v. 1327) W: Garissiés hui et moi et mon ceval (v. 1940)
29 Il corrispondente verso nell’edizione Suard risulta anch’esso ipometro, ma nel secondo emistichio (Et avec aus Jupiter le grant, v. 2658); esso manca del tutto invece nell’edizione Brandin, il quale colma la lacuna ricorrendo al manoscritto P1, che legge: Et Apollin et Jupiter le grant, v. 3375. 30 Il testimone presenta la stessa ipometria di L1.
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L1: Tant saietes tant arc qui destent (v. 2396) P2: Et tant saiestes et tant ars qui destent (v. 2776)
Una tendenza simile si riscontra anche nel caso della congiunzione ne, sebbene l’uso ‒ in strutture del tipo ne…ne ‒, non sia del tutto assente nel testo:
L1: N’a en la ville oisel ne dainctié (v. 431)
L1: Bourg ville riviere ne boscal (v. 971)
L1: Bourc ne ville ne maison ne bordel (v. 1384) L3: Ne borc ne vile, ne maison ne bordel (v. 2624)
L1: Les chevaulz n’ont beü ne mengé (v. 3294)31 L3: Lor chevals n’unt ne beü ne mangié (v. 4886) W: Lor ceval n’ont ne beü ne mangié (v. 4591) L1: Onc ne mengerent char ne poisson (v. 3420)
4.3 Discorso diretto/indiretto Anche le formule utilizzate per riportare un discorso risentono, in linea generale, di un’abitudine alla semplificazione. In modo più specifico, tali formule vengono normalmente private dell’introduttivo ce.32
L1: Messager frere lui a dit Karlon (v. 410) L3 : «Frere message, ço dist li rois Karlon (v. 1390) P2: «Mesagier frere, ce li a dit Charlon (v. 430) W: ‒ Messagier, frere», cho dist li rois Carlon (v. 461)
L1: Dit Balan je vous ay bien servis (v. 656) L3 : «Ço, dist Balan, jo vu ai tuz norriz (v. 1688) P2 : Ce dist Balanz : «Je vos ai toz norriz (v. 680)
Tuttavia, considerando beu monosillabo, il verso risulterebbe ottosillabico. Ricorda Marchello-Nizia, Histoire de la langue française, cit., p. 351, che “il est des types d’insertion moins nettamente définis: […] le plus souvent, le discours rapporté est d’abord inséré sous forme de discours indirect, celui-ci faisant place tout à coup au discours direct, et les éditeurs, perplexes, ne savent pas toujours où placer les guillemets ; il arrive que cette irruption du discours direct soit abrupte”. 31 32
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4.4 Modificatori Se messo a confronto con le altre versioni edite dell’Aspremont, il testo tràdito dal codice londinese mostra una sintassi ‘alleggerita’ dall’assenza di modificatori generici della frase. Ogni qualvolta è possibile, infatti, il rimaneggiatore omette, per esempio, specificazioni avverbiali e, pur producendo frasi di senso compiuto, realizza versi metricamente irregolari.
L1: Ja le tendront a mal li plusiour (v. 329) L3: Ja le tendrei[en]t a mal tut li plusor ! (v. 1117) P2: Ja le tenroient a mal tuit li plusor (v. 357) W: Ja le tenroient a mal tolt li plusor (v. 373)
L1: A mal le tiennent mes compaignon (v. 695) L3: K’a mal le tenent tuit mi compaignon (v. 1755) P2: A fol m’en tienent trestuit mi compaignon (v. 743)
L1: Maintenant lui fait le bref livrer (v. 774) P2: Tot maintenant li fist le brief livrer (v. 847)
L1: Et .c. chateaulz par divisïon (v. 1129) W: Et cent castials tolt par devisïon (v. 1539)
L1: Tes toy lycherre trop as parlé (v. 1440) L3: «Teis tei, lechere, ore en as trop parlé (v. 2692) P2: «Tais toi lechierres, or en as trop parlé (v. 1703) W: «Tais toi, leciere, trop par en as parlé (v. 2128)
L1: Ains qu’ayez toute France saisie (v. 1801) P2: Ainz qu’aiez ja tote France saisie (v. 2121)
5. Ottosillabi Sebbene vadano considerati, a rigor di logica e tenuta in considerazione la norma, dei casi di irregolarità metrica, gli ottosillabi meritano, a mio parere, una trattazione a sé stante. Non perché rappresentino, nel campione analizzato, una percentuale particolarmente rilevante (ricordo che se ne contano, nella porzione di testo analizzato, 206), quanto piuttosto perché la nostra versione ne offre esempi, talora anche in serie di due versi, che non trovano alcuna corrispondenza nei testi di controllo editi da de Mandach, da Suard e da Brandin, e che potrebbero dunque essere del tutto originali, a dimostrazione di una consuetudine del rifacitore, allor-
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ché di propria iniziativa interpola, a maneggiare questa misura anziché il più ‘datato’ décasyllabe epico. Alcuni dei versi che contano otto posizioni metriche attestano talune delle tendenze sopra riportate, talvolta presentando sia nel primo che nel secondo emistichio il medesimo fenomeno, in altri casi presentando nei due emistichi due fenomeni diversi. Ad esempio la preferenza per l’uso di forme elise
L1: S’il tant fait qu’il ne vous occie (v. 313) L3: S’il tant fait k’il ne vus occie (v. 1096)33 P2: Se il tant fait que il ne vos ocie (v. 338) W: Se il tant fait que il ne vos ocie (v. 351) L1: S’il vous treuve en champ par egal (v. 523) L3: S’il vus i trove, gent a gent perigal (v. 1510)34 P2: Se il te trueve de gent a par igal (v. 530)
la scelta, a parità di significato, di forme verbali semplici
L1: Qu’Agolant lui a creanté (v. 1806) P2: Que Agolanz li a acreanté (v. 2126)
L1: Se ne l’ont avec eulz portee (v. 2044) L3: Si ne l’orent en lur ost aportee (v. 3386) W: Se il ne l’ont en lor ost aportee (v. 2926)
la più generale tendenza alla ‘semplificazione’ stilistica
L1: Girart est fier et meldisant (v. 854) L3: Girard est fier e fel e mal disant (v. 1953) P2: Girarz est fiers et fels et mesdissant (v. 942)
L1: Alon tost parler au portier (v. 993) L3: Car alom hore parler al porter (v. 2131)35 P2 : Car alons ore parler a cest portier (v. 1143)
L1: Seigneurs je vous ay tous nourris (v. 1040) L3: «Par foi, fait il, jo vus ai tuz norriz (v. 2210)
Ottosillabo come in L1 Questa versione attesta la stessa forma elisa presente in L1, compensata tuttavia dall’introduzione della particella i. 35 Il secondo emistichio è comunque ipometro. 33 34
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W: «Segnor», dist il, «jo vos ai tols noris (v. 1430)
L1: Les siens appelle yreement (v. 2482) L3: Sa gent apele, trestut irreement (v. 3892) P2: Les siens apelle tot et delivrement (v. 2880)
Sono però a mio parere più interessanti, perché più rappresentativi dell’originalità di questa versione, gli ottosillabi che risultano, allo stato attuale della ricerca, propri del testo londinese, probabilmente frutto, come accennato, di un’abitudine scrittoria del nostro rimaneggiatore, più avvezzo alle forme narrative in octosyllabes. Ne citerò qui di seguito alcuni, a titolo esemplificativo, scelti per lo più in lasse che, seppur presenti nelle nostre edizioni di riferimento, non consentono un confronto puntuale tra i versi:
Au tref Balan s’est presenté / Or argent lui offre a planté (vv. 1878-79)
Onc nul hom n’ama tant seigneur (v. 1947)
Cellui de Meaulz le preulz le gent (v. 2080)
N’y a nul tant petit ne grant (v. 2211)
Parmy le corps je vous di voir (v. 2290)
Mantel d’ermine ot entour soy (v. 2522)
Sault sur Elmon au poing s’espee (v. 2601)
Tous ceulz eurent nobile harnois / Haubers et heaumes a orfrois (vv. 2682-83)
Maint pié mainte teste couppee / Les champz sont plains d’une loé (vv. 3263-64)
Conclusioni I dati riportati in questo contributo sembrano mostrare, dunque, che il copista della versione dell’Aspremont contenuta nel codice Royal 15 E VI, poco attento o del tutto indifferente alle esigenze del decasillabo, generalmente ‘distratto’ e forse esercitato, per lo più, a copiare testi romanzeschi, sottopone il nostro testo a un trattamento metrico del tutto personale, che risente, come ho già avuto modo di dire, più delle sue abitudini scrittorie che di un consapevole esercizio di stile. E tuttavia il testo, pur nella sua complessità, e nonostante le innumerevoli inesattez-
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ze formali, risulta, alla lettura, molto spesso scorrevole e linguisticamente ‘familiare’. Il risultato dell’ammodernamento linguistico, la linearità e la sinteticità della sintassi, la semplificazione operata all’estremo, talvolta anche su formule epiche rigidamente codificate, non rimandano infatti quasi mai un’idea di trascuratezza, 36 quanto piuttosto di originale adeguamento di contenuti e forme a una lingua che è evidentemente in piena e continua evoluzione. Tutto ciò rende, se possibile, l’oggetto della ricerca ancora più stimolante.
Università di Napoli L’Orientale
36 Del resto, come si è detto, L1 è un manoscritto lussuoso offerto in dono a una principessa che sta per diventare regina consorte.
LAURA MINERVINI Sui frammenti epici della moschea di Damasco (Fierabras, lasse 106-108, 117-118)
Nel 1903 Titus Tobler ha fornito un’eccellente edizione dei frammenti del Fierabras conservati nel tesoro della moschea di Damasco, nell’ambito di un importante articolo in cui identificava e pubblicava tutti i reperti antico-francesi della stessa origine.1 A distanza di oltre un secolo vale la pena di tornare a ragionare su questo materiale, rileggendolo alla luce della più recente edizione critica del poema, basata su una tradizione manoscritta in parte ignota ai tempi di Tobler. 2 La possibilità di accedere alle fotografie dei frammenti epici, conservate presso la Staatsbibliothek di Berlino, consente inoltre di offrire una nuova edizione del testo e di aggiungere qualche osservazione che integri il lavoro impeccabile del grande filologo tedesco. Prima converrà ripercorrere rapidamente le vicende che hanno portato a Berlino, all’inizio del Novecento, questo singolare corpus documentale proveniente dalla Siria.3 La grande moschea (ǰāmi‘) di Damasco, costruita dai califfi umayyadi sul sito della basilica di San Giovanni Battista, fu dotata nel 789 dal governatore della città Fāḍl ibn Sālih di una costruzione ottagonale su colonne romane, detta Qubbat al-ḫasna ‘cupola del tesoro’; questa, destinata alle donazioni caritative della fondazione della moschea (waqf), è stata anche usata nei secoli come deposito – in teoria solo temporaneo – di scritti di vario genere considerati sacri e perciò da distruggere secondo disposizioni rituali.4 Il particolare interesse del caso damasceno – non unico in ambito ebraico e islamico – consiste nella compresenza di testi in una gran varietà di scritture e lingue (arabo, greco, armeno, copto, ebraico, aramaico, geor1 Titus Tobler, “Bruchstücke altfranzösischer Dichtung aus den Kubbet in Damaskus gefundenen Handschriften”, Sitzungberichte der Königlich Preussichen Akademie der Wissenschaften, 16, 1903, pp. 960976. 2 Marc Le Person (a c. di), Fierabras: chanson de geste du XIIe siècle, Champion, Paris, 2003; l’editore conosce e usa i versi nell’edizione Tobler, poiché ritiene erroneamente che non esistano riproduzioni del frammento: cfr. p. 49. 3 Queste vicende sono state recentemente ripercorse da Paolo Radiciotti e Arianna D’Ottone, “I frammenti della qubbat al-ḫazna di Damasco. A proposito di una scoperta sottovalutata”, Nea Rhome, 5, 2008, pp. 45-74; Arianna D’Ottone, “Manuscripts as Mirror of a Multi-lingual and Multi-cultural Society. The Case of the Damascus Find”, in Barbara Crostini e Sergio La Porta (a c. di), Negotiating CoExistence. Communities, Cultures and ‘Convivencia’ in Byzantine Society, Wissenschaftlicher Verlag Trier, Trier, 2013, pp. 63-88, cui si rimanda per ulteriore bibliografia. 4 Per queste pratiche di conservazione e distruzione di documenti e manoscritti cfr. Joseph Sadan, “Genizah and Genizah-like Practices in Islamic and Jewish Traditions”, Bibliotheca Orientalis, 43, 1964, pp. 73-85; Jonas Svennson, “Relating, Revering, and Removing: Muslims Views on the Use, Power and Disposal of Divine Words”, in Kristina Myrvold (a c. di), The Death of Sacred Texts. Ritual Disposal and Renovation of Texts in World Religions, Ashgate, Farnham (UK) - Burlington (VT), 2010, pp. 31-54.
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LAURA MINERVINI
giano, latino e antico-francese), a testimonianza dell’alto grado di multigrafismo e plurilinguismo tipico della società urbana mediorientale nel medioevo. La maggior parte di questo materiale si inquadra nella storia linguistica della regione di Damasco, contribuendo a illuminarne alcuni snodi importanti.5 E tuttavia per i frammenti latini e soprattutto per quelli antico-francesi si deve plausibilmente pensare a una provenienza allogena – si sarà trattato di testi redatti in Europa o in Terra Santa, e arrivati a Damasco per vie diverse, su cui non sappiamo nulla di certo. Per secoli questo ricco deposito di materiale librario resta inaccessibile e il suo contenuto ignoto. Solo ai primi del Novecento un particolare intreccio di circostanze ne provoca l’apertura e conduce alla scoperta e alla divulgazione di alcuni dei suoi tesori: da una parte i progressi della filologia biblica e neotestamentaria – con ritrovamenti fondamentali come quelli del Codex Sinaiticus e dei papiri di Oxyrhyncus – spingono gli studiosi sulle tracce della più antica tradizione manoscritta dei testi sacri ebraici e cristiani; dall’altra il Vicino Oriente diventa una pedina importante nello scacchiere politico delle potenze europee, come testimonia il viaggio dell’imperatore Gugliemo II (1898) in Siria e Palestina, con visita a Gerusalemme e a Damasco (e alla sua moschea). Sarà un professore di teologia e cultore di studi neotestamentari, Hermann von Soden, a trovare i finanziamenti privati e gli appoggi politici necessari all’organizzazione di una spedizione di ricerca mirata; il filologo Bruno Violet arriva dunque nella primavera del 1900 a Damasco su incarico della Kirchenväter-Commission della Königlich Preussische Akademie der Wissenschaften di Berlino e, grazie ai buoni auspici delle autorità prussiane e di quelle ottomane, riesce ad avere accesso al tesoro della moschea. La tradizione locale vorrebbe che qui siano custoditi i manoscritti cristiani saccheggiati dai musulmani al momento della conquista della città (638), ma Violet non tarda a rendersi conto della sua infondatezza: la maggior parte del patrimonio librario e documentario, spesso in cattivo stato di conservazione, è in realtà relativa alla tradizione culturale e religiosa arabo-islamica (Corani, certificati di pellegrinaggio, letteratura araba e turca), ma quella cristiana non è del tutto assente né qualitativamente irrilevante.6 Violet capisce allora di trovarsi in presenza di un
5 Per es. l’arabizzazione e l’islamizzazione della burocrazia, a partire dall’VIII secolo, porta alla decadenza del greco come lingua liturgica e di cultura e rende evidente, con l’emergere di testi in armeno e in siriaco, la diversità linguistica delle comunità cristiane locali, per le quali l’arabo non può avere nell’immediato funzioni unificanti dal punto di vista grafico; cfr. Radiciotti e D’Ottone, “I frammenti della qubbat al-ḫazna di Damasco”, cit., pp. 55-56; D’Ottone, “Manuscripts as Mirror of a Multi-lingual and Multi-cultural Society”, cit., pp. 73-74. 6 La delusione per la scarsa importanza dei testi rinvenuti, nella prospettiva degli studi neotestamentari e in paragone con le scoperte sensazionali dei decenni precedenti, è espressa chiaramente da Hermann von Soden, “Berich über die in der Kubbet in Damaskus gefundenen Handsschriftenfragmente”, Sitzungberichte der Königlich Preussichen Akademie der Wissenschaften, 16, 1903, pp. 825-830, a p. 826. Per una rivalutazione di questo materiale cfr. Radiciotti e D’Ottone, “I frammenti della qubbat al-ḫazna di Damasco”, cit., pp. 50-56.
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equivalente islamico della genizah ebraica del Cairo, scoperta nel 1896 da Salomon Schechter;7 si mette alacremente a lavorare alla catalogazione del materiale, ne seleziona una certa quantità e ne organizza il trasferimento a Berlino. Questo materiale pergamenaceo e cartaceo è conservato per sei anni (1903-1909) presso la Museumbibliothek, a disposizione degli specialisti di diverse discipline; viene poi riportato a Damasco – una parte cospicua sarà spostata in seguito al Türk ve-İslam Eserleri Müzesi di Istanbul, mentre il resto sembrerebbe esser rimasto in città. 8 La Staatsbibliothek di Berlino conserva però 53 fotografie di testi in diverse lingue e scritture, che sono attualmente disponibili online.9 Come si è detto, si deve alla competenza e all’acume di Titus Tobler l’edizione, l’identificazione e lo studio dei frammenti antico-francesi: si tratta di 38 versi della Vie de sainte Marie l’égyptienne,10 di un pometto in senari rimati a coppie sulla gravidanza miracolosa di Maria, ispirato forse a un testo omiletico di S. Agostino,11 e delle cinque lasse del Fierabras, per un totale di 119 versi, di cui ci si occuperà più dettagliatamente.12 Questa celebre chanson de geste del Ciclo del Re, composta verso il 1190,13 fonde le leggende relative alla spedizione di Carlo Magno in Spagna con quelle delle reliquie della Passione conservate nella basilica di Saint-Denis. Come altri poemi epici dell’epoca, fa uso di lasse di alessandrini monorimi e accoglie elementi dell’universo romanzesco e cortese; questo contribuisce a spiegare il suo successo, 7 Bruno Violet, “Ein zweisprachiges Psalmfragment aus Damascus”, Orientalische Literatur-Zeitung, 4, 1901, pp. 384-403, 425-441, 475-488, a p. 384. 8 Cfr. Dominique Sourdel e Janine Sourdel Thomine, “Nouveaux documents sur l’histoire religieuse et sociale de Damas au Moyen Âge”, Revue des études islamiques, 32, 1964, pp. 1-25; Eid., “À propos des documents de la Grande Mosquée de Damas conservés à Istanbul. Résultats de la seconde enquête”, Revue des études islamiques, 33, 1965, pp. 73-85. Per i frammenti coranici conservati presso il Museo Nazionale di Damasco, cfr. Radiciotti e D’Ottone, “I frammenti della qubbat al-ḫazna di Damasco”, cit., pp. 60-63; D’Ottone, “Manuscripts as Mirror of a Multi-lingual and Multi-cultural Society”, cit., pp. 74-76. Frammenti biblici in greco, siriaco, arabo, copto e armeno sono stati identificati nello stesso museo (cfr. Radiciotti e D’Ottone, “I frammenti della qubbat al-ḫazna di Damasco”, cit., p. 49); nulla si sa della collocazione attuale dei frammenti latini e antico-francesi. 9 Photographien von ausgewählten Stücken der christlich-orientalischen Fragmenten aus der Omeyeden-Moschee in Damaskus, cfr. (05/15). 10 Cfr. Tobler, “Bruchstücke altfranzösischer Dichtung”, cit., pp. 966-969; si veda anche l’edizione di Peter F. Dembowski, La vie de sainte Marie l’égyptienne. Versions en ancien et en moyen français, Droz, Genève, 1977, pp. 27, 54, 96-97; i versi del frammento corrispondono ai vv. 967-1004 dell’edizione Dembowski. 11 Cfr. Tobler, “Bruchstücke altfranzösischer Dichtung”, cit., pp. 969-976; il poemetto è copiato nei primi quattro fogli di un piccolo codice pergamenaceo, un quaternione cui è stato legato un quinto foglio; segue, al fol. 4v, un testo di difficile decifrazione (secondo Tobler uno scongiuro in latino); al fol. 5r-5v, un breve testo latino con notazione musicale, e, nella parte inferiore del fol. 5v, ancora 8 righe di altra mano (forse un incantesimo in greco in caratteri latini). 12 Cfr. ivi, pp. 960-966. 13 Cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 139-144.
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testimoniato dalla ricca e complessa tradizione manoscritta, nonché dalla presenza di rielaborazioni e riscritture in varie lingue europee.14 I frammenti di Damasco sono conservati su un bifolio pergamenaceo, in origine esterno di fascicolo;15 ogni foglio, di cm. 19.5 x 11 ca., ha un’unica colonna di scrittura di 30 righe, corrispondenti a 30 versi, tranne l’ultimo foglio (fol. 2 v.), in cui un solo verso (v. 99) è diviso fra due righe, forse per seguire da vicino il modello di copia. Le iniziali di verso sono separate dal verso da un piccolo spazio bianco; l’inizio di lassa prevedeva un’iniziale di dimensioni maggiori, estesa su due unità di rigatura, e segnalata da una letterina guida nel margine sinistro – queste iniziali non sono però state eseguite. La scrittura è piuttosto accurata e presenta un ricco sistema di abbreviazioni, utilizzate anche quando non condizionate dalla pagina; il copista verifica e corregge quanto copiato (vv. 61, 82, 117), ma gli sfugge qualche lapsus calami (vv. 54 e 75). Il manoscritto cui è appartenuto il fascicolo, di piccolo formato e dalla decorazione povera, si può ascrivere alla tipologia libraria dei manoscritti detti “de jongleur”, spesso supporto di testi epici; la cosa non è peraltro in contrasto con un trascrittore che dimostri, nell’uso frequente di abbreviazioni, una certa familiarità con la copia di testi latini.16 In base a elementi paleografici e codicologici, il frammento si può attribuire alla prima metà del XIII secolo:17 siamo dunque in presenza di un testimone precoce della canzone di Fierabras, la cui tradizione manoscritta è per lo più tardoduecentesca e trecentesca.18 I 119 versi del frammento damasceno non sono continui: i primi 60 (corrispondenti ai vv. 4221-4280 dell’edizione Le Person), copiati sul retto e sul verso del primo foglio, sono seguiti dai successivi 59 (corrispondenti ai vv. 4624a-4678
14 Il poema antico-francese è conosciuto in una redazione lunga, tràdita da 12 manoscritti, interi o frammentari, e in una redazione breve, tràdita da un solo manoscritto; accanto a queste va considerata la versione occitanica, basata su un originale francese diverso da tutti quelli noti, ma utilizzato probabilmente anche nella Chronique rimée di Philippe Mousket; cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 52-56, 144-159. 15 Il frammento reca traccia di una catalogazione scritta nel margine superiore in numeri indo-arabi: 219/5 (= fol. 2v), 220/5 (= fol. 2r), 221/5 (= fol. 1v), 222/5 (= fol. 1r), a partire dall’ultimo foglio fino al primo, cioè nel senso di lettura da destra a sinistra. Il numero 5 sembra far riferimento al lotto di documenti: sul verso e sul retto del foglio della Vie de sainte Marie l’égyptienne si trovano infatti i numeri 229/5 e 230/5. 16 Si veda il caso analogo del Raoul de Cambrai del ms. BnF, fr. 2493, analizzato da Maria Careri in Ead., Françoise Féry-Huet, Françoise Gasparri, Genevière Hasenohr, Album des manuscrits français du XIIIe siècle. Mise en page et mise en texte, Viella, Roma, 2001, pp. 43-45. Per la categoria controversa del manoscritto ‘de jongleur’ cfr. ivi, p. XVI; Maria Careri e Giovanni Palumbo, “Pratiques de «lecture» des chansons de geste: le cas de la Chanson d'Aspremont”, in Xavier Hermand, Etienne Renard e Céline van Hoorebeeck (a c. di), Lecteurs, lectures et groupes sociaux au Moyen Âge, Brepols, Turnhout, 2014, pp. 1-21, alle pp. 6-8. 17 La valutazione è di Maria Careri, che molto ringrazio per la sua preziosa consulenza. 18 Quattro dei dodici testimoni del testo antico-francese (redazione lunga) risalgono al XIII secolo, sei al XIV e due al XV; cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 139-144.
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dell’edizione Le Person) copiati sul retto e sul verso del secondo foglio; in mezzo, ipotizzando che il fascicolo fosse un quaternione e su ogni foglio fossero copiati 30 versi, avremmo 360 versi mancanti. Il numero è sensibilmente più alto di quello offerto dal manoscritto base dell’edizione Le Person (E = Bibl. Escorial, M III-21), che conta 343 versi, ma a questi si possono aggiungere 19 versi ricavati dagli altri manoscritti.19 La collocazione del frammento di Damasco (T) all’interno della tradizione manoscritta del Fierabras è discussa da Le Person, sulla base della bibliografia precedente e delle proprie ricerche.20 In sintesi, i due manoscritti migliori per completezza del testo e conservativismo dei copisti sono il già citato E, della fine del XIII secolo, e A (BnF, fr. 12603), dell’inizio del XIV; essi appartengono a due redazioni diverse, dette X e Y, a cui si riconducono tutti i testimoni conservati. All’interno di X si individuano i sottogruppi α, β e γ, i primi due più vicini fra loro rispetto al terzo; T, insieme a D (Louvain, Bibl. Univ. Catholique, G 171), della seconda metà del XIII secolo, costituisce il sottogruppo α. Le Person sembra però condividere le perplessità di André de Mandach sulla posizione di T, che sarebbe più prossimo a E (sottogruppo β) che a D.21 Per quanto sia difficile esprimersi sull’argomento non avendo a disposizione la varia lectio nella sua totalità e, soprattutto, mancando un’edizione di D (distrutto da un incendio nel 1940 e conosciuto solo in modo frammentario),22 i rapporti di T con D appaiono, alla luce dell’analisi dei versi conservati, senz’altro più stretti che con E: in cinque casi T e D condividono un verso assente in E (vv. 61, 72, 83, 88, 105 = vv. 4624a, 4634a, 4644a, 4648a, 4664a ed. Le Person);23 in un altro caso (v. 95 = v. 4655 ed. Le Person) T condivide con D una lezione del tutto diversa da quella di E.24 Inoltre, considerando la differenza di 17 19 Cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 366-380, con le note a pp. 474-477, 522-527. L’editore numera i versi secondo il ms. E, mentre per i versi aggiunti a testo tratti dagli altri mss. usa le lettere. 20 Cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 80-81. 21 Ivi, pp. 50, 81. I riferimenti sono a André de Mandach, Naissance et développement de la chanson de geste en Europe: V, La Geste de Fierabras: le jeu du réel et de l’invraisemblable, avec des textes inédits de D, Droz, Genève, 1987; e a Rudolf Mehnert, Neue Beiträge zum Handschriftenverhältnis der Chanson de Geste Fierabras d’Alixandre, Buchdr. des Weisenhauses, Halle, 1938, cui si deve la sistemazione complessiva dei rapporti stemmatici. 22 Cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 26-34. 23 Il ms. A condivide con T e D i vv. 61, 72, 83, 105, così come il ms. B (= BnF, fr. 1499, seconda metà del XV secolo) e il frammento V1 (BAV, Reg. lat. 1616, inizio XIV secolo); il ms. H (= Hannover, Niedersächsische Staatsbibl., IV-578, inizio XIV secolo) i vv. 72, 83, 88, 105; il ms. L (BL, Royal 15 E VI, XV secolo) il v. 88. B, V1 e H appartengono alla redazione Y; L alla redazione X (sottogruppo γ). 24 Chele fiere parole less a si amaté E; Por le sairement Karle furent si aquee T; Por le sairement K. furent si aqussé / angesseé ? D. Negli altri manoscritti formulazioni simili, con diverso participio passato (espoenté A, acoisé B, agusée H, apaisez L, avoglé V1). Da notare anche la lezione corrotta di E al v. 4255: Toute est oreille (?) et pie par devant veroillez, cui corrisponde: Tos estoit comme pie par devant vairelés T (v. 35), comune agli altri manoscritti (cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 474-475). Nel caso di: Ja vos porriez veoi(e)r batu et tout sanglant E (v. 4630); Vos esserïés ja batus moult malement T (v. 67), l‘apparato non fornisce indicazioni, perciò non si può dire se la lezione di T sia isolata. Stesso discorso per la varianza a livello di emistichio, e.g. vv. 3 T (v. 4223 E), 23 T (v. 4243), 94 T (v. 4654 E), 80
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versi fra il testo di E e quello che avrebbero offerto i tre fogli mancanti di T, qualora vi fossero stati copiati 30 versi su ogni pagina, si può osservare che D presenta, in questo segmento testuale, 15 versi assenti in E, avvicinandosi così alla fisionomia che plausibilmente poteva avere T.25 Dal punto di vista linguistico, T mostra qualche isolato piccardismo (chevauce v. 5, piertris v. 30, ivore v. 36, aprouça v. 48, vo lignage v. 72), ma nel complesso è dialettalmente meno caratterizzato di E.26 Le forme grafiche destorber per destorbés (v. 54), ferir per feri (v. 75), der (con r espunta) per de (v. 82) e devisés (con s espunta) per devisé (v. 117) segnalano l’indebolimento o il dileguo di /r/ e /s/ in posizione finale di parola nella varietà propria del copista. 27 È caduca anche /r/ postconsonantica, come mostra la forma ipercorretta maintre per mainte (v. 81). Si offre di seguito la trascrizione di T, inserendo divisione delle parole, maiuscole, accenti e punteggiatura, sciogliendo le abbreviazioni in corsivo e distinguendo u da v, i da j.
fol. 1r [vv. 1-30 = vv. 4221-4250 ed. Le Person] Et paien s’en tornerent environ et en lés Aprés Richart le conte es les acheminés. Or le conduie Dex par ses saintes bontés, Car moult iert pres de mort ains que jors soit finés. Or chevauce Richars li frans dus tos iriés
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T (v. 4642 E), etc., o di parola, e.g. v. 2 T (v. 4222 E), v. 28 T (4248 E), v. 65 T (v. 4628 E), v. 114 T (v. 4673 E), etc. 25 Presenti, come quelli precedentemente citati, anche in altri manoscritti, in diverse configurazioni, cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 475-477. 26 Cfr. charbons T (v. 28) : carbons E (v. 4248); chevax T (v. 38) : cevaux E (v. 4258); escheletes T (v. 40) : esquelletes E (v. 4260); cités T (v. 59) : chitez E (v. 4279); ço T (v. 64) : chen E (v. 4627); France T (v. 103) : Franche E (v. 4663); face T (v. 94) : fache E (v. 4654); ocire T (v. 102) : ochirre E (v. 4662), etc. Per i tratti normanni e piccardi del ms. E cfr. Le Person, Fierabras, cit., pp. 34, 87-119. Dal punto di vista lessicale, è interessante la forma buiriax di T (v. 29), variante dell’a.fr. bourel, discussa da Tobler, Bruchstücke alfranzösischer Dichtung, cit., p. 965; cfr. anche Le Person, cit., pp. 474-475, relativamente alla problematica lezione burert (bur ert?) di E (v. 4249). 27 Cfr. anche desrengier (v. 14) per un più probabile per desrengiés (come in E). Nel caso di levrier (v. 17) la rima richiederebbe una forma in -és (dunque levriers, con dileguo di /r/ preconsonantica nella pronuncia), ma trattandosi di un obliquo la forma senza -s è grammaticalmente corretta; al contrario, ai vv. 18 e 46 si trovano talliés e orés al caso obliquo in lasse in -és, e al v. 86 alé al caso retto in una lassa in -é. La declinazione bicasuale è in genere rispettata in T, un po’ meno in E: Aprés Richart le conte T (v. 1) : Après li dus Richart E (v. 4222); li frans dus T (v. 5) : le frans dus E (v. 4245); fu fais et devisés T (v. 26) : fu fait et figurez E (v. 4246); li chevax gotés T (v. 30) : le ceval gotez E (v. 4250); li estrier sont T (v. 39) : les estriers furent E (v. 4259); li services T (v. 55) : le servises E (v. 4275); li cors Deu T (v. 76) : li cors Dex E (v. 4639); que cosin que parent T (v. 82) : que cosims que parent E (v. 4644); tot assanblé T (v. 100) : touz assemblé E (v. 4660), etc.
Sui frammenti epici della moschea di Damasco A .i. tertre monter li avint grans meschiés: Ses bons destriers li est de sous lui estanchiés Quant li dus l’a veü moult en fu coreciés. «Dex, sainte trinités – dist li dus – car m’aidiés, Que jo voie Karlon, por cui sui envoiés, Si que çax de la tor feïsse encore liés Que jo ai moult dolans et coreciés laisiés». Lors a levé sa main, de Jhesu s’est segniés, Li dus s’est regardés, voit paiens desrengier, Plus de .xiiii. .M., les gonfanons dreciés. Li niés l’amiral vint devant tos eslaissiés, Sor .i. destrier d’Arage, qui plus cort de levrier, Covers ert d’un diaspre menuëment talliés. Dex aït a Richart par ses saintes pitiés, Car moult est de paiens aigrement enchauciés. Richars de Normendie est el tertre montés, Devers l’ost des paiens s’est li dus regardés, Et voit venir paiens aprés lui aroutés. Clarions vint devant moult richement armés Et sist sor .i. destrier, ainc ne fu veüs tes. Oiés com li destriers fu fais et devisés: L’un costé avoit blanc plus que n’est flors de pres, Li autres ert plus roges que charbons enbrasés, La coue peonace, haut li buiriax levés, Plus menu que piertris ert li chevax gotés
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fol. 1v [vv. 31-60 = vv. 4251-4280 ed. Le Person] La cuise ot corte et grose, les piés plas et coupés, Et ot droite l’eschine et les crins acesmés, Orelles ot petites et maigre chief assés, Moult ot large le pis, les ex apers et clers, Tos estoit comme pie par devant vairelés. La sele fu d’ivore dont il fu enselés, D’un riche frain trifore fu moult bien enfernés, Et de .iiii. sorcengles fu li chevax cenglés, Et li estrier sont d’or, riches fu li poitrés .M. escheletes d’or i pendent de tos lés, Quant li chevax galope, qui si est atornés, Li sons des escheletes est si dous et söés
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LAURA MINERVINI N’i vaut sons de vïele .ii. deniers moneés. Li paiens l’esperone par andeus les costés Et li destriers li saut .xxx. piés mesurés, Tot ausi va bruiant com fodres contre orés. Moult fu li Sarasins fiers et desmesurés, Quant aprouça Richart, si s’est haut escrïés: «Par Mahon, mesagier, a mort estes livrés, Alés vos secors querre? Ja ne le noncerés!» Quant Richars l’entendi, li sans li est li est müés Et dist au Sarasin: «Vassal, de coi me hes? Jo ne t’ai rien mesfait ne tes avoirs enblés. Or vos pri par amor que ne me destorbés. Se jo vif, li services t’en iert guerredonés, Se te voi en batalle ne en estors chanpés.» Et respont li paiens: «De folie parlés! Se ço que jo tieg lais, dont sui jo fox provés. Ne t’en lairoie aler por .xiiii. cités!» Quant Richars l’a oï, si li est trestornés.
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fol. 2r [vv. 61-90 = vv. 4624a-4650 ed. Le Person] Cui qu’en soit li damages, certes il lor est gent» Aloris passe avant qui la parole entent. «Par Deu – dist il – Ranier, vos parlés folement, Et de ço que vos dites com bricon vos desment, Car par trestos les sains c’on quiert en Belïent Ne fust or por le roi o tote France apent Vos esserïés ja batus moult malement. Bien savons qui vos estes, ne vos doutons nïent. Ainc Garins, vostre pere, n’ot de terre .i. arpent S’il ne le pot tolir par son souduiement. Tos jors fu .i. robere et veschi malement Et trestot vo lingnage parjur par sairement. Quant l’ot Rainiers de Genves, plains fu de mautalent, Il est venus avant, par les gernons le prent Si le feri del pong qu’a la terre l’estent. «Tais glox! – ço dist Raniers – Li cors Deu te cravent Car Garins fu preudom et si oir ensement.» Quant Hardrés l’a veü, a peu d’ire ne fent. «Hautefuelle!» escria a sa vois hautement Quant l’orguellex lingnages ot l’envaïssement
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As armes sont coru mainte communaument Bien furent plus de .M. que cosin que parent Se Damlesdex n’en pense, moult ira malement. Moult fu grande la noise, d’anbes pars sont armé Li parent Ganelon furent de grant fierté Ja fust Rainiers de Genves moult malement alé Mais li plus des François sont devers lui torné Por amor Olivier qu’il avoient amé. Ja fuscent a l’estor andoi li parenté, Se ne fust Fierabras, qui moult lor a blasmé.
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fol. 2v [vv. 91-119 = vv. 4651-4678 ed. Le Person] Et Karles qui en a sa corone juré Qu’il n’i ait si hardi de si grant poësté, S’il comence l’estor, puis qu’il l’a devee, Qu’il ne le face pendre comme laron prové. Por le sairement Karle furent si aquee Qu’il ni ot ainc puis ne feru ne bouté, Ne ainc puis n’i ot noise, laidi ne ranproné. Beneoit soient dit qui tant sont redouté. Dedens son tref de paile les a li rois mandé, Li parent Ganelon i sont tot assanblé Qui de grant felonnie s’estoient porpensé. Rainier doivent ocire, ensi l’ont afié, Mais que soient en France ariere retorné. Mais li vilains le dist moult bien en reprové Que moult a grant descorde entre fait et pensé. N’iront li traïtor si a lor volenté, Autrement ira l’uevre qu’il n’ont enpensé Karles se drece en piés, s’a François apelé, Rainier de Genevois, Alori et Hardré: «Segnor – dist Karlemagnes – moult m’avés vergondé, Qui devant moi vos estes combatu et meslé, Mais par l’ame mon pere, se il n’est amendé, J’en ferai tel jostise com moi sera loé. Alori – dist li rois – ç’avés vos tot ovré: Desfublés le mantel, ensi l’ai esgardé, Si faites droit Rainier tot a sa volenté.» «Sire – dist Ganelon – quant l’avés devisé,
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LAURA MINERVINI Vostre comandement n’en seront ja fausé.» Dist Grife d’Autefuelle: «Moult m’en ara pesé.»
14. desrengier forse da correggere in desrengiés, come in E 54. destorbés ] destorber 61. est nell'interlinea 75. feri ] ferir 81. mainte communaument ] maintrecommunaument 82. de con -r espunta 107. enpensé forse segno di abbreviazione sotto p (ma il verso è ipometro, cfr. qu’il ne l’ont porparlé E) 117. devisé con -s espunta
Occorre sottolineare, infine, come il frammento del Fierabras fornisca non solo un piccolo contributo alla ricostruzione della tradizione manoscritta dell’opera, ma anche una preziosa testimonianza della diffusione Oltremare della letteratura epica antico-francese. Nel panorama della civiltà letteraria sviluppatasi nell’Oriente latino questa tipologia di testi non sembra godere di grande fortuna; gli indizi in proposito sono scarsi e spesso problematici: due delle tre canzoni del Primo Ciclo delle Crociate sarebbero state composte, nella loro forma originaria, in Terra Santa – Ricars li pelerins è menzionato nella Chanson d’Antioche come ‘autore’ del poema rielaborato poi da Graindor de Douai, mentre li dus Raimons, cioè Raimondo di Poitiers, principe di Antiochia (1136-1149), figura come committente della Chanson des Chétifs, realizzata da un canonico della locale chiesa di Saint-Pierre. Senza entrare nei dettagli della controversa questione della genesi dei due poemi,28 conta qui rilevare che questi riferimenti, veri o fittizi che siano, segnalano la percezione dei contemporanei di una continuità culturale fra il mondo francese di qua e di là del mare: nell’uno e nell’altro si compongono, rimaneggiano e diffondono testi epici, anche se non necessariamente nella forma in cui essi sono arrivati fino a noi. In questo contesto trova posto anche il romanz des Loheranz, cioè probabilmente un 28 Per una sintesi si veda Jean Flori, Croisade et chevalerie. XIe-XIIe siècles, De Boeck Université, Bruxelles, 2008, pp. 264-265; Id., Chroniquers et propagandistes: introduction critique aux sources de la Première croisade, Droz, Genève, 2010, pp. 72-73, 269-276, 278, con ampi riferimenti bibliografici. Per il ruolo di Raimondo di Poitiers nella composizione della Chanson des Chétifs cfr. Linda Paterson, “Occitan Literature and the Holy Land”, in Marcus Graham Bull e Catherine Léglu (a c. di), The World of Eleonor of Aquitaine: Literature and Society in Southern France Between the Eleventh and Thirteenth Centuries, Boydell, Woodbridge (K), 2005, pp. 83-100, alle pp. 86-89. Per l’operazione letteraria di Graindor de Douai cfr. Gioia Zaganelli, “Da Antiochia a Gerusalemme: aspetti macrotestuali del ciclo di Graindor de Douai”, in Giovanna Carbonaro, Eliana Creazzo e Natalia L. Tornesello (a c. di), Macrotesti fra Oriente e Occidente, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2003, pp. 314-323.
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poema del Ciclo dei Lorenesi (Geste des Loherains), citato nell’inventario dei beni del conte Oddone di Nevers, morto a Acri nel 1266;29 così pure il bifolio del Fierabras del tesoro della moschea di Damasco, dove sarà presumibilmente giunto come bottino di guerra o relitto di un viaggio di pellegrinaggio o di mercatura. Damasco non è infatti lontana dai confini del Regno di Gerusalemme 30 e i contatti fra la Dār al-Islam e gli Stati Crociati non sono mai mancati, né sono stati sempre e solo militari. Razzie ed incursioni dalla Siria in territorio franco sono peraltro frequenti nel XIII secolo, molto meno quelle in senso inverso – ma al raid mongolo ad Aleppo e Damasco (1260) partecipa con i suoi uomini Boemondo VI, principe di Antiochia e conte di Tripoli.31 Occorre anche ricordare che il convento melchita di Ṣaydnāyā, ca. 30 km. a nord di Damasco, è all’epoca un’importante meta di pellegrinaggio cristiano: la venerazione della miracolosa icona della Vergine coinvolge membri delle chiese orientali così come latini, e persino, in circostanze particolari, musulmani.32 Infine, della rete di rapporti commerciali che collega, anche in tempo di guerra, gli empori del Vicino Oriente e del Nordafrica, passando per la Terra Santa, offre un’interessante documentazione proprio il deposito librario damasceno: fra i frammenti latini si trova infatti un salvacondotto concesso dal re di Gerusalemme Baldovino IV (1174-1185) a un mercante di Tiro, Bohali filium Hebenisten (Abū Alī ibn Husayn?), diretto in Egitto. Il breve testo recita:
29 Martial A. Chazaud, “Inventaire et comptes de la succesion d’Eudes, comte de Nevers (Acre 1266)”, Mémoires de la Société Nationale des Antiquaires de France, 32, 1871, pp. 164-206, a p. 188. 30 Sul concetto di frontiera nel medioevo, in particolare in riferimento all’Oriente latino, cfr. Ronnie Ellenblum, “Were there Borders and Border-lines in the Middle Ages? The Example of the Latin Kingdom of Jerusalem”, in David Abulafia e Nora Berend (a c. di), Frontiers in the Middle Ages: Concepts and Practices, Ashgate, Aldershot (UK) - Burlington (VT), 2002, pp. 105-119. 31 Cfr. Peter M. Holt, The Age of the Crusades. The Near East from the Eleventh Century to 1517, Longman, London - New York, 1986, pp. 88-89; Reuven Amitai-Preiss, Mongols and Mamluks. The MamlukĪlkhānid War, 1260-1281, Cambridge University Press, Cambridge, 1995, p. 31. L’episodio è raccontato, in forma amplificata, anche nella Cronaca del Templare di Tiro, cfr. Cronaca del Templare di Tiro, a c. di Laura Minervini, Liguori, Napoli, 2000, pp. 82-83, § 67. 32 Cfr. Bernard Hamilton, “Our Lady of Saidnaya: an Orthodox Shrine Revered by Muslims and Knights Templar at the Time of the Crusades”, in R.N. Swanson (a c. di), The Holy Land, Holy Lands, and Christian History, Boydell, Woodbridge (UK) - Rochester (NY), 2000, pp. 207-215; Benjamin Z. Kedar, “The Convergence of Oriental Christian, Muslim and Frankish Worshippers: the case of Saydnaya and the Knights Templar”, in Zsolt Hunyadi e József Laszlovsky (a c. di), The Crusades and the Military Orders: Expanding the Frontiers of Medieval Latin Christianity, Central European University, Budapest, 2002, pp. 89-100; Michele Bacci, “A Sacred Space for a Holy Icon: the Shrine of Our Lady of Saydnaya”, in Aleksej Lidov (a c. di), Ierotopiia: sozdanie sakral’nykh prostranstv v Visantii i Dreveneĭ Rusi. Hierotopy: The Creation of Sacred Spaces in Byzantium and Medieval Russia, Indrik, Moskva, 2006, pp. 373-388. Per i riflessi letterari di questo luogo di culto cfr. Daniel Baraz, “The incarnated icon of Saidnaya goes West. A re-examination of the motif in the light of new manuscript evidence”, Le Muséon, 108, 1994, pp. 181191; Laura Minervini, “Leggende dei cristiani orientali nelle letterature romanze del medioevo”, Romance Philology, 49, 1995, pp. 1-12.
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LAURA MINERVINI In nomine patris, filii et spiritus sancti amen | Notum sit omnibus tam presentibus [quam absentibus] quod ego Balduinus per gratiam Dei in sancta Iherusalem Latinorum | rex quartus Bohali filium Hebenesten mercatorem videlicet Tyrensem ad partes Egy[pti] | me[rcationis gratia] profiscentem [et navem] illius cum omnibus qui intus sunt mercatoribus [et] cum omni eius negotiation[e] | in mea procul dubio protectione susci[pi]o, ita dumtaxat quod ad Egyptum [et] ab Egypto predictus Bohali [et] | ceteri de nave sua mercatores cum omni negotiatione sua tutum habeant accessum et reditum. Si quis igitur hominum | deinceps galeator [vel alius Bohali] …33
Quali che siano le fortuite circostanze che hanno condotto questi e altri frammenti nella Qubbat al-ḫasna, l’insieme è certo il portato di un lungo e complesso processo di stratificazione storica e culturale. Nella prospettiva di un filologo, per di più in tempi di recrudescenza del fanatismo religioso, risulta consolatorio pensare alla sopravvivenza multisecolare di questi eterogenei lacerti in “un unico indistinto ammasso documentale”, che, “sebbene depositato per non servire più a niente, lascia intendere il rispetto per la parola sacra, che si annida in ogni testo scritto”.34
Università di Napoli Federico II
33 Photographien von ausgewählten Stücken, cit., n. 107 (= 53r). Si segue la prassi editoriale esposta sopra, con la sola aggiunta di | per segnalare la fine del rigo; per le parole o lettere illegibili, si inserisce fra parentesi quadra la lettura di von Soden, “Berich über die in der Kubbet in Damaskus gefundenen Handsschriftenfragmente”, cit., p. 827, ripreso parzialmente da Reinhold Röhricht, Regesta Regni Hierosolymitani 1097-1291. Additamentum, Libraria Academica Wagneriana, Oeniponti, 1904, p. 38 n. 598a. 34 Radiciotti e D’Ottone, “I frammenti della qubbat al-ḫazna di Damasco”, cit., p. 59. Sono molto grata a Benjamin Kedar per aver attirato la mia attenzione sui frammenti antico-francesi di Damasco e per avermi fornito gran parte della bibliografia; a Paolo Di Luca e Doriana Piacentino per avermi sollecitato a lavorare su questo tema in occasione del convegno napoletano sull’epica.
ANTONELLA NEGRI Frammenti e dintorni nel Renaut de Montauban
Sui frammenti di manoscritti pesa ancora una sorta di diffidenza come era stato, a suo tempo, per gli ‘scartafacci’. Questi testimoni, anche se esaminati ed enumerati, vengono spesso liquidati ‒ dopo averne raccolto il contenuto ‒ e lasciati nella periferia di un lavoro teso invece a valorizzare i codici di versioni complete.1 Per questo motivo è stata salutata con favore l’iniziativa di Dominique Boutet che nel 2012 ha organizzato alla Sorbona un Colloque sui manoscritti della geste di Doon de Mayence e ha richiamato l’attenzione sull’importanza di una recensio dei frammenti esistenti, e sulla necessità di riflettere ancora sulla tipologia dei testimoni epici.2 Invitata a dare il mio contributo in quella sede, ho deciso di concentrarmi su un frammento del Renaut de Montauban che avevo considerato in maniera limitata nella mia edizione del 1996. Il manoscritto Hatton 59 della Bodleian Library di Oxford era un terreno di indagine pressoché vergine dal momento che non aveva meritato, fino ad allora, che qualche studio, occasionato dalla notorietà del Renaut de Montauban di cui conservava una versione frammentaria.3
1 L’affermazione è relativa all’utilizzo di questi manufatti nelle edizioni critiche. Al contrario, sul versante della filologia materiale, si assiste ad un interesse crescente testimoniato da diversi studi. Ricordo fra quelli più attinenti, le ricerche di Keith Busby, “Some unpublished Epic Fragments”, Olifant, 10, 1982-83, pp. 1-23 e di Marianne Ailes, “Deux fragments inconnus de Maugis d’Aigremont”, Romania, 26, 1998, pp. 415-430. Sono inoltre da menzionare i saggi di Cesare Segre, Carlo Ossola, Dominique Budor, Frammenti: le scritture dell’incompleto, Unicopli, Milano, 2003, di H. Wayne Storey, “The Utility of Fragments and Fragmentation”, in Gianfelice Peron (a c. di), L’ornato parlare. Studi di filologia e letterature romanze per Furio Brugnolo, Esedra, Padova, 2007, pp. 509-532, gli atti del convegno tenutosi a Bologna nel 2000 curati da Mauro Perani e Cesarino Ruini, Fragmenta ne pereant. Recupero e studio dei frammenti manoscritti medievali e rinascimentali riutilizzati in legature, Longo, Ravenna, 2002, infine il recente studio di Armando Antonelli, “Frammenti romanzi di provenienza estense”, Annali Online di Ferrara-Lettere, 1, 2012, pp. 38-66. 2 Cfr. Dominique Boutet (a c. di), La Geste de Doon de Mayence dans ses manuscrits et ses versions, Champion, Paris, 2014. In particolare rimando all’articolo di Marianne Ailes, “Témoins fragmentaires de la Geste de Mayence et réception du Cycle en Angleterre”, pp. 115-136, nel quale la studiosa fa un’ampia ricognizione dei manoscritti frammentari del Doon de Mayence, del Gui de Nanteuil, del Maugis d’Aigremont, infine del Renaut de Montauban. Per quest’ultimo poema evidenzia, oltre ad Hatton 59, il frammento Royal 16 G II della British Library e il frammento di Toulouse. Reinvio inoltre al saggio di Marie Jean Pinvidic, “Vue synoptique des témoins de la chanson de Doon de Mayence (manuscrits et première mise en prose)”, pp. 15-30, utile sia per la documentazione fotografica dei vari reperti, che per la sinossi dei contenuti della geste che la studiosa esemplifica. 3 Cfr. Antonella Negri, “In limine du manuscrit Hatton 59”, in Boutet, La Geste de Doon de Mayence, cit. pp. 97-111. Sul manoscritto H, durante il colloquio, si è incidentalmente soffermata anche Béatrice Weifenbach, “Renaut de Montauban ou le cycle dans le cycle. Les manuscrits en verse et en prose”, pp. 137-149, all’interno della dettagliata recensio non solo dei manoscritti e delle stampe, ma anche di tutte le edizioni che finora hanno avuto come oggetto il Renaut.
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Per chiarire il contesto di riferimento da cui è partita questa mia prima analisi, può essere utile ripercorrere brevemente le tappe della fortuna del testimone di Oxford a livello di storia della critica. È nella seconda metà dell’Ottocento che Hatton comincia ad essere notato, infatti il codice viene menzionato nel 1862 da Michelant nella sua edizione del Renaut, ma del testimone vengono fornite solo valutazioni di seconda mano.4 Nel 1876 è Matthes che recensendo i vari manoscritti del Renaut in Inghilterra, si sofferma sul codice e si interroga sul suo significato all’interno dell’omonima saga. Sconfessa in parte quanto detto da Michelant e auspica che venga reimpostata la ricerca sui manoscritti del Renaut de Montauban in Inghilterra.5 Secondo lo studioso, maggiori e più corretti elementi di riferimento erano stati dati da Stengel che nel 1873, pur avendo fornito solo qualche informazione su Hatton 59, aveva segnalato per primo che il codice era composto da tre diverse parti.6 Insomma Matthes, grazie alle sintetiche osservazioni mutuate da Stengel, arriva ad affermare che Hatton racchiude in sé un’interessante complessità e che il codice riporta una versione unica.7 Tali affermazioni colpiscono la curiosità di Gaston Paris, grande estimatore del Renaut de Montauban, il quale recensisce appunto l’edizione. Le conclusioni dello studioso francese convergono sul fatto che con Hatton 59 ci si trova davvero di fronte ad “une fiction tout individuelle” del Renaut, rimasta fino a quel momento totalmente sconosciuta.8 4 Cfr. Henry Michelant (a c. di), Renaus de Montauban oder die Haimonskinder, Litterarischen Vereins, Stuttgart 1862; rist., da cui si cita, Rodopi, Amsterdam, 1966, pp. 512-513. 5 Cfr. Jan Carel Matthes, “Die Oxforter Renaushandschrift, Ms. Hatton 42. Bodl. 59 und ihre Bedeutung für die Renaussage; nebsteinem Worte über die übrigen in England befindlichen Renaus mss”, Jahrbuch für romanische und englische Sprache und Literatur, 15, 1876, pp. 1-34. Redigendo una lista dei testimoni del Renaut de Montauban, lo studioso cita Hatton e afferma che dovrebbe avere molte somiglianze con la versione di Metzer. Il codice, in una pergamena del XIII secolo, contiene secondo lui, due versioni del Renaut accomunate fra loro dal fatto che sono redazioni incomplete. La parte trascritta da Matthes va dal f. 52r al f. 70r. 6 Edmund Stengel, “Die Chansondegeste-Handschriften der Oxforder Bibliotheken”, Romanischen Studien, 3, 1873, pp. 380-408. Stengel enumera dodici manoscritti di chansons de geste conservati nelle biblioteche di Oxford. Relativamente ai testimoni del Renaut de Montauban (i mss. Douce 121, Hatton 59 e Laud. 637) osserva che nessuno di questi tre era stato consultato per le edizioni di Tarbé del 1861 e di Michelant del 1862. Solo Hippeau ne aveva riportato una breve parte, ma il testimone era pressoché sconosciuto. Di Hatton precisa dunque che si tratta di un codice del XIII secolo, enumera 155 fogli e ritiene che, dei tre frammenti che lo compongono, i fogli dall’uno al nove abbiano una grafia diversa da quella degli altri due frammenti. Conclude infine: “Ich setze die schwer leserlichen, fehlerhaften Anfangs und Schlussverse von Bruchstück I” (p. 382), dando così implicitamente l’idea che il testo contenga versi non solo difficilmente leggibili, ma appunto ‘difettosi’. Oltre al primo frammento, dunque, Stengel non procede. 7 Sostiene infatti lo studioso: “Sie ist jedoch an und für sich der Lesung werth, weil sie eine eigene, von allen andern verschiedene Abfassung enthält” (Matthes, “Die Oxforter Renaushandschrift”, cit., p. 4.) 8 Si veda la recensione di Gaston Paris a Matthes, “Die Oxforter Renaushandschrift”, cit., Romania, 5, 1876, pp. 255-256. Lo studioso aveva definito Hatton 59 “une fiction tout individuelle, mise en vers au XIIIe siècle par quelqu’un qui, ne possédant pas le poème entier, s’est avisé de le compléter à l’aide de
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Nel Novecento sono le osservazioni di Castets ‒ che parla anche lui di una “invention” totalmente originale ‒9 e l’edizione di una parte del poema da parte di Erdmann,10 a riportare di nuovo l’attenzione su Hatton. Sul versante della critica, la tappa successiva è quella delle monumentali edizioni di Jacques Thomas nelle quali però, forse per l’immane lavoro cui lo studioso belga aveva dovuto attendere, non vengono raccolti gli auspici dei precedenti studiosi ad ampliare la ricerca sul codice di Oxford.11 E così, dagli anni Sessanta in poi, Hatton viene come lasciato nel dimenticatoio. In occasione dunque del Colloque alla Sorbona, ho deciso che valesse la pena studiare meglio questa versione del Renaut.12 Hatton 59 si presentava come un manufatto anglonormanno del XIII secolo di circa diecimila versi, che dovevo esami-
son imagination. On ne trouve dans son œuvre aucun trait traditionnel, et elle est restée parfaitement inconnue” (p. 255). 9 Ferdinand Castets (a c. di), La Chanson des Quatre fils d'Aymon, Coulet, Montpellier, 1909, pp. 915916. Alla descrizione del codice, Castets aggiunge un breve riassunto, molto schematico, che riprende da Jordan e da Matthes. Poi riporta alcuni versi dai tre frammenti. 10 Cfr. Walter Erdmann, Fragment II der Oxforder: Renaut-Handschrift Hatton 59: die an den Verrat der Haimonskinder bei Valkulur sich anschliessenden Scenen, Adler, Greiswald, 1913. La parte editata dallo studioso va dall’11r al 52v. La pubblicazione di Erdmann, dopo aver descritto il codice nei suoi tre frammenti, delinea il cursus degli avvenimenti che si profila analitico solo per la parte da lui trascritta. Nella tabella sinottica dei contenuti, inserisce solo i momenti di fondo della vicenda, ritenendo infatti che il confronto col manoscritto base di Michelant sia “zu groβ” (p. 17). Rispetto a Matthes che sostanzialmente, secondo lui, parla di un contenuto che sarebbe lo stesso, ma scritto in modo diverso, Erdmann segnala invece una totale diversità di intreccio che circoscrive ad alcuni punti particolari quali l’arrivo di Ogier a Parigi, il rientro di Renaut a Montauban, l’inseguimento di Yon, accusato di tradimento. Di questi ultimi momenti narrativi non farò però menzione in questo saggio in quanto si configurano come brevissime parentesi di cui non si avverte nessuna ricaduta sul piano generale della narrazione. Anche Castets cade sotto gli strali di Erdmann: in particolare, secondo lui, lo studioso francese non restituisce una geografia stemmatica corretta di H rispetto agli altri testimoni della tradizione manoscritta (p. 22). 11 Cfr. Jacques Thomas (a c. di), L'épisode ardennais de Renaut de Montauban. Édition synoptique des versions rimées, De Tempel, Bruges, 1962, 3 voll. In essa lo studioso non prende in considerazione Hatton perché privo dell’episodio ardennese. Secondo Thomas il manoscritto Douce di Oxford è il più antico. In Jacques Thomas (a c. di), Renaut de Montauban. Édition critique du manuscrit Douce, Droz, Genève, 1989, p. 16, l’editore belga non prende volutamente in considerazione il codice Hatton perché, come egli stesso afferma, non si presta ad essere utilizzato in quanto il contesto narrativo si discosta molto dal ms. D. Altri brevi commenti su Hatton sono anche in Philippe Verelst (a c. di), Renaut de Montauban. Édition critique du ms. de Paris, B.N., fr. 764, Rijksuniversiteit te Gent, Gand, 1988, pp. 40-41. 12 La bibliografia completa di Hatton 59 si trova in Philippe Verelst, “Renaut de Montauban, textes apparentés et versions étrangères: essai de bibliographie”, in Jacques Thomas, Philippe Verelst, Maurice Piron, Études sur Renaut de Montauban, Romanica Gandensia, Gent, 1981, pp. 199-234, a p. 203, da integrare col sito (08/14), dove è possibile reperire tutte le informazioni sulla storia della collezione Hatton e sul codice nello specifico. Infatti, è on line il testo di Falconer Madan et al., A Summary Catalogue of Western Manuscripts in the Bodleian Library at Oxford, vol. II, parte II, Clarendon Press, Oxford, 1937, p. 824. Il numero di riferimento del documento è il 4067. Recentemente è inoltre uscito il catalogo Early printed Books. A Guide to Sources and Resources, a cura di Clive Hurst, Alan Coates, Sarah Wheale, Francesca Galligan, Bodleian Lybrary, Rare Books, Oxford, 2010, nel quale oltre ad una sitografia molto ben rappresentata, si trovano poche ma utili informazioni anche sui manoscritti della Bodleian Library.
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nare innanzitutto su un piano di geografia stemmatica. Dal confronto fra le lasse e dalla ricerca degli errori, emergeva che il testimone non si allineava tanto alle versioni pubblicate nel 1909 da Castets e nel 1989 da Thomas, quanto piuttosto ai testimoni appartenenti ad un diverso ramo della tradizione.13 A parte queste considerazioni di ordine ecdotico, si stava facendo strada il dubbio che tale versione, letta nel suo continuum narrativo, non si potesse esaurire in una rubricatura tout court di manufatto frammentario, ma che dovesse essere vista come un testimone dotato di una sua autoreferenzialità. Al di là delle tre sezioni di cui risultava composta, la sua fisionomia sembrava compatibile con un quadro narrativo, se non completo, almeno organico. Ma a quello stadio dei lavori ancora, appunto, In limine du manuscrit Hatton 59, non ero in grado di provarlo. È invece in quest’occasione che mi propongo di concludere l’esplorazione fra l’ecdotico e l’ermeneutico su Hatton 59, per verificare se il manufatto debba continuare ad essere rubricato come semplice frammento. Infatti, Busby, in una sorta di repertorio che, come lui stesso afferma non accampa pretese di esaustività, include Hatton fra alcuni frammenti di scarso interesse: “Whilst I have not attempted to compile an exaustive list of this type of manuscript, I have noted, in addition to those mentioned above, the following many mere fragments, ranging in date from the early thirteenth century through the middle of the fourteenth”.14 Naturalmente, per valutare meglio il grado di frammentarietà che caratterizza il testimone, sarebbe importante affiancare a questa mia analisi, concentrata prevalentemente sul versante del contenuto, un vero e proprio approfondimento sul piano codicologico-paleografico, per approdare ad una interpretazione complessiva dell’interessante relatore. Alla verifica della frammentarietà del codice, aggiungerei, come corollario di questo primario obiettivo, l’individuazione della cifra che contraddistingue la specifica riscrittura di Hatton in rapporto alle altre redazioni che trasmettono il testo. Infatti la narrazione contenuta nel codice coincide con un temps fort del poema ed è dunque interessante per verificare le trasformazioni che tale nucleo narrativo ha subìto nel corso del tempo.15
13 Analoghe osservazioni erano già state embrionalmente espresse in Antonella Negri (a c. di), L'episodio di Vaucouleurs nelle redazioni in versi del Renaut de Montauban. Edizione diplomatico-interpretativa con adattamento sinottico, Patron, Bologna, 1996, pp. 27-29. 14 Cfr. Keith Busby, Codex and context. Reading Old French Vers Narrative in Manuscript, Rodopi, Amsterdam, New-York, 2002, 2 voll., I, p. 377. Busby data inoltre Hatton una volta alla metà del XIII secolo (II, p. 509), un’altra volta alla metà del XIV secolo (II, p. 582). 15 Analogamente, per verificare le trasformazioni dei testi nelle varie riscritture a livello diacronico, reputo interessante come modello operativo lo studio di Sarah Baudelle-Michels, “Renaut de Montauban et les Quatre fils Aymon”, in Dominique Boutet, Marie Madeleine Castellani, Françoise Ferrand, Aimé Petit (a c. di), «Plaist vos oïr bone cançon vallant?». Mélanges de Langue et de Littérature Médiévales offerts à François Suard, Université Charles-de-Gaulle Lille 3, Villeneuve d’Ascq, 1999, 2 voll., I, pp. 45-56, che, per valutare la ricezione del testo nei secoli, propone la lettura di un altro temps fort del Renaut, e cioè La partie d’échecs dalla redazione più antica alle riscritture successive.
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La fase preliminare della ricerca consiste nell’analisi delle suddivisioni di cui si compone Hatton, ed in particolare delle modalità di passaggio e di aggancio di cui si sostanziano questi passaggi fra loro. Tale riflessione è ovviamente prioritaria affinché emergano eventuali disarmonie o tentativi di armonizzazione, al fine di stabilire la complessiva fisionomia del codice.16 Una breve premessa.17 Hatton 59 riporta 9600 vv. del Renaut de Montauban, redatti in una versione assonanzata dell’Ovest della Gran Bretagna;18 la narrazione riguarda la parte guascone e renana del Renaut de Montauban dove viene narrato un temps fort, forse quello più drammatico, del poema. Il consesso dei baroni del re Yon deve infatti stabilire se schierarsi con l’imperatore o con i figli di Aimone, vassalli ribelli all’imperatore. La scelta dei baroni convenuti presso Yon sarà di tradire i quattro fratelli con una finta pace, consegnandoli invece all’esercito di Carlo che li attende nelle pianure di Vaucouleurs. L’episodio, per la tematica trattata, è emblematico di tutto il Renaut che viene agìto sull’asse di una sfida fisica e ideologica fra vassalli ribelli ed esercito imperiale. È un testo gravato e contraddistinto dal tradimento, di sangue e politico, motore indiscusso non solo di questa geste ma della gran parte della testualità epica.19 Le vicende contenute nel codice partono dunque dal consiglio dei baroni, si snodano attraverso lo scontro fra le truppe di Carlo e i solitari eroi, fino alla finale riappacificazione tra vassalli e imperatore. La conclusione vede la fuga del mitico cavallo di Renaut, Baiart, nella foresta delle Ardenne.20 Su un piano di puro intreccio, non è un caso che l’episodio, identificabile come un punto chiave de Renaut de Montauban, abbia potuto circolare in autonomia in un singolo codice ed essere dunque apprezzato nella sua autoreferenzialità; la memoria collettiva conservava traccia di questo notissimo poema. Gaston Paris, ancora 16 Sulla difficoltà a precisare il tipo di attività dei copisti rimane fondamentale il saggio di Alberto Varvaro, “Élaboration des textes et modalités du récit dans la littérature française médiévale”, Romania, 119, pp. 1-75, a cui rimando per le problematiche che oscillano fra l’attività di riproduzione, di rimaneggiamento e di riscrittura di un testo. Invece in particolare sui codici che contengono una sola chanson cfr. Joseph J. Duggan, “Prolégomènes à une pragmatique textuelle de la chanson de geste”, in Salvatore Luongo (a c. di), L’épopée romane au Moyen Age et aux temps modernes. Actes du XIV e Congrès international de la Société Rencesvals pour l’étude des épopées romanes (Naples, 24-30 juillet 1997), Fridericiana, Napoli, 2001, 2 voll., I, pp. 411-432, alle pp. 422-423. 17 Ripropongo qui, ricalibrandoli, alcuni essenziali punti del mio saggio “In limine”, cit. 18 Devo questa ipotesi, fra l’altro, anche alle indicazioni dei colleghi che hanno partecipato alla discussione della mia comunicazione alla Sorbona. Cfr. inoltre in generale Léopold Delisle, Recherches sur la librairie de Charles V, roi de France, 1337-1380. II: Inventaire general des livres ayant appartenu aux rois Charles V et Charles VI et a Jean, duc de Berry, 2 voll., Champion, Paris, 1907. 19 Cfr. Maria Luisa Meneghetti, “Le traître et son lignage. Quelques considérations sur la séquence des textes du ms. BNF fr.860”, in Boutet, La Geste de Doon de Mayence, cit., pp. 151-65. 20 Un articolato e approfondito riassunto del Renaut de Montauban è in François Suard, “Renaut de Montauban comme chanson de révolte”, in Beate Weinfenbach (a c. di), Reinold. Ein Ritter für Europa. Beschützer der Stadt Dortmund. Funktion und Aktualität eines mittelalterlichen Symbols für Frieden und Freiheit, Logos, Berlin, 2004, pp. 61-75.
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lui, pensando al successo del Renaut, aveva addotto come indiretta conseguenza di questo, il fatto che si fossero diffusi un gran numero dei più diversi manoscritti con narrazioni ora contaminate fra loro, ora addirittura contraddittorie.21 Ma partiamo innanzitutto da alcune preliminari osservazioni di tipo codicologico e paleografico. Il codice è di formato ridotto (mm 210 circa d’altezza e 150 mm di lunghezza) ed è ricoperto da un rivestimento in cuoio; i fogli di pergamena sono di qualità molto mediocre, con fori e lisières, lo stato di conservazione è pessimo; lo schema di rigatura è semplice: una sola colonna di scrittura e una generale povertà di decorazione. È privo di miniature. I fogli di pergamena che lo avvolgono sono in latino e lasciano intravvedere tracce di argomenti teologici e dottrinali. Il testo, contenuto in 173 ff., risulta chiaramente suddiviso in tre parti, ma le mani che lo hanno vergato sono almeno quattro. Il manoscritto è acefalo e nel primo foglio, in alto a destra, compare la scritta di mano moderna “The foure Sones of Hammon in French verse”; in basso a destra, sempre di mano moderna si legge la precedente segnatura: “Hatton 42”. 22 Prima suddivisione del testo La prima sezione va dal foglio 1r al 9v, conta 504 versi ed è scritta da due mani: una dall’inizio al f. 9r, la seconda si limita solo al f. 9v; la grafia è una gotica che tende alla bastarda. La narrazione si apre in medias res: uno dei baroni di Yon sollecita il re a non lasciarsi condizionare dal giovane barone intervenuto prima (“Vus ne devez pas creire conseil de joesne hom” f. 1r). Dopo un lungo dibattito fra il re e i suoi consiglieri, prevale la decisione di tradire i quattro fratelli consegnandoli all’esercito imperiale. Il racconto prosegue molto sinteticamente rispetto alle versioni tradizionali, senza tralasciare alcun dato essenziale. Arrivati a Vaucouleurs, i quattro baroni scoprono all’orizzonte le truppe di Carlo, con in testa Folco di Moriglione: “Premerain les choisi Fulqui de Moreillun/ Il apelat ses hummes cels qui od lui
21 Si veda un’altra recensione di Gaston Paris, questa volta invece a Jan Carel Matthes, Renout van Montalbaen, met Inleiding en Aanteekeningen, Wolters, Groningen, 1875, Romania, 4, 1875, pp. 470-474, a p. 473: “On voit que les rédactions les plus anciennes, les manuscrits qui les ont recueillies, et jusqu’à l’édition du Renaut (ndr: si riferisce all’edizione di Michelant) ne sont que des compilations dans lesquelles des contradictions de plus d’un genre attestent l’emploi de sources différentes. L'épopée des fils Aymon, qui a si cruellement souffert, en partie à cause de sa popularité même, appelle de la façon la plus urgente un travail critique. Je n'en connais pas de plus intéressant à indiquer aujourd'hui aux jeunes gens qui cherchent des sujets d'étude”. 22 Devo alla liberale generosità di Paolo Rinoldi una serie di preziose osservazioni su Hatton che lo studioso ha reperito fra le schede di catalogazione redatte per personali fini di ricerca, in vista della pubblicazione sul sito Jonas, e che qui cito nelle note. Un grazie anche per i consigli che mi ha dato nella lettura di questo saggio. Cfr. la scheda di Rinoldi nel sito: (08/14).
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sunt/ ‘Seignors, francs chevaliers cum nus conseillerum?/ Ki vif les prendra/ iames n’aura m’amur/ Meis tut seint detrenche sanz nul autre retur’ “ (f. 7v). A quel punto scappano per trovare rifugio nella rocca Mabon. Lì i fratelli discutono del tradimento che ha perpetrato loro il re Yon: “A Deus, dist Renalt, trahi nus ad mun seignur” (f. 7v). L’apice narrativo, come chiusa di questa fase del racconto, si raggiunge quando Renaut, pur allo stremo, decide comunque di non arrendersi: “Meulz voil ici murir en ceste roche a bandon/ que ja Charle me pende en guise de larrun” (f. 9r). In seguito, nel passaggio dal f. 9r al f. 9v si verifica un cambio dalla prima alla seconda mano, una scrittura corsiva. Relativamente al contenuto invece, non si avverte soluzione di continuità in quanto vi è una ripresa della parte precedente e persino della medesima esclamazione: “Meuz voil murir en ceste roche a bellois/ ke fach me pende de Muntleun vostre reis” (f. 9v). Il passo trova una corrispondenza con le lasse 19-20-21 delle redazioni tradizionali. La fine di questa sezione di testo coincide con l’ultimo verso della lassa che nelle versioni tradizionali chiude l’episodio. Infatti, ad un esame sinottico delle lasse, si osserva che il ms. H si allinea per alcune lasse al gruppo dei testimoni AOMCV, e non a quello dei testi finora editati da Ferdinand Castets e da Jacques Thomas.23 Anche il foglio 9v si rivela molto interessante per l’interpretazione dell’intero testimone. Qui troviamo infatti un paio di versi: “Ore furent enserre en la roche li barrun/ Et Francesis les asaillent entur et d’envirun”(f. 9v) che ricompaiono analogamente nel foglio a seguire, dopo quello lasciato in bianco. Ritengo dunque che il f. 9v sia stato ideato a posteriori per colmare una lacuna di qualche decina di versi e per raccordarsi con il foglio 11 che era già pronto copiato da un’altra mano.24 La chiusa formulare, con una sorta di ottativo “Or les garisse ki suffri Passiun”, si configura come un passaggio utile a legare le due sezioni di testo, quella precedente e quella successiva. Il f. 10r si presenta bianco ed è la spia del tentativo del copista-autore di agganciarsi appunto ad una narrazione non andata a buon fine.25 La
23 Per queste ed altre più approfondite osservazioni di tipo ecdotico, rimando Negri, “In limine”, cit. Il numero delle lasse è quello adottato da Jacques Thomas nella sua edizione del manoscritto Douce. 24 Utili al proposito le osservazioni di Rinoldi, scheda su Jonas, cit., sulla mise en page del testimone: “Type d'écriture: AI (ff 1-9r): main anglaise proche de la moitié du siècle, avec hampes montantes fourchues, a- haute, allure chancelleresque (r, s sous la ligne de base, s à clou). AII (9v): main anglaise proche de la moitié du XIII s., à allure chancelleresque et cursive (v. surtout d-) très nette (Negri, Vaucouleurs, p. 29: "anteriore alla prima metà del XIV sec.")./B est moins cursive, assez posée avec hampes montantes fourchues. Elle se distingue pour des traits chancelleresques modérés (longueur et doublement des hampes, surtout à la première et dernière ligne) et per la panse de -s majuscule final, au-dessous de la ligne, s haute avec petit boucle, d tres courbée./ C: élancée, regulière, inclinée a gauche; les hampes de h, s, l sont pourvues de petits dents. Proche à B, se distingue par g dont le dernier trait se prolonge à gauche le long de la ligne”. 25 Matthes, “Die Oxforter Renaushandschrift”, cit., p. 31, ritiene che sia piuttosto sconcertante che il foglio sia bianco: “es befremdet nur beim ersten Anblicke, dass Fol.10 ganz unbeschrieben ist” (p. 30).
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presenza degli spazi bianchi è fondamentale per discutere sulla ”fabrication, la fonction, et la réception des textes”26 e per riflettere in definitiva, sulla funzione del manoscritto come oggetto di una performance orale. A tal proposito cito Rinoldi che osserva: ”Entre la première partie (main A) et la deuxième (B) il y a un feuillet blanc mais le texte est continu ou presque. La signature des cahiers semble confirmer l'unité du ms., mais elle continue aussi de B à C, où il y a une grande lacune, et nous n'y rattachons pas trop d'importance. Je ne sais pas si des pratiques d'écriture différentes entre A e B (A travaille sur des quinions, B sénions, A above the top line, B under the top line) peuvent soutenir l'hypothèse d'un projet unitaire, en tout cas le filigraneur paraît le même entre les deux parties. La troisième partie se distingue par la lacune et la présence d'un autre filigraneur: son appartenance à un autre ms. est donc plus vraisemblable”.27 Dall’insieme delle considerazioni si potrebbe dunque ipotizzare che l’assemblaggio della parte dal f. 1r al 9v e di quella che inizia al f. 11r sia avvenuto con l’intenzione precoce, dal momento che colui che esegue le filigrane delle iniziali risulta uno solo, di salvaguardare reperti manoscritti preesistenti e per procedere poi successivamente ad una sorta di “mise en ordre et d’harmonisation des récits”28 al fine di rendere la narrazione del codice più omogenea nelle sue varie parti. Per quanto riguarda le caratteristiche di Hatton finora analizzate, emergono un intreccio molto sintetico ed una stilizzazione dei personaggi privati della loro complessità, rispetto alle versioni tradizionali. Per non dire però di altre marcate differenze. Infatti, ad esempio, il consiglio dei baroni in Hatton 59, mentre riporta una serie di interventi riepilogativi dell’antica querelle che ha originato il dissidio fra Carlo e Renaut, fa riferimento anche ad un dissapore fra il padre Aimone e Olivieri che non ha riscontro nelle altre redazioni. Numerose variazioni sono relative a re Yon, figura pallida e patetica di traditore, che pare qui tormentato più dal dovere di obbedienza a Carlo che dal senso di colpa per aver tradito il cognato ed i valorosi suoi fratelli. E ancora, si nota l’assenza di parentesi introspettive e religiose. Inoltre, il personaggio di Ogier, che nelle versioni tradizionali ha il ruolo di convincere
Secondo lo studioso ciò dipenderebbe dal fatto che i fogli dall’uno al nove sono stati scritti da una mano con lettere più piccole, rispetto a quelle più grandi con le quali sono scritti i fogli successivi. 26 Keith Busby, “Mise en texte, mise en codex: l’exemple de quelques manuscrits èpiques”, in Boutet et al., «Plaist vos oïr», cit., pp. 141-149. Lo studioso avverte che elementi di osservazione dei mss. medievali quali abbreviazioni, punteggiatura, segmentazione degli spazi, lungi dall’essere insignificanti, siano vere e proprie spie che rivelino aspetti della fabbricazione, della funzione e della recezione dei testi. 27 Il riferimento è ancora al lavoro di Rinoldi che sarà pubblicato su Jonas. Ricordo, per una migliore chiarezza di quanto da me citato, che lo studioso, come egli stesso evidenzia nella nota 24, distingue fra le grafie A I e A II di Hatton, vicine fra loro ma comunque distinte. 28 La citazione è tratta da Madeleine Tyssens, «La Tierce Geste qui molt fist a prisier». Études sur le cycle des Narbonnais, Garnier, Paris, pp. 13-29, a p. 15.
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l’esercito imperiale a non attaccare i vassalli, suoi cugini, per poterli proteggere, qui invece compare solo alla fine della sezione narrativa semplicemente per chiedere loro di arrendersi. Non sarà lui che i vassalli incontreranno per primo nelle piane di Vaucouleurs ma, come si è detto, il malvagio Folco di Moriglione dell’esercito imperiale che darà invece subito mandato ai suoi di attaccare i cavalieri. In sostanza, sul piano della riscrittura, si osserva che le differenze sono volute e di rilievo e vanno tutte nella medesima direzione. Tuttavia, ripeto, non viene mai meno la volontà del copista-autore-editore di conservare il fil rouge delle versioni tradizionali e di perpetuare la memoria del noto intreccio del Renaut.29 Seconda suddivisione del testo Questa sezione va dal f. 11r al f. 70r e conta 3360 vv. Da qui prende avvio la terza mano, una gotica libraria regolare. Si comprende in modo chiaro che esiste un preciso aggancio con la precedente parte. Infatti i due versi al f. 9v: “Or furent enserré en la roiche li barun/ Et Franceis les asailirent entur et d’envirun” si ritrovano pressoché inalterati anche nel f. 11r.: “Si sunt les baruns en la roche enserrez / Et Francesis les asaillent envirun de tut les”. Colui che, copista-autore-editore, ha accorpato queste due porzioni di testo, deve averlo fatto rendendosi conto della congruità esistente fra le parti della narrazione. Le intenzioni che hanno guidato il suo operato erano probabilmente di salvaguardare le porzioni di manoscritto recuperate, per poter utilizzare e leggere il codice. Infatti, sul piano del contenuto si evidenziano un raccordo con la parte successiva a guisa di continuation, e la presenza di una decina di versi nel f. 11r, assenti dalle redazioni tradizionali, che hanno il sapore di un riepilogo a monte della vicenda. Probabilmente il copista-autore-editore, responsabile del tentativo di mettere insieme questi frammenti in un tutto unitario, potrebbe essere identificato con il latore di questa parte, cioè del copista della terza mano. Questi versi del prologo sembrano voler agganciare l’attenzione del pubblico per ricordare a chi ascolta, le motivazioni della querelle fra Renaut e l’imperatore, prima che possa proseguire il racconto: era infatti utile che il giullare riepilogasse la narrazione riprendendo il filo da una séance all’altra.30 29 Su queste argomentazioni rimangono fondamentali le ricerche di Segre per le quali si veda, solo fra le più recenti, Segre, Ossola, Budor, Frammenti: le scritture, cit., pp. 11-30 e “L’epica romanza”, in Gian Franco Gianotti (a c. di ), Tradizioni epiche e letteratura, Il Mulino, Bologna, 2011, pp. 227-239. 30 Fra gli elementi che riscontriamo generalmente nel prologo, così ampio, su un piano tipologico da scoraggiare, come sostiene Jean Pierre Martin, “Sur les prologues des chansons de geste: structures rhétoriques et fonctions discursives”, Le Moyen Âge, 93, 1987, pp. 185-201, a p. 186, qualsiasi tentativo di classificazione e di monitoraggio, quello della presentazione delle origini della chanson, e dunque della storia, è fra i più abusati. In tutti i casi descritti sembra che il denominatore comune sia proprio cercare di allineare il pubblico alla performance in atto.
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A livello dell’intreccio in generale, si riscontrano molte interpolazioni di rilievo, seppur circoscritte, che non incidono sulla progressione degli avvenimenti, cioè sulla finale pacificazione fra imperatore e vassalli. Ciò però non significa che tali innovazioni siano accessorie, significa solo che all’interno di quel fil rouge accettato e indiscusso, sono comunque ammessi importanti interventi redazionali, purchè non diano luogo a modifiche sostanziali del poema. Ad esempio è fondamentale il ruolo del paladino per eccellenza Roland che, solo in Hatton, viene catturato da Renaut e addirittura da lui tenuto prigioniero a Montauban: “Et demeinent grant ioie por Rollant ke unt en prison” (f. 53v). L’accaduto finisce per sgomentare la corte: Carlo è infatti disposto a pagare un riscatto per il nipote, che Renaut però rifiuta. Il vassallo vuole sfruttare l’occasione per dimostrare che ciò che a lui interessa è solo riconquistare la fiducia dell’imperatore. Emerge con chiarezza il disegno del copista-autore-editore di sottolineare continuativamente sul piano ideologico la bontà della pars vassallatica. Un altro dato significativo per caratterizzare questo codice è l’ampio spazio dato agli elementi romanzeschi. Ad esempio, la sorella di Yon, moglie di Renaut che nelle versioni tradizionali funge da semplice mediatrice fra il marito e il fratello, qui vuole sottoporsi al giudizio di Dio per fugare i sospetti del marito su una sua eventuale intesa con il fratello Yon per tradirlo. Nel ms. D (lassa 172) e nel ms. L (v. 8517) si trova solo una brevissima traccia di questo snodo drammatico.31 In Hatton invece l’episodio si presenta molto più articolato. Renaut insulta la moglie sospettata di tradimento e vuole impiccare i suoi figli, come lei, di conseguenza, felloni. Ma intervengono i fratelli a sedare il drammatico scontro. Tuttavia, Clardonie chiede di sottoporsi alla prova e afferma “En jugement me met veant tute la curt / Ore faites faire une ewe, u mi re angussus / A iugement de femme veant tute la curt/ […] E si le feu est tel ardant ne anguissus, / Qu’il arde ma chemise, ne mun cors en pert point / Si ieo peris en l’ewe dunc ai forfait par tut / Si’n faites grant iustise veant tute la curt“ (f. 19r). La donna sopravvive e, grazie all’intervento di un guaritore, riesce a salvarsi dalle ferite riportate (f. 20v).32 La sua lealtà viene dunque garantita dal giudizio di Dio.33 È interessante notare come questo nucleo di versi, poco accurato a causa delle ripetizioni presenti, dovute forse ad apporti di marca orale, tende ad aver una sua autonomia a livello di intreccio. Infatti, pur avendo una certa estensione, non se ne avverte nessuna ricaduta sulla successiva narrazione. Si evidenzia infine un altro episodio non riportato dalle redazioni tradizionali e che ha una sua importanza per connotare Hatton. Dopo che si è conclusa la pace fra Carlo e Renaut, come avviene nelle versioni tradizionali (f. 55v), il racconto Il riferimento per i versi del manoscritto L è all’edizione di Castets. Dopo il lungo colloquio fra Ogier e Karle si ritorna di nuovo su re Yon che vien fatto prigioniero da Rollant, liberato da Renaut che, a sua volta, fa prigioniero Rolland. 33 Cfr. Hubert Heckmann (a c. di), Les Quatre Fils Aymon, Gallimard, Paris, 2011, pp. 147-148. 31 32
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introduce ancora molte interpolazioni dal sapore romanzesco. Si sofferma sull’invasione di un re pagano, Pharamus de Cladine, che entra nei territori dell’impero insieme al gigante Braiman.34 Per difendersi da costoro, Carlo arriva a chiedere aiuto a Renaut e ai suoi fratelli (f. 57v). I Pari non sono più in grado di sostenere Carlo e di garantirgli un appoggio adeguato. Infatti rivolto ai suoi, l’imperatore esclama: “Seignors dist Karle bon consail me donez/ D’ices Sarrazins ki sunt en ma terre entrez / Conseillez mei seignors kar faire le devez […]” (f. 57v). La risposta dei baroni è di inviare una richiesta d’aiuto a Yon de Guascone che dovrà recapitarla, a sua volta, ai quattro fratelli. I baroni a consiglio sollecitano dunque l’imperatore: “E lur mandez le bosoing ke vos avez / Et k’il vengent atuit od trestut lur barnez/ Ke pruz sunt en bataille et conqueranz asez. / Se eus avez en aie iamar en duterez, / Bramain de Claudine le iaiant forsenez. / Se il vos defaillent asez le verez. / ‘Sire – fait Oliver ‒ icest consail creez’” (f. 57v). E cosa alquanto significativa, anche Olivieri e Turpino convengono su quella decisione. Anche in seguito, le sorti della cristianità saranno affidate a Renaut piuttosto che a Roland. Sarà lui che dovrà dunque affrontare in duello il gigante Braiman e che di conseguenza metterà definitivamente in fuga i pagani: “Il en feri Braman sur sun halme safrez / Ke les fleurs et l’espes l’en ad vis avalez. / ‘Seignors escutez quel cop li ad dunez / Parmi le halme et la coife del hauberc duble / Li est li branc d’acier a la teste colez / Et treske as espaudes ne li est arestez / Li dux esturt sun cop et cil chai esprez”(f. 64r). Ancora inseguendo il filo di una lunga rielaborazione del testo, nelle lasse conclusive, Hatton presenta Yon che decide di lasciare in eredità al figlio di Renaut, Yunet, il proprio regno. Segue poi, particolarmente interessante, la narrazione della cerimonia nel corso della quale il ragazzo viene battezzato e cresimato: “Apres le servise est est li enfez aportez / Kar baptize serrat, si Deus l’ad destinez. / Al us del mustier l’ad primes seignez / Et puis le meine as funz si lur ad demandez: / ‘Vos, seignors e dames, ki lever le devez / Comment serra, dist il, cist enfez apelez?” (f. 68r). Il re Yon chiede che in ragione della eredità che riceverà, venga appunto chiamato come lui, Yunet. La cerimonia continua con l’arcivescovo che domanda agli astanti di rinnegare “le diable d’enfern e tuz ses poestesz” (f. 68r). Infine si procede alla cresima ed all’investitura vassallatica: “Dunc ad l’arceveske le cresmel demande / […] Pus le met al chief e dit cum senez: / ‘Co est le vestement qu’al iugement aurez’. / Puis prist la candaille, el poing li ad botez. / E co iert la lampe ke devant Deu aporterez. / […] En iceste maniere fud il cristianez” (f. 68v) Questa porzione di testo mostra con ogni evidenza un’originalità di contenuto con le versioni tradizionali, che rende di fatto impossibile l’analisi comparativa delle lasse.
34 Dominique Boutet, Charlemagne et Arthur, ou le roi imaginaire, Champion - Slatkine, Paris - Genève, 1992, spiega che chanson de geste e romanzo utilizzano “des débris de mythes païens, généralement celtiques ou germaniques” (p. 10); fra questi cita proprio il combattimento del re contro un gigante.
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La narrazione si conclude alla fine del f.70r con un: “Ja volum finir kar dit avum assez / de Renalt li fiz Aimon et de ses parentez / Ki cest romanz orrunt de Deu eient grant grez / et de sa beneite mere seint honorez. Amen”.35 Anche in questo caso il tipo di chiusa, ben articolato, esclude che si possa parlare di frammento, dal momento che il passo viene volutamente concluso dal copista-autore-editore con un regolare explicit. Terza suddivisione del testo Questa parte va dal f. 71r al f. 173r e consta di 5732 vv. Da qui alla fine si riscontra una quarta mano. Si tratta di una gotica libraria regolare con influenze cancelleresche. Il passo comincia con un incipit: “Ci comence le romainz de quatre fiz d’Eadmund”.36 Segue poi il consueto richiamo al pubblico ad ascoltare la chanson. Si assiste di nuovo ad una sorta di riepilogo che, come nella parte precedente, è utile per gli astanti al fine di comprendere a che punto sia l’intreccio. Anche questa suddivisione, come le precedenti, si struttura come un blocco narrativo autoreferenziale, in qualche modo autonomo. Il racconto infatti continua con un episodio nel corso del quale Renaut ricorda e riassume ai suoi cavalieri la vecchia querelle con l’imperatore Carlo. Questa suddivisione è l’unica che non presenta alcuna novità rispetto alla versione L e in sostanza alle edizioni di Michelant e di Castets. Continua infatti il corso dell’azione, ma palesa anche un problema di coerenza narrativa con la parte precedente. Infatti il re Yon, che prima risultava morto, qui invece è ancora vivo. La questione dell’incoerenza, considerata isolatamente e in un contesto periferico, mi pare però non costituisca in assoluto la prova di una mancanza di ‘unitarietà’ del manufatto. Soprattutto in una situazione di performatività del testo, la casuale apparizione del re diventa secondaria e il fil rouge della narrazione non risulta sovvertito. Di fatto, il codice si prestava ad essere fruito dal pubblico in tempi diversi e la minor visibilità dei personaggi secondari consentiva la presenza di incoerenze od omissioni di lieve entità, rispetto alla tradizionale conclusione che rimaneva comunque inalterata. La vicenda, sempre in linea con le versioni tradizionali, termina con la riappacificazione fra Renaut e l’imperatore e con la fuga del cavallo Baiart nella foresta. Con l’explicit dell’ultimo foglio, “Ci feni la chanson qui en avant ne dure” (f. 173r), il copista-autore-editore prende definitivo commiato dal suo pubblico, nono-
35 Osserva giustamente Castets, La Chanson des Quatre fils, cit., p. 915: “J’estime que cette interruption doit être attribuée au jongleur ou au scribe”. 36 Ivi, p. 918, “Ce titre inexact fait comprendre comment se formaient ces recueils à l’aide des parties dont l’on disposait”.
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stante, come è noto, nelle altre redazioni la chanson de geste continui ancora con altre e numerose vicende. Gli elementi emersi da questa lettura confermano l’unicità, nel senso di un unicum, di Hatton 59. Sul piano del contenuto, si impongono vistosamente la bontà ideologica della prospettiva vassallatica e la tendenza del testo a contaminare con elementi romanzeschi. La riscrittura che questi copisti-autori-editori realizzano, rispetto alle versioni tradizionali, va dunque verso un ribaltamento di taluni assetti narrativi su cui si regge l’impianto del Renaut. Ad esempio, viene qui posta una forte enfasi sui figli di Aimone che, preferiti da Carlo ai Dodici Pari come baluardo contro l’attacco pagano, sono gli indiscussi eroi, direttamente investiti per ciò dall’imperatore. Nella stessa direzione va interpretata la figura di Roland, inesorabilmente abbassata a favore di quella di Renaut. Inoltre, vediamo l’affermazione della coppia Roland e Renaut che lotta, stabilmente insieme, per la pace, come del resto avviene anche nelle varie rielaborazioni del Renaut in area italiana.37 Sul piano dell’architettura interna del codice, emerge dunque un manufatto frutto dell’assemblaggio di sezioni narrative in parte preesistenti, in parte riadattate dagli interventi degli autori medievali, per comporre un prodotto organico e fruibile.38 Per le prime due suddivisioni è probabilmente intervenuto un copistarimaneggiatore che ha cercato di armonizzare, con il suo intervento al f. 9v, dei frammenti di manoscritti originariamente sparsi; fra la seconda e la terza suddivisione, nella quale emergono tratti codicologici nettamente differenziati, come ad esempio il filigranatore diverso, il copista-editore ha accorpato, con la medesima intenzione operativa, l’ultima parte, concludendo così, un momento essenziale della storia non solo del nostro codice, ma anche di tutta la geste del Renaut. Con questi frammenti non si aveva dunque a che fare con semplici “avanzi”,39 ma con reperti che, capitati nelle sapienti mani di copisti-autori-editori, venivano riutilizzati e resi funzionali ad un testo, ben conservato nella memoria della collettività, e che mostrava una sua intrinseca performatività.40 37 Un nodo su cui si sofferma Matthes, “Die Oxforter Renaushandschrift”, cit., p. 26, è l’obiettivo dell’autore di Hatton di subordinare Roland a Renaut. Diversamente da Gaston Paris che nella sua Histoire poétique de Charlemagne ritiene che sia Luigi Pulci ad aver messo per la prima volta sullo stesso piano Renaut con Roland, lo studioso neederlandese, adducendo come prova proprio il codice Hatton, ne sconfessa l’ipotesi, attribuendo questo abbinamento già alle versioni francesi. Sull’argomento si vedano anche le osservazioni di Suard, “Renaut de Montauban”, cit., p. 70. 38 L’ipotesi di Matthes, “Die Oxforter Renaushandschrift”, cit., che desidero qui citare, fa riferimento al fatto che i manoscritti in passato fossero separati e che solo successivamente fossero stati riuniti in un unico volume: “Es unterliegt selbst keinem Zweifel, dass die Hss. einmal abgesondert dagewesen und erst später in einen Band zusammen gebracht sind” (p. 30). 39 Cfr. Pio Rajna, “Frammenti di redazioni italiane del Buovo d’Antona. II. Avanzi di una versione toscana in prosa”, Zeitschrift für romanische Philologie, 12, 1888, pp. 463-512; 15, 1891, pp. 47-87. 40 L’alto costo di questo objet manufacturé condizionava pesantemente l’atteggiamento del copista nella volontà di recuperare il più possibile pezzi preesistenti di manoscritti, nel cercare di ridurre il superfluo come decorazioni e rilegatura, nel voler utilizzare materiali poco costosi e procedere così ad
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Non si può certo provare che il codice servisse per letture una successiva all’altra, ma la fisionomia dei segmenti narrativi, perimetrati inoltre da clausole di apertura e di chiusura, pare poterlo presupporre.41
Università di Urbino Carlo Bo
una accelerata trascrizione del testo. Cfr. Enzo Ornato, “Les conditions de production et de diffusion du livre mèdiéval (XIIIe-XVe siècles). Quelques considerations générales”, in Ezio Ornato, Carla Bozzolo (a c. di), La face cache du livre medieval. L’histoire du livre vue par Ezio Ornato ses amis et ses collègues, Viella, Roma, 1997, pp. 97-116. 41 Illuminante per il nostro caso il saggio di Maria Careri, “Les manuscrits épiques: codicologie, paléographie, typologie de la copie, variantes”, in Anne Berthelot et al. (a c. di), Epic Studies. Acts of the Seventeenth International Congress of the Société Rencesvals for the Study of romance Epic, (Storrs, Connecticut, July 22-28, 2006) = Olifant, 25, 2006, pp. 19-39, che, passando in rassegna le complesse problematiche relative ai manoscritti epici in un ambito che oscilla dalla filologia materiale all’ecdotica, osserva “On ignore les lieux de production de ces livres ainsi que les motivations qui ont conduit à leur confection. On ne sait pas qui les a copiés, pourquoi ils copiaient, quel rapport ils avaient avec les textes. Tout ce qu’on peut dire, c’est que pour une fois on accorde aux textes plus d’importance qu’aux livres. Nous avons l’impression que la diffusion de l’épopée se fait à des niveaux non-standardisés; il en résulte, de toute façon, une spécificité de l’épique par rapport aux genres littéraires” (p. 30).
FRANCESCO CARAPEZZA Su una ‘traccia’ musicale epica poco nota ai filologi romanzi (British Library, Royal 20 A XVII, c. 177r)
La natura musicale di buona parte della poesia medievale richiede che alcune questioni vengano affrontate congiuntamente sui due versanti della filologia e della musicologia, anche se solo in casi eccezionali le due discipline sono riuscite a dialogare in maniera proficua (nel migliore dei casi, nel cervello del medesimo studioso) e ad ottenere risultati soddisfacenti: lo dimostra il problema di cui vorrei parlare. Si tratta, insieme a quella più famosa e meno problematica del decasillabo di Audigier interpolato nel Jeu de Robin et Marion di Adam de la Halle e corredato in due testimoni dalla stessa notazione musicale, dell’unica ‘traccia’ di musica scritta sicuramente associata a un testo epico francese medievale. Data la rarità del reperto, non sorprende che esso abbia suscitato fin dalla sua scoperta da parte di E. Langlois nel 1910 e fino ad anni recenti l’interesse dei musicologi, che ne hanno dato interpretazioni contrastanti, mentre i filologi romanzi lo hanno praticamente trascurato. Il rigo musicale in questione fu tracciato e annotato dallo stesso copista testuale in fondo alla lassa epico-parodica di cinquanta versi alessandrini monorimi che si suole denominare Bataille d’Annezin per via del riferimento “es mareis d’Anesin” (v. 24), identificabile con l’attuale località di Annezin subito a ovest di Béthune (Pas-de-Calais), il cui marais è ancora attestato nella toponomastica del luogo. Essa è trascritta sulle ultime due carte (176v-177r) del ms. della British Library, Royal 20 A XVII, un latore di origine piccarda del Roman de la Rose di Guillaume de Lorris e Jean de Meun databile alla prima metà del sec. XIV, a suo tempo censito e classificato all’interno della famiglia L da Langlois,1 ma noto soprattutto per il suo cospicuo apparato illustrativo, costituito da 43 miniature in colonna. 2 La cd. Bataille d’Annezin costituisce un’annessione testuale originaria, dopo una pagina bianca (176r), al Roman de la Rose, come dimostrano l’unità fascicolare e soprattutto l’identità di mano sia con il (secondo) copista che con il miniatore del romanzo, 3 che raffigurò in una grande vignetta posta al di sopra delle colonne di scrittura lo scontro fra due eserciti a cavallo bruscamente interrotto da un pellegrino che reca in mano un calice di vino, ovvero l’evento narrato nella lassa. 1 Ernest Langlois, Les manuscrits du Roman de la Rose: description et classement, Tallandier - Champion, Lille - Paris, 1910, pp. 142 e 238. 2 Le miniature del ms. sono disponibili in rete nel Catalogue of Illuminated Manuscripts della British Library. 3 Cfr. John Haines, “The Battle of Anesin: A Parody of Songs in Praise of War”, Speculum, 82, 2007, pp. 348-380, a p. 366.
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Il testo, verosimilmente composto da un Thomas de Bailleul che si nomina nell’ultimo verso (“Thumas de Bailloel fist ce bien pres de Seclin”), era noto agli eruditi dell’Ottocento che pretesero di riconoscere nell’autore un nobile esponente della famiglia scozzese dei Bailleul attestato nel 1205 in relazione col re d’Inghilterra e vollero riferire l’episodio parodiato al negoziato del legato papale Robert de Courçon per ristabilire la pace fra Filippo Augusto e Giovanni senza Terra a distanza di due mesi dalla battaglia di Bouvines (1214). 4 Esso fu pubblicato per la prima volta, sotto l’etichetta di “sotte chanson”, fra le Mittheilungen aus Handschriften di C. Sachs nel 1857, e poi trascritto da H. L. D. Ward nel suo Catalogue of Romances del British Museum (1883): è su questa trascrizione che si basa l’unica edizione moderna (corredata da un glossario minimo) procurata nel 1999 da P.-Y. Badel, il quale ammette esplicitamente di non aver visto il ms. 5 La situazione editoriale spiega lo scarso interesse dei filologi romanzi per questa lassa epico-parodica che non si è resa praticamente leggibile per oltre un secolo e che meriterebbe, data anche la rarità della tipologia testuale, di ricevere un commento adeguato.6 Alla penuria di studi sul testo della Bataille d’Annezin fa da contrappeso la bibliografia musicologica, che conta almeno una dozzina di titoli, sulla interpretazione e la funzione del rigo musicale in notazione quadrata sottoposto all’ultimo verso della lassa, giudicato “obscure”,7 “noch schwerer zu interpretieren”,8 e qualificato ancora in tempi recenti come un “cryptic stave” o un “musical riddle” che avrebbe “consistently befuddled researchers”.9 La difficoltà interpretativa risiede nel fatto che sotto ciascun gruppo neumatico (ligatura) è indicata per sette volte la sillaba in, ovvero l’uscita rimica dell’intera lassa e del suo ultimo verso, invece che un testo verbale :
4 Cfr. Gervais de La Rue, “Thomas de Bailleul”, in Essais historiques sur les bardes, les jongleurs et les trouvères normands et anglo-normads, Mancel, Caen, 1834, 3 voll., III, pp. 41-44, con stralci del testo, da cui Arthur Dinaux, “Thomas de Bailleul”, in Trouvères, jongleurs et ménestrels du Nord de la France et du Midi de la Belgique, II. Les trouvères de la Flandre et du Tournaisis, Téchener, Paris, 1839, pp. 369-372, che non esclude però la possibilità che possa trattarsi di un altrimenti ignoto troviero delle Fiandre (con Bailleul toponimo della città a nord-ovest di Lille), e Victor Le Clerc (a c. di), Histoire littéraire de la France, XXIII. Fin du treizième siècle, Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, Paris, 1856, pp. 412-414. 5 C. Sachs, “Mittheilungen aus Handschriften (Schluß)”, Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, 22, 1857, pp. 413-423; Harry L. D. Ward, “Royal 20 A. xvii”, in Catalogue of Romances in the Department of Manuscripts of the British Museum, vol. 1, British Museum, London, 1883, pp. 880-884; Pierre-Yves Badel, “La Bataille d’Annezin: une parodie de chanson de geste”, in Dominique Boutet et al. (a c. di), «Plaist vos oïr bone cançon vallant?». Mélanges offerts à François Suard, Université Charles-deGaulle Lille 3, Villeneuve d’Ascq, 1999, 2 voll., I, pp. 35-44. 6 Mi propongo di procurarlo in altra sede. 7 Ian R. Parker, “Chanson de geste”, in Stanley Sadie (a c. di), The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Macmillan, London, 1980, 20 voll.; second edition, 2001, 29 voll. 8 Hans-Herbert S. Räkel, “Chanson de geste”, in Ludwig Finscher (a c. di), Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Allgemeine Enzyklopädie der Musik begründet von Friedrich Blume, zweite, neubearbeitete Ausgabe, Bärenreiter, Kassel, 1994-2008, 28 voll., Sachteil 2 (1995), coll. 622-629. 9 Haines, “The Battle of Anesin”, cit., pp. 370 e 372.
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Si tratta, come si vede, di una frase musicale coerente – con centro tonale sul La e cadenza sul Sol – dall’andamento spiccatamente melismatico e racchiusa entro un ambito di sesta (dal Sol grave al Mi acuto). Al momento della scoperta, Langlois ammise senz’altro la possibilità che la melodia potesse costituire la formula d’intonazione di ogni singolo verso della lassa (“les notes qui suivent le poème de Thomas doivent s’adapter à chacun de ses vers”) in virtù del fatto, a dire il vero indimostrato, che “une voyelle ainsi placée suffisait pour marquer le rapport des notes avec les syllabes d’un vers ad libitum”; ma allo stesso tempo insisteva sull’idea di una ritournelle, intonata sull’ultima sillaba del testo (“Dans le cas présent, comme il s’agit d’une bouffonnerie, je me figure volontiers Thomas modulant en comique la syllabe in, pendant qu’il joue le finale sur sa vielle”) o più probabilmente eseguita su uno strumento, con funzione di chiusura o d’intermezzo fra due lasse.10 L’anno successivo, durante una conferenza sulla musica delle chansons de geste tenuta all’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Parigi, il musicologo J. Beck si limitava a rilevare una discrepanza sostanziale fra il “thème de récitatif à répétition” in stile sillabico costituito dalla frase musicale di Audigier (riportata qui sotto) e la melodia, “plus ornée” e “beaucoup plus tardive”, di recente scoperta.11
Fu poi il musicologo tedesco G. Schläger a soffermarsi distesamente sul reperto musicale della Bataille d’Annezin al principio di un contributo sulla interpretazione ritmica del verso epico francese, che s’inserisce nell’annoso dibattito sulla teoria dei modi ritmici applicata alla poesia romanza medievale.12 Lo studioso osserva in primo luogo che la calcolata ripartizione dei neumi in sette ligature, ognuna contrassegnata dalla sillaba in, è un dato oggettivo da cui non si può prescindere: tale 10 Ernest Langlois, “Une mélodie de chanson de geste”, Zeitschrift für romanische Philologie, 34, 1910, pp. 349-351. 11 Jean Beck, “La musique des chansons de geste”, in Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Comptes rendus des séances de l’année 1911, Picard, Paris, 1911, pp. 39-45, a p. 42. 12 Georg Schläger, “Zur Rhythmik des altfranzösischen epischen Verses”, Zeitschrift für romanische Philologie, 35, 1911, pp. 364-375, alle pp. 364-366.
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articolazione melodica (e sillabica) serve a riconoscere l’assetto musicale della frase, che non potrà dunque riferirsi, così com’è stata annotata, a un verso alessandrino. Schläger avanza perciò l’ipotesi che il rigo possa rappresentare un postludio non verbale nel ritmo dell’eptasillabo, ovvero un ‘piccolo verso’ (in accezione tecnica di Kurzvers o vers orphelin) musicale con funzione di ritornello: “ein wortloses Nachspiel im Rhythmus des Siebensilbers, einen musikalischen Kurzzeilenrefrain”. Ricorda quindi che il piccolo verso che conclude lasse epiche deca- o dodecasillabiche è di solito esasillabo femminile, mentre nei generi metricamente assimilabili alla lassa epica si trovano versi brevi finali di altro tipo fra cui anche l’eptasillabo maschile. In conclusione, parafrasando lo studioso, andrà tenuta in considerazione la possibilità che il copista della Bataille d’Annezin abbia voluto informarci circa un’abitudine diffusa presso i cantori di chansons de geste, se non addirittura un requisito necessario per l’esecuzione musicale della lassa; altra questione è se il piccolo verso verbale possa essersi sviluppato da questa consuetudine di terminare la lassa con una frase musicale dalla struttura ritmica ben definita. Assai perspicua è inoltre la definizione della melodia, in linea con il rilievo di Beck e forse tenendo a mente il “modulant en comique la syllabe in” di Langlois, come “ein abschließender Schnörkel, hier noch dazu mit possenhafter Wirkung” (‘una fioritura conclusiva, in questo caso con effetto farsesco’). Si tratterebbe cioè di una formula di intonazione vocalica con funzione conclusiva, caratterizzata dall’arricchimento melismatico (come càpita a molti versi musicali di chiusura della poesia strofica romanza) e dalla struttura ritmica corrispondente a quella del noto dispositivo formale del piccolo verso epico. Purtroppo questo lucido ragionamento preliminare di Schläger non trovò favore nei successivi studi musicologici soprattutto a causa del contributo seminale di F. Gennrich sull’esecuzione musicale delle chansons de geste uscito dodici anni più tardi.13 L’autorevole romanista-musicologo di Francoforte tentò di risolvere il presunto enigma posto dal rigo musicale della Bataille d’Annezin chiamando in causa la notazione quadrata sine littera, cioè senza testo verbale sottoscritto, impiegata nel repertorio liturgico dell’Organum a due voci, e propose di interpretare ogni ripetizione della sillaba in come l’inizio di una misura ritmica del II modo (breve + lunga); ne ricavava quindi un adattamento della frase musicale all’ultimo verso alessandrino della lassa che comportava però indebiti scioglimenti dei gruppi neumatici e aggiustamenti ritmici in almeno due misure :
13 Friedrich Gennrich, Der musikalische Vortrag der altfranzösischen chansons de geste. Eine literarhistorisch-musikwissenschaftliche Studie, Niemeyer, Halle a. S., 1923, pp. 14-17.
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Per far funzionare l’ingegnoso tentativo di ricostruzione ritmica della melodia e il suo discutibile adattamento al verso finale della lassa, la precedente ipotesi di Schläger doveva essere però demolita. Gennrich lo fece in maniera alquanto perentoria: “Ich möchte in dieser Notenzeile kein Nachspiel im Rhythmus eines Siebensilbners erblicken, sondern die zu der Dichtung gehörende Melodie“.14 È probabile che l’autorevolezza dello studioso, più che la liceità e la dimostrazione della sua ipotesi ricostruttiva, abbia condizionato il parere dei musicologi nei decenni a venire. Nei contributi o nei compendî sulla musica dell’epica francese di T. Gérold, J. Chailley, J. van der Veen, I. Parker, G. Le Vot, J. Stevens e P. Bracken prevarrà generalmente l’idea di un adattamento della frase musicale annotata in fondo alla Bataille d’Annezin quanto meno al testo dell’ultimo alessandrino, a prescindere dalla sua interpretazione ritmica, mentre non si farà alcun cenno all’equiparazione del rigo musicale con il piccolo verso epico avanzata da Schläger, il cui contributo non sarà nella maggior parte dei casi neppure menzionato. 15 La rimozione dell’idea di Schläger, forse innescata dalla posizione di Gennrich, non bastò tuttavia a cancellarla del tutto dalla tradizione di studi. Essa ricompare infatti, a più di ottant’anni di distanza, nella voce “Chanson de geste” redatta da H.-H. S. Räkel per l’enciclopedia Die Musik in Geschichte und Gegenwart (1995). Come Schläger, Räkel si mostra restio alla possibilità di un adattamento della frase musicale, così com’è annotata nel ms., a qualunque verso alessandrino e arriva quindi a formulare un’ipotesi sostanzialmente analoga a quella del suo ignoto predecessore: “Die siebenfache Schreibung der Silbe in würde noch am ehesten bedeuten, daß hier eine Schlußsilbe mit einer (Instrumental-)Cauda von der Länge eines weiblichen Sechssilblers nach Art des Laissenschlusses des Girart de Vienne versehen werden soll”.16 Come si vede, l’unica diversità fra le due ipotesi risiede in un Ivi, p. 16. Théodore Gérold, La musique au Moyen Âge, Champion, Paris, 1932, pp. 82-83; Jacques Chailley, “Études musicales sur la chanson de geste et ses origines”, Revue de Musicologie, 30, 1948, pp. 1-27, alle pp. 2-3; Id., “Du Tu autem de Horn à la musique des chansons de geste”, in La chanson de geste et le mythe carolingien. Mélanges René Louis, Musée Archéologique Regional, Saint-Père-sous-Vézelay, 1982, 2 voll., I, pp. 21-32, alle pp. 25-26; Jan van der Veen, “Les aspects musicaux des chansons de geste”, Neophilologus, 41, 1957, pp. 82-100, alle pp. 88-89; Parker, “Chanson de geste”, cit.; Gérard Le Vot, “À propos des jongleurs de geste. Conjectures sur quelques procédés musicaux utilisés dans les compositions épiques médiévales”, Revue de Musicologie, 72, 1986, pp. 171-200, alle pp. 172 e 187; John Stevens, Words and Music in the Middle Ages. Song, Narrative, Dance and Drama, 1050-1350, Cambridge University Press, Cambridge, 1986, pp. 224-225; Paul Bracken, “‘Halt sunt li pui’: Towards a Performance of the Chanson de Roland”, Nottingham Medieval Studies, 57, 2003, pp. 73-106, alle pp. 83-84. 16 Räkel, “Chanson de geste”, cit., col. 625. 14 15
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dettaglio importante: Räkel, che ragiona al di fuori dei rigidi parametri del ‘mensuralismo’ primo-novecentesco, non ha difficoltà ad individuare nell’articolazione neumatica e sillabica del rigo musicale un esasillabo femminile, ovvero il tipo di piccolo verso più diffuso nella tradizione epica francese ed esclusivo delle canzoni con lassa dodecasillabica. Sorprende a questo punto che nel recente contributo del musicologo americano J. Haines, dove si passano brevemente in rassegna le precedenti ipotesi interpretative, proprio quella di Schläger (riesumata e perfezionata da Räkel) non venga presa in considerazione prima di proporre un’ulteriore e avventurosa speculazione di stampo decostruzionista e numerologico sul “criptico” rigo musicale. Dopo aver sostenuto nuovamente – ma con argomenti non dirimenti – che la lassa di Thomas de Bailleul potrebbe costituire una parodia della battaglia di Bouvines, lo studioso pensa che anche nel rigo musicale vada scorto un elemento parodico riconducibile a quell’evento storico. Egli ritiene in particolare che il rigo annotato non rappresenti una singola frase musicale ma che esso sia scomponibile in una serie di segmenti melodici, ciascuno contrassegnato dalla sillaba in, che avrebbero richiamato alla mente di un lettore medievale le abbreviazioni musicali dei libri liturgici e nella fattispecie quelle relative ai salmi. La notazione, quasi una “musical footnote” del testo poetico, avrebbe insomma un valore puramente simbolico, come simbolico sarebbe il numero delle sette sillabe-ligature e dei quarantanove versi della lassa (sette per sette, escludendo però l’ultimo che fungerebbe da explicit!) in riferimento a una presunta “numerology surrounding Bouvines accounts”. Secondo Haines, la melodia non fu dunque annotata per essere eseguita, ma esprimerebbe l’intenzione di alludere scherzosamente alla recitazione salmodica che secondo alcune cronache avrebbe accompagnato il re Filippo Augusto alla famosa battaglia.17 A me sembra invece, come si sarà capito, che la poco fortunata ipotesi formulata da Schläger e poi da Räkel – secondo la quale il rigo musicale annotato in fondo alla Bataille d’Annezin costituisce un dispositivo formale di chiusura della lassa corrispondente a quello del piccolo verso eptasillabico – sia da ritenere ancora valida per una serie di considerazioni che cercherò di riepilogare qui in maniera schematica : (1) essa rende conto della posizione del rigo musicale nel ms., della forma dei neumi e del numero delle sillabe, nonché della tipologia melodica della frase, e risponde in questo a un criterio di economia logico-formale che è invece eluso dalle ipotesi di adattamento della melodia al verso alessandrino (Gennrich, Chailley, Stevens, ecc.) e da quella di una sua scomposizione in una serie di segmenti fra loro irrelati (Haines);
17 Haines, “The Battle of Anesin”, cit., pp. 371-378; cfr. anche Id., Medieval Song in Romance Languages, Cambridge University Press, Cambridge, 2010, p. 94.
Su una ‘traccia’ musicale epica
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(2) il problema della ripetizione della sillaba in, che ha dato origine all’idea di una scrittura musicale cifrata, non sembra sussistere se in essa si legge l’ultimo fonema vocalico di una lassa rimata in -in (= /ĩ/) e se si pensa che nel repertorio lirico mediolatino e romanzo esistono numerosi esempi di versi formati interamente o parzialmente da vocali ripetute e nella fattispecie di versicoli vocalici ‘ad eco’ in chiusura di strofa, così ad es. Thibaut de Champagne, Por conforter ma pesance (RS 237, str. I: “…n’ot pas si grief penitance, / e, e, e”) e Jaufre Rudel, No sap chantar (BdT 262.3, ms. M, str. I: “…con plus l’ausires mais valra, / a, a”): la fenomenologia è stata studiata e spiegata convincentemente in funzione dell’esecuzione musicale da H. Spanke;18 (3) in fondo alle rare ma significative lasse satiriche del repertorio lirico provenzale (Peire Bremon Ricas Novas, Un vers voill comenzar, cui risponde Gui de Cavaillon, Ben avetz auzit [BdT 330.20 = 192.1]) e galego-portoghese (Afonso Lopez de Baian, Seiaxi Don Belpelho en ũa sa maison [LPGP 6.9]) sono presenti delle formule vocaliche di chiusura (risp. “Oi” ed “Eoy”) che rimandano a quella famosa del Roland di Oxford (“Aoi”) e che fanno pensare a un comune dispositivo vocalico (e musicale) di chiusura sentito come caratteristico della lassa epica e perciò segnalato nelle sue imitazioni formali da parte di autori lirici: 19 questo fatto spiegherebbe la vistosa rappresentazione di un dispositivo musicale affine nel ms. della Bataille d’Annezin, che è appunto una parodia del genere epico; (4) l’esistenza di un piccolo verso musicale, infine, s’inserirebbe coerentemente all’interno del discorso critico sulle origini, la distribuzione e la tipologia del piccolo verso epico nella tradizione epica francese: essa verrebbe a costituire un elemento di discussione rilevante soprattutto riguardo alla funzione del piccolo verso come refrain e alle sue manifestazioni come verso conclusivo sintatticamente irrelato alla lassa.20
Università di Palermo
18 Hans Spanke, “Klangspielereien im mittelalterlichen Lieder“, in Walter Stach / Hans Walther (a c. di), Studien zur lateinischen Dichtung des Mittelalters. Ehrengabe für Karl Strecker zum 4. September 1931, Baensch Stiftung, Dresden, 1931, pp. 171-183. 19 Cfr. da ultimo Paolo Di Luca, “Épopée et poésie lyrique: de quelques contrafacta occitans sur le ‘son’ de chansons de geste”, Revue des Langues Romanes, 112, 2008, pp. 33-60. 20 Cfr. in part. Aurelio Roncaglia, “Petit vers et refrain dans les chansons de geste”, in La technique littéraire des Chansons de geste. Actes du Colloque de Liège (septembre 1957), Les Belles Lettres, Paris, 1959, pp. 141-159 (rist. in A. R., Epica francese medievale, a cura di A. Ferrari e M. Tyssens, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2012, pp. 127-140) e Peter F. Dembowski, “Le vers orphelin dans les chansons de geste et son emploi dans la geste de Blaye”, Kentucky Romance Quarterly, 17, 1970, pp. 139-148. Una discussione più ampia di queste considerazioni è in corso di stampa sulla Zeitschrift für romanische Philologie col titolo “Il rigo musicale in fondo alla Bataille d’Annezin e i dispositivi di chiusura della lassa epica”.
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Ms. London, British Library, Royal 20 A XVII, cc. 176v-177r
CHARMAINE LEE Daurel e Beton: tra modelli francesi e ideologia occitana
Potrebbe sembrare ormai banale iniziare un intervento sulla narrativa occitana con l’affermazione che rappresenti un’‘eccezione’, come ebbe a dire Alberto Limentani nel lontano 1977, ma non nuoce ricordarlo.1 L’immagine che noi abbiamo della tradizione letteraria del Midi della Francia è sostanzialmente distorta a causa della storia della trasmissione dei testi. Il successo e la conseguente conservazione di un notevole corpus di poesia lirica, soprattutto in Italia, fa sì che si tende ad associare, come già Dante nel De vulgari eloquentia [I, x, 2-3], la tradizione occitana con la lirica e quella oitanica con la narrativa. Ciononostante, come è ormai assodato, un certo numero di testi narrativi, tra cui alcuni autentici capolavori, sono giunti fino a noi, incluso qualche testo epico, il cui debito o la cui indipendenza dalla tradizione francese, però, vengono ancora messi in discussione. In questo il poema epico Daurel e Beton non fa eccezione. Come molti testi della narrativa occitana, Daurel e Beton è trasmesso da un solo manoscritto, ora Parigi, Bibliothèque nationale de France, nouvelles acquisitions françaises 4232, noto anche come ‘manoscritto Didot’, perché acquistato alla fine del secolo XIX dal libraio parigino Amboise Firmin-Didot, e datato al secolo XIV. Da annotazioni nel manoscritto si deduce che nel 1442 si trovava ad Arifat, vicino Castres, nell’attuale dipartimento del Tarn, dove con ogni probabilità è stato copiato il poema. Il codice è una miscellanea cartacea, ad eccezione delle cc. 14r-17v, pergamenacee e di dimensioni più piccole; mancano le prime 72 carte e forse le ultime, ma non è chiaro quanto manca e purtroppo ciò riguarda proprio Daurel, ultimo testo copiato, la cui parte finale è anche guasta per macchie di umido e buchi procurati da vermi. L’ispezione del codice porta alla conclusione che “sembra essere stato composto in fasi e luoghi distinti per accumulo non sistematico di materiali testuali”.2 Contiene testi religiosi, la cosiddetta Passion Didot, tre componimenti trobadorici, un frammento di novas, oltre al nostro poema. Il consenso degli studiosi è che sia stato copiato in Guascogna o nel Tolosano da copisti provenienti dalla Guascogna e che questi non erano professionisti, dato il loro alto numero: dodici secondo Paul Meyer. A titolo d’esempio dell’origine guascone dei copisti, si
1
Alberto Limentani, L’eccezione narrativa. La Provenza medievale e l’arte del racconto, Einaudi, Torino,
1977. 2 Si veda Paolo Di Luca, “La posizione del manoscritto Didot nella tradizione della lirica trobadorica”, Medioevo romanzo, 37, 2013, pp. 88-124 (cit. a p. 88). Il manoscritto è stato descritto dettagliatamente da Paul Meyer nell’introduzione alla sua edizione di Daurel: Paul Meyer (a c. di), Daurel et Beton, Champion, Paris, 1880, al quale va aggiunto ora Paolo Di Luca, “Le novas del manoscritto Didot”, Cultura neolatina, 71, 2011, pp. 287-312.
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può notare, nel testo di Daurel, qualche caso di b per v: junbentut (v. 5), bestz ‘vesti’ (v. 95; ma bertz nel manoscritto, uno dei numerosi punti non chiari, aperti a varie interpretazioni), a fianco a vestes nello stesso verso, los per dativo lor (vv. 1392,1576), et per el (v. 2104), insieme a molti altri tratti che puntano invece più genericamente alla scripta tolosana tra i secoli XIV e XV.3 Lo stato del testo, dunque, non è ottimale e questo vale anche per la forma metrica che è la lassa di décasyllabes rimati, ma il poema presenta ibridismo metrico, in quanto le prime cinque lasse (138 versi) sono in alessandrini e altri alessandrini si trovano sparsi qui e lì nel resto del poema. Ciò sembrerebbe indicare che a un certo punto nella storia testuale qualcuno ha tentato un rifacimento in alessandrini, in linea con quella che sembra essere una tendenza dell’epica occitana, presente anche nei due poemi epici Ronsasvals e Roland a Saragossa e perfino nelle versioni dei manoscritti C (BnF, fr. 856) e J (Firenze, Biblioteca nazionale, Conventi soppressi, F.IV.776) della Lettera epica di Raimbaut de Vaqueiras. Si tratta di tentativi di rifacimento in una direzione sentita come più ‘moderna’ e illustrata dalla metrica della Canso de la Crotzada, per esempio.4 Non è possibile evidentemente correggere gli alessandrini, benché molti possano facilmente essere ricondotti a décasyllabes, come non è possibile restituire un testo soddisfacente in tutti i luoghi che lo richiederebbero e si deve tentare, in sede di costituzione del testo, di limitare i danni considerando l’usus scribendi e le esigenze della metrica. Un ulteriore problema riguarda la lingua dell’autore. Meyer pensava che alcuni aspetti della lingua fossero da attribuire all’autore piuttosto che al copista, come la riduzione /ts/ > /s/ o /t/, che causa la caduta di -z nei participi passati, fenomeno osservabile nel Limosino e dunque in un’area più settentrionale, benché Kimmel lo associ piuttosto al copista e all’area guascone. 5 Tuttavia diverse altre forme nel Daurel, che potrebbero essere attribuite a prima vista al copista, si trovano in altri testi epici occitani e narrativi in generale, in particolare nel manoscritto P di Girart de Roussillon (BnF, fr. 2180). Per esempio l’articolo lhi, presente nel manoscritto P del Girart, nella Guerra de Navarra, nella Canso d’Antioca, nella Canso de la Crotzada e in altri testi narrativi soprattutto agiografici. Daurel impiega anche le forme ponh (vv. 11, 229, 622, 638, 669, 1333) come P; prumier (vv. 1289, 1380, 1512, 2157); tracher (lo tracher Gui). Si trova inoltre la grafia tuh, con h per /tʃ/, in P, nella Guerra de Na3 Si vedano ancora Meyer, Daurel et Beton, cit., pp. LXIII-LXV; Camille Chabaneau, Recensione dell’edizione di Meyer, Revue des langues romanes, 20, 1881, pp. 246-260; Arthur S. Kimmel, A Critical Edition of the Old Provençal Epic Daurel et Beton, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1971, pp. 28-33 e i commenti aggiornati in Di Luca, “La posizione”, cit., p. 88 e n. 5. 4 Cfr. D’Arco Silvio Avalle, La letteratura medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta, Einaudi, Torino, 1961, pp. 74-78. L’intervento in questo volume di Doriana Piacentino, “Metrica e ammodernamento linguistico: l’esempio della Chanson d’Aspremont tràdita dal ms. Royal 15 E VI”, descrive un fenomeno simile, ma allo stesso tempo contrario, di alternanza tra décasyllabes e octosyllabes nella tradizione dell’Aspremont. 5 Kimmel, A Critical Edition, cit., p. 31.
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varra, la Canso d’Antioca, la Canso de la Crotzada, a cui si possono aggiungere le forme dih < DICTUM, fah < FACTUM, che significa che almeno per il copista di Daurel e quello di P kt > /tʃ/.6 Daurel offre ancora lo stesso esito per /dj/: auh < AUDIO, pueh < PODIUM, gauh < GAUDIUM, che per Pfister indicherebbe una provenienza grosso modo del sud-ovest, il cosiddetto “occitano centrale”, che comprende una parte del tolosano, il Rouergue, il Quercy, l’albigese e la zona di Agen.7 Il fatto, però, che tali tratti si trovino in altri testi narrativi, e alcuni più specifici nel manoscritto P di Girart, suggerisce in primo luogo di rivedere la questione della lingua dei testi narrativi occitani, che tendono ad impiegare una koiné su basi diverse di quella della poesia dei trovatori e che ci porta verso quell’area definita “South Frankland” da Thomas Bisson, dove sembra concentrarsi la circolazione dei testi narrativi. 8 In secondo luogo, ma non è il mio scopo qui, suggerisce la necessità di rivalutare la questione della lingua di Girart de Roussillon, piuttosto simile a quella di Daurel in P, rispetto alla varietà così particolare, ma probabilmente così artificiale, di O (Oxford, Bodleian Library, Canonici misc. 63) sotto la cui forma siamo abituati a leggere il testo. In tutti i modi, la particolare mescolanza di occitano e francese nel manoscritto O di Girart apre a un altro aspetto della lingua di Daurel e Beton, che ha fatto ipotizzare un’origine pittavina. Si tratta della presenza di numerose rime che presuppongono forme di tipo francese. Queste riguardano soprattutto gli infiniti con uscita -er o -ier < -ARE, laddove l’occitano ha -ar. Tali rime includono diverse forme come: parlier (vv. 58, 63, 72), alier (v. 75), clier (vv. 141, 156), amier (v. 166), che sarebbero inaccettabili in francese, che ammette -ier solo dove -ARE è preceduto da palatale (oppure per il suffisso -ARIUM > ier). Invece, come ha notato Avalle, che ha elaborato il concetto di rima pittavina nei suoi studi sulla Passion de Clermont, in pittavino -ARE > -er sempre, che sia preceduto o no da palatale. Per Avalle, dunque, andrebbero corrette tutte in -er, restituendo le originali desinenze pittavine. 9 Ciò confermerebbe le conclusioni di Kimmel e Meyer, per esempio, che collocano l’autore di Daurel nella regione pittavina.10 È invece ormai noto che questo tipo di fenomeno linguistico è presente anche in altri testi epici meridionali come Fierabras, 6 Esempi ricavati con l’ausilio della COM: Peter T. Ricketts, Concordance de l’occitan médiéval. COM 2: Les troubadours. Les textes narratifs en vers, CD-rom, Brepols, Turnhout, 2005. 7 Max Pfister, “La localisation d’une scripta littéraire en ancien occitan”, Travaux de linguistique et de littérature, 10, 1972, pp. 253-291; Id., “L’area galloromanza”, in Piero Boitani, Mario Mancini e Alberto Varvaro (a c. di), Lo spazio letterario del medioevo. 2. Il medioevo volgare, vol. II, La circolazione del testo, Salerno, Roma, 2002, pp. 13-96. 8 Cito l’espressione di Bisson da Stefano Asperti, “La letteratura catalana medievale”, in Valeria Bertolucci, Carlos Alvar e Stefano Asperti, L’Area iberica, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 327-408, a p. 330. 9 D’Arco Silvio Avalle, Cultura e lingua francese delle origini nella Passion di Clermont-Ferrand, Ricciardi, Milano-Napoli, 1962, p. 56; cfr. anche Charmaine Lee, “Le canzoni di Riccardo Cuor di Leone”, in Atti del XXI Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza (Palermo, 18-24 settembre 1995), Niemeyer, Tübingen, 1998, 6 voll., VI, pp. 243-250. 10 Meyer, Daurel et Beton, cit., p. XLVII; Kimmel, A Critical Edition, cit., pp. 21-25.
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Aigar e Maurin, la prima parte della Canso de la Crotzada, Roland a Saragossa e Ronsasvals, gli ultimi tre dei quali sicuramente non dell’area pittavina. Sono forme ‘iperfrancesi’ che, insieme alle forme francesi regolari, sembrano volere attribuire maggiore ‘letterarietà’ ai testi epici occitani, facendoli conformare con l’immagine che si aveva di questo genere, associato alla Francia, come voleva anche Dante, e come è implicito inoltre nell’epica franco-italiana: Avalle, infatti, parla qui giustamente di letteratura “franco-occitanica”.11 Tra l’altro, sono tutte rime che possono facilmente essere riportate a forme occitane, come ha osservato Lafont, che vi vede invece una “élaboration linguistico-stylistique”, prodotta del “réseau clunisien aquitainnavarrais (plus précisément les foyers culturels de Saint-Martial, Saint-Sernin et Tudèle) entre 1117 et 1130 environ”.12 Di nuovo nel sud-ovest dunque. Le parole di Lafont, frutto del suo tentativo ‘alla Fauriel’ di riportare l’epica galloromanza tutta all’area occitana, reagiscono però correttamente all’idea, basata proprio sui francesismi nei testi occitani, che questi fossero tutti riscritture di precedenti francesi. Mentre questo sembra il caso di Fierabras, non potrebbe esserlo per la prima parte della Canso de la Crotzada, il cui autore, nativo di Tudela, confermerebbe semmai la tesi di Lafont. Ovviamente anche Daurel e Beton è stato considerato una riscrittura di un originale francese perduto e per di più una cattiva riscrittura, secondo una tradizione degli studi della narrativa occitana, che tratta con disprezzo il proprio oggetto; tali sono stati i giudizi sommari su Blandin de Cornualha, Guillem de la Barra, perfino su Jaufre e su altro. È sui rapporti di Daurel con la tradizione francese che dedicherò il resto di questo intervento. Il contenuto del poema è riassunto nei primissimi versi: Plat vos auzir huna rica canso? Entendet le, si vos plas, escotas la razo D’un rich duc de Fransa e del comte Guio, De [D]aurel lo joglar e de l’enfan Beto Que en sa junbentut tray tan gran pasio. (vv. 1-5) [Volete ascoltare una bella canzone? Uditela, se volete, ascoltate la storia di un potente duca francese e del conte Gui, di Daurel il giullare e del bambino Beton, che nella sua infanzia corse pericoli tanto grandi.]13
Avalle, La letteratura, cit., p. 77. Cfr. Robert Lafont, “Contactes de langues et épopée médiévale: le problème de la circulation ocoïl [1995]”, in La source sur le chemin. Aux origines occitanes de l’Europe littéraire, L’Harmattan, Paris, 2002, pp. 313-334, e Id., “Girart de Roussillon: un texte occitan [1997]”, ivi, pp. 397-422. 13 Cito testo e traduzione da: Daurel e Beton, a c. di Charmaine Lee, Pratiche, Parma, 1991. 11 12
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Purtroppo, come già accennato, manca la fine del poema: sono rimasti solo 2185 versi, e non sappiamo se sarebbe terminato all’improvviso o sarebbe continuato per centinaia o anche migliaia di versi, in cui la violenza e la vendetta avrebbe condotto ad altra violenza, come è tipico della tradizione epica. 14 Daurel e Beton non fa eccezione e dietro il riassunto iniziale c’è il racconto della vendetta di Beton, con l’aiuto di Daurel, per la morte a tradimento di suo padre Bovo d’Antona per mano del companho di questi, Gui d’Aspremont. È proprio perché Gui si rende conto che la violenza dà origine ad altra violenza che cerca di uccidere Beton, il quale lo ucciderà infatti a sua volta. Sarah Kay sostiene che una simile catena che parte dalla morte violenta dell’eroe epico e porta alla vendetta implica che l’eroe non muore ma continua a vivere come parte delle forze della natura che sono responsabili per gli avvenimenti futuri. Kay definisce questo la “sacralità” della morte, che appartiene alle credenze più primitive che sottendono la poesia epica. Che Daurel vada anche letto in questo modo è evidente proprio nella scena dell’uccisione di Bovo, che insiste su tali credenze primitive. In primo luogo l’uccisione avviene durante una caccia al cinghiale e, benché la “morte accidentale durante la caccia” sia un motivo tipico dell’epica, la caccia al cinghiale, come ha dimostrato Michel Pastoureau, è più arcaica di quella al cervo, da cui fu sostituita come caccia simbolica intorno al secolo XII.15 Bovo, rendendosi conto che sta per morire, chiede di potersi comunicare con delle foglie: “Companh, si a vos platz, / Ab de la fuelha e vos me cumergas” (vv. 427-8: Compagno, se vi piace, fatemi la comunione con delle foglie). La comunione con le foglie o con l’erba era ammessa dalla chiesa fino al secolo XII, ma rappresenta una comunione con la natura di probabile origine pagana. Gui, però, non glielo permette e allora l’ultimo desiderio di Bovo è che Gui mangi il suo cuore: “Prendes del cor, senhe, ni ne manjatz!” (v. 434: prendete il mio cuore, signore, e mangiatelo!). Si tratta ancora di un motivo folklorico (Q.478.1 nell’indice di Stith-Thompson), qui di nuovo collegato all’idea primitiva che Gui in questo modo assumerà in parte la natura nobile di Bovo. Il cuore, dunque, viene visto “as somehow focusing and perpetuating the heroism of the dead heroic body” e lo spirito dell’eroe è trasmesso all’universo che lo circonda piuttosto che a un altro mondo cristiano.16 Così, il racconto di Daurel e Beton trova posto in una catena di violenza e di morte, catena che parte probabilmente dall’epopea molto più nota di Beuve de Hantone, di cui è stato visto come una continuazione, e dunque un’imitazione di un modello francese. Il personaggio Bovo d’Antona, presentato fin dall’inizio: “Lo duc Bobis d'Antona” (v. 6), avrebbe creato il collegamento tra Daurel e questo poema i cui 14 Si veda Sarah Kay, “The Life of the Dead Body: Death and the Sacred in the Chansons de geste”, Yale French Studies, 86, 1994, pp. 94-108. 15 Michel Pastoureau, “Cacciare il cinghiale. Dalla selvaggina regale alla bestia impura: storia di una svalutazione”, in Medioevo simbolico, Laterza, Roma-Bari, 2009 [orig. fr. 2004], pp. 56-68. 16 Kay, “The Life of the Dead Body”, cit., p. 99.
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contenuti sono quasi identici: il padre di Bovo, Gui, viene ucciso durante una caccia dall’amante della moglie. Il piccolo Bovo, come Beton, fugge in Oriente per non essere ucciso e lì si innamora della figlia del re d’Armenia, Josiana. Alla fine si vendicherà dell’assassinio. Alcuni studiosi di Daurel, come Kimmel, negano che ci siano rapporti fra i due testi principalmente in base alle date. 17 Si è cercato di datare Daurel alla prima metà del XII secolo, perché è menzionato nell’ensenhamen di Guerrau de Cabrera, Cabra juglar, datato a sua volta al 1155-60c., mentre le prime versioni conosciute di Beuve de Hantone risalgono al XIII secolo, 1200c. per la versione anglonormanna. Allo stesso tempo si nega che il toponimo Antona possa essere Southampton, in Inghilterra, di cui il padre di Beuve è conte. È, però, ormai assodato, dopo gli studi di Stefano Cingolani, che il Cabra juglar andrebbe con ogni probabilità postdatato agli inizi del secolo XIII. 18 Non vedo, inoltre, motivo per non identificare Southampton con Antona, che ancora è la forma impiegata per questa città nel secolo XV, nel Victorial di Gutierre Diez de Games, per esempio. Bovo d’Antona era eroe associato alla città e compare ancora oggi nella toponomastica locale; per di più Southampton manteneva stretti rapporti con la regione PoitouAquitania durante il secolo XII e oltre, essendo il maggiore porto importatore di vini dalla regione. Non è peregrino pensare che la leggenda di Bovo possa avere viaggiato, anche per trasmissione orale, dall’Inghilterra anglonormanna al meridione della Francia, senza avere neanche bisogno di intermediari francesi. Ciò emerge ancora dal fatto che è stato possibile per Kimmel, insieme a Kurt Waiss, isolare alcuni motivi presenti in Daurel che sembrano richiamare testi della tradizione germanica, specificamente quella anglosassone, come la figura del ‘siniscalco traditore’ in Haveloc the Dane, o la vendetta del figlio per la morte del padre ancora in Haveloc, oltre che in King Horn e perfino Amleto. Tra l’altro, a questo proposito, è interessante notare come Daurel e Beton alla fine della vicenda danno inizio alla loro vendetta entrando nel campo di Gui travestiti da giullari e poi eseguendo una chanson de geste, una teatralizzazione del tradimento, come avviene proprio nell’opera di Shakespeare dove Amleto fa rappresentare la morte del padre da parte di Claudio da una compagnia teatrale. 19 Con questi esempi Waiss sottolineava l’importanza della tradizione anglosassone come filtro verso quella romanza di temi e motivi germanici, in questo caso forse direttamente dall’Inghilterra all’area occitana. Fin dall’inizio del poema è chiaro che le terre con le quali Carlomagno investe Bovo corrispondono più o meno al Ducato di Aquitania e alla Contea di Poitou: “E Kimmel, A Critical Edition, cit., pp. 34-35. Stefano Maria Cingolani, “The Sirventes-ensenhamen of Guerau de Cabrera: a proposal for a new interpretation”, Journal of Hispanic Research, 1, 1992-93, pp. 191-201. 19 Cfr. Kimmel, A Critical Edition, cit., pp. 110-111; Kurt Waiss, “Ermessent, die vier Söhne des Gibouart und der Mord an Sigfrid”, in Dieter Messner e Wolfgang Pöckl (a c. di), Romanisches Mittelalter. Festschrift zum 60. Geburtstag von Rudolf Baehr, Kümmerle, Göppingen,1981, pp. 343-372. 17 18
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donar l’ay Peutieus, lo solier e la tor; / De Bordels atresi lo vulh faire senhor.” (vv. 135-6: e a lui darò Poitiers, la terra e il castello; e voglio anche farlo signore di Bordeaux); proprio quelle terre che possedeva il re d’Inghilterra dal 1154 e che in un modo o un altro gli sarebbero appartenute fino alla fine della Guerra dei Cent’anni (1453), terre che si contrapponevano al re di Francia ancor prima di diventare parte del cosiddetto “impero plantageneta”. Con l’investitura di questo feudo si marca la distanza tra gli interessi di Bovo e poi Beton rispetto a Carlomagno, che nel testo viene a rappresentare la dinastia capetingia, come nell’epica francese, ma in modo negativo. Così Daurel e Beton si presenta come un testo che impiega la tradizione francese, perfino con una lingua che ammicca al francese, per sovvertirla dall’interno e riaffermare i valori della tradizione occitana in un modo che ricorda anche altri testi narrativi meridionali, come il romanzo di Jaufre, per esempio. Nel nostro caso questo avviene tramite il personaggio del giullare Daurel, figura emblematica della cultura trobadorica, che assume il ruolo di educatore della nobiltà feudale. La vicenda di Daurel e Beton, infatti, è anche quella di un patto feudale non rispettato, un patto di compagnonnage tra Bovo e Gui, che ricorda inoltre le convenientiae tipiche del feudalesimo meridionale, che non implicavano l’omaggio, ma stabilivano rapporti reciproci tra due persone e sistemavano le cose per il futuro. 20 Qui si conviene che i due avrebbero diviso tutto, proprietà e mogli comprese a seconda di chi sarebbe morto prima; ma dopo che Bovo viene investito dell’importante feudo, ricevendo anche la mano della sorella di Carlomagno, Gui è accecato dalla gelosia e per questo lo uccide, facendo credere che la morte sia dovuta a un incidente di caccia. La moglie di Bovo, Ermengarda, nel suo intimo, sa che Gui ha ucciso il marito, come aveva minacciato di fare dopo che lei aveva rifiutato le sue avances (vv. 231-43). Ermengarda diventa così una vedova che rischia di essere diseredata, mentre Beton è ormai un orfano in pericolo di vita. Proteggere gli interessi di madre e figlio spetterebbe al re o alla nobiltà feudale, secondo le regole del codice cavalleresco, ma nessuno sembra voler seguire questo codice a cominciare dal più nobile di tutti, Carlomagno, che praticamente vende sua sorella al traditore Gui, come sottolinea lei stessa: Ai! Senher reis, leu vos es acosselhatz, Que pel ric duc .i. tracher mi donatz! Bens grans aver cre que vo·nh sia donatz. 20 Cfr. Linda Paterson, The World of the Troubadours. Medieval Occitan Society, c. 1100-c. 1300, Cambridge University Press, Cambridge, 1993, pp. 69-70, nonché Pierre Bonnassie, “Les conventions féodales dans la Catalogne du XIe siècle”, in Les structures sociales de l’Aquitaine, du Languedoc et de l’Espagne au premier âge féodal, Éditions du CNRS, Paris, 1969, pp. 187-219; Adam J. Kosto, Making Agreements in Medieval Catalonia. Power and the Written Word, 1000-1200, Cambridge University Press, Cambridge, 2001, pp. 289-294.
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CHARMAINE LEE Aital ric rey si fo en bon ponh natz Que per aver de sa sor fai mercatz! (vv. 619-23) [Ah, signor re, avete preso una decisione affrettata se al posto del grande duca mi date un traditore! Credo che vi siano state date grandi ricchezze. Nacque proprio sotto una buona stella questo grande re che mette in vendita sua sorella per denaro!]
L’unico pronto ad agire è Daurel, diventato castellano di Monclar in cambio delle sue performances musicali e acrobatiche. Porterà Beton in esilio dall’emiro di Babilonia finché sarà grande abbastanza da indossare le armi e vendicare la morte del padre. In Oriente veglia sull’educazione di Beton in modo che questi, come il padre prima di lui, incarni i valori cavallereschi e cortesi, illustrando tramite le sue azioni la tesi dei trovatori ‘moralistici’, ossia che era loro compito istruire la nobiltà. Come ho cercato di dimostrare altrove, Daurel e Beton può essere avvicinato a testi didattici cortesi come gli ensenhamens o le novas.21 Daurel insegna al giovane e nobile Beton, non tanto e non solo i valori cavallereschi, ma anche quelli cortesi: Beton impara la musica e il canto, nonché quel valore fondamentale del sistema cortese che è la largueza, la generosità. L’ultimo atto di Beton alla corte dell’emiro è la sconfitta del re Gormon grazie alle sue abilità cavalleresche; ma subito dopo rivelerà quanto sia generoso, donando i due destrieri catturati a due giovani. A questo punto, dopo questa parentesi all’insegna dei valori cortesi, che costituisce una vera e propria interruzione del discorso epico, Beton è pronto per tornare a dare battaglia a Gui, a immergersi di nuovo nel mondo della violenza e della vendetta che contraddistinguono l’epica, ma la vendetta, come si è accennato sopra, sarà messa in atto da una performance giullaresca. Daurel e Beton travestiti da giullari, entrano nell’accampamento di Gui e cantano: De tracio que no fai a celar, Del fel trachor Guio, cui Jhesus desampar! Qu’aucis lo duc quan fon ab lui cassar. (vv. 1945-47) [su un tradimento che non va nascosto, sul traditore fellone Gui, che Gesù lo abbandoni, che uccise il duca quando andò a caccia con lui]
dando così inizio allo scontro finale.
21 Cfr. Charmaine Lee, “Il giullare e l’eroe: Daurel e Beton e la cultura trobadorica”, Medioevo romanzo, 9, 1984, pp. 343-360.
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In Daurel e Beton, dunque, gli eventi si presentano in un modo che richiederebbe un comportamento cavalleresco da parte dei nobili, ma che invece viene assunto da personaggi più umili: dal giullare Daurel, i cui figli saranno anche investiti cavalieri verso la fine del testo (vv. 2076-78) dopo l’eroica difesa di Monclar durata dodici anni, dal borghese di Poitiers al quale Ermengarda affida Beton in un primo momento, e da sua figlia Aicelina, che gli farà da balia e sarà poi torturata da Gui che vuole scoprire dove è nascosto il bambino, e infine dal pagano emiro di Babilonia. Sarah Kay ha visto giustamente in questo un contre-récit, affiancato al racconto epico vero e proprio. Un passato ideale dove gli uomini scambiavano sentimenti e beni, come nel patto di compagnonnage, viene contrapposto a una società nuova, dove altre categorie, come madri, balie, bambini e saraceni, possono stare dalla parte della ragione. Dunque, “Daurel et Beton abandonne en définitive l’univoque qui caractérise son propre âge d’or et réalise, dans le genre épique, un dialogisme plus proche de la littérature courtoise”.22 Da queste riflessioni possiamo estrapolare due fatti importanti: uno che Daurel si muove in direzione della letteratura cortese e l’altro che oppone una società diversa a quella che caratterizza l’epica. Credo che si possa andare oltre e vedere non tanto una nuova società, ma la società e la cultura occitane, portatrici dei valori cortesi, opposte ai valori francesi dell’epica incarnati da Carlomagno e da Gui, ma che ora sono minacciate dagli sconvolgimenti apportati dalla Crociata contro gli Albigesi. È stato spesso osservato come nel sud della Francia vi era un diverso assetto della società feudale, in cui erano molto comuni i cavalieri urbani, come emerge da un testo come la Canso de la Crotzada, dove i cavalieri sono ritratti frequentemente a fianco della borghesia. Le città del Midi si muovevano in direzione di un governo simile a quello dei comuni italiani, retti da consoli provenienti non di rado dai ranghi della cavalleria. Non c’era evidentemente lo stesso disprezzo per la borghesia di quanto appare nei testi provenienti dal nord (si pensi ai fabliaux, per esempio), sicché viene meno quella netta distinzione tra i due gruppi, almeno nella Canso de la Crotzada, oppure nella Guerra de Navarra, oltre che nella documentazione storica.23 Quando, per esempio, Tolosa si prepara all’assalto delle truppe di Simon de Montfort alla fine della Canso, vediamo che tutti sono coinvolti: E·ls baros de Capitol portan los bastonetz E lhiuran las viandas e·ls bels dos e·ls larguetz; E lo pobles aporta pics, palas e espleitz; 22 Sarah Kay, “Compagnonnage, désordre social et hétérotextualité dans Daurel et Beton”, in Actes du XIe Congrès international de la Société Rencesvals (Barcelone, 22-27 août 1988) = Memorias de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona, 21, 1990, 2 voll., I, pp. 353-367, a p. 367. 23 Si veda, per esempio, la situazione a Tolosa descritta da Philippe Wolff, “La noblesse toulousaine: essai sur son histoire médiévale”, in Philippe Contamine (a c. di), La noblesse au moyen âge, Xe-XIe siècles. Essais à la mémoire de Robert Boutruche, Presses Universitaires de France, Paris, 1976, pp. 153-174.
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CHARMAINE LEE E no i remas nulh antz, ni cunhs ni marteletz Ni semal ni caudeira ni cuba ni paletz. E comensan las obras e·ls portals e·ls guisquetz; Cavalers e borzes recebro·ls caironetz E donas e donzelos e tozas e tozetz E donzelas piuzelas, li gran e·ls menoretz, Que cantan las baladas e cansos e vercetz. (203, vv. 98-107) [I baroni del Capitole portano le loro insegne e distribuiscono cibo e bei regali, generosamente; e il popolo porta picconi, pale e altri attrezzi; e non rimase mazza, cuneo o martello, né tinozza, calderone, bacinella o palo. Cominciano i lavori ai portoni e alle porticine; i cavalieri e i borghesi si passarono le pietre squadrate, e così fecero donne e ragazzi, ragazze e giovanotti, e fanciulle in fiore, il popolo intero, cantano ballate, canzoni e versetti.]24
Al contrario, il nemico è sempre visto in termini epici come un esercito di cavalieri, come illustrato poco prima della morte di Simon de Montfort: E·ls coms de Montfort a sos cavaliers mandatz, Los pus valens del seti e los melhs esproatz: E fe bonas garidas ab los frontals cledatz; E mes hi sas companhas e cavalers armatz, Ben garnitz de las armas ab los elmes lassatz; (204, vv. 11-15) [Il conte di Montfort chiamò a raccolta i suoi cavalieri, i più valorosi nell’assedio e i più esperti: e fece buoni ripari con ingressi con le chiavi; e vi mise le sue truppe e i cavalieri armati, ben protetti dalle armi, con gli elmi allacciati].
Dalla lettura della Canso emergono due ideologie contrapposte, quella della cavalleria francese e quella della terra e delle città occitane, quest’ultima riassunta, per l’autore della seconda parte della Canso, dal termine fondamentale di paratge. Come osserva Linda Paterson: “Paratge is clearly the dominant ethos of the poem […]. Paratge can perhaps best be defined here as the right to one’s inheritance: the
24 Cito dal testo di Eugène Martin-Chabot (a c. di), La Chanson de la Croisade Albigeoise, Librairie générale française, Paris, 1989 (traduzioni mie). Si vedano anche 134, vv. 1-3, 21-22; 213, vv. 105ss. È interessante qui e ancora nella scena simile a 213, v. 110, il riferimento al canto, come se questo rappresentasse l’essenza della tradizione occitana, incarnata anche dal giullare Daurel.
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right not only of a noble lineage but also of a whole society”. 25 Paratge, dunque, oltre a ‘nobiltà’ o ‘rango’, si riferisce a valori collettivi, diventa un’allegoria che “désigne collectivement les nobles méridionaux et leurs terres, la Patrie occitane dont la capitale est Toulouse et le défenseur le comte Raimond”.26 Tot lo mons ne valg mens, de ver o sapiatz, Car Paratges ne fo destruitz e decassatz E totz Crestianesmes aonitz e abassatz. (137, v. 1-3). [Ora tutto il mondo ne valeva di meno, sappiatelo davvero, perché lì Paratge fu distrutto e cacciato e tutti i Cristiani furono disonorati e persero di valore.]
Con queste parole l’anonimo autore della seconda parte della Canso (ma che Saverio Guida identificherebbe con quel Gui de Cavalho che più avanti nella Canso farà un elogio proprio di paratge: 154, v. 14-15)27 annuncia la sconfitta di Muret, dove paratge assurge a valore cristiano. Pretz e Paratge, infine, sono i principi che saranno restaurati dagli uomini del Midi con l’aiuto di Dio: De tota aquesta guerra es parvens e semblans Que Dieus renda la terra als seus fizels amans; Car orgulhs e dreitura, lïaltatz e engans Son vengut a la soma, car aprosma·l demans, Car una flors novela s’espandis per totz pans Per que Pretz e Paratges tornara en estans; (160, v. 1-6). [Da tutta questa guerra è chiaro e evidente che Dio debba restituire la terra a coloro che lo amano fedelmente; perché orgoglio e diritto, lealtà e falsità sono arrivati al
25 Paterson, The World, cit., p. 70; si veda anche Eliza Miruna Ghil, L’Âge de Parage. Essai sur le poétique et le politique en Occitanie au XIIIe siècle, Peter Lang, New York - Bern - Frankfurt am Main - Paris, 1989, pp. 183-189. 26 Francesco Zambon, “La notion de paratge, des troubadours à la Chanson de la Croisade albigeoise”, in Les voies de l’hérésie. Le groupe aristocratique en Languedoc, XI e-XIIIe siècles. Actes du VIIIe colloque du Centre d’études cathares René Nelli (Carcassonne, 28 août-1 septembre 1995), Centre d’études cathares, Carcassonne, 2001, 3 voll., III, L’imaginaire chevaleresque, pp. 9-27, a p. 19. Si veda anche lo studio di C. P. Bagley, “Paratge in the Anonymous Chanson de la Croisade Albigeoise”, French Studies, 21, 1967, pp. 195204, che anticipa alcune delle conclusioni di Zambon. 27 Saverio Guida, “L’autore della seconda parte della Canso de la crotzada”, Cultura neolatina, 63, 2003, pp. 255-282; si veda anche Saverio Guida e Gerardo Larghi, Dizionario biografico dei trovatori, Mucchi, Modena, 2013, s.v. Gui de Cavaillon.
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CHARMAINE LEE colmo e si avvicina il domani: un nuovo fiore si diffonde in ogni parte con il quale Pregio e Paratge torneranno ad esistere.]
Si tratta di valori cortesi che rappresentano l’intero popolo occitano e che si oppongono a Orguelh e Desmesura, che sono incarnati invece da Simon de Montfort e dai francesi: “the essence of the French character, the French tradition and the French cause. To counterbalance these, he [the anonymous author] has grouped together the material interests of many individuals and wrapped them up in a dignified cloak of personification, Paratge, to suggest a unifying ideal – no doubt beyond that which existed in reality. Thus he has made of Paratge a kind of ‘national’ identity and his philosophy is reminiscent of Turold’s: the French are wrong and Paratge is right”.28 In questo modo C. P. Bagley conclude il suo studio sul concetto di paratge nella Canso de la Crotzada e aggiunge che l’autore della seconda parte si serve dell’epica, genere tipicamente francese, per condannare i francesi. Vorrei suggerire che l’autore di Daurel e Beton abbia operato nella stessa maniera impiegando la forma e ammiccando alla lingua dell’epica francese. Non impiega, come nella Canso de la Crotzada, il termine paratge, ma oppone il re epico per eccellenza e il suo servitore Gui d’Aspremont alla variegata società occitana e al suo esponente per antonomasia, il giullare. Ci si potrebbe perfino chiedere, ma forse è troppo, se il fatto che manchi la fine del testo, che viene troncato laddove Beton parte per vendicarsi di Carlomagno, non sia una forma di censura in un periodo in cui non era più possibile esprimere certe idee. Il testo è l’ultimo del manoscritto e il supporto è molto rovinato, ma sembra finire prima della fine dell’ultima carta, come se il copista o il suo esemplare non fosse andato oltre.
Università di Salerno
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Bagley, “Paratge”, cit., p. 204
Daurel et Beton: tra modelli francesi e ideologia occitana
Ms. Paris, BnF, naf. 4232, c. 112v: Daurel e Beton ultima carta
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CHARMAINE LEE
Paris, BnF, naf. 4232, c. 109v: Daurel e Beton, specchio della scrittura normale
MICHELA SCATTOLINI Interpretazione delle varianti e dinamiche della tradizione: l’episodio della discesa all’inferno nell’Huon d’Auvergne
L’Huon d’Auvergne, chanson d’aventures1 tràdita da quattro testimoni di area padana,2 ha riscosso per lungo tempo un interesse alquanto limitato presso gli specialisti di letteratura franco-italiana. Malgrado una recente riscoperta dell’opera abbia arricchito negli ultimi anni il panorama critico e abbia condotto all’elaborazione di un progetto di edizione integrale che ne restituirà finalmente il testo completo, 3 la 1 Per una definizione del concetto di chanson d’aventures cfr. William W. Kibler, “La ‘chanson d’aventures’”, in Essor et fortune de la chanson de geste dans l’Europe et l’Orient latin. Actes du IXe Congrès Rencesvals pour l’Étude des Épopées Romanes (Padoue - Venise, 29 août - 4 septembre 1982), Mucchi, Modena, 1984, 2 voll., II, pp. 509-551; un bilancio recente di questa prospettiva critica è in Philip E. Bennett, “État présent: chanson de geste and chanson d’aventures: recent perspectives on the evolution of a genre”, French Studies, 66, 2012, pp. 525-532. 2 Si tratta dei codici B (Berlin, Kupferstichkabinett, 78 D 8, olim Hamilton 337), datato 1341 nel colophon; T (Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, N.III.19), strettamente apparentato al testimone di Berlino e datato 1441; P (Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile, cod. 32), verosimilmente del pieno XV sec., latore di una redazione differente e compendiata, ma inclusiva di un prologo ignoto agli altri due testimoni completi; e del frammento Br (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, B 3489), appartenuto all’erudito modenese Giovanni Maria Barbieri e databile alla seconda metà del XIV sec. Le 14 carte superstiti di quest’ultimo conservano la prima parte dell’episodio infernale, in una versione prossima a quella del testimone P. Il testo del codice T, gravemente danneggiato nell’incendio della Nazionale del 1904, è oggi fruibile solo grazie alla trascrizione completa che ne fece Pio Rajna, conservata fra le Carte Rajna alla Biblioteca Marucelliana di Firenze con la segnatura XIX.15; esiste anche una trascrizione completa di P, che si trova nel medesimo archivio alla segnatura XII.M.101. 3 Si tratta del progetto Edition and Translation of Huon d’Auvergne, Pre-Modern Franco-Italian Epic, diretto dalla professoressa Leslie Zarker Morgan della Loyola University del Maryland e cui la sottoscritta partecipa come collaboratrice; l’edizione verrà realizzata entro il 2016 e resa disponibile sotto forma di piattaforma digitale open-access. Le macroscopiche divergenze testuali e strutturali che contrappongono le due versioni rappresentate, da una parte, dai codici B e T e, dall’altra, da P ‒ cui, come si è detto, si dimostra strettamente legato il frammento Br –, hanno fino ad oggi rappresentato un ostacolo significativo per l’allestimento di un’edizione unitaria dell’Huon d’Auvergne, mai realizzata benché più volte programmata (segnatamente, da Günther Holtus, “L’état actuel des recherches sur le francoitalien”, in François Suard (a c. di), La Chanson de Geste: écriture, intertextualités, translations, Centre des sciences de la littérature, Nanterre, 1994, pp. 147-71, a p. 155; Alessandro Vitale Brovarone, “De la Chanson d’Huon d’Auvergne à la Storia d’Ugone d’Avernia d’Andrea da Barberino”, in Madeleine Tyssens e Claude Thiry (a c. di), Charlemagne et l’épopée romane. Actes du VIIe Congrès International de la Société Rencesvals (Liège, 28 août - 4 septembre 1976), Les Belles Lettres, Paris, 1978, 2 voll., I, pp. 393-403, a p. 393; Anne-Françoise Labie-Lerquin, voce “Huon d’Auvergne” in Geneviève Hasenohr e Michel Zink (a c. di), Dictionnaire des lettres françaises, Hachette, Paris, 1992, 6 voll., I : Le Moyen Âge, pp. 702-703). Un’edizione completa esiste solo per il frammento Br (Vincenzo De Bartholomaeis, “La discesa di Ugo D’Alvernia all'inferno secondo il frammento di Giovanni Maria Barbieri”, Memorie della Reale Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali, II/10, 1925-26 e III/1-3, 1926-29, pp. 1-54) e per il codice P, il cui testo è oggetto della tesi di laurea inedita di Carla Giacon (La redazione padovana dell’Huon d’Auvergne. Studio, edizione, glossario, Università degli Studi di Padova, 1960; contiene una
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MICHELA SCATTOLINI
gran parte dei contributi dedicati all’Huon d’Auvergne risale al più tardi ai primi decenni del secolo scorso ed ha spesso carattere meramente episodico. 4 Ciononostante, l’Huon d’Auvergne è ben noto agli specialisti soprattutto in quanto notevole esempio di imitazione dantesca, giacché il lungo episodio centrale che narra la discesa agli inferi del protagonista, unico segmento testuale comune a tutta la tradizione,5 si rifà con tutta evidenza al modello della prima cantica della Commedia, come notarono già i primi commentatori del poema franco-italiano.6 Siamo di fronte a un caso particolarmente precoce di richiamo al modello dantesco, poiché il testimone più antico, siglato B, è datato 1341, e dista quindi cronologicamente meno di trent’anni dalla prima diffusione dell’Inferno.7 Si tratta, per di più, certamente trascrizione completa, ma largamente inaffidabile e lacunosa). Degli altri testimoni sono disponibili sono edizioni parziali, limitate a singoli frammenti testuali; per le relative indicazioni bibliografiche cfr. la voce “Huon d’Auvergne” del GRLMA: Günther Holtus e Peter Wunderli, Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters III, tome 1/2, fasc. 10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Winter, Heidelberg, 2005, pp. 341-358, al cui elenco andranno aggiunti Leslie Zarker Morgan, “The Passion of Ynide: Ynide’s Defense in Huon d’Auvergne (Berlin, Staatsbibliothek, Hamilton 337)”, Medioevo Romanzo, 27, 2003, pp. 67-85 e 425-62; Ead., “Nida and Carlo Martello: The Padua Manuscript of Huon d’Auvergne (Ms. 32 of the Biblioteca del Seminario Vescovile, 45r-49v)”, Olifant, 23, 2004, pp. 65-114; Ead., “Ynide and Charles Martel, Turin Biblioteca Nazionale N.III.19, folios 72R-89R”, Medioevo Romanzo, 29, 2005, pp. 433-54 e 31, 2007, pp. 70-110. Nella mia tesi di dottorato (Michela Scattolini, Ricerche sulla tradizione dell’Huon d’Auvergne, Università di Siena, 2010) è compresa l’edizione sinottica della prima parte dell’episodio infernale, ovvero della porzione testuale corrispondente all’estensione del frammento Br, secondo il testo di tutti e quattro i manoscritti latori dell’Huon d’Auvergne; sui problemi connessi alla natura della tradizione e l’impossibilità di realizzare una edizione critica di stampo tradizionale cfr. anche Ead., “Note per un’edizione sinottica dell’Huon d’Auvergne”, in Pilar Lorenzo Gradín e Simone Marcenaro (a c. di), El texto medieval: de la edición a la interpretación, Anexo 68 de Verba, Santiago de Compostela, 2012, pp. 97-112. 4 Le pubblicazioni più recenti sull’Huon d’Auvergne si devono in buona parte a Leslie Zarker Morgan. Oltre ai contributi già menzionati e a quelli più pertinenti al tema della presente analisi, che saranno indicati nelle note a seguire, vanno segnalati “Chrétien de Troyes comme sous-texte de Huon d’Auvergne?”, in Carlos Alvar e Juan Paredes (a c. di), Les Chansons de geste. Actes du XVIe Congrès International de la Société Rencesvals pour l’Étude des Épopées Romanes (Granada, 21-25 juillet 2003), Universidad de Granada, Granada, 2005, pp. 649-663; “Crusade as metaphor: variations on an epic theme in Huon d’Auvergne”, in Philip E. Bennett, Anne Elisabeth Cobby e Jane E. Everson (a c. di), Epic and Crusade. Proceedings of the Colloquium of the Société Rencesvals British Branch Held at Lucy Cavendish College, Société Rencesvals British Branch, Edinburgh, 2006, pp. 65-86; “Una lettera inedita di Pio Rajna seguita da una breve nota di Gaston Paris alla Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova a proposito di Huon d’Auvergne”, Zeitschrift für romanische Philologie, 122, 2006, pp. 184-189; “Le merveilleux destin de Guibourc d’Orange”, in Anne Berthelot et al. (a c. di), Epic Studies. Acts of the Seventeenth International Congress of the Société Rencesvals for the Study of romance Epic, (Storrs, Connecticut, July 22-28, 2006) = Olifant, 25, 2006, pp. 321-337; “Les Avatars de Guibourc II. Orable, Guibourc, Tiborga: Métamorphose d’une protagoniste littéraire française en Italie”, in Carlos Alvar e Constance Carta (a c. di), In limine Romaniae. Chanson de geste et épopée européenne, Peter Lang, Bern, 2012, pp. 355-374. 5 Cfr. infra; per un quadro riassuntivo della tradizione manoscritta cfr. Fig. 1. 6 Cfr. ad esempio Arturo Graf, “Di un poema inedito di Carlo Martello e di Ugo Conte d’Alvernia”, Giornale di Filologia romanza, 1-2, 1878, pp. 92-110, alle pp. 106-108. 7 Senza addentrarmi nella vasta e complessa questione relativa alle date di composizione e circolazione delle prime due cantiche (rispetto alla quale, da non specialista, rimando al quadro generale di Antonio Enzo Quaglio, “Sulla cronologia e il testo della Divina Commedia”, in Umberto Bosco (a c. di),
Interpretazione delle varianti e dinamiche della tradizione
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di una copia: il manoscritto è infatti mutilo di parte del passaggio relativo all’assedio d’Alvernia da parte di Carlo Martello, che avrebbe dovuto occupare i fogli successivi al 41v (in cui la scrittura si arresta bruscamente a metà della seconda colonna) e la cui assenza è segnalata nel codice da un foglio lasciato completamente in bianco. Nel complesso intreccio dell’Huon d’Auvergne – che entro la cornice della chanson de geste mescola disinvoltamente richiami al romanzo classico e arturiano, all’agiografia e alla tradizione latina e volgare di exempla, visiones e viaggi oltremondani8 – il modello della Commedia appare come riferimento imprescindibile a partire dall’arrivo del protagonista alle soglie del regno infernale: da quel momento in poi, il ricordo del capolavoro dantesco interviene in maniera preponderante tanto sulla costruzione narrativa dell’episodio della catabasi, in buona misura improntato alla struttura dei primi canti dell’Inferno, quanto sul piano della lingua, infarcita di calchi e citazioni. All’analisi dell’imitazione dantesca nell’Huon d’Auvergne ha dedicato due contributi L. Z. Morgan, esaminandone funzione e importanza nel contesto dell’opera9 e fornendo un elenco di possibili richiami danteschi;10 tuttavia, la questione, di notevole interesse tanto per gli studi sull’Huon d’Auvergne (nel cui quadro rappresenta un capitolo del problema, mai affrontato organicamente, relativo alle fonti e ai modelli dell’opera franco-italiana),11 quanto per quelli sulla ricezione della Commedia, è potenzialmente assai vasta, e pertanto suscettibile di ulteriori approfondimenti.12 In particolare, in questo contributo ci si soffermerà sull’analisi di un lungo passaggio contenuto all’interno dell’episodio della catabasi, di notevole interesse per la comprensione delle dinamiche di rielaborazione del modello dantesco nell’Huon d’Auvergne e contemporaneamente ben Dante nella critica d’oggi, Le Monnier, Firenze, 1965, pp. 241-253), mi limito a fare riferimento al criterio di massima che fissa a prima del 1314 la prima diffusione dell’Inferno e a poco più tardi quella del Purgatorio (cfr. anche Gianfranco Folena, “La tradizione delle opere di Dante Alighieri”, in Atti del Congresso internazionale di studi danteschi (20-27 aprile 1965), Sansoni, Firenze, 1965-66, 2 voll., I, pp, 2-78, in particolare alle pp. 40-43, e Furio Brugnolo, “Le terzine della Maestà di Simone Martini e la prima diffusione della Commedia”, Medioevo Romanzo, 12, 1987, pp. 135-154). 8 Cfr. Michela Scattolini, “Chorisantes itaque puniuntur: storia di un exemplum, dai danseurs maudits all’Huon d'Auvergne”, La Parola del Testo, 16, 2010, pp. 339-356 e Ead., “Il pellegrinaggio di Huon d’Auvergne fra epica e agiografia”, in Identidade europea e intercambios culturais no Camiño de Santiago (séculos XI-XV), Universidade de Santiago de Compostela, Santiago de Compostela, 2013, pp. 385-404. 9 Leslie Zarker Morgan, “Literary Afterlives in Huon d’Auvergne: The Art of [Dantean] Citation”, in Fabian Alfie e Andrea Dini (a c. di), Studies in Honor of Christopher Kleinhenz, Medieval and Renaissance Texts and Studies, Tempe (AZ), 2012, pp. 61-74. 10 Leslie Zarker Morgan, “(Mis)Quoting Dante: early epic intertextuality in Huon d’Auvergne”, Neophilologus, 92, 2008, pp. 577-599. 11 L’unico tentativo di analisi complessiva dei modelli tematici e narrativi dell’Huon d’Auvergne è a tutt’oggi quello di Luisa A. Meregazzi: “L’Ugo d’Alvernia: poema franco-italiano”, Studj romanzi, 27, 1937, pp. 5-87. 12 Cfr. in proposito anche Scattolini, ”L’imitazione dantesca nell’Huon d’Auvergne”, in Ivano Paccagnella e Elisa Gregori (a c. di), Lingue testi e culture. L’eredità di Folena vent’anni dopo, Esedra, Padova, 2014, pp. 331-348.
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rappresentativo della complessità di alcuni aspetti della tradizione manoscritta dell’opera. L’indisponibilità fino ad oggi di un’edizione complessiva dell’Huon d’Auvergne è conseguenza anche del carattere peculiare della sua tradizione manoscritta, che pur contando un piccolo numero di testimoni superstiti — quattro, come si è detto, di cui uno frammentario — suggerisce un panorama probabilmente assai più ricco, e segnato da ampi interventi di adattamento e riscrittura a più livelli. I quattro manoscritti giunti fino a noi configurano una tradizione nettamente bipartita, segnata da differenze redazionali di tale entità da permettere di distinguere due versioni largamente indipendenti e spesso largamente incompatibili sul piano narrativo (Fig. 1). In questo quadro, i due testimoni siglati B e T risultano strettamente apparentati, condividendo anche l’ampia lacuna che coinvolge l’intero episodio dell’assedio d’Alvernia: il testo trasmesso dal codice berlinese e quello tràdito dal manoscritto di Torino presentano un parallelismo quasi perfetto, fatte salve la veste linguistica13 e il carattere generalmente deteriore del secondo, probabilmente 13 Una completa analisi linguistica comparativa dei quattro testimoni dell’Huon d’Auvergne è ancora da realizzare (si vedano però Günter Holtus, “Considerazioni sulla lingua dell’Huon d’Auvergne (B, T, P)”, in Luigina Morini (a c. di), La cultura dell’Italia padana e la presenza francese nei secoli XIII-XV (Pavia, 11-14 settembre 1994), Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2001, pp. 41-54; Frankwalt Möhren, “Huon d’Auvergne / Ugo d’Alvernia: objet de la lexicographie française ou italienne?”, Medioevo Romanzo, 4, 1977, pp. 312-325; nonché Holtus e Wunderli, Franco-italien et épopée franco-italienne, cit. Uno studio approfondito è disponibile solo per il testo di B (Friedrich Mainone, Laut- und Formenlehre in der Berliner franko-venezianischen Chanson de geste von Huon d’Auvergne. Erster Teil: Reimprüfung und Lautlehre. Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde, Schade, Berlin, 1911 e Id., Formenlehre und Syntax in der Berliner franko-venezianischen Chanson de geste von Huon d’Auvergne, Noske, Leipzig, 1936). È stato sottolineato più volte come l’Huon d’Auvergne sia un esempio letterario particolarmente utile ad illustrare la natura complessa del fenomeno che va sotto il nome di franco-italiano, presentando per un unico testo una gamma di possibili gradazioni del rapporto di commistione e interferenza fra codici diversi (francese, italiano dell’area padana con apporti variabili dai diversi dialetti, in alcuni casi toscano) che ne è la cifra caratteristica. In linea molto generale, i testi di Br e B presentano una Mischsprache con maggior componente francese e con un grado contenuto di italianizzazione, tanto che nei segmenti comparabili le loro lezioni sono spesso sovrapponibili. La lingua di P è decisamente veneta (anche se non immune da toscanismi), e i soli elementi riconducibili al francese si ritrovano in posizione finale di verso, dove il tentativo di uniformarsi al modello condiziona la forma dei rimanti, meramente ripresi ed inseriti in un contesto linguistico pienamente settentrionale o modellati in senso francesizzante. Su di un ipotetico asse che misuri il livello di italianizzazione della lingua franco-italiana impiegata, P si allontana notevolmente dall’esempio di B e Br, dato che risulta coerente con la datazione probabilmente avanzata del codice (pieno XV sec.): come è noto, la progressione cronologica segna generalmente un crescente allontanamento del franco-italiano dalla base francese, determinando il corrispondente aumento degli elementi italiani. Ancora diverso è il caso di T, testimone tardo (è datato 1441) e rappresentativo della fase finale e deteriore dell’evoluzione dell’Huon d’Auvergne in versi. Il confronto con B, cui appare strettamente imparentato, consente di valutare in T la deformazione cui il testo è stato sottoposto nella trasmissione manoscritta, presumibilmente attraverso una serie di testimoni interpositi. Sotto il profilo metrico, il testo di T si avvicina nettamente alla prosa, non conservando della versificazione originaria che tracce residue delle rime contenute nel modello; la lunghezza dei versi è del tutto arbitraria, essendo determinata solamente dalle esigenze del discorso. La lingua è un italiano di matrice settentrionale, ma con una forte presenza di tratti toscani. Il testo del
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ultimo anello in una serie di testimoni latori di lezioni progressivamente sempre più scadenti, afflitti da molteplici fraintendimenti rispetto al modello. A fronte della versione trasmessa concordemente da B e T troviamo il testo consegnato da P, il codice conservato alla Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova: questa versione non solo non contiene il lungo segmento conclusivo che racconta gli exploit militari e la morte del protagonista in difesa di Roma (un vero e proprio epilogo alquanto indipendente dalla trama che lo precede), ma si apre con un prologo ignoto all’altra versione, anch’esso debolmente legato agli sviluppi narrativi successivi, e che potrebbe verosimilmente rappresentare la sintesi di un testo preesistente.14 Tale carattere compendioso per un lato, e per l’altro innovativo rispetto al probabile modello è caratteristica propria dell’intero testo di P, che in tutta verosimiglianza è il tardo discendente — qua e là scorciato, altrove ampiamente rimaneggiato — di una versione dell’Huon d’Auvergne già parzialmente difforme da quella tràdita da B e T. Di conseguenza, oltre ai segmenti iniziali e finali alternativamente trasmessi da una sola delle due famiglie, anche la parte centrale del racconto, che narra gli eventi intercorsi fra il momento in cui Carlo Martello impone al conte d’Alvernia l’impossibile missione di consegnare un tributo a Lucifero e il ritorno a casa del protagonista sano e salvo, presenta scarti sensibili fra le due versioni: B e T concordi da un lato, P dall’altro. Di fatto, i luoghi in cui i tre testimoni completi presentano sviluppi narrativi commensurabili, che si traducono in un parallelismo testuale verso a verso, sono solo tre: i due episodi consecutivi ambientati rispettivamente nella terra del Prete Gianni e nella dimora soprannaturale di una dama-demone,15 e la prima parte della discesa all’inferno. Quest’ultimo segmento, l’unico che interessa la nostra analisi, è anche il solo che sia stato parzialmente trasmesso dal frammento Br. Concentriamoci quindi sulla lunga sezione che nell’Huon d’Auvergne va dal momento in cui il protagonista comincia la sua discesa al regno infero fino al suo ritorno sano e salvo al castello d’Alvernia (Fig. 2). Come si è detto, a partire da questo momento il quadro della tradizione manoscritta comprende anche il frammento bolognese Br, che ha casualmente conservato una porzione narrativa in cui modello è frequentemente frainteso e restituito in maniera fortemente scorretta, segno che fra T e l’antecedente che questo condivide con B sono intercorsi svariati passaggi che hanno compromesso l’intelligibilità del testo, oppure che il copista del codice torinese non è più grado di intendere la lettera del suo antigrafo. 14 Sul carattere compendioso del prologo di P e per un confronto con la corrispondente sezione della Storia di Ugone d’Avernia di Andrea da Barberino (prosificazione in lingua toscana dell’Huon d’Auvergne) cfr. Vitale Brovarone, “De la Chanson”, cit. 15 Editi rispettivamente da Luisa A. Meregazzi (“L’episodio del Prete Gianni nell’Ugo d’Alvernia”, Studj romanzi, 26, 1953, pp. 5-69) ed Edmund Stengel (“Huons von Auvergne Keuschheitsprobe, Episode aus der franco-venezianischen Chanson de geste von Huon d’Auvergne nach den drei erhaltenen Fassungen, der Berliner, Turiner und Paduaner”, in Mélanges de philologie romane et d'histoire littéraire offerts à Maurice Wilmotte à l'occasion de son 25e anniversaire d'enseignement, Champion, Paris, 1910, 2 voll., II, pp. 685-713).
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anche gli altri tre testimoni procedono in maniera parallela, rendendo così possibile operare un’analisi comparativa su un’estensione testuale abbastanza ampia (il frammento consta di 1261 versi). Delle 59 lasse trasmesse dal frammento, 53 – ovvero le lasse che vanno dalla II alla LIV – costituiscono un segmento compatto comune all’intera tradizione, ma incastonato nelle diverse versioni all’interno di trame testuali differenti. In generale, il testo trasmesso dal frammento bolognese presenta un forte affinità con quello del testimone padovano, a partire dalla prima lassa. Di questa Br ha conservato solo la seconda metà, che però possiamo integrare perfettamente grazie al confronto con P; della medesima lassa B e T conservano un’altra versione, differente per contenuto, forma e anche rima (-er anziché -ire, in Br, o -ir, in P). In maniera analoga, il ricorso a P permette sistematicamente di sanare le non rare lacune del frammento Br, che presenta danni da umidità nel margine superiore di quasi tutte le carte. Fino alla lassa 54 i due codici procedono strettamente appaiati, contrapponendosi con una certa frequenza a B e T, i quali — a loro volta saldamente accoppiati e pur senza rompere il generale parallelismo rispetto alla versione di P e Br — mostrano spesso piccoli scarti e difformità. Non di rado il codice berlinese e quello torinese presentano qualche verso aggiuntivo (più raro il contrario), senza che però la versione opposta appaia lacunosa; più frequentemente, di un verso tutti e quattro i testimoni condividono un solo emistichio, mentre dell’altro trasmettono due versioni differenti. In breve, nelle lasse da II a LIV i quattro testimoni esibiscono testi assai simili e in buona parte sovrapponibili, ma con piccole e frequenti discrepanze che confermano la suddivisione in due famiglie: BT da un lato e BrP dall’altro. A partire dalla lassa LV, invece, non solo B e T riprendono un andamento autonomo (sempre rimanendo strettamente appaiati), ma anche Br e P cominciano a divergere bruscamente fra loro, tanto per quanto riguarda il profilo testuale quanto nella sostanza narrativa. Le nove lasse che in Br sono numerate da XLVI a LIV – e che segnano l’ultimo tratto caratterizzato dal parallelismo di tutti e quattro i testimoni – ospitano un episodio assai curioso, di manifesta derivazione dantesca ma al contempo assai liberamente rielaborato per adattarsi al nuovo contesto narrativo, che possiamo definire ‘il castello delle sette arti’ (Fig. 3). Dopo essere sbarcati dal vascello di Caronte ed aver attraversato l’oscura valle del Limbo, Huon e i suoi accompagnatori soprannaturali (le due guide Enea e Guglielmo d’Orange più un diavolo camuffato da pellegrino) giungono ad uno splendido castello dotato di sette porte. Qui vi è certamente il ricordo della dimora degli spiriti magni nel IV canto dell’Inferno; ma la reinterpretazione che ne dà l’Huon d’Auvergne è originalissima e, per certi versi, davvero mirabile. Le sette stanze del castello si rivelano essere altrettante aule popolate di studenti: a ciascuna stanza corrispondono un’arte del trivio o del quadrivio e un maestro eccellente, ovvero il personaggio della tradizione greca che più di ogni altro si può considerare capostipite della disciplina in questione. Inoltre, il tono della narrazione, che si è finora
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mantenuto drammatico ed elevato (l’episodio è infatti preceduto da una lunga digressione di natura dottrinale sulla discesa di Cristo agli inferi) vira repentinamente verso il grottesco, a tratteggiare quella che va probabilmente letta come una caricatura dell’ambiente universitario e della filosofia scolastica. D’altra parte gli studenti – il cui aspetto ricorda quello degli universitari di Parigi, puntualizzano Br e P16 – sono pur sempre anime dannate, punite proprio per la loro dedizione alla scienza; dedizione che, parrebbe intuire, li ha allontanati dalla religione sottraendo tempo alla contemplazione divina (anche se, qui come altrove nell’Huon d’Auvergne, alcuni passaggi logici non sono esplicitati e il senso è suggerito per giustapposizione d’immagini più che espresso in termini rigorosi). Si tratta di un episodio assai tormentato dal punto di vista della tradizione manoscritta e non dev’essere casuale che proprio da questo punto in avanti si cominci a verificare un macroscopico fenomeno di diffrazione in conseguenza del quale la coppia BT, P e Br assumono tre sviluppi testuali e narrativi divergenti. La prima stanza del castello, presieduta da Tolomeo, è dedicata all’astronomia, qui tendenziosamente identificata con astrologia e divinazione (tant’è vero che gli allievi sono definiti nigromans).17 Questa prima disciplina è trattata assai rapidamente, nella sola lassa XLVI; in tutti i testimoni si notifica immediatamente l’attraversamento della prima porta ‒ che separa dunque prima e seconda stanza ‒ e con ciò il passaggio alla disciplina successiva, l’aritmetica (lassa XLVII). L’ingresso dei quattro viaggiatori oltremondani interrompe in medias res quella che non si può definire altrimenti che una vera e propria scenetta comica: il maestro Nicomaco, in piedi su un pilastro e con la voce roca per il molto gridare, sta sbraitando nel vano intento di riportare al silenzio una scolaresca indisciplinata di anime dannate. Mettiamo a confronto le due versioni di questo passaggio in B e Br, ricordando che T segue molto da vicino il testo del primo e P invece è assai prossimo al secondo: (Vv. B)
(10085)
B Passent la porte prime des escoler, joste Eneas entra li mesager. Grant criç oirent et mout grant batister. Rien non conuit, mout penent del herrer, mes grant destorbe le fesoit le
Br Parmi la porta primere des scoler joste Eneas entra le mesajer. Dou mur segond de çi che li primer
Vv. 1046 1047 1048
ne n’on posança de l’un a l’autre parler por la gran noise dou cris e dou
1049 1050
16 ″Lor dras senblent color de graine, / a longe taile come la jant lontaine / qi vont a Paris a enprendre ses ovre saine″ (Br, vv. 1112-1114); cfr. infra. Tutte le trascrizioni riportate nel presente articolo sono tratte dall’edizione sinottica contenuta in Scattolini, Ricerche, cit. 17 In B (v. 10075) e T (v. 9538). Andrà ricordato che, in mancanza – per il momento – di trascrizioni complete e affidabili, le numerazioni dei versi si basano sui frammenti di B e T pubblicati da Stengel e, per quanto riguarda P, sulla tesi di Giacon, cit., con alcune correzioni.
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MICHELA SCATTOLINI crier, tote la teste l’en feisent tintiner; plus cum va avant le criç veit enforcier.
tençer qe li scolere font in lor desputere. Nicomachus li fu sus un piler che d’arimisache tient le livre a ensegnere e pur comanda le cris a soager; tot est roches e non vaut un dinere.
1051 1052 1053 1054 1055
Che la disciplina trattata in questa seconda stanza sia l’aritmetica è suggerito dal maldestro richiamo all’arimisache di Br e al riferimento in Br e P a Nichomachus / Nicomacus, che è verosimilmente il matematico greco Nicomaco di Gerasa (I sec. d.C.); il fatto però che né B e T, né tantomeno P18 menzionino esplicitamente tale scienza suggerisce la presenza di qualche difficoltà ai piani alti della tradizione. In B e T è anche lo stesso nome di Nicomaco a scomparire, per ricomparire solo all’inizio della lassa successiva (XLVIII) in un contesto assai tormentato in tutti i testimoni, a conferma della natura problematica di questo luogo testuale: qui, infatti, laddove B e T segnalano correttamente l’attraversamento della seconda porta, Br e P fanno entrambi riferimento ad un meno chiaro terço pertus, che potrebbe riferirsi tanto all’uscio (nel qual caso indicherebbe una numerazione errata) quanto alla stanza stessa. Di seguito è riportato il passaggio in questione, secondo il testo dei quattro testimoni:19 Vv. 1067
B De la segonde porte paserent li pertus
1066
que l’om apelle per nom Nicomacus. Un hom escris sor la porte desus,
1068
+ 1069
la mendre letre ert grande cum un schus.
T De la seconda porta pasono li anbasadore che l’ano apelà per nome Nichomachus. Un nome scrisse sopra la porta de sussa, la letra dize ch’elo avea nome Ferabus: la menor letra era grande com’un scudo.
P Li soller intorno Nicomacus
Br Li escoler entorne Nicomachus
passeno oltra fina al terço pertus. Un scrito aveva alla porta desus:
paserent oltra de çi al terç pertus. Un non è scrit en la porta desus,
lle letre grosse nome a Farahus, lla menor letra era granda como un scus.
la mendre letra estoit grand come un schus.
P, vv. 4682-4683: ″Nicomacus li fo sovra un piler / tanto a veçudo per longo studier″. Per comodità (e per non moltiplicare i dati con il riferimento a quattro sistemi di numerazione differenti) laddove siano riportati i testi di tutti e quattro i testimoni si indicherà quale riferimento la sola numerazione di Br. I corsivi sono nostri. 18 19
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Le sainct oit dit a le perdus
+
– la letre dit qu’il oit nom Farabus –: “Pues que tu ais comencé et movus…
1071
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Le quuens d’Auvergne fist son domandament: “Tu qui mostras a Farabus qui prent dialetiche [e] l’autre vertus ensement a tel usage non oit il autrement?”
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Lo santo sperito ave dito a le perdute:
Llo santo spirito a dito ver lo perdus:
Le saint espirit a dit vers li perdus:
“Posa che tu ay acomenzà a movre…
“Po che tu é començado e movus…
“Com più t’en vais començé e meus…
El conte d’Alvergna li feze un domandamento: “Tu chy mostrase a Ferabuso chy ynprende più dialiticha e l’altre vertù simelmente a tal usanza nonn ano ily altramente?”
Lo conte d’Alvernia fe un domandament:
Le quens d’Avernie fist un domandamant:
“Ti ch’en demostri quel maistro che aprent dialeticha a costor che l’intent a baxo vixo, no a li altro troment?”
“Tu chi me mostri a la fin lor ben qi aprant a dieltiche a cestor qi l’entent a bas vi[s]ajes, non ont il autre tormant?”
Indipendentemente dalla possibile discordanza fra “seconda porta” e terço pertus, in tutti casi si fa riferimento ad una porta, che B e T sostengono incongruamente – e con lezione evidentemente errata – si chiami Nicomacus. Il passo è evidentemente di difficile discernimento e forse afflitto da un guasto meccanico; ma è altresì possibile che, essendo scomparsa nella lassa precedente la menzione del maestro d’aritmetica, il copista dell’antecedente comune a B e T, cui dobbiamo gli errori condivisi dai due testimoni, non sia più in grado di intendere il richiamo, e lo attribuisca quindi all’elemento sintatticamente più prossimo (che diventa il pertus in B e un inesplicabile anbasadore in T). Tutti i codici sono concordi nell’affermare che la porta in questione reca una scritta in grandi lettere (“la più piccola è grande come uno scudo”): sorprendentemente, però, i soli T e P, che appartengono a famiglie differenti, concordano nel sostenere che un qualcosa in questa porta (la soglia stessa? la scritta? una lettera?) porti un nome proprio, che non è più Nicomacus bensì il più oscuro Ferabus (in T) o Farahus (in P). Il medesimo riferimento a un Farabus compare anche in B, ma con uno scivolamento (ancor più erroneo, evidentemente) due versi più avanti, dove risulta ulteriormente fuori contesto. È indubbio che il richiamo onomastico dovesse esistere già ai piani alti della tradizione (non si spiegherebbe altrimenti la presenza tanto in T quanto in P), ma il luogo doveva apparire già allora di difficile lettura o interpretazione, il che ha prodotto lezioni insoddi-
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sfacenti in tre testimoni su quattro e nel caso di Br ha portato alla soppressione dell’intero verso. La difficoltà si ripresenta in maniera simile una decina di versi più avanti, laddove tutti i testimoni menzionano l’arte cui è dedicata questa terza stanza, la dialettica; il maestro non è esplicitamente nominato e di lui si dice semplicemente che “çil trova les us / de dialtiche” (Br, vv. 1078-1079: “trovò gli usi della dialettica”); si tratterà verosimilmente di Platone. Il fatto che questo sia l’unico caso in cui il maestro che rappresenta la disciplina rimane anonimo in tutti e quattro i testimoni è probabilmente un ulteriore indizio della generale confusione del passaggio già nella prima tradizione dell’Huon d’Auvergne. Inoltre, i soli B e T – il cui dettato è qui particolarmente involuto – descrivono il protagonista intento a rivolgersi direttamente al filosofo come “colui che mostra a Farabus/Ferabus la dialettica e le altre virtù”,20 con un nuovo riferimento, anche in questo caso piuttosto criptico, al misterioso personaggio citato pochi versi prima.21 La dialettica occupa le lasse XLVIII e XLIX: alla fine della seconda, i codici P e Br segnalano concordemente il passaggio ad una nuova stanza: i viaggiatori ‒ leggiamo ‒ “si lasciano alle spalle la stretta porta, saltando alla quarta”. Nella coppia BT, invece, coerentemente con la numerazione indicata per la porta precedente, la porta attraversata è la terza; ma di seguito sono inseriti sei versi che in termini molto generici descrivono un’ulteriore stanza occupata da “dolori e tormenti, anime dannate e diavoli”. La menzione di questa stanza aggiuntiva e della porta che la separa dalla successiva consentono di pareggiare il conto con la versione dei codici Br e P: di conseguenza, all’inizio della lassa L tutti e quattro i testimoni manoscritti collocano unanimemente Huon e i suoi accompagnatori sulla soglia della quarta porta. Tuttavia, come vedremo, il “ricongiungimento” fra le due versioni (Br e P da una parte, B e T dall’altra) è effimero e assai discontinuo. La nuova stanza presenta caratteri decisamente eccezionali, tanto che già la porta d’accesso è di uno splendore tale da offuscare tutte le altre incontrate finora; gli studenti che l’affollano sono tutti giovani e bellissimi, e portano lunghe vesti alla maniera degli studenti parigini: “La beauté de la porte les primers estraine; / la troverent bele jent e jovne e saine, / lor dras senblent color de graine, / a longe taile come la jant lontaine / qi vont a Paris a enprendre ses ovre saine” (Br, vv. 11091113). Il maestro sta leggendo ad alta voce il contenuto di una carta; ma sulla natura della materia enunciata, e quindi della disciplina rappresentata nella stanza, i codici divergono, e a cominciare da questo passaggio le due coppie BrP e BT riprendono a contrapporsi in maniera sistematica. In Br e P, infatti, apprendiamo che 20 ″Tu qui mostras a Farabus qui prent / dialetiche [e] l’autre vertus ensement″ (B, vv. 10120-10121); ″Tu chy mostrase a Ferabuso chy ynprende / più dialiticha e l’altre vertù simelmente″ (T, vv. 9583-9584). 21 Se il maestro di dialettica fosse effettivamente Platone, è forse possibile che ″Farabus″ voglia essere un riferimento (travisato e/o alterato) al faraone – pharaon? – protagonista della seconda parte del Fedro?
Interpretazione delle varianti e dinamiche della tradizione
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la nuova stanza è presieduta da Euclide (Teolodiés in Br, Eulidés secondo P), il quale è giustamente assorto nella lettura di una carta “tutta piena di geometria”. L’immagine del maestro intento a declamare la propria materia è conservata anche nella versione di B e T, ma il riferimento alla geometria è soppresso e sostituito con un più generico richiamo ad una carta “piena di scrittura”, impedendo così di assegnare a questa stanza una disciplina specifica. Da questo momento in avanti, infatti, la versione consegnata dai testimoni B e T opera piccoli e costanti scarti che allontanano il testo dal modello originario delle sette arti liberali, per trasformare l’intero passaggio in una replica più piccola e en abyme del castello degli spiriti magni di Inferno IV: al posto degli studenti di geometria, di conseguenza, troviamo i migliori guerrieri greci e troiani, che Enea è grado di indicare e descrivere uno ad uno.22 Vv. 1114
1115
(Vv. B)
(10170)
B Le mastre desus cum une voiç altaine leit une charte de scripture tot plaine.
T Lo maistro de sopra com una vose altana leze una carta de scritura tuta piena.
P Llo mastro de llor cun una voxe altaine lli leçe una carta de geometria plaine.
Br Le mestres d’aus con una vois autaine leit une carte de jometrie plaine.
B
Br
Vv.
Dit Eneas la grant arme troiaine:
Respont a lui la grant arme troiane:
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“Enci est la flor de la giant primeraine, de Troien et de Greis qi si portent haaine”. Al doy l’en mostre maint haut chastelaine: “Cestuy ert cil con cil”; le non l’en dit certaine, l’ovre le mostre, la plus part de lor straine: “De batailler aun la oit cor de romaine, pou avroit de repois, bien vois tu lor
22 Una spia dell’allentamento dello schema per il quale ad ogni stanza corrisponde un’arte liberale si ritrova in realtà già nella sala precedente, laddove la versione trasmessa da B e T attribuisce alla dialettica caratteristiche proprie dell’astronomia (gli studenti sono occupati ad analizzare le stelle e i loro movimenti); e d’altra parte i sei versi inseriti per ripianare il conto numerico delle porte, cui si è fatto riferimento poc’anzi, sfuggono completamente a tale ordinamento, dato il carattere sommamente generico dei supplizi descritti.
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(10175)
(10180)
MICHELA SCATTOLINI afaine”. “Amis”, dit Eneas, “così ert sa destiaine. Quant tu serais venuç a la terre sovraine, a hom mondain dirais cun parolle certaine que l’ovre de Hector saince poine villaine, d’Achiles, Agamenon et d’autre chavetaine avrais enci veue, biaus amis, primeraine. Alons avant decique l’autre entraine, si vereç cum la fait Aristote d’Ataine”.
“Qant tu serais en l’ayre sovraine, as mestres con paroles çertaine
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poras lor dire qe sens poine vilaine auras veu lor dotor primeraine,
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Teolodiés as çelle blonde laine.
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Al[on]s avant de çi au diraine, doctor çi fu Aristoteles de Atheine”.
1127 1128
1123
1125
L’ultimo verso del passaggio appena riportato (per comodità, nelle sole versioni di B e Br) suggerisce che di questo episodio dell’Huon d’Auvergne non ci siano giunte che due versioni rimaneggiate rispetto all’originale, forse ridotte, certamente riadattate in corrispondenza di loci danneggiati o poco intellegibili già nella tradizione più antica. Sia in BT che in BrP, infatti, è sopravvissuto un riferimento ad Aristotele, il quale viene introdotto quale maestro della stanza successiva, ma in realtà non comparirà più nel testo. Se combiniamo questo dato al fatto che anche nella versione più fedele allo schema di trivio e quadrivio, quella di P e Br, manca del tutto una delle sette arti (la grammatica) risulta evidente che qualcosa è andato perduto o si è irrimediabilmente danneggiato a monte di tutta la tradizione giunta fino a noi. In B e T, dunque, l’episodio del castello presenta un allontanamento progressivamente sempre più netto dallo schema delle sette arti, che viene rotto in più punti per fare spazio a ‘farciture’ testuali di contenuto difforme rispetto al tema della cornice. Nel contesto di una tradizione presumibilmente complicata da guasti meccanici ai piani alti e conseguenti interventi di riadattamento, va da sé che, dato il carattere maggiormente entropico di questa versione, siano gli stessi B e T (e non Br e P) ad innovare maggiormente rispetto a quella che doveva essere la redazione originaria dell’episodio. A suffragare questa ipotesi interviene un ulteriore passaggio, collocato alla fine della lassa LI. Si tratta nuovamente di un vero e proprio intermezzo comico: uno degli studenti si alza in piedi per declamare ad alta voce un capitolo di geometria, ma è redarguito da Euclide con una bacchettata e tutte le altre anime dannate lo scherniscono rumorosamente. Questo è quanto avviene in Br e in P, ovviamente; poiché in B e T non ci sono più né Euclide né la geometria, la
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scena è ritoccata di conseguenza e si trasforma in una zuffa fra anonimi dannati: il primo vorrebbe raccontare la sua storia al protagonista e ai suoi accompagnatori, ma il secondo lo zittisce colpendolo violentemente al capo. Il passaggio è riportato di seguito, secondo il testo di B e Br: (Vv. B)
(10190)
(10195)
(10200)
B
Br
Vv.
un espirit s’est en estant levé,
l’uns des espirit s’est in estant levé, clamer le cuit e il a come[n]çé
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un fort capitol de çeles plus jeumetré. Lor se traist e hontés e vergogné, come çil chi dort e parla folité e s’en vergogne puis q’il est esvoilé; desor li chief le feri Teolidé
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d’une verçele qe tayoit da tot lé.
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“Sede!”, fet il, “Çe n[e] t’est destiné: nen dois parler ou n’es apellié”.
1139
E tot les autres l’a eschirnis e gabé. Le sant espirit si n’a un ris çité,
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puis beneist la divine maysté.
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La quinta porte, le quinte mure e le fosé; çi troverent le prime retoriçé.
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clamer vout le cont par oir son ovré.
Un autre el fiert al chief de tel colé que tot l’embronce a terre l’oit gité; celuy s’asist que mout n’a vergogné. “Penseç!”, fit il, “N’est vestre destiné de parller, la non estes apellé”. Le autre l’ont et scherniç et gabé. Le sainct espirt en a un ris gité, pois beneist Yhesu de majesté; Ugon saisi, pues le a domandé: “Leseç ester, aseç aveç gardé”.
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Gli ultimi versi riportati sono quelli conclusivi della lassa LI, e in Br (e P) preannunciano già il contenuto della stanza successiva: dopo aver oltrepassato la quinta porta e un fossato, i viaggiatori troveranno la retorica, cui sono infatti dedicate le lasse LII e LIII.
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In B e T lo scenario è completamente differente. Fra le lasse LI e LII sono inserite nove lasse aggiuntive, completamente sconosciute all’altra versione, che riprendono la tematica guerresca già inaugurata dalla presenza di eroi greci e troiani in luogo degli studenti di geometria. Nelle nove lasse esclusive di BT troviamo infatti alcune delle più celebri figure dell’epica francese: Girart de Fraite, Thibaut e Guiborc, i saraceni di Aspremont, preceduti da – ci sarà utile ricordarli in seguito – Gui de Nanteuil e Aiglantine, coppia infernale condannata ad essere protagonista di un’eterna caccia selvaggia che li strazia all’infinito.23 Elemento particolarmente significativo della natura posticcia e tardiva di questo excursus cavalleresco, l’ultima delle nove lasse inserite si chiude con una scena che rappresenta un duplicato quasi perfetto del passaggio descritto poc’anzi, in cui un’anima è punita per aver parlato senza essere stata interpellata: (Vv.)
B plusor i en son dou parller tot engrés que al cont dirent auquant de son fés. L’autre ne le consant qui l’en avoit gités,
(10475)
aseç l’en fier por flans et por costés: “Aleç a vetre vie! Ce no v’ert destinés”. E li autre l’ont escherni et gabés; le sainct espirt en a un ris gités, puis benei Yhesu de majestés.
(10480)
La quinte porte puis ont outre pasés.
I versi sono ripresi con precisione letterale, a conferma della loro funzione di sutura narrativa in corrispondenza della sezione aggiuntiva: le nove lasse dedicate agli eroi dell’epopea francese si trovano così incastonate fra due passaggi quasi perfettamente speculari, che ne evidenziano la natura spuria. Questa duplicazione riconduce il racconto di BT al momento in cui questa versione si era separata da quella di BrP per inserire le nove lasse di argomento cavalleresco, vale a dire in corrispondenza della quinta porta: i quattro testimoni possono così recuperare una relativa concordanza, senza però che venga meno lo scarto – ormai definitivo – che allontana BT dallo schema delle sette arti liberali. Come 23 Più che If XIII, 124-129, il passaggio ricorda da vicino la caccia di Guido degli Anastagi nella novella boccacciana di Nastagio degli Onesti (Decameron V, 8), che è però cronologicamente posteriore a B (datato, come si è detto, 1341); ma il motivo, assai diffuso, è già in Hélinand de Froidmont (Flores Helinandi, I, 13), di qui nello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (XXIX, 120), e poi nell’exemplum del carbonaio di Niversa di Jacopo Passavanti (Specchio di vera penitenza, dist. III, cap. II).
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anticipato, Br e P proseguono descrivendo la stanza dedicata alla retorica, presieduta da Tisia di Siracusa (Tisias nel primo, Tixias per il secondo); B e T conservano un richiamo all’identità del maestro (Otisiaus, Tesias in B, Tesiaus in T) ma sopprimono nuovamente ogni riferimento alla disciplina a favore di una più generica “scienza di tutte e sette le arti” (“Iluech demore de .vij. art tot sciance”: B, v. 10485). La lassa LIV ospita invece la musica e il maestro Pitagora, che ritroviamo – ad ulteriore conferma della scarsa organicità dell’operazione di rimaneggiamento – anche in BT. Dalla fine della lassa LIV anche il precario equilibrio che ha ricongiunto le due versioni in un pur imperfetto parallelismo si spezza bruscamente, e la tradizione dell’Huon d’Auvergne viene investita da un macroscopico fenomeno di diffrazione. Se la coppia BT continua a procedere saldamente unita secondo uno svolgimento proprio, Br e P si allontanano da quest’ultima e fra loro, con il risultato che da questo momento in avanti possediamo tre versioni dell’Huon d’Auvergne (Fig. 4). In realtà, la situazione è ancor più complessa. Da una parte, dopo la presentazione dei peccatori più gravi (il perfido Ruggieri, Gano, Giuda, Caino…), B e T procedono speditamente verso l’incontro con Lucifero, mentre P – del quale abbiamo precedentemente sottolineato la natura compendiosa e il dettato generalmente assai sintetico – si trattiene assai lungamente sulla descrizione della reggia infernale, facendo spazio anche ad una settima porta e a nuove categorie di dannati: giudici e notai; ladri, bugiardi; re, nobili e alti prelati. Del frammento Br, invece, sono conservate solo poche altre lasse: troviamo innanzitutto una digressione di carattere esplicativo e dottrinale (lasse LV e LVI), quindi due nuove categorie di dannati (i cattivi consiglieri e coloro che li ascoltano: lasse LVII e LVIII). Il testo purtroppo si interrompe alla fine del f. 145, a pochi versi dall’inizio della lassa LIX, allorché il protagonista scorge una donna che grida in cerca di aiuto: “Davant soy esgarda, si voiste venire de randon / une royne criant fere ton: / ’Secorés moi’, fet ele, ‘vers cest mauves hon / qi n’a voloire s[e] no de ma destruçion!’” (vv. 12531256). È Aiglantine, come svela esplicitamente proprio l’ultimo verso conservato prima della mutilazione del testimone (v. 1261: “çel fu Argentine, file au roy Yvon”); stando ai pochi versi conservati, la situazione sembrerebbe non dissimile dalla caccia selvaggia della quale la giovane è protagonista – o meglio, vittima – nell’excursus cavalleresco di BT. È verosimile che il mauves hon che la sta inseguendo, quindi, non sia altri che Gui de Nanteuil. Dobbiamo dedurne che anche tutti gli altri eroi delle chanson de geste menzionati nelle nove lasse aggiuntive che compaiono nei soli B e T dovessero essere presenti anche in Br, e che il testo caduto dovesse procedere in maniera analoga? Ovviamente a causa della mutilazione di Br non è possibile formulare congetture sul contenuto delle carte perdute, ma possiamo almeno escludere che il testo delle nove lasse extra si ritrovasse tale e quale anche nel testimone Br: in quest’ultimo la lassa dell’incontro con Aiglentine (Argentine) rima in -on, mentre in B è in -ure. È
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inoltre verosimile che Br contenesse la versione più vicina all’originale (che presumibilmente doveva contemplare un castello delle sette arti integro e comprensivo di grammatica, e poi un excursus cavalleresco), e che l’antecedente comune a B e T abbia a suo tempo dislocato a monte tutta una sezione che originariamente si trovava più avanti, riadattando il testo con sufficiente perizia da non lasciare fratture troppo brusche ma senza riuscire ad eliminare tutte le incongruenze. Tale dinamica si deve certamente ad un guasto meccanico o ad una scarsa comprensibilità dell’antigrafo da cui discende tutta la tradizione che possediamo, fattori che hanno parzialmente compromesso la completezza dell’episodio del castello; l’entità del problema era presumibilmente minore nell’antecedente comune a Br e P (a fronte di un capostipite della famiglia BT più lacunoso o deteriore) o ha comunque determinato una diversa strategia da parte dei copisti di questi due testimoni, che hanno operato interventi più piccoli e meno radicali. Oltre al primo guasto – più grave o risolto con intervento più pesante nella famiglia BT – che ha verosimilmente determinato la dislocazione dell’excursus cavalleresco, è probabile che ne sia esistito anche un secondo, localizzabile un poco più avanti, laddove per diffrazione BT, Br e P si separano dando luogo a tre versioni differenti. Si noti che la versione di P da questo momento in poi è certamente la più rimaneggiata, giacché inserisce parecchi motivi desunti dalla tradizione di exempla e visiones che, pur assai presente nell’Huon d’Auvergne, ha un’influenza meno rilevante negli altri testimoni, per lo meno per ciò che riguarda l’episodio infernale: man mano che ci sia avvicina al palazzo di Lucifero, nel testimone padovano i supplizi tendono a ridursi a fiumi di fuoco, lanci di pietre e bolliture in calderoni, e fa capolino anche un emblematico ponte sottile “che taglia come una spada”. Ciononostante, anche qui compaiono i personaggi di Guiborc e Girart de Fraite che già avevamo incontrato nell’excursus cavalleresco di BT: ulteriore segnale del fatto che in qualche forma il materiale delle nove lasse aggiuntive doveva essere presente anche nell’originale, e che doveva essere collocato dopo l’episodio del castello delle sette arti liberali. Ci si trova forse di fronte ad un caso di diffrazione in presenza, in cui il testo di Br, pur interrotto dalla mutilazione, si può ritenere indicativo della conformazione dell’originale. È quindi lecito chiedersi se, alla luce degli elementi esaminati finora, Br si debba considerare il testimone più vicino all’originale dell’Huon d’Auvergne, sottraendo tale titolo al testimone berlinese B, latore di un testo antico, accettabilmente completo (malgrado due lacune di entità non trascurabile) e nell’insieme più coerente di quello trasmesso dagli altri testimoni, che sono afflitti da generale trascuratezza e continui fraintendimenti del testo preso a modello (T) o presentano pesantissimi interventi di rimaneggiamento (P). È pur vero che il codice B presenta un testo generalmente corretto ed autorevole, per di più accompagnato da una confezione di pregio, un committente prestigioso (la famiglia Gonzaga) e uno splendido corredo iconografico; mentre il frammento Br proviene da un povero manoscritto da
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giullare, privo di immagini e carico di correzioni, e allo stato attuale non è dato fare ipotesi meno che generiche sul possibile contenuto a monte e a valle delle carte conservate. Per ciò che riguarda l’episodio che abbiamo appena analizzato, però – e in generale per quanto concerne la porzione di testo conservata nel frammento – Br sembra portatore di una versione particolarmente corretta e priva di alterazioni, almeno dal punto di vista della costruzione narrativa. L’erudito modenese Giovanni Maria Barbieri, che fu proprietario di un Br ancora integro e che gli ha lasciato in eredità il soprannome di ‘frammento Barbieri’, ne trascrisse i primi quattro versi, che non corrispondono all’incipit di alcun altro testimone dell’Huon d’Auvergne ma sono invece perfettamente sovrapponibili a quelli segnalati per il manoscritto che compare al n. 44 del Capitulum librorum in lingua francigena, inventario dei volumi francesi conservati nella biblioteca Gonzaga redatto nel 1407. In quello stesso n° 44 è però stato riconosciuto il codice V13 della Marciana, contenente la compilazione franco-italiana di materia carolingia conosciuta come Geste Francor che ci è giunta mutila di un’ampia sezione iniziale, il cui explicit è identico a quello citato nel Capitulum. Il tentativo di formulare una spiegazione per quella che è al contempo una coincidenza innegabile e una discrepanza insormontabile – che all’indomani della pubblicazione del Capitulum vide Gaston Paris e Antoine Thomas contrapporsi sulle pagine di Romania24 – ha condotto all’ipotesi di un codice composito, comprendente un Huon d’Auvergne di tipo Br (ma non lo stesso codice Barbieri, per evidente incompatibilità materiale) seguito dalla Geste Francor di V13. Oltre a questo possibile testimone perduto dal profilo simile a quello di Br, un altro codice simile è forse riconoscibile in un Karlo Martelo menzionato nell’Inventarium bonorum mobilium degli Este (catalogo redatto negli anni 1436-1437)25; non si può escludere che si tratti, anzi, del medesimo manoscritto acquisito da Barbieri, giacché gli inventari successivi non ne portano traccia, suggerendo quindi una precoce alienazione del volume. È possibile che il frammento Br sia l’ultimo testimone rimasto di un ramo della tradizione particolarmente prossimo all’originale e forse più produttivo di quanto si sia finora immaginato; d’altra parte, oltre ai due casi citati, gli inventari delle grandi biblioteche signorili del XV secolo (Gonzaga, Este, Visconti-Sforza) contano più di un volume ipoteticamente identificabile con l’Huon d’Auvergne. In tal caso, però, il pregevole codice B, che i Gonzaga fecero realizzare e decorare sontuosa24 Cfr. Willelmo Braghirolli, Gaston Paris e Paul Meyer (a c. di), “Inventaire des manuscrits en langue française possédés par Francesco Gonzaga I, capitaine de Mantoue, mort en 1407”, Romania, 9, 1880, pp. 497-514; Antoine Thomas, “Le n° 44 des manuscrits français des Gonzague”, Romania, 10, 1881, pp. 406-408; Pio Rajna, “Frammenti di redazioni italiane del Buovo d’Antona”, Zeitschrift für romanische Philologie, 12, 1888, p. 463-510; Id., La Geste Francor di Venezia (codice marciano XIII della serie francese), Bestetti e Tuminelli, Milano - Roma, 1925. 25 Pio Rajna, “Ricordi di codici francesi posseduti dagli Estensi nel secolo XV”, Romania, 2, 1873, pp. 49-58; Antonio Cappelli, “La Biblioteca Estense nella prima metà del secolo XV”, Giornale storico della letteratura italiana, 14, 1889, pp. 1-30.
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mente ‒ e che figura al n. 21 del già citato Capitulum librorum ‒ discenderebbe da una versione già difforme dal modello, almeno per quanto riguarda l’episodio della discesa all’inferno; cionondimeno, questa versione spuria avrebbe acquisito abbastanza successo da essere copiata ancora un secolo dopo, come dimostra l’esistenza del codice T.
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