Idea Transcript
s c r i t t o r i
c o n t e m p o r a n e i
Giacomo Leopardi
Canti
edizione fotografica degli autografi e edizione critica di EMILIO PERUZZI
Biblioteca Universale Rizzoli Centro Nazionale di Studi Leopardiani. Recanati
Proprietà letteraria riservata © 1981 Rizzoli Editore, Milano © 1998 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-58-60943-9 Prima edizione digitale 2010 da Quarta edizione marzo 2009 Premio Antonio Feltrinelli 1982 dell’Accademia Nazionale dei Lincei per la Teoria e Storia della lingua letteraria In copertina: Joseph Wright of Derby, Paesaggio con arcobaleno, 1794 © The Gallery Collection/Corbis Progetto grafico Mucca Design Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Si pubblicano, per gentile concessione, le fotografie degli autografi conservati dalla Biblioteca Leopardi in Recanati (Ar, P), dalla Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» in Napoli (An), dal Comune di Visso (Av ), dal Civico Museo Storico di Como (V) e dalla Biblioteca dell’Università Jagellonica di Cracovia (Ak); è vietata ogni ulteriore riproduzione non autorizzata dagli aventi diritto. Fotografie : Industrialfoto di Mariano Buschi, Recanati (Ar, P ) ; M.F.I . di Giovanna De Vita, Napoli (An); Elio Aureli,Visso (Av); Luigi Galli, Brunate (V).
Biblioteca Universale Rizzoli Centro Nazionale di Studi Leopardiani. Recanati
PREMESSA
Francesco Moroncini pubblicava nel 1927 un’edizione critica dei Canti che ha dato un indirizzo nuovo alla filologia leopardiana, di cui egli fu cultore ancor oggi insuperato non solo per la conoscenza diretta dei documenti, ma anche per la vastità dell’impegno e dei risultati (infatti, ai due volumi dei Canti s eg u i v a n o, l’anno dopo, i due volumi dell’edizione critica delle Opere minori approvate, e nel 1931 i due volumi di quella delle Operette morali; nel 1934 cominciava ad apparire l’Epistolario in sette volumi, di cui il Moroncini poté curare compiutamente solo i primi tre). È perciò doveroso che questo libro si apra con il nome di quell’esemplare studioso recanatese, a cui non si tributarono i meritati riconoscimenti forse perché l’ambiente accademico, non facendone egli parte, non poté valutarne pienamente l’opera. Eppure su quelle pagine si è fondata da più di settant’anni tutta la filologia leopardiana, e dai Canti editi dal Moroncini ha preso sviluppo la cosiddetta critica delle varianti. Critica praticata e teorizzata anche come nuovo metodo di interpretazione e che, sia che la si elevi quasi a particolare disciplina con il nome di variantistica, sia che la si respinga come critica degli scartafacci, non solo giova a rappresentare le tappe successive del gusto poetico di un autore e a intendere la sua formazione culturale e linguistica, ma costituisce pur sempre un problema che trascende i limiti di linguistica e filologia, e sconfinando nel campo dell’estetica attiene al concetto stesso dell’arte. Si devono dunque riconoscere all’opera del Moroncini un’importanza e una fecondità che egli nemmeno immaginava, e pregi che superano di gran lunga i difetti. «Nessun testo sfugge agli errori». Questa verità, che un Havet, implacabile cacciatore di guasti nella tradizione manoscritta, proclamava forse non senza compiacimento, vale anche per qualsiasi edizione critica, poiché fra i molti pericoli a cui è soggetto l’editore vi sono pure quelli che insidiano ogni copista. Ma
oltre alle inevitabili inesattezze di lettura e trascrizione, che si sarebbero potute emendare con un errata-corrige nelle ristampe del 1961 e del 1978, nelle pagine del Moroncini (che in mancanza di precedenti dovette crearsi da sé il proprio metodo) dominano due criteri di impostazione a cui è opportuno rinunciare e che giustificano una nuova edizione dei Canti. Il primo criterio è quello di separare «dalle correzioni più importanti quelle di minore entità, concernenti la grafia e la punteggiatura», e che il Moroncini non considerava alla stregua delle modificazioni di significato. A parte il fatto che ciò si attua tipograficamente con una separazione del materiale che non semplifica, anzi complica, l’uso della sua opera, la distinzione non è legittima: spesso basta una virgola per modificare il senso di un’espressione, e tanto più in poesia, dove la punteggiatura serve anche a scavare le pause, scandire il ritmo, tracciare la curva melodica, tutti fattori prosodici che determinano un particolare significato. Il secondo criterio del Moroncini è quello di non trascrivere le varianti così come Leopardi le annotava, ma di sviluppare da singole parole l’emistichio o il verso di cui esse erano il germe. Questa elaborazione delle varianti sarà utile anche in futuro, come il Moroncini si proponeva, «specialmente a quel numero di studiosi che, pur non facendo espressa professione di critici, possono nondimeno trarre da esse buon profitto, come ad es. gli allievi delle facoltà letterarie negl’istituti superiori». Tuttavia, ciò non è più edizione critica, ma personale interpretazione. Infatti, anche se nella maggior parte dei casi le ricostruzioni del Moroncini paiono ovvie, non si possono escludere a priori soluzioni diverse da quella che egli ha proposto e in ogni caso ciò rende meno vigile l’acume interpretativo del lettore. Questa nuova edizione abbandona tali criteri essenzialmente soggettivi e presenta il testo leopardiano così come è stato scritto da Leopardi. Ma soprattutto, attua un nuovo tipo di edizione critica. L’edizione di originali perduti (come nel caso di tutta la letteratura greca e latina, per cui non possediamo autografi né copie raffrontate con l’originale) mira a ricostruire la stesura dell’autore, con procedimento critico e risultati probabilistici, partendo dalle copie più recenti e risalendo via via lungo i rami delle fasi più antiche. L’edizione critica di un’opera di cui si conserva l’originale per-
corre un cammino opposto: parte dalla stesura più antica e discende lungo i gradini delle fasi successive, fino all’ultima elaborazione a cui è giunto l’autore. In entrambi i casi, però, l’edizione critica si sostituisce ai documenti originali che il lettore non ha a disposizione, e perciò, anche quando merita ragionevolmente fiducia, essa gli impone sempre un atto di fede. Questo volume (e in ciò consiste la sua novità) offre anche la riproduzione degli autografi. Purtroppo, nemmeno la fotografia rende alcuni aspetti intrinseci del documento, come la qualità della carta o dell’inchiostro, e nessuna riproduzione potrà mai sostituire del tutto l’originale. Ma le illustrazioni qui raccolte consentono già l’esame diretto della maggior parte dei caratteri degli autografi, e certo di tutti i caratteri più importanti. E quando vi siano più manoscritti di un medesimo testo conservati in luoghi diversi, la fotografia permette di studiarli comparativamente, cioè consente di raffrontare documenti i cui originali non si possono riunire per ragioni pratiche (e si veda, per esempio, quanto giovi alla lettura critica degli autografi napoletani degli Idilli il confronto con la copia conservata a Visso). Diceva il Maas che «nei nostri apparati critici c’è troppo poca vita». In un’edizione che si affianca e quasi si subordina alla fotografia del documento, l’apparato vive, se non per altro, come ragionata lettura dell’immagine: questo, infatti, è lo scopo che si prefigge la presente edizione. Un’edizione critica deve anche essere leggibile. Dovrebbe esserlo sempre, perché la chiarezza è il primo requisito di ogni espressione; ma tanto più deve riuscire facilmente leggibile nel caso di un autore la cui opera è patrimonio spirituale di tutti, e perciò non si può irretire in un complesso meccanismo di sigle, segni convenzionali e termini tecnici riservato a una ristretta cerchia di specialisti. Con un’attenta lettura delle pp. 9-14, i criteri seguiti nella presente edizione si risolvono in altrettante semplici norme per l’uso, che renderanno agevole a tutti la consultazione. Perché possa servire a un vasto pubblico, si è contenuta l’opera a stampa in un solo volume, rinunciando a tutto quanto non era indispensabile per l’edizione dei canti, e ciò spiega anche l’assenza delle amplissime annotazioni alle dieci canzoni stampate a Bologna nel 1824, delle prefazioni, delle dedicatorie, insomma di quanto non figura nell’edizione ultima voluta da Leopardi (la «Starita corretta») e che spesso le raccolte dei Canti pubbli-
cano in un’appendice. La riproduzione dei manoscritti in un volume separato rende agevole il raffronto tra l’edizione a stampa e la corrispondente immagine dell’originale. Per l’esauriente descrizione di autografi e stampe, per l’evoluzione della grafia e della punteggiatura, per molti dei problemi di un’edizione critica si rinvia al «discorso proemiale» dell’edizione Moroncini e all’introduzione di quella curata da Domenico De Robertis, Milano 1984. Mi auguro che questa edizione dei Canti, se pure imperfetta, rappresenti un progresso nel cammino aperto dal Moroncini, per riuscire non indegna del sommo poeta recanatese e dello studioso suo concittadino. EMILIO PERUZZI
La prima edizione di quest’opera (1981) fu resa possibile dalla cortese collaborazione della contessa Anna Leopardi; della signora Maria Cecaro, direttrice della Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» in Napoli, e della signora Maria Rosaria Vicenzo Romano, direttrice della Sezione manoscritti e rari nella stessa biblioteca; della signora Maria Belloni Zecchinelli, direttrice del Civico Museo Storico di Como; del signor Pietro Tranquilli, sindaco di Visso. Furono inoltre di aiuto in vari modi Riccardo Ambrosini (Pisa), Marcello Andria (Napoli), Renato Arena (Milano), Elio Aureli (Visso), Maria Bontempi (Recanati), Mariano Buschi (Recanati), Onofrio Carruba (Pavia), Fiorenza Ceragioli (Firenze), Alda Croce (Napoli), Vincenzo Donadio (Napoli), Vitangelo Fontanella (Recanati), Paolo Emilio Pecorella (Roma), Giovanni Pugliese Carratelli (Roma), Alfonso Traina (Bologna). Per l’aggiunta del˙ l’autografo di Cracovia sono debitore a Krzysztof Zaboklicki (Roma) e Marian Zwiercan (Cracovia). Per la seconda edizione è stata costante e preziosa collaboratrice Fiammetta Giorgi (Milano). A tutti desidero esprimere il più vivo ringraziamento.
PER L’USO DELL’EDIZIONE
Di ciascun canto si riproduce in primo luogo il testo completo, con i versi tutti numerati per comodità di consultazione. Esso rappresenta, salvo rari dubbi, l’ultima stesura voluta da Leopardi (sui punti discutibili vd. per esempio quanto si avverte alle pp. 10-11 a proposito del testo di Nc). Alla fine del testo, si elencano in ordine cronologico (e quando occorre si descrivono brevemente) gli autografi e le stampe approvate dall’autore, con le rispettive sigle. A parte quelle che concernono un solo canto e che si indicheranno in calce al testo a cui si riferiscono, tali sigle sono: Ar
autografi recanatesi, conservati nella Biblioteca Leopardi in Recanati
An
autografi napoletani, così detti perché si conservano nella Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» in Napoli (di ciascun documento si indicano il pacco e l’inserto in cui si trova, per esempio: Bibl. Naz. Napoli, X. 2)
Av
autografi vissani, così detti perché conservati dal Comune di Visso (Macerata)
R18
Canzoni | di | Giacomo Leopardi | — | Sull’Italia | Sul Monumento di Dante che si prepara | in Firenze | Roma MDCCCXVIII. | Presso Francesco Bourlie’
R18c
correzioni manoscritte di Leopardi sulla stampa di R18 (vd. pp. 20-21)
B20
Canzone | di | Giacomo Leopardi | ad | Angelo Mai | — | Bologna. MDCCCXX | Per le stampe di Iacopo Marsigli | Con approvazione
P
copie di mano della sorella Paolina (da stesure di Giacomo non identiche a quelle conosciute) in due
quaderni di una serie di miscellanee manoscritte conservate nella Biblioteca Leopardi in Recanati: quaderno I non datato ma anteriore al 1822 (anno a cui risalgono appunti datati nel successivo quaderno IV), quaderno VIII datato «1824-25»; sull’esattezza di queste copie, che a torto si considerano trascurate, vd. pp. 363-364 XVI. La vita solitaria 83 P e 91 P app. crit. B24
Canzoni | del conte | Giacomo Leopardi | Bologna | Pei tipi del Nobili e Comp.° | 1824
Bc
due elenchi manoscritti di correzioni e variazioni a B24 (Bibl. Naz. Napoli, X. 12 e X agg.) qui riprodotti alle tavv. 180-183
Nr
Il | Nuovo Ricoglitore | ossia | Archivj | di geografia, di viaggi, di filosofia, | d’istoria, di economia politica, di elo-|quenza, di poesia, di critica, di archeo-|logia, di no velle, di belle arti, di teatri | e feste, di bibliografia e di miscellanee | Opera che succede allo Spettatore italiano | e straniero, ed al Ricoglitore. | … | Milano | Presso Ant. Fort. Stella e Figli (anno I, parte II, N° 12, Dicembre 1825; anno II, parte I, N° 1, Gennaio 1826)
B26
Versi | del conte | Giacomo Leopardi | Bologna 1826 | Dalla Stamperia delle Muse | Strada Stefano n. 76 | Con approvazione
F
Canti | del conte | Giacomo Leopardi. | — Firenze | Presso Guglielmo Piatti | 1831
N
cosiddetta edizione Starita: Canti | di | Giacomo Leo pardi. | Edizione corretta, accresciuta, | e sola approva ta dall’autore. | Napoli, | presso Saverio Starita | Strada Quercia n. 14 | — | 1835
N Err
«Correzioni degli errori di stampa» in N p. 177
Nc
cosiddetta Starita corretta (vd. il frontespizio qui riprodotto sull’antiporta): esemplare sciolto costituito da fogli di stampa di N (conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli) ancora con errori che vennero poi eliminati prima della tiratura di N messa in commercio; su questo esemplare Leopardi fece correzioni e aggiunte per la stampa progettata dal libraio parigi-
no Baudry e che, secondo le modifiche sul frontespizio di Nc, si doveva intitolare Canti | di | Giacomo Leo pardi. | Edizione corretta ed accresciuta | dall’autore; a causa delle discordanze tipografiche tra N e Nc (che in sostanza è una bozza non definitiva e per cui Leopardi non ebbe il tempo e il vigore occorrenti ad un’accurata revisione), in alcuni casi è dubbio se Nc rappresenti l’ultima volontà dell’autore. Successivamente, si dà l’edizione critica del canto. In alto e separati da un filo largo quanto la giustezza della pagina, si pongono come titolo corrente il numero d’ordine (in cifre romane) e il titolo del canto; per esempio: I. All’Italia. Al di sotto del filo, in caratteri più piccoli, si riproduce l’ultima redazione dei versi trattati in quella pagina (in modo che il lettore possa sempre riferirsi al risultato finale) e poi se ne dà l’edizione critica, presentando le varie stesure di ciascun verso disposte in ordine cronologico, cioè secondo la successione degli autografi e delle stampe già elencati in calce al testo completo del canto. La riga a destra del numero d’ordine del verso contiene la più antica redazione a noi nota. Sotto di essa, le redazioni successive (che di solito, quando sono manoscritte, furono poste da Leopardi al di sopra del testo che modificavano). Le redazioni successive si riportano per intero o limitatamente alle parti che sono state modificate. Fra parentesi quadre [ ] si racchiudono le parti di scrittura cancellate; al di sotto si riproduce ciò che è stato scritto dopo la cancellazione. Per esempio (vd. p. 33): I. All’Italia 88 In sempiterno viva, [In sempiterno viva,] Ne l’armi e ne’ perigli
R18 An
significa che in An il verso In sempiterno viva, di R18 è stato interamente eliminato con una sola cancellazione (cioè, in questo c a s o, mediante un’unica linea orizzontale) e sostituito con la nuova stesura Ne l’armi e ne’ perigli. Quando Leopardi ha corretto nel corso della stesura stessa, la cancellazione e la contemporanea nuova scrittura sono sulla medesima linea; per esempio (vd. p. 51 e cf. tav. 10) in II. Sopra il monumento di Dante 28
Firenze, a quello per [c]la cui virtude
Ar
è evidente che in Ar, nel copiare quel verso, Leopardi si è accorto di avere omesso la e perciò ha cancellato c di cui ed ha proseguito sulla stessa linea. A destra del verso, le sigle Ar, An, Av, R18 ecc. (spiegate alle pp. 9-11) indicano la redazione, manoscritta o a stampa, a cui esso appartiene. Con le lettere greche a b g d e z h ϕ si distinguono, nell’ordine, le varie fasi dell’elaborazione particolare di ciascun verso in quella determinata redazione. Vale a dire, per esempio, che nella sigla An b la lettera b distingue la fase di quel singolo verso dell’autografo napoletano (An) che è successiva ad a e anteriore a g, non uno stadio b nell’elaborazione di tutto il canto. In carattere corsivo si ripetono, per chiarezza, parole o lettere che già si trovavano nella stesura modificata da Leopardi; per esempio (vd. p. 376) in XVII. Consalvo 35 sentia senti[a] sentiva
An
a b
significa che Leopardi prima (a) ha scritto sentia e poi (b) , lasciando intatte le prime cinque lettere, ha cancellato a ed ha scritto al suo posto va. Ogni canto ha un numero progressivo in cifre romane secondo l’ordine voluto da Leopardi; ogni verso ha un proprio numero in cifre arabe. Queste indicazioni consentono di passare agevolmente dalla pagina stampata alla fotografia, e viceversa. Per esempio, il testo del verso 105 di Bruto minore (canto VI) sull’autografo napoletano (An) si troverà nella riproduzione 75 che reca la dicitura: 75. – VI. Bruto minore 91-105 An. Partendo dalla riproduzione, l’edizione critica di quel verso si troverà nella p. 190 che reca come titolo corrente VI. Bruto minore e nella parte superiore il testo definitivo dei versi 103-105. Se di un verso si dà solo la prima stesura (vd. per esempio, a p. 57, II. Sopra il monumento di Dante 52), ciò significa che quella stesura non ha subito mutamenti ed è perciò identica nell’ultima redazione approvata da Leopardi (riprodotta in alto, sotto il titolo corrente, in caratteri più piccoli). Quando nella successione delle stesure di un verso mancano una o più sigle corrispondenti a fasi intermedie, vuol dire che in quelle fasi la redazione precedente è rimasta immutata.
Per i canti di cui non si conoscono autografi (vd. per esempio p. 547 segg. XXIX. Aspasia) si dà solo il testo completo, inserendovi le eventuali varianti delle stampe. Sotto l’edizione critica dei versi, separate da una breve linea a sinistra, si riproducono le varianti, le annotazioni e le postille di Leopardi, precedute dal numero del verso a cui si riferiscono e dalla sigla del testo in cui ricorrono. Quando ciò rende più facile il loro reperimento sulla fotografia, si indica il punto della pagina manoscritta in cui si trovano varianti, annotazioni e postille, ponendo a fianco della sigla (An, Ar ecc.) le lettere esponenti a
=
b d s f p
in alto nella pagina dove è riprodotto il testo a cui si riferiscono in basso a destra a sinistra su una facciata occupata solo da varianti e annotazioni in scheda a parte
Così, per esempio, in VI. Bruto minore (vd. p. 190) le varianti riportate a destra della sigla 105 Ans sono nella stessa facciata dell’autografo napoletano (An) che contiene il verso 105 a cui si riferiscono, e si trovano nel margine sinistro; per controllarle sull’originale, basterà ricercare il testo nel margine sinistro della riproduzione fotografica di VI. Bruto minore 105 An (cioè nella figura 75. – VI. Bruto minore 91-105 An). Varianti, annotazioni e postille non sono state ordinatamente scritte da Leopardi secondo la successione dei versi a cui si riferiscono, ma secondo distinti momenti dell’elaborazione e secondo i vari gruppi di appunti da cui egli le copiava. Perciò è parso opportuno raggruppare insieme quelle che sono scritte di séguito e separare (andando a capo) quelle che si trovano a qualche distanza. Così, per esempio, in VI. Bruto minore 105 Ans (vd. p. 190) 105 Ans
Nè da’ vestigi suoi torse. E ’l piè ne, su l’orme sue pose natura. [E] Nè del fato mortal pianse natura. E ne l’usata via stette. E per le usate vie. note vie. E calcò le vetuste orme. Nè del nostro dolor pianse. E del fato e di noi l’orbe non cura. Nè stinse, tinse, a Febo il volto umana cura. il raggio. Nè scolorò le stelle umana cura. Nè d’ombra i [giorni,] i soli,
i cieli, avvolse. Nè l’auree stelle offusca, adombra, e c. ; Nè l’auree stelle, l’ignee rote, gli aurei giorni, cieli, umano fato, Doglia oscura.
le notazioni delle prime due righe sono scritte di séguito sull’autografo, a qualche distanza segue il blocco di notazioni che si riportano (andando a capo) nelle tre righe successive, quindi (di nuovo a capo) altre notazioni separate, e così via. Le parole che nell’autografo recano una sottolineatura o che figurano in corsivo nella stampa sono qui in carattere tipografico MAIUSCOLETTO, quelle con una doppia sottolineatura sono in carattere MAIUSCOLO CORSIVO; vd. per esempio a p. 67 II. So pra il monumento di Dante 107 Anb e a p. 580 XXXIV. La gine stra 51. Nella stampa, le doppie parentesi quadre OP corrispondono a parentesi quadre dell’autografo leopardiano. Le lettere con un punto sottoscritto (a., l. , .t , ecc.) non sono state condotte a termine da Leopardi; x indica una lettera o una cifra non identificabile, x. una parte incompiuta di lettera o cifra non identificabile. Sotto la sezione in cui sono riprodotte varianti, annotazioni e postille si trova, separato da una doppia linea a sinistra, l’apparato critico. In sede di apparato critico (per tenerle distinte dalle varianti delle edizioni curate da Leopardi) è parso utile indicare anche le divergenze che si riscontrano nell’edizione Ranieri (Opere di Giacomo Leopardi. Edizione accresciuta, ordinata e corretta, secondo l’ultimo intendimento dell’autore, da Antonio Ranieri. Vol. I. Firenze, Felice Le Monnier. 1845). Le lettere di Leopardi e dei suoi corrispondenti sono citate secondo l’epistolario (Epist.) edito da F. Moroncini, I-VII, Firenze 1934-1941, e si aggiunge il numero della lettera in Tutte le opere di G. Leopardi a cura di F. Flora, Lettere, Milano 1949 (sigla LF), e quello dell’Epistolario di G. Leopardi a cura di F. Brioschi e P. Landi, Torino 1998 (sigla BL).
CANTI
I. ALL’ITALIA.
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O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri e l’erme Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite, Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, Formosissima donna! Io chiedo al cielo E al mondo: dite dite; Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che di catene ha carche ambe le braccia; Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata, Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange. Piangi, che ben hai donde, Italia mia, Le genti a vincer nata E nella fausta sorte e nella ria.
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Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Mai non potrebbe il pianto Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; Che fosti donna, or sei povera ancella. Chi di te parla o scrive, Che, rimembrando il tuo passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella? Perchè, perchè? dov’è la forza antica, Dove l’armi e il valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? Chi ti tradì? qual arte o qual fatica O qual tanta possanza
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Valse a spogliarti il manto e l’auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in così basso loco? Nessun pugna per te? non ti difende Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl’italici petti il sangue mio.
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Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, Un fluttuar di fanti e di cavalli, E fumo e polve, e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Nè ti conforti? e i tremebondi lumi Piegar non soffri al dubitoso evento? A che pugna in quei campi L’itala gioventude? O numi, o numi: Pugnan per altra terra itali acciari. Oh misero colui che in guerra è spento, Non per li patrii lidi e per la pia Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui Per altra gente, e non può dir morendo: Alma terra natia, La vita che mi desti ecco ti rendo.
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Oh venturose e care e benedette L’antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre; E voi sempre onorate e gloriose, O tessaliche strette, Dove la Persia e il fato assai men forte Fu di poch’alme franche e generose! Io credo che le piante e i sassi e l’onda E le montagne vostre al passeggere Con indistinta voce Narrin siccome tutta quella sponda
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Coprìr le invitte schiere De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti. Allor, vile e feroce, Serse per l’Ellesponto si fuggia, Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; E sul colle d’Antela, ove morendo Si sottrasse da morte il santo stuolo, Simonide salia, Guardando l’etra e la marina e il suolo.
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E di lacrime sparso ambe le guance, E il petto ansante, e vacillante il piede, Toglieasi in man la lira: Beatissimi voi, Ch’offriste il petto alle nemiche lance Per amor di costei ch’al Sol vi diede; Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Nell’armi e ne’ perigli Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell’acerbo fato amor vi trasse? Come sì lieta, o figli, L’ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al passo lacrimoso e duro? Parea ch’a danza e non a morte andasse Ciascun de’ vostri, o a splendido convito: Ma v’attendea lo scuro Tartaro, e l’onda morta; Nè le spose vi foro o i figli accanto Quando su l’aspro lito Senza baci moriste e senza pianto.
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Ma non senza de’ Persi orrida pena Ed immortale angoscia. Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava Con le zanne la schiena, Or questo fianco addenta or quella coscia; Tal fra le Perse torme infuriava L’ira de’ greci petti e la virtute. Ve’ cavalli supini e cavalieri; Vedi intralciare ai vinti
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La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra’ primieri Pallido e scapigliato esso tiranno; Ve’ come infusi e tinti Del barbarico sangue i greci eroi, Cagione ai Persi d’infinito affanno, A poco a poco vinti dalle piaghe, L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva: Beatissimi voi Mentre nel mondo si favelli o scriva.
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Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell’imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando Verran le madri ai parvoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, O benedetti, al suolo, E bacio questi sassi e queste zolle, Che fien lodate e chiare eternamente Dall’uno all’altro polo. Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle Fosse del sangue mio quest’alma terra. Che se il fato è diverso, e non consente Ch’io per la Grecia i moribondi lumi Chiuda prostrato in guerra, Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri. R 18 R18c
pp. 9-15 (per gli antecedenti vd. le notizie su Ar della canzone II. Sopra il monumento di Dante a p. 46) inviando al Cancellieri il testo delle canzoni I. All’Italia e II. Sul monu mento di Dante, Leopardi gli aveva raccomandato di «commettere la correzione della stampa a persona diligente e che non trascuri nè anche la punteggiatura del Ms.to, poichè Ella conosce ottimamente che in un libricciuolo così breve i piccoli sbagli sarebbero vergognosi, e ridonderebbero in poco onor dell’autore» (Epist. ed. Moroncini, I, p. 197 = LF 80, BL 155). Il Cancellieri si assunse personalmente la correzione, «sul modello, e con la stessa ortografia dell’Originale» (ed. Moroncini, I, p.
data Composta il Settem. del 1818; pubblicata i primi An dell’anno seguente. tit.
SULL’ITALIA
R18
[SULL’] All’
An
ALL’ITALIA
B24
I. | ALL’ITALIA.
F
An
B24 Bc F N data tit. B24
198 = BL 157, cf. ibid. p. 210 = BL 163). Avuti gli esemplari stampati, il 12 febbraio 1819 Leopardi scrive al Giordani, che gli aveva consigliato di correggere a mano eventuali refusi: «errori si può dire che non ce ne sono, salvo parecchie scorrezioncelle venute dalla maniera di scrivere di un letterato romano che ha emendato la stampa. Ma le ho tolte via di mio pugno, secondo che mi dite» (ed. Moroncini, I, pp. 228-229 = LF 91, BL 175). Ciò fece almeno sulle copie donate a destinatari di particolare riguardo, così che di R18 esiste una fase che si può dire “romana corretta” (dunque R18c). Qui si riportano le correzioni secondo l’esemplare della Biblioteca Universitaria di Pisa (Misc. B. 86.16), inviato il 19 febbraio 1819 al canonico Filippo Schiassi, professore nell’Università di Bologna (Bibl. Naz. Napoli, X. 2) esemplare di R18 con correzioni e note autografe, che, almeno in parte, sono anteriori al 25 febbraio 1820 perché, con una lettera di quella data, un esemplare di R18 «riveduto e corretto e migliorato in alcuni luoghi» fu spedito al Brighenti (Epist. ed. Moroncini, II, p. 14 = LF 141, BL 284) e un altro esemplare, con ulteriori mutamenti, gli fu inviato con lettera del 13 marzo 1820 (ed. Moroncini, II, p. 20 = LF 144, BL 288, cf. lettera del 17 marzo 1820 ed. Moroncini, II, p. 21 = LF 145, BL 289), per una stampa che non ebbe luogo; le correzioni e varianti di An furono poi utilizzate per B24 e in qualche caso per F e N pp. 13-19 pp. 11-17 pp. 7-12 solo in An; R18 reca come data di pubblicazione MDCCCXVIII ma effettivamente fu pronta «i primi dell’anno seguente» (cf. Epist. ed. Moroncini, I, p. 210 = BL 163) p. 13; a p. 5 l’occhiello: ALL’ITALIA | CANZONE PRIMA
1 2 3 4 5 6 7 8 9
O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri e l’erme Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite, Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
1
O patria mia, vedo le mura e gli archi
R18
2
E le colonne e i simulacri e l’erme
R18
3
Torri de gli avi nostri; nostri[;] nostri, degli
R18 An
4
Ma la gloria non vedo,
R18
5
Non vedo il lauro e ’l ferro ond’eran carchi e il
R18 N
6
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
R18
7
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
R18
8
Oimé quante ferite, Oim[é] Oimè
R18 An
9
Che lividor che sangue! oh qual ti veggio, lividor, sangue [!] sangue: sangue!
R18 An
N
N
5 And
carchi di lauro. SPOLIIS ORIENTIS ONUSTUM, dice Virg. di Cesare o d’Augusto, a titolo similmente di lode. Qui è un’iperbole per lodare.
9 An
qui, e in séguito, modifica R18 secondo il criterio del Supplemento gene rale a tutte le mie carte (Bibl. Naz. Firenze, B. R. 342, n. 11, 1), p. 3: «Alle Canzoni stampate … Si dovrà far man bassa sopra i punti ammirativi, uso inutile e moderno»
10 11 12 13 14 15 16 17
10
Formosissima donna! Io chiedo al cielo E al mondo: dite dite; Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che di catene ha carche ambe le braccia; Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata, Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange.
Formosissima donna! Io chiedo al cielo donna [!] donna. donna!
R18 An
11
E al mondo, dite, dite, mondo[,] dite[,] dite[,] mondo: dite dite;
R18 An
12
Chi la ridusse a tale? E questo è ’l peggio è ’l peggio, è ’l peggio è ’l peggio è peggio è peggio,
R18 R18c An B24 F N
13
Che di catene ha carche ambe le braccia, braccia[,] braccia;
R18 An
14 15
Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata sconsolata,
R18 R18 An
16
Nascondendo la faccia
R18
17
Tra le ginocchia, e piange.
R18
13 And
N
strette, gravi,+ cinte, Ch’ha di catene avvinte, avvolte, ingombre, oppresse. + (Casa, Canz. 4. st. 3.)
18 19 20 21 22 23 24
18
Piangi, che ben hai donde, Italia mia, Le genti a vincer nata E nella fausta sorte e nella ria. Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Mai non potrebbe il pianto Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; Che fosti donna, or sei povera ancella.
Piangi, che n’hai ben donde, Italia mia, ch[e] chè chè ben hai che
R18 An
19
Il mondo a vincer nata [Il mondo] Le genti
R18 An
20
E ne la fausta sorte e ne la ria. nella nella
R18 N
21
Se fosser gli occhi miei due fonti vive vive, tuoi
R18 An N
22
Non potrei pianger tanto Mai non potrebbe il pianto
R18 N
23
Ch’adeguassi il tuo danno e men lo scorno, scorno[,] scorno; Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
R18 An
Che fosti donna, or se’ povera ancella. Ch[e] Chè Che sei
R18 An
24
18 And
F N
N
N
chè ben hai donde. HO BEN ONDE PREGIARMI. Past. Fido. At. 4. sc. 7. AVRAI BEN ONDE (come) POSAR ANCO LA MENTE. At. 5. sc. [5]1. NON FIA D’ONDE INCOLPARMI. Remig. Fior. ep. 7. d’Ovid. Parigi 1762. p. 92. ORESTE ANCORA HA D’ONDE ALZARSI al CIELO. ep. [1]8. p. 105. ep. 18. p. 270.
25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
Chi di te parla o scrive, Che, rimembrando il tuo passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella? Perchè, perchè? dov’è la forza antica, Dove l’armi e il valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? Chi ti tradì? qual arte o qual fatica O qual tanta possanza Valse a spogliarti il manto e l’auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in così basso loco? Nessun pugna per te? non ti difende
25
Chi di te parla o scrive scrive,
R18 F
26
Che rimembrando il tuo passato vanto vanto, Che,
R18 An F
27
Non dica, già fu grande, or non è quella? dica[,] dica; dica:
R18 An
28
Perchè perchè? dov’è la forza antica, Perchè,
R18 An
29
Dove l’armi, e ’l valore e la costanza? armi[,] armi e il
R18 An N
30
Chi ti discinse il brando?
R18
31
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
R18
32
O qual tanta possanza
R18
33
Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
R18
34
Come cadesti o quando
R18
35
Da tanta altezza in così basso loco?
R18
36
Nessun pugna per te? non ti difende p[u]gna púgna pugna
R18 An
N
B24
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46
37
Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl’italici petti il sangue mio. Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, Un fluttuar di fanti e di cavalli,
Nessun de’ tuoi? L’armi, quà l’armi: io solo qu[à] qua qu [à] qua
R18 R18c
38
Combatterò, procomberò sol io.
R18
39
Dammi, o Dammi[,] o Dammi o Dammi, o
ciel, che sia foco [c]iel, Ciel, ciel,
R18 An
40
A gl’italici petti il sangue mio. Agl’
R18 N
41
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
R18
42
E di carri e di voci e di timballi:
R18
43
In estranie contrade
R18
44
Pugnano i tuoi figliuoli.
R18
45
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi parmi,
R18 An
46
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
R18
An
F
38 Ans
primusq. Coroebus… PROCUMBIT. Aen. 2.
37 An
forse ha corretto quà in qua (=R18c), poi in quá e infine qua (cf. 59 An app. crit.) ed. Ranieri odo con iniziale minuscola
41
47 48 49 50 51
47
E fumo e polve, e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Nè ti conforti? e i tremebondi lumi Piegar non soffri al dubitoso evento? A che pugna in quei campi
polve e fumo e luccicar di spade [e fumo] E fumo e polve ˆ polve,
R18 An
48
Come tra nebbia lampi.
R18
49
Nè ti conforti? ed oltre al tuo costume [Nè ti conforti? ed oltre al tuo costume] E taci, e piangi, e i moribondi lumi [mor]ibondi trenibondi [trenibondi lumi] tremebondi lumi Nè ti conforti? e i tremebondi lumi
R18 An
50
51
E
B24
b g N
T’affanni e piangi? or che fia quel ch’io sento? [T’affanni e piangi? or che fia quel ch’io sento]? Piegar non soffri al dubitoso evento? dubbitoso dubitoso dubitoso
R18 An
A che pugna in quei campi p[u]gna púgna A che, pugna A che pugna A che pugna
R18 An
49 And
a
B24 B24 Err Bc
B24 B24 Err Bc
tenebrati. Misera e piangi. Nè cessi, tergi il pianto? Nè dal pianto ristai, nè gli egri lumi … sostieni. non curi.
49 An b tre è scritto su mo e ni è ritocco di ri; trenibondi è lapsus per tremibondi (lat. tremibundus); ha poi cancellato e riscritto tutto perché non era possibile correggere chiaramente in tremebondi (per l’uso di moribondi e tremebondi, e anche per la loro scrittura, cf. v. 135)
52 53 54 55 56 57 58
52
L’itala gioventude? O numi, o numi: Pugnan per altra terra itali acciari. Oh misero colui che in guerra è spento, Non per li patrii lidi e per la pia Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui Per altra gente, e non può dir morendo:
L’itala gioventude? O Nume, O [Nume,] O nume O num[e] O numi O numi,
o Nume! o [Nume!] o nume: o num[e]: o numi: o numi:
R18 An
b F
53
Pugnan per altra terra itali acciari. per l’altra per altra per altra
R18 B24 B24 Err Bc
54
Oh misero colui che in guerra è spento, ch[e] ch’ ch[’] che
R18 An
55
Non per li patrii lidi e per la pia
R18
56
Consorte e i figli cari,
R18
57
Ma da’ nemici altrui altrui, altrui da altrui
R18 An B24 F
58
Per altra gente, e non può dir morendo, morendo[,] morendo; morendo:
R18 An
54 And
a
a b
F
Oh sventurato chi fra l’armi è spento, pugnando, quel che in guerra.
59 60 61 62 63 64
59
Alma terra natia, La vita che mi desti ecco ti rendo. Oh venturose e care e benedette L’antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre; E voi sempre onorate e gloriose,
terra natìa, nat[ì]a, natia, [Dolce] nat[ì]a, Alma natia, Dolce Alma
R18 R18c
La vita che mi desti ecco ti rendo. d[e]sti désti desti
R18 An
61
Oh venturose e care e benedette
R18
62
Le antich’età che a morte età, L’antiche età,
R18 An N
63
Per la patria correan le genti a squadre, squadre[,] squadre;
R18 An
64
E voi sempre onorate e gloriose, gloriose[,] gloriose,
R18 An F
60
Dolce
An Bc F
N
59 And
BELLA.
59 An
su natia ha corretto più volte: pare che dopo natia (=R18c) abbia scritto natía e poi cancellato l’accento acuto ponendo a sinistra della cancellatura il punto di i (cf. 37 An app. crit.)
65 66 67 68 69 70 71
65
O tessaliche strette, Dove la Persia e il fato assai men forte Fu di poch’alme franche e generose! Io credo che le piante e i sassi e l’onda E le montagne vostre al passeggere Con indistinta voce Narrin siccome tutta quella sponda
O Tessaliche strette [T]essaliche tessaliche strette, [tessaliche] tessaliche
R18 An
66
Dove la Persia e ’l fato assai men forte e il
R18 N
67
Fu di poch’alme franche e generose. generose!
R18 N
68
Io credo che le piante e i sassi e l’onde ond[e] onda
R18 An
69
E le montagne vostre al passeggere
R18
70
Con indistinta voce
R18
71
Narrin, sì come tutte quelle sponde Narrin[,] R18c Narrin[,] s[ì] come tutt[e] quell[e] spond[e] siccome tutta quella sponda
R18
a b
An
65 An b tessaliche di a, sebbene chiarissimo, è cancellato e riscritto per intero sopra la riga, e dunque b può essere indizio dell’intenzione, sùbito abbandonata, di ripristinare Tessaliche (poiché non sarebbe riuscito altrettanto agevole sostituire T a t di a); ma più probabilmente in questa correzione, che è la prima di una serie di modifiche della lettera iniziale nelle due canzoni di R18, si è accorto che per chiarezza conveniva riscrivere la parola per intero, come appunto ha fatto in tutti gli altri casi (I. All’I talia 75, 87, 135 e II. Sopra il monumento di Dante 22, 74, 94) 69 ed. Ranieri passeggiere, grafia estranea agli altri canti in cui la parola ricorre (XVI. La vita solitaria 84 e XXXIV. La ginestra 13 anche nell’ed. Ranieri -e-, XVIII. Alla sua donna 18 var., XXIV. La quiete dopo la tem pesta 24 ed. Ranieri -ie-)
72 73 74 75 76 77 78
72
73
Coprìr le invitte schiere De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti. Allor, vile e feroce, Serse per l’Ellesponto si fuggia, Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; E sul colle d’Antela, ove morendo Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Coprir le invitte schiere Copr[i]r Coprìr Coprír Coprìr
R18 An
De’ corpi ch’ [ch’] che ch[e] ch’
R18 An
a la Grecia eran devoti. a la [Grecia] a la grecia a la [grecia] a la Grecia alla
B24 F
b N
74
Allor vile e feroce Allor, vile e feroce,
R18 F
75
Serse per l’Ellesponto
R18 R18c
76
si fuggìa fugg[ì]a fuggia [Ellesponto] fugg[ì]a ellesponto fuggia, [e]llesponto Ellesponto
a
An
a b
Fatto ludibrio a gli ultimi nipoti, n[i]poti[,] nepoti; agli
R18 An
77
E sul colle d’Antela ove morendo Antela,
R18 An
78
Si sottrasse da morte il santo stuolo stuolo,
R18 An
N
79 80 81 82
79
Simonide salia, Guardando l’etra e la marina e il suolo. E di lacrime sparso ambe le guance, E il petto ansante, e vacillante il piede,
Simonide salìa sal[ì]a salia sal[ì]a salia,
R18 R18c
80
Guardando l’etra e la marina e ’l suolo. e il
R18 N
81
E di lagrime sparso ambe le guance guance, lacrime
R18 An N
82
E ansante il petto e vacillante il piede, petto, [E ansante il petto,] Fervido il seno, [Fervido il seno,] E ’l petto ansante, E il
R18 An
81 And 82 And
Anb Ana
79 F
An
a b g
N
guanCE. Remig. Fior. ep. 8. d’Ovid. p. 107. Parigi 1762. Ed anelante il seno. Ed esultante il core e dubbio il. ed estuante. E ’l seno ansante. E ’l petto anelo. E sparso, e molle il seno. E anelo il seno. E ’l PETTO ansante — Ch’offriste il PETTO. v. Aen. 3. 195-98. 6. 268-271. e in mille altri luoghi. FERVIDO IL SENO non mi piace, perchè fra le immagini, e le cose visibili ed esteriori, come lagrime, vacillante il piede, ec. ci sta male questa ch’è invisibile ed interiore. E di più fa male una semplice metafora fra immagini tutte proprie.
Simonide (1) salia, con numero di rinvio alla nota 1 di F pp. 19-21 «Il successo delle Termopile» ecc. N id. (nota in N pp. 171-172) 82 An b dopo seno una virgola poi dissimulata da E di g g accetta la variante di 82 Anb Anb dopo il ha cancellato 7, numero a stampa del foglio
83 84 85 86 87 88 89
83 84 85 86
87
88
89
Toglieasi in man la lira: Beatissimi voi, Ch’offriste il petto alle nemiche lance Per amor di costei ch’al Sol vi diede; Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Nell’armi e ne’ perigli Qual tanto amor le giovanette menti,
Toglieasi in man la lira: Beatissimi voi voi, Ch’offriste il petto a le nemiche lance alle Per amor di costei ch’al sol vi diede, [c]ostei [s]ol diede[,] Costei Sol diede; [C]ostei costei sol Sol Voi che la grecia cole e ’l mondo ammira: [grecia] cole, ammira[:] Grecia ammira. e il In sempiterno viva, [In sempiterno viva,] Ne l’armi e ne’ perigli Nell’ Cari, la vostra fama appo le genti. [Cari, la vostra fama appo le genti.] Qual tanto amor le giovanette menti, menti; menti,
R18 R18 An R18 N R18 An
a b
B24 F R18 An N R18 An N R18 An F N
88 And 89 And Ans
Ne i flebili perigli. Ne l’onte. Negli ultimi. D’affanni e di. Qual cotanto desio le … menti. QUAE te TAM le˛ ta tulerunt Saecula? QUI TANTI talem genuere parentes? Aen. 1. 605.
85 R18
cf. 82 Anb
90 91 92 93 94 95 96
90
91
92
93
Qual nell’acerbo fato amor vi trasse? Come sì lieta, o figli, L’ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al passo lacrimoso e duro? Parea ch’a danza e non a morte andasse Ciascun de’ vostri, o a splendido convito: Ma v’attendea lo scuro
Qual tanto, o figli, a sera amor vi trasse? [tanto, o figli, a sera amor vi trasse?] ne l’acerbo fato amor vi trasse? nell’ Come così [co]sì sì
giuliva [giuliva] lieta, o figli, lieta[,] lieta, o figli,
L’ora estrema vi v[i] v’ vi
parve, onde ridenti [parve] apparve, parve,
R18 An N R18 An
b F R18 An F
Correste al fato lagrimoso e duro? [fato] passo lacrimoso
R18 An
94
Parea ch’ a danza e non a morte andasse
R18
95
Ciascun de’ vostri o a splendido convito: vostri,
R18 N
96
Ma v’attendea lo scuro
R18
90 And 91 And 92 And 92 And
a
N
Quale al gelido fato. Qual sì fervido a sera amor. Qual di morte desio, cari, vi trasse? desio[,] dolce, fera. Come sì vaga, dolce, cara. [v’apparve]. cancellato (prima di scrivere 90 And Qual di morte ecc.) quando la variante fu accolta nel testo
97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107
Tartaro, e l’onda morta; Nè le spose vi foro o i figli accanto Quando su l’aspro lito Senza baci moriste e senza pianto. Ma non senza de’ Persi orrida pena Ed immortale angoscia. Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava Con le zanne la schiena, Or questo fianco addenta or quella coscia; Tal fra le Perse torme infuriava
97
Tartaro e l’onda morta, morta; Tartaro, e l’onda morta;
R18 Bc F
98
Nè le spose vi foro o i figli accanto f[o]ro fóro fòro foro
R18 An
Quando su l’aspro lito
R18
99
F N
100 Senza baci moriste e senza pianto.
R18
101 Ma non senza de’ Persi orrida pena
R18
102 Ed immortale angoscia.
R18
103 Come lion di tori entro una mandra
R18
104 Or salta a quello in tergo e sì gli scava tergo, tergo[,]
R18 An
105 Con le zanne la schiena,
R18
106 Or questo fianco addenta or quella coscia;
R18
107 Tal fra le Perse torme infuriava [Pe]rse pérse Perse
R18 An
98 And
vi fur nè i. vedeste.
N
a b
108 109 110 111 112 113
L’ira de’ greci petti e la virtute. Ve’ cavalli supini e cavalieri; Vedi intralciare ai vinti La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra’ primieri Pallido e scapigliato esso tiranno;
108 L’ira de’ greci petti e la virtute.
R18
109 Ve’ cavalli supini e cavalieri, cavalieri[,] cavalieri;
R18 An
110 Vedi intralciar [intralciar] ingombrar intralciar ingombrar
R18 An
di tutti [di tutti] de’ vinti
di t.ut.t.i. [di] [t.ut.t.i.] de’ vinti [ingombrar] [de’ vinti] ingombrar de’ vinti ingombrar intralciare ai vinti
B24 Bc I
g d F N
111 La fuga i carri e le tende cadute,
R18
112 E correr fra’ primieri
R18
113 Pallido e scapigliato esso tiranno;
R18
110 An
Bc I
a b
intralciar è cancellato con due linee orizzontali e ingombrar è scritto al di sopra, di tutti è cancellato con una sola linea e de’ vinti gli è aggiunto a fianco sulla stessa riga; pare dunque che le due correzioni siano state eseguite in tempi diversi (ingombrar sarà del 1822, vd. il quesito su tale verbo nelle lettere al Melchiorri del 13 maggio 1822, Epist. ed. Moroncini, II, p. 166 = LF 211, BL 439, e del 7 giugno 1822, ed. Moroncini, II, p. 170 = LF 213, BL 446) sotto la cancellazione di g ha annotato di sostituire intralciar della stampa con ingombrar (ossia corregge con ingombrar de’ vinti) e ripete l’annotazione in Bc II
114 115 116 117 118 119
Ve’ come infusi e tinti Del barbarico sangue i greci eroi, Cagione ai Persi d’infinito affanno, A poco a poco vinti dalle piaghe, L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva: Beatissimi voi
114 Vè come intrisi e brutti V[è] Ve’ V[è] [intrisi] [e brutti] Ve’ infusi e tinti
R18 R18c
115 Del barbarico sangue i greci eroi eroi,
R18 F
116 Cagione a i Persi d’infinito affanno, ai
R18 N
117 A poco a poco vinti da le piaghe, dalle
R18 N
118 L’un sopra l’altro cade. Evviva evviva: evviva[:] evviva; evviva: Oh viva, oh viva:
R18 An
119 Beatissimi voi
R18
An
B24 F
114 Ans
INFONDERE per ALLAGARE Crus. INFUNDERE per PERFUNDERE, ASPERGERE e per SUPERINFUNDERE, e INFUSUS similmente, Forcellini. Se non piace, |Anb dite ASPERSI. INFUSO in questo senso vale SOPRA CUI È STATO SPARSO, e ciò può esser più e meno, sicchè il TINTI che segue, non viene ad essere soverchio, nè a dir troppo poco, rispetto ad INFUSI. Che INFUSO possa voler dire anche poco, vedi la voce PERFUSUS ch’è lo stesso con INFUSUS in questo senso, come dice anche il Forcell. e parimente v.i PERFUNDERE.
114 Ans
Che INFUSO possa ecc. aggiunto in un secondo tempo
120 121 122 123 124 125
120 Fin
Mentre nel mondo si favelli o scriva. Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell’imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
ch’ il ch[’] [i][l] che ’l [Fin che ’l Mentre ch’ in [Mentre ch’ in Fin che nel [Fin che] Mentre
mondo quassù favelli o scriva. R18 An
b
mondo quassù favelli o scriva]. terra si favelli o scriva terra] mondo
g d
121 Prima divelte, in mar precipitando,
R18
122 Spente ne l’imo strideran le stelle, nell’
R18 N
123 Che la memoria e ’l vostro e il
R18 N
124 Amor trascorra o scemi.
R18
125 La tomba vostra è un’ara, e qua’ mostrando e qua[’] [La tomba vostra è un’ara], e qua[’] Ara vi fia la tomba; La tomba vostra è un’ara; e qua La vostra tomba
R18 R18c An
120 Anb 122 And 120 An Anb
a
F N
Mentre nel mondo. ne l’orbe. Mentre ch’al mondo. (mentre coll’ottativo. v. la Canz. seconda, st. ult. in marg.) s’udranno sibilar. modifica i in l e cancella l con più tratti (come fa con i punti esclamativi, cf. v. 9, 10 ecc.) Canz. seconda ecc. si riferisce all’annotazione per II. Sopra il monumen to di Dante 190 Ans
126 127 128 129 130 131 132 133
Verran le madri ai parvoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, O benedetti, al suolo, E bacio questi sassi e queste zolle, Che fien lodate e chiare eternamente Dall’uno all’altro polo. Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle Fosse del sangue mio quest’alma terra.
126 Verran le madri a i parvoli le belle ai
R18 N
127 Orme del vostro sangue. Ecco i’ mi prostro, R18 i[’] mi prostro[,] An io i[o] i’ i’ mi prostro, F io N 128 O benedetti, al suolo,
R18
129 E bacio questi sassi e queste zolle zolle,
R18 An
130 Che fien lodate e chiare eternamente
R18
131 Da l’uno a l’altro polo. Dall’ all’
R18 N
132 Oh
R18 R18c
foss’io pure con voi quì sotto, e molle pur[e] qu[ì] qui [Oh] pur[e] qu[ì] Deh qui
133 Fosse del sangue mio quest’alma terra! terra[!] terra.
132 R18 133
An R18 An
pure evidente refuso ed. Ranieri dopo terra ha due punti invece di un punto fermo
a b
134 135 136 137 138 139 140
Che se il fato è diverso, e non consente Ch’io per la Grecia i moribondi lumi Chiuda prostrato in guerra, Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri.
134 Che se ripugna il fato, e non consente Che se ’l fato è diverso, e se il
R18 F N
135 Ch’io per la grecia i moribondi lumi [grecia] i [moribondi] Grecia i tremebondi [tremebondi] moribondi
R18 An
136 Chiuda prostrato in guerra,
R18
137 Così la vereconda
R18
138 Fama del vostro vate appo i futuri
R18
139 Possa, volendo i numi,
R18
140 Tanto durar quanto la vostra duri.
R18
135 And
136 Anb
a b
fluttuanti. tenebrosi. p. la Grecia vincitrice i[l.] lumi. p. la grecia mia gl’infermi —, stanchi, incerti, smorti. p. lo greco onor. p. la grecia vostra. p. la greca prole i … Ch’io p. la Grecia moribondo i lumi. faticosi. (Rabbi v. Stanco. [)] Sannaz. egl. 2. v. 12.) CHIUDERE I MORIBONDI LUMI non è ridondanza perchè si possono chiuder gli occhi anche per altro che per morte. E quanti epiteti ridonderebbero a questo conto in Om. in Virg.
135 An a le due correzioni sono di tempi diversi perché eseguite con penne differenti; la correzione di tremebondi in moribondi è connessa con quella di moribondi in tremebondi al v. 49 An ed entrambe sono scritte con la medesima penna 140 N omesso il punto nella stampa
II. SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da’ lacci sciolte Dell’antico sopor l’itale menti S’ai patrii esempi della prisca etade Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia Far ai passati onor; che d’altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Nè v’è chi d’onorar ti si convegna. Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita d’immortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; Che senza sdegno omai la doglia è stolta: Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, E ti punga una volta Pensier degli avi nostri e de’ nepoti.
18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32
D’aria e d’ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando gia L’ospite desioso Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo. Ed, oh vergogna! udia Che non che il cener freddo e l’ossa nude Giaccian esuli ancora Dopo il funereo dì sott’altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t’onora. Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese! Bell’opra hai tolta e di ch’amor ti rende,
33 34
Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d’Italia accende.
35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51
Amor d’Italia, o cari, Amor di questa misera vi sproni, Ver cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari Giorni dopo il seren dato n’ha il cielo. Spirti v’aggiunga e vostra opra coroni Misericordia, o figli, E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e il velo. Ma voi di quale ornar parola o canto Si debbe, a cui non pur cure o consigli, Ma dell’ingegno e della man daranno I sensi e le virtudi eterno vanto Oprate e mostre nella dolce impresa? Quali a voi note invio, sì che nel core, Sì che nell’alma accesa Nova favilla indurre abbian valore?
52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68
Voi spirerà l’altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l’onda e il turbo Del furor vostro e dell’immenso affetto? Chi pingerà l’attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rosa Fia vostra gloria o quando? Voi, di ch’il nostro mal si disacerba, Sempre vivete, o care arti divine, Conforto a nostra sventurata gente, Fra l’itale ruine Gl’itali pregi a celebrare intente.
69 70
Ecco voglioso anch’io Ad onorar nostra dolente madre
71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85
Porto quel che mi lice, E mesco all’opra vostra il canto mio, Sedendo u’ vostro ferro i marmi avviva. O dell’etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena, Se di costei che tanto alto locasti Qualche novella ai vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioia non senti, Che saldi men che cera e men ch’arena, Verso la fama che di te lasciasti, Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Se mai cadesti ancor, s’unqua cadrai, Cresca, se crescer può, nostra sciaura, E in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102
Ma non per te; per questa ti rallegri Povera patria tua, s’unqua l’esempio Degli avi e de’ parenti Ponga ne’ figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso. Ahi, da che lungo scempio Vedi afflitta costei, che sì meschina Te salutava allora Che di novo salisti al paradiso! Oggi ridotta sì che a quel che vedi, Fu fortunata allor donna e reina. Tal miseria l’accora Qual tu forse mirando a te non credi. Taccio gli altri nemici e l’altre doglie; Ma non la più recente e la più fera, Per cui presso alle soglie Vide la patria tua l’ultima sera.
103 104 105 106 107 108 109
Beato te che il fato A viver non dannò fra tanto orrore; Che non vedesti in braccio L’itala moglie a barbaro soldato; Non predar, non guastar cittadi e colti L’asta inimica e il peregrin furore; Non degl’itali ingegni
110 111 112 113 114 115 116 117 118 119
Tratte l’opre divine a miseranda Schiavitude oltre l’alpe, e non de’ folti Carri impedita la dolente via; Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia Tra il suon delle catene e de’ flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136
Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè il nascer ne desti o perchè prima Non ne desti il morire, Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima Roder la sua virtù, di null’aita E di nullo conforto Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Ahi non il sangue nostro e non la vita Avesti, o cara; e morto Io non son per la tua cruda fortuna. Qui l’ira al cor, qui la pietade abbonda: Pugnò, cadde gran parte anche di noi: Ma per la moribonda Italia no; per li tiranni suoi.
137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148
Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Morian per le rutene Squallide piagge, ahi d’altra morte degni, Gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Allor, quando traean l’ultime pene, Membrando questa desiata madre, Diceano: oh non le nubi e non i venti,
149 150 151 152 153
Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti, Quando più bella a noi l’età sorride, A tutto il mondo ignoti, Moriam per quella gente che t’uccide.
154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170
Di lor querela il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve. Così vennero al passo, E i negletti cadaveri all’aperto Su per quello di neve orrido mare Dilaceràr le belve; E sarà il nome degli egregi e forti Pari mai sempre ed uno Con quel de’ tardi e vili. Anime care, Bench’infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno Avrete in questa o nell’età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno Il vostro solo è tal che s’assomigli.
171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187
Di voi già non si lagna La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei, Sì ch’ella sempre amaramente piagna E il suo col vostro lacrimar confonda. Oh di costei ch’ogni altra gloria vinse Pietà nascesse in core A tal de’ suoi ch’affaticata e lenta Di sì buia vorago e sì profonda La ritraesse! O glorioso spirto, Dimmi: d’Italia tua morto è l’amore? Dì: quella fiamma che t’accese, è spenta? Dì: nè più mai rinverdirà quel mirto Ch’alleggiò per gran tempo il nostro male? Nostre corone al suol fien tutte sparte? Nè sorgerà mai tale Che ti rassembri in qualsivoglia parte?
188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200
In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine? Io mentre viva andrò sclamando intorno, Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Mira queste ruine E le carte e le tele e i marmi e i templi; Pensa qual terra premi; e se destarti Non può la luce di cotanti esempli, Che stai? levati e parti. Non si conviene a sì corrotta usanza Questa d’animi eccelsi altrice e scola: Se di codardi è stanza, Meglio l’è rimaner vedova e sola.
Ar
R18 R18c An B24 Bc F N Nc
autografo con correzioni, certo simile all’autografo recanatese (ora scomparso) della canzone I. All’Italia; da essi fu tratto il testo delle due canzoni spedito al Giordani con lettera 19 ottobre 1818 (Epist. ed. M oroncini, I, p. 189 = LF 77, BL 149) e fu «fatto ricopiare» (lettera 27 novembre 1818 al Giordani, ed. Moroncini, I, p. 196 e cf. p. 202 = LF 79 e cf. 83, BL 154 e cf. 160) il testo per la stampa spedito con lettera 30 novembre 1818 al Cancellieri (ed. Moroncini, I, p. 197 = LF 80, BL 155), il quale con lettera 6 gennaio 1819 (ed. Moroncini, I, p. 210 = BL 163) inviò a Leopardi «le due prime copie delle sue maravigliose Odi» stampate pp. 17-28 vd. le notizie alle pp. 20-21 (Bibl. Naz. Napoli, X. 2) esemplare di R18 con correzioni e note autografe, su cui vd. le notizie per An della canzone I. All’Italia pp. 23-34 pp. 23-31 pp. 13-21
data Opera di 10. o 12. giorni, Settemb. Ottob. 1818.
An
tit.
Ar
Sul monumento di Dante che si prepara in Firenze. SUL
MONUMENTO | DI DANTE | che R18 Lsi prepara in Firenze | | | |
[DI] di | [di |] di
An
b g
[SUL] Sopra il SOPRA IL MONUMENTO | DI DANTE | CHE SI PREPARA IN FIRENZE
B24
II. | SOPRA IL MONUMENTO | DI DANTE | CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.
F
data tit. An
B24
a
solo in An dapprima (a) cancella DI e scrive di sopra la riga per ottenere la disposizione SUL MONUMENTO | di | DANTE | che ecc., poi (b) cancella di interlineare e lo riscrive davanti a [DI], infine (g) a SUL sostituisce So pra il p. 23; a p. 21 l’occhiello: SOPRA IL MONUMENTO | DI DANTE | CHE SI PREPARA IN FIRENZE | CANZONE SECONDA
1 2 3 4 5 6 7
Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da’ lacci sciolte Dell’antico sopor l’itale menti S’ai patrii esempi della prisca etade Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia
1
Perchè le nostre genti
Ar
2
[Sot.t.o] Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da’ lacci sciolte
Ar
4
De l’antico sopor [lx.] l’itale menti, menti[,] Dell’
Ar An N
5
[Se] S’ ai patri [ai] ai patrj patr[j] patri patri ai patrii
Ar
3
esempi
de la prisca etade
esempj esemp[j] esempi esempi esempi della
Ar
R18 R18c An N
6
Questa terra fatal non si rivolga.
Ar
7
O Italia, o italia, i tuoi passati onora [o italia] [i tuoi] [passati] [onora] a cuor ti stia c[u]or
Ar
7 And 2 Ar 5 Ar
a b
a b g
sia.
non è nemmeno accennato il tratto orizzontale di tt a in luogo di ai (nella cui cancellazione bisogna ammettere che il punto sia stato unito al resto della lettera con un tratto verticale, cf. per es. i di [ravvivar] V. A un vincitore nel pallone 13 An b) è possibile al scritto per una svista; vd. la scrittura (e la correzione) di ai 8 e 77 Ar b e cf. la scrittura di al 53 e 94 Ar R18c fra le istruzioni di Leopardi al Brighenti per la stampa di B24: «Non si usino j lunghi nè minuscoli nè maiuscoli in nessun luogo nè dell’italiano nè de’ passi latini» (5 dicembre 1823, Epist. ed. Moroncini, III, p. 48 = LF 288, BL 596)
8 9 10 11 12 13 14
8
9
Far ai passati onor; che d’altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Nè v’è chi d’onorar ti si convegna. Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita d’immortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; Che senza sdegno omai la doglia è stolta:
Poi che di tali spirti Ar [Poi] [che] [di] [tali] [spirti] Far ai passati onor, che d’altrettali [ai] a i ch[e] An chè ai onor, che B24 ai onor; che N Oggi vedove son le tue contrade,
Ar
Nè c’è chi d’onorar ti si [s.] conve[n]gna. convenga. convegna. convegna. v’è
Ar B24 B24 Bc N
11
Volgiti indietro e guarda, o patria mia, indietro, e guarda[,] guarda,
Ar An F
12
Quella turba infinita d’immortali, [turba] schiera
Ar An
13
E piangi e [d’][ox.] di te stessa ti disdegna;
Ar
14
Che se non piangi, ogni speranza è stolta: Che senza sdegno omai la doglia è stolta:
Ar N
10
a b g
Err
8 B24, F ai per errore tipografico, poiché queste edizioni hanno ancora le forme separate a i (cf. 5 e 77 B24, F) 10 Ar cominciato a scrivere convenga, ha sùbito corretto tracciando g su n 13 Ar cancellato d’o seguito dal principio di altra lettera (n.?), ha corretto scrivendo di te sopra la linea
15 16 17 18 19 20 21 22
15
Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, E ti punga una volta Pensier degli avi nostri e de’ nepoti. D’aria e d’ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando gia L’ospite desioso Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo.
Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, risc[u]oti, riscuoti, risc[u]oti, risc^uoti,
Ar
16
E ti punga una volta
Ar
17
Pensier de gli avi nostri e de’ nipoti. degli nepoti.
Ar N
18
D’aria e d’ingegno e di parlar diverso
Ar
19
Per lo toscano suol cercando gia gìa g[ì]a gia gia
Ar R18 R18c
20
L’ospite desioso
Ar
21
Dove giaccia colui per lo cui verso
Ar
22
Il Meonio cantor non è più solo; [Meonio] solo[;] meonio solo. [m]eonio Meonio [Meonio] meonio
Ar An
15 An
R18 An
a b a b
An
a b g
in riscuoti di R18 ha cancellato u, poi ripristinato scrivendo u al di sopra, e ponendo in basso un segno di inserzione
23 24 25 26 27 28
23
Ed, oh vergogna, Ed[,] vergogna[,] vergogna!
Ed Ed Ed, 24
Ed, oh vergogna! udia Che non che il cener freddo e l’ossa nude Giaccian esuli ancora Dopo il funereo dì sott’altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude
oh vergogna[!] (oh vergogna) oh vergogna!
udia
Ar
udìa ud[ì]a udia ud[ì]a udia udia
R18 R18c An N
Che non ch’ il cener fredd[e]o e l’ossa nude [ch’ il] che ’l [che] [’l] ch’ il [ch’ il] ^che ’l che il
N
25
Giaccian esuli anc[a]ora
Ar
26
Dopo il funereo dì sott’altro suolo, suolo; suolo[;] suolo,
Ar R18 An
27
Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Ar sasso B24 sasso, F
28
Firenze, a quello per [c]la cui virtude
25 Ar
o di ancora scritta su altra lettera, probabilmente a
a b
Ar An
a b g
Ar
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38
29 30
31
Tutto il mondo t’onora. Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese! Bell’opra hai tolta e di ch’amor ti rende, Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d’Italia accende. Amor d’Italia, o cari, Amor di questa misera vi sproni, Ver cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari
Tutt’ il mondo t’onora. Tutt[’] Tutto Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso pietosi[,] pietosi,
Ar
a b
Ar
a b
F
Obbrobrio laverà nostro paese! paese[!] paese: paese!
Ar An
32
Bell’opra hai tolta, e di ch’amor ti rende, tolta[,]
Ar An
33
Schiera prode e cortese,
Ar
34
Qualunque petto amor d’Italia accende.
Ar
35
Amor d’Italia, o cari, Italia[,] Italia,
Ar An F
36
Amor di questa misera vi sproni,
Ar
37
Ver cui pietade è morta
Ar
38
In ogni petto omai, perciò ch’ amari [ch’] che
Ar
31 Ar 32
vd. I. All’Italia 9 An app. crit. ed. Ranieri che amor
N
a b
39 40 41 42 43
39
Giorni dopo il seren dato n’ha il cielo. Spirti v’aggiunga e vostra opra coroni Misericordia, o figli, E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e il velo.
Giorni dopo il seren dato n’ha il cielo. [dato] [n’ha] [c]ielo. diedene Cielo. [diedene] dato n’ha ˆ cielo.
Ar An
40
Forza v’aggiunga e vostra opra coroni aggiunga, [Forza] aggiunga[,] Spirti
Ar R18 An
41
Misericordia, o figli, Misericordia[,] Misericordia,
Ar An F
42
E duolo e sdegno di cotanto lutto [lutto] affanno, affanno[,]
Ar
Onde bagna costei le guance e ’l velo. [c]ostei Costei costei e il
Ar An
43
39 And
posene.
a b
F
An
B24 N
a b
44 Ma voi di quale ornar parola o canto
44
Macome a voi convertirassi il canto [convertirassi] dirizzerassi [come a voi dirizzerassi il] canto voi di quale ornar parola o
44 And Ans Anp
Ar
a b
An
favella. pregi del. numero ornare p. lodare. Casa, Or. alla Nob. Venez. princip. p. 19. ver. 10. Ma qual fie pare a voi cetra nè canto. (PARI A VOI, significa A LODAR VOI. Così Giustino: PAREM ESSE CRUD E L I TAT I A L I C U I U S , c i o è , dice il Fo r c e l l . A D R E S I S T E N D U M CRUDELITATI: e OMNIBUS BELLIS PAR ESSE NON POTERAT, cioè, AD EA BELLA SUSTINENDA. Così Fedro: PARES DUM NON SINT ˛ FORTITUDINIS, cioè, le femmine non sieno UGUALI VESTRE ALLA FORTEZZA dei maschi. Così Cesare: S UEVIS NE DEOS QUIDEM IMMORTALES PARES ESSE POSSE, cioè, A RESISTERE, A COMBATTERE COI SUEVI . Così Orazio: OPE PALLADIS TYDIDEM SUPERIS PAREM, cioè, non uguale assolutamente, ma PARI A COMBATTER CON LORO, come lo finge Omero. Insomma in tutti questi luoghi si sottintendono verbi e nomi, in forza di PAR, come nel mio verso. Similmente Cic. ERIT REBUS IPSIS PAR ET AEQUALIS ORATIO . Or come può essere uguale la parola alle cose? come IL CANTO AGLI SCULTORI. Di più PAR significa eziandio CONVENIENTE. UT CONSTANTIBUS HOMINIBUS PAR ERAT. Cic.) Ma qual fie pare a voi loquela o canto. favella. (Funditq. has ore loquelas. Aen. 5. fine) Ma qual s’addice, s’agguaglia, s’adegua, si debbe. Ma qual degna è di voi, ec. parola. Ma quale a voi sarà debito canto. Ma voi quale ornerà favella o canto. debito canto, condegno canto, cetra nè canto. Ma voi come a lodar fie pare il canto. Ma come a voi lodar fie pare ec. Ma quale a voi sciorrò ec. Ma voi quale ornerà premio del canto. di. Ma degna, pari, a voi qual è. ec. numero. ec. nel margine sinistro:
… onor di canto. Ma voi quali orneranno arti del c.
45 46 47 48
45
Si debbe, a cui non pur cure o consigli, Ma dell’ingegno e della man daranno I sensi e le virtudi eterno vanto Oprate e mostre nella dolce impresa?
Cui
non pur de le
cure e
de’ Lconsigli, Ar [Cui] [de le] [e] [de’] An Si debbe, a cui non pur cure o Lconsigli, debbe[,] debbe, B24
46
Ma de l’ingegno e de la man daranno dell’ della
Ar N
47
I secoli futuri eccelso vanto [secoli] [futuri] [eccelso] sensi e le virtudi eterno
Ar An
48
Oprate a gara ne la dolce impresa? [a gara] e mostre nella
Ar
45 And 47 And Ans
N
Dovrassi. Conviensi. (dar vanto. Chiabr. Vita. p. xxix. e Crus. v. Dare vanto.) I memori futuri. L’arti … Le … virtudi.
a b
a b
49 Quali a voi note invio, sì che nel core, 50 Sì che nell’alma accesa
49
50
Come a gran foga ecciteravvi il core? [Come a gran foga ecciteravvi il] core[?] Quali a voi note invio, sì che del core, [d]el nel
Ar An
Come a la mente accesa [Come a la mente] Sì che de l’alma [d]e l’ ne l’ nell’
Ar An
49 Anb
And Ana 50 And 50 And
a b
a b
N
Quale accento sarà ch’a voi [n]del core, Che de la mente accesa Nova luce dischiuda e nov[a]o ardore? – qual concento —. nel core ec. diffonda —. Qual fia sì degno carme onde nel core [e]E ne la mente accesa Novi moti v’accresca e novo ardore? — Nova lena —. v’induca, infonda —. vi scenda —. Qual fia sì degno carme o qual valore Che ne la mente accesa Nova luce v’asperga e novo ardore? — Qual sì valido carme a voi del core e de la mente accesa [s]Schiuderà novi raggi e nov[i]o ardore? — Crescerà — Fulgor, Raggi, Lampi novelli accresca e novo ardore? — Che de la mente accesa Nova luce vi schiuda —. (ASPERGERE, è SPARGERE A. [)] v. i latini) —. vi tragga —. v’adduca [n]del… Crescer. nove faville. Schiudan luce novella e novo ardore. più vivo. Crescer l’.. incendio. le fiamme intense. Mover. Destar. Sì che nel core ec. senza il pronome. QUID LOQUOR AUT UBI SUM [,]? QUAE MENTEM INSANIA MUTAT? Virg. (Che ne la mente) variante inserita sopra il verso stampato di R18, accanto alla correzione di An, per mancanza di spazio nei margini
51 52 53 54 55 56 57 58
Nova favilla indurre abbian valore? Voi spirerà l’altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l’onda e il turbo Del furor vostro e dell’immenso affetto? Chi pingerà l’attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa
Rinforzerà la vampa e lo splendore? [Rinforzerà] [la] [vampa] [e] [lo] [splendore]? Crescerà novi raggi e novo ardore? [Crescerà novi raggi e novo ardore?] Schiuder novello incendio abbian valore? [Schiuder novello incendio] Nova favilla indurre
Ar
a b
An
a
52
Voi spirerà l’altissimo subbietto,
Ar
53
E
sproni acuti premeravvi al seno. [sproni] [acuti] Ed acri punte [Ed] Ed
Ar
54
Chi dirà l’onda e ’l turbo e il
Ar N
55
Del furor vostro e de l’immenso affetto? dell’
Ar N
56
Chi pingerà l’attonito sembiante?
Ar
57
Chi de gli occhi il baleno? degli
Ar N
58
Qual può voce mortal celeste cosa
Ar
51
51 Anb Anp
53 Ar
b
a b g
vampo, Raggio[,] novello. Novella face, fiamma. Crescer novella face. p. 19. v. ult. ABBIAN VALORE INDURRE, cioè D’INDURRE. Ar. Fur. 9. 2. Nè tanti amici abbandonar gli cale. Così c. 31. st. 32. modificato E in Ed (b), ha poi cancellato Ed e lo ha riscritto sopra la riga, a sinistra della correzione acri punte (g)
59 60 61 62
59
60
61
62
Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rosa
Adeguar figurando? [Adeguar] Agguagliar A l’opra a l’opra. Oh quant[e]i plausi oh quante [A][l’][opra] [a] [l’][opra] Mano a lo scalpro [scalpro] scalpro [scalpro] scalpro. [Mano a lo scalpro. Oh quanti plausi] [oh] Lunge sia, lunge alma profana. Oh Lagrime a voi la bella Italia serba! [a voi la bella] serba[!] al chiaro avello serba. Lacrime al nobil sasso serba! Come cadrà? come dal tempo rosa cadrà[?] cadrà, cadrà[,] cadrà? r[o]sa rósa ròsa
60 Ans
61 And
60 Ar 62 B24
Ar
a b
Ar
a b g d
An Ar An N Ar
a b g
An F
Procul o, procul este, profani. Aen. 6. occhio, orma. Lunge sieno i profani. Oh quante oh quante. ogni profano. il cieco volgo. Dire ALMA in vece di PERSONA, UOMO ec. è comunissimo uso de’ nostri poeti antichi e moderni. avello è propriamente sepolcro rilevato, intagliato ec. a l’urna … arca … al freddo. ec. sasso. a l [t.] tristo, freddo, muto, avello. degno ec. pare che per due volte (g, d) abbia voluto sostituire scalpro, ripristinandolo immediatamente cadra refuso non corretto in B24 Err e Bc
63 64 65 66 67 68
Fia vostra gloria o quando? Voi, di ch’il nostro mal si disacerba, Sempre vivete, o care arti divine, Conforto a nostra sventurata gente, Fra l’itale ruine Gl’itali pregi a celebrare intente.
rosa 63
Fia vostra gloria o quando?
64
Voi di ch’ Voi, di [ch’ che ch’
il nostro mal si disacerba il] disacerba, ’l il
N Ar Ar An N
65
Sempre vivete, o care arti divine, vivete[,] vivete,
Ar An F
66
Conforto a nostra [svent.urat.e] [sv] gente, sventurata
Ar
67
Su l’itale ruine [Su] Fra
Ar An
68
Gl’itali pregi ad onorare intente. a[d] [onorare] a celebrare pregj preg[j] pregi
Ar
67 And Ans 64 An
a b
a b
R18 R18c
(ruine. Ang. di Costan. son. 92. e i latini. Iliacis erepte ruinis. [)] Filicaia, Son. Questa che scossa) Fra.
riporta su R18 una correzione del Supplemento (vd. I. All’Italia 9 An app. crit.): «Si scriva: Voi di CHE ’L nostro mal ec.» ed. Ranieri che il 66 Ar a scritto per errore s v e nt.u r at.e (non ha nemmeno completato le t con il tratto orizzontale) ha appena riscritto sv, sùbito abbandonato per limitare il verso a un settenario b sventurata sopra la cancellazione precedente ripristina l’endecasillabo meditato in a 67 An accetta la variante di 67 Ans
69 70 71 72 73 74 75 76
Ecco voglioso anch’io Ad onorar nostra dolente madre Porto quel che mi lice, E mesco all’opra vostra il canto mio, Sedendo u’ vostro ferro i marmi avviva. O dell’etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena, Se di costei che tanto alto locasti
69
pregi [[e]Ecco] Ecco voglioso anch’io
An Ar
70
Ad onorar nostra dolente madre
Ar
71
Reco quel che mi lice, [Reco] ˆ [Por]Porto
Ar
72
E mesco a l’opra vostra il canto mio all’ mio,
Ar N
73
Sedendo u’ [l.] vostro ferro i marmi avviva.
Ar
74
O de l’Ausonio carme inclito padre, [Ausonio] ausonio de l’etrusco metro dell’
Ar An
75
Se di cosa terrena terrena,
Ar An
76
Se di colei che tanto alto locasti [c]olei Colei [C]olei colei costei
Ar An
a b
F N
a b
F
74 And
italo carme.
69 Ar
scritto ecco, modifica sùbito e in E, poi cancella tutto ricominciando a scrivere il verso sulla stessa linea la f di ferro pare scritta su v
73 Ar
77 78 79 80 81 82
77
78
79
80
81
82
Qualche novella ai vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioia non senti, Che saldi men che cera e men ch’arena, Verso la fama che di te lasciasti, Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Se mai cadesti ancor, s’unqua cadrai,
Qualche novella ai vostri lidi arriva, [ai] ai ai Io so ben che per te gioia non senti, gioja gio[j]a gioia gioia senti. senti, senti, Che saldi men che cera e men ch’ arena Ch[e] arena, Chè ch’ arena ch’ arena, Che Verso la fama che di te lasciasti [Verso] [la] Verso la lasciasti, Son bronzi e marmi, e de le nostre menti d[e] da marmi[,] e marmi; e e dalle Se mai cadesti ancor, s’unqua cadrai, [cadrai] cadrai,
78 B24 79 B24
Ar
a b
N Ar R18 R18c An B24 B 24 Err Bc Ar An B24 F N Ar An Ar
a b a b
An N Ar
dopo senti un punto in luogo della virgola, ristabilita in B24 Err e Bc refuso che cera è men, B24 Err e Bc corr. che cera e men
a b
83 84 85 86 87 88 89 90
83
Cresca, se crescer può, nostra sciaura, E in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. Ma non per te; per questa ti rallegri Povera patria tua, s’unqua l’esempio Degli avi e de’ parenti Ponga ne’ figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso.
Cresca, se crescer può, nostra sciagura, scia[g]ura, sciagura, scia[g]ura, Cresca[,] scia[g]ura, Cresca, sciagura, sciaura,
Ar R18 R18c An
a b a b
F N
84
E in sempiterni guai
Ar
85
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
Ar
86
Ma non per te, per questa ti rallegri te[,] te;
Ar An
87
Povera patria tua, s’unqu[e]a l’esempio
Ar
88
De[g.] gli avi e de’ parenti Degli
Ar N
89
Porrà ne’ figli sonnacchiosi ed egri [Porrà] Ponga
Ar
90
Tanto valor ch’ un tratto alzino il viso. [alzino] ergano che un alzino
Ar An
a b
B24
84 And
(Italia che suoi guai non par che senta. Petr. Ang. di Costanzo son. [93]. 103.)
83 An
virgola cancellata dopo Cresca e poi ripristinata
91 92 93 94
91
92
93
94
Ahi, da che lungo scempio Vedi afflitta costei, che sì meschina Te salutava allora Che di novo salisti al paradiso!
O secol turpe e scempio! [O] Oh [Oh] [secol] [turpe e] scempio[!] Quale e da quanto scempio Ahi, da che lungo scempio Qual vedi Italia ch’era sì meschina, [Qual] [vedi] [Italia] [ch’][era] meschina[,] Vedi guasta Colei che [C]olei colei [guasta colei] afflitta costei, Leggiadro spirto, allora [Leggiadro spirto,] Te salutava Che di novo salisti al paradiso! Paradiso! [Paradiso!] paradiso; paradiso[;] paradiso! paradiso[!] paradiso: nuovo novo paradiso!
91 Ans 92 And Ans 93 Ans 91 Ans 92 And
Ar An
a b
N Ar An
a b
Nc Ar An Ar R18 An
a b g
B24 N
[Oh] (meschina. Varchi Son. Filli, io non son però ec. [)] Poliz. l. 1. st. 13. 14. 21. 24. ec. [)] Caro En. 5. al v. 655. di Virg. trista, afflitta. Qual vedi oggi colei. Te lagrimava, venerava. variante cancellata quando Oh è stato accettato in An a parentesi iniziale poi dissimulata prolungandola in una linea ondulata che circoscrive tutte queste annotazioni a 92 An
95 Oggi ridotta sì che a quel che vedi, 96 Fu fortunata allor donna e reina.
95
96
[Ora.] Or tale è
fatta ch’appo Lq u e l che vedi, Ar [Or] [tale] [è] [fatta] [ch’][appo] L[quel] [che] [vedi][,] Ora è tal che rispetto a quel che vedi, vedi[,] [Ora] [è] [tal] [che] [rispetto] L[a quel] [che] [vedi] An Allor beata pur (qualunque intende Oggi ridotta sì che a quel che vedi, N
Allor , dirai, fu nobile [,] [dirai][,] [fu] [nobile] fu nobilissima [nobilissima] beatissima [Allor] [fu] [beatissima] A’ novi affanni suoi) donna Fu fortunata allor donna
e reina. e [reina] e regina
Ar
e regina[.] e re[g]ina; e reina.
An
a b g
a b g
N
95 Ans
E fu (qualunque a’ novi danni intende) Beatissima allor donna ec. E tale ancor (chi a’ ec.) Beatiss. fu ec. Ed era allor, chi ec. Più veloce a l’opra intese. Menzini. [c]Canz. Già deposta. aggiungi l’uso de’ participii [at.t.] I N T E N TO INTESO p. AT T E N TO ec. e Bembo ap. Varchi Ercol. p. 108. fine. Nè l’infelice ad altra cura intende. Molza Nin. Tib. st. 63.
95-96
l’elaborazione di questi versi prima di N è: I Ar Or tale è fatta ch’appo quel che vedi, | Allor, dirai, fu nobile e reina. – II Ar Ora è tal che rispetto a quel che vedi, | Allor fu beatissima e regina. – III An Allor beata pur (qualunque intende | A’ novi affanni suoi) donna e reina;
97 Tal miseria l’accora 98 Qual tu forse mirando a te non credi.
97
98
Mostrar chi si rincora [Mostrar chi si rincora] Tanto mal n’addolora [Tanto mal n’addolora] Ch’or nulla, ove non fóra fòra Tal miseria l’accora
Ar An
Il mal [che] ch’ e’ fia gran che, s’udendo il credi? ch’ è ch’[è] ch’ e’ ch’ e’ [Il mal ch’ e’ fia gran che] [s’udendo Lil credi?] Che maraviglia fia s’udendo il credi. [Che maraviglia fia s’udendo il credi]. Somma pietade assai, pietade attende. Qual tu forse vedendo a te non credi. [vedendo] mirando
Ar R18 R18c
a b
F N
An
a b g
N Nc
97 Anb
Pari (degna) a suo mal non fora Somma pietà; nulla pietade attende. Degna di lei non fora. Pietade ugual non fora A’ danni suoi; nulla ec. pietà veruna attende. Somma pietà non fora [d]Degna al suo mal; pietà veruna, nulla ec. Al nostro mal non fora Pietade ugual; pietà nulla s’attende. Ch’or nulla, ove non fora Pietade al merto ugual. al mal cui fora Ogni (Somma) pietà minor. a quel cui. Poca a’ suoi danni (or) fora Somma ec.
97 An
97a-98b nel margine destro per mancanza di spazio, e così le successive correzioni 97b- 9 8g; la sequenza dell’elaborazione è dunque: I Mostrar chi si rincora u Il mal ch’e’ fia gran che, s’udendo il credi? – II Tanto mal n’addolora u Che maraviglia fia s’udendo il credi. – III Ch’or nulla, ove non fóra u Somma pietade assai, pietade attende. è errore tipografico per e ’, vd. lettera 19 febbraio 1819 al Giordani (E p i s t . ed. Moroncini, I, pp. 231-232 = L F 94, BL 182)
98 R18
99 100 101 102 103
99
Taccio gli altri nemici e l’altre doglie; Ma non la più recente e la più fera, Per cui presso alle soglie Vide la patria tua l’ultima sera. Beato te che il fato
Taccio ogni altro nemico ogni altra sorte Ar [ogni] [altro] [nemico] [ogni] [altra] [sorte] gli altri nemici e l’altre doglie doglie, R18c doglie; An
100 Ma non la Francia scellerata e cruda [cruda] nera [nera][ne] nera scel[l]erata nera, Ma non la più recente e la più fera,
Ar
101 Per cui fin presso a morte [fin] [morte] le soglie alle
Ar
102 Giunse l’Italia mia distesa e nuda. [Giunse] [distesa][e][nuda] Vide l’ultima sera. Vide [l’Italia] mia la patria tua
Ar
103 Beato te ch’ il fato [ch’ il] che ’l che il 100 Ar
102 F 103 An
a b
a b g
An B24 F a b
N a b
An N Ar An N
cancellato cruda (W nuda 102 Ar a) e corretto in nera (b, W sera 102 Ar b), pare abbia cancellato per un momentaneo ripensamento ([nera] g); poi, intendendo ripristinare nera, ha scritto ne sulla linea di base e infine, mancando lo spazio, ha riscritto tutta la parola al di sopra di [cruda] l’ultima sera (1) con numero di rinvio alla nota 1 di F p. 33 «L’autore, per quello che nei versi seguenti» ecc. riporta su R18 una correzione del Supplemento (vd. I. All’Italia 9 An app. crit.): «Si scriva BEATO TE CHE ’L FATO ec.»
104 105 106 107
A viver non dannò fra tanto orrore; Che non vedesti in braccio L’itala moglie a barbaro soldato; Non predar, non guastar cittadi e colti
104 A viver non dannò fra tant’ orrore; tant[’] orrore[;] tanto orrore, [orrore,] orrore, orrore[,] orrore;
Ar
105 Che non vedesti in braccio
Ar
106 L’itala moglie a barbaro soldato, soldato;
Ar B24
107 Non predar non guastar cittadi e ville [ville] colti cólti còlti predar, colti
Ar
a b g
An
a b
Bc F N
107 Anb
GUASTARE UNA CITTÀ significa VASTAM FACERE, DISERTARE, sì d’uomini, come del resto. Or ciò non lo può far l’ASTA? e per quel ch’essa non può fare, s’aggiunge il F U RO R E . I A M ˛ TULERINT, INIMICUS ET HAUSERIT ENSIS. Aen. FLAMME 2. Per l’ASTA intendete la baionetta, o quel che volete.
104 Ar
anche se dopo orrore ha trasformato (b) un originario punto e virgola (per cui cf. 104 An), dissimulando il punto con un ampio svolazzo di e, la cancellazione e ripetizione di tutto al di sopra del rigo (g) dovrebbe dipendere da una svista o momentanea incertezza
108 109 110 111
L’asta inimica e il peregrin furore; Non degl’itali ingegni Tratte l’opre divine a miseranda Schiavitude oltre l’alpe, e non de’ folti
108 Di Franche torme il bestial furore, [Di Franche torme il bestial furore][,] L’asta inimica e ’l peregrin furore; il
Ar An
109 Non de gl’itali ingegni degl’
Ar N
110 Tratte l’opre cattive a miseranda [cattive] divine
Ar An
111 Schiavitude oltre l’alpe, e non de’ folti oltr[e] l’alpe[,] d[e]’ oltra da’ oltr[a] l’alpe, oltre [oltre] oltra ˆ oltr[a] oltre de’
Ar An
108 And
110 Ans
111 Ar An
N
a b g d
F
il rabido furore. Di stranie torme esizial furore. L’estranio ferro e l’avido furore. il cupido. L’avaro, ingordo, avido ferro, e ’l peregrin furore. L’asta inimica ec. L’acciar nemico. La fiamma e ’l ferro ec. La mano e ’l ferro ec. L’ostil favilla ec. (inimicum ignem[)]. Virg.) La fiamma, acciaro ostile. il bellico furore. guerriero ec. L’avido, avaro brando. DIVINI OPUS Alcimedontis. Virg. e parla d’una tazza. l’opere illustri, eccelse ec. in Schiavitude forse t corretto su c trasformata e di oltre in a (cf. la trasformazione di de’ in da’) ha successivamente (b) cancellato a scrivendo al di sopra e, e poi (g) ha cancellato tutto e ha riscritto oltra al di sopra del verso stampato in R18, con un segno di inserzione posto dopo Schiavitude e ripetuto sotto oltra
112 113 114 115 116 117 118 119
Carri impedita la dolente via; Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia Tra il suon delle catene e de’ flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
112 Carri impedita la dolente via, via[,] via;
Ar An
113 Non gli aspri cenni ed i superbi regni, regni[,] regni;
Ar An
114 Non le minacce udisti, e la nefanda [le] [minacce] udisti [,] gli [udisti] oltraggi ˆ Le la nefanda
Ar
115 Voce di libertà che ne schernia
Ar
a b
116 [Fra] Tra ’l suon [del] de le catene e de’ flagelli [?]. Ar il delle N 117 Chi non si duol? che non soffrimmo[? int.at.t.o]? Ar Lintatto 118 Che lasciaron quei felli?
Ar
119 Qual tempio quale altare o qual misfatto? tempio, tempio[,] tempo, tempio[,] tempio,
Ar An
114 Ar 116 Ar 119 B24
a b
B24 Bc F
udisti ripetuto per errore nella correzione e sùbito cancellato; segno di inserzione sulla linea di base dopo udisti (modificando la virgola) e ripetuto prima di gli punto interrogativo non portato a compimento (infatti il punto in basso non è allineato con la parte superiore cancellata, diversamente da ? di 117-119 Ar) ripristina la virgola; tempo per refuso (non corretto in B24 Err)
120 121 122 123 124 125
Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè il nascer ne desti o perchè prima Non ne desti il morire, Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima
a b
120 Perchè vedemmo noi sì feri tempi? [vedemmo] [noi] [sì] [feri] venimmo a sì perversi
Ar
121 Perch’ il nascer ne desti o perchè prima Perch[’ i]l d[e]sti Perchè ’l désti il desti
Ar An
122 Non ne desti il morire, d[e]sti désti desti désti desti
Ar An
123 Acerbo fato? onde a stranieri ed empi
Ar
124 Nostra patria vedemmo ancella e schiava, vede[mm]o vedendo
Ar
a b
125 E roder suo valore acuta lima [roder] [suo] [valore] [acuta] da mordace
Ar
a b
122 Ans 121 An
N
B24 F N
déstine.
riporta su R18 una correzione del Supplemento (vd. I. All’Italia 9 An app. crit.): «Si scriva … PERCHÈ ’L NASCER NE DESTI. ec.» 122 B24 desti errore tipografico (non corretto in B24 Err e Bc); cf. désti al v. 121 B24 e ai vv. 121 e 122 F 123 B24 stanieri errore tipografico (non corretto in B24 Err e Bc) 125 Ar b evidentemente anteriore a 126 Ar a
126 127 128 129 130 131 132
Roder la sua virtù, di null’aita E di nullo conforto Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Ahi non il sangue nostro e non la vita Avesti, o cara; e morto Io non son per la tua cruda fortuna.
126 Roder lo suo valor, di null’aita l[o] su[o] [valor] la sua virtù,
Ar
127 E di nullo conforto
Ar
128 Scemar potemmo il duol che la stracciava, Ar [Scemar] [potemmo] [il] [duol] stracciava[,] Lo spietato dolor [che] 129 Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ar
130 Ahi non il [n] sangue nostro e non la vita
Ar
131 Avesti, o cara, e morto Avesti[,] o Avesti, o cara, cara[,] cara;
Ar An F Nc
132 Io non son per la tua dira fortuna. [dira] cruda
Ar An
a b
a b
133 134 135 136
Qui l’ira al cor, qui la pietade abbonda: Pugnò, cadde gran parte anche di noi: Ma per la moribonda Italia no; per li tiranni suoi.
133 Qui sì ch’ io grido e gli occhi il pianto inonda. Ar [pianto] duol m’ [io] [grido] [e] [gli] [occhi] [il] L[duol m’] [inonda] il pianto infino al suol mi gronda. [ch’il] An che ’l [sì] [che ’l] [pianto infino al suol mi gronda.] l’ira al cor, qui la pietate abbonda: pietade F 134 Pugnò, cadde gran parte anche di noi, Pugnò[,] Pugnò Pugnò, Pugnò, noi[,] noi; Pugnò Pugnò, Pugnò, noi:
Ar
135 Ma per la moribonda
Ar
136 Italia no, per li tiranni suoi. no[,] no;
Ar An
133 Ans
a b g a b
a b
R18 R18c An B24 Bc F
Qui d’ira il cor ec. Qui le pupille mie [di.] qui ’l pianto inonda. ub Qui gli occhi miei, qui la pietate inonda, innonda. [Qui] Peggio dirò, se ben l’affanno abbonda. al sen. Qui doglia al petto mio, qui sdegno, cruccio abbonda. Qui gli occhi miei di pianto il duolo innonda. Qui gli occhi il pianto e ’l … petto innonda. sconsolato innonda.
133 An a riporta su R18 una correzione del Supplemento (vd. I. All’Italia 9 An app. crit.): «Si scriva: … Qui sì CHE ’l pianto ec.» Ans in d’ira le lettere d e i sono unite in un nesso su cui poi è stato posto l’apostrofo
137 138 139 140
Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Morian per le rutene Squallide piagge, ahi d’altra morte degni,
137 Padre, se non ti sdegni, sdegni sdegni,
Ar R18 An
138 Cangiato se’ da qual che fosti in terra. [Cangiato] [qual] Cambiato quel [Cambiato] Mutato sei
Ar
139 Morian fra le Rutene Morìan Mor[ì]an Morian Mor[ì]an [fra] [Rutene] Morian per rutene [per] fra [fra] per ˆ 140 Orride piagge, ahi [d] d’altra morte degni, piagge[,] piagge, [Orride] Squallide
139 Anb 140 And
a b
An N Ar R18 R18c An
a b g
Ar
a b g
An
RU T E N E p. RU S S E. V. L e x i c. Geograph. Ferrarii cum addit. Baudrandi, v. Rhuteni, et v. Roxolani. Luride. Sordide. Deformi.
139 An g segno di inserzione sotto la riga del verso, dopo Morian, e ripetuto prima di per; su «l’uso di questa preposizione fra in senso d’in o sopra», attestazioni nella lettera cit. per il v. 98 R18
141 142 143 144 145 146
Gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Allor, quando traean l’ultime pene,
141 Gl’itali prodi,
e lor fea l’aria e ’l cielo, [aria] cielo[,] aere
prodi[,] prodi;
Ar
a b
An e il
N
142 E gli uomini e le belve immensa guerra.
Ar
143 Cadeano e a schiere a schiere [e] a [schiere] [a schiere] a squadre a squadre
Ar
a b
144 Semivestiti e squallidi e cruenti. [e] [squallidi] cruenti[.] ˆ maceri cruenti cruenti, Semivestiti, cruenti cruenti,
Ar
a b
145 Ed era letto a gli egri corpi il gelo. [letto] strato [strato] letto agli [agli] a gli agli
Ar
146 [Allor] Allor, quando traean l’ultime pene,
Ar
144 Ar
g An B24 F a b g R18 An N
punto dopo cruenti dissimulato (b) prolungando i con uno svolazzo
147 148 149 150
Membrando questa desiata madre, Diceano: oh non le nubi e non i venti, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti,
147 Membravan quest[e]a desiata madre madre, Membrando
Ar An N
148 Dicendo, Dicendo[,] Dicendo; Dicendo: Diceano:
Oh non le nubi e non i venti [Oh] venti, oh oh
Ar An
149 Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene, bene[,] bene, per tuo bene,
Ar An F N
F N
150 O patria o patria nostra! Ecco in remoti Ar [patria] [o] [patria] Italia o [i. t.]Italia [Italia] [o Italia] [in] r[e]moti patria nostra! da te rimoti, ˆ nostra[!] An nostra.
149 Anb
PEL TUO BENE, cioè FELICITÀ. V. Guicciard. t.
g
1. p. 114. dopo il
mezzo. 150 Ar
a b
b prima del secondo Italia tracce di un’altra lettera, sùbito cancellata g il segno di inserzione è collocato prima di nostra di a
151 152 153 154
Quando più bella a noi l’età sorride, A tutto il mondo ignoti, Moriam per quella gente che t’uccide. Di lor querela il boreal deserto
151 Paesi, oh quanto è ’l ciel che ne divide! Ar [oh] divide[!] divide, [Paesi] quanto [è] [’l ciel] [che] [ne] [divide], Campi, [oh] [quanto] quando l’età meglio ci ride, [Campi] [quando] [l’età] [meglio] [ci ride] Quando più bella gioventù ci ride, Quando più bella [gioventù ci ride][,] An a noi sorride, ˆl’età [ˆl’età] più bella a noi [sorride,] l’età sorride, 152 A tutto il mondo ignoti ignoti,
Ar An
153 Moriam per quella gente che t’uccide.
Ar
154 Vide lor [fat. t.] fato il pallido deserto [Vide] [l]or Lor tristo [Lor] Lor [Lor tristo fato il pallido deserto] Ma di lor fato il boreal deserto Di lor querela
Ar
151 And
154 Ans 151 An a b And 154 Ar a g
a b g d a b
a b g
An F
Quando più bella a noi l’età sorride, gioventù n’arride. a noi l’etate arride. PIÙ VAGA, cara, dolce. Quando l’etade a noi più vaga arride. Ma di lor voci. segno di inserzione sotto la riga del verso, e ripetuto prima di l’età in [sorride,] virgola dissimulata sovrapponendovi l di l’età Quando … sorride, scritto più tardi delle varianti che lo seguono fat.t. lapsus per fato Lor, della stessa penna di tristo, pare riscritto per chiarezza dopo le precedenti cancellazioni
155 156 157 158 159
E conscie fur le sibilanti selve. Così vennero al passo, E i negletti cadaveri all’aperto Su per quello di neve orrido mare Dilaceràr le belve;
155 E le Ed [le] Aquilone e le fischianti selve. [Ed] [Aquilone] E Borea vide [Borea] [vide] borea vide [E borea vide e le fischianti] E conscie fur le sibilanti
Ar
a b g d
An
156 Così vennero al passo,
Ar
157 E i negletti [cad[e]av] cadaveri a l’apert[’]o all’
Ar N
158 Sbranar frementi su per l’arduo mare Ar [Sbranar] [frementi] [su] [per] [l’][arduo] [mare] Su per quello di neve orrendo mare [orrendo] An orrido
a b
159 Di neve orride belve, [Di] [neve] [orride] Si smozzicar le [Si smozzicar] belve[,] Dilaniàr belve; Dilaceràr
a b
155 Ans
155 Ar 157 Ar 159 Ar
Ar An F
trepidanti, biancheggianti, strepitanti, tempestate, i nembi e l’irte. a forse avviava un settenario E le fischianti selve modifica e di cadev e poi cancella tutto, riscrivendo sulla linea di base v di neve su una lettera precedente (r n m . ?)
160 161 162 163 164 165 166
E sarà il nome degli egregi e forti Pari mai sempre ed uno Con quel de’ tardi e vili. Anime care, Bench’infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno Avrete in questa o nell’età futura.
160 Ed
un fia ’l nom[i]e [e] a chi verrà Lde’ forti Ar [Ed] [un] [fia] [’l] [nome] [a] [chi] [verrà] L[de’] [forti] E fia l’onor de’ generosi e forti [fia] [l’onor] [de’] [generosi] An sarà ’l nome de gli egregi il degli N
a b
161 E de gli egregi, ed uno [E] [de] [gli] [egregi], [ed] [uno] Pari mai sempre ed uno
Ar
a b
162 De’ vili e de’ ribaldi. Anime care, [De’] [vili] [e] [de’] [ribaldi]. Con quel de’ tardi e vili.
Ar
a b
163 Bench’ infinita sia vostra sciaura, [Bench’] Ben ch’ ch[’] che Bench’ sciagura,
Ar An
a
164 Datevi pace, e questo vi conforti pace[,] pace;
Ar An
165 Che conforto nessuno
Ar
166 Avrete in questa e ne l’età futura. [e] o nell’
Ar
160 Ar
b N
a b
N
nome con e su i di cui dissimula il punto con un ampio svolazzo; la preposizione a su una o due lettere precedenti
167 168 169 170 171 172 173 174 175
In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno Il vostro solo è tal che s’assomigli. Di voi già non si lagna La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei, Sì ch’ella sempre amaramente piagna E il suo col vostro lacrimar confonda.
167 In seno al vostro smisurato affanno
Ar
168 Posate, o di costei veraci figli, Posate[,] Posate,
Ar An F
169 [Alcun] Al cui martire e al danno [martire] [e] [al] supremo
Ar
a b
170 Forch’ il vostro non è che rassomigli. [Forch’] [il] [vostro] [non] [è] Il vostro solo è tal che s’assomigli.
Ar
a b
171 Di voi già non si lagna
Ar
172 La patria vostra, ma di chi vi spinse
Ar
173 A pugnar contra lei lei,
Ar N
174 Sì ch’ella sempre amaramente piagna S[ì] ch’ Sicch’ S[ic]ch’ Sì ch’
Ar An
175 E ’l suo col vostro lagrimar confonda. il lacrimar
Ar N
N
a b
176 177 178 179 180
Oh di costei ch’ogni altra gloria vinse Pietà nascesse in core A tal de’ suoi ch’affaticata e lenta Di sì buia vorago e sì profonda La ritraesse! O glorioso spirto,
176 Oh di costei che tanta verga strinse costei, strinse, costei strinse [che tanta verga strinse] ch’ogni altra gloria [xxxxxxx] vinse
Ar An N Nc
177 Pietà nascesse in core
Ar
178 A tal de’ suoi che affaticata e lenta ch[e] ch’
Ar An
179 Di sì buia vorago e sì profonda buja bu[j]a buia buia [buia] [vorago] torbida notte buia vorago
Ar R18 R18c
180 La ritraesse! O glorioso spirto, ritraesse[!] ritraesse. ritraesse!
Ar An
179 And 180 Ans
176 Nc 180 Ans
An
a b
N
F
lurida, squallida, pallida. profonda notte. Baldi. Virg. e i greci baϕeivh, [b] baϕukolpo". La ritraesse. Castiglione. Canz. Amor, poichè ’l pensier. st. 1. Canz. Manca il fior. st. [3]. 3. Petr. Canz. O aspettata. st. 5. dopo gloria una parola cancellata (astrinse?) con altra penna, ha cancellato 3 in fine di riga sotto st. della citazione ed ha continuato su una nuova riga
181 182 183 184
Dimmi: d’Italia tua morto è l’amore? Dì: quella fiamma che t’accese, è spenta? Dì: nè più mai rinverdirà quel mirto Ch’alleggiò per gran tempo il nostro male?
181 Dimmi, d’Italia tua morto è l’amore? Dimmi:
Ar F
182 Dimmi
Ar
la
fiamma che t’accese è Lspenta?
b
[Dimmi] E la gran [E] [la] [gran] [fiamma] [D] Dimmi, la vampa
g accese, accese[,] accese, accese[,] accese,
Dì: quella fiamma
R18 An
Ar F
184 Che tu festi sollazzo al nostro male? Ch’alleggiò per gran tempo il
Ar F
Anb
184 Anp
182 Anb
a b g
B24 F
183 Dimmi, nè mai rinverdirà quel mirto Dì: nè più mai
182 And
a
sopra loro APPARSE un VAMPO. Morg. nella Crus. e Vampo p. Baleno. Crus. E quella fiamma che t’accese. Ma se avvampare e divampare significano ardere e anche accendere, dunque la vampa potrà accendere. Siccome quando la VORACE VAMPA Sulla montagna una gran selva INCENDE. Monti, Il. 2. 595. Sedeano al lume delle vampe ardenti. ib. l. [9]8. fine. p. 27. v. 14. FESTI per FACESTI e FESTE p. FACESTE. Castelvetro Giunta 90. alle prose del Bembo, lib. 3. Ruscelli Rimar. in ESTE, ed ESTI. Tasso, Gerus. liberata 12. 92. Siccome quando ecc. aggiunto con altra penna
185 186 187 188 189 190 191
Nostre corone al suol fien tutte sparte? Nè sorgerà mai tale Che ti rassembri in qualsivoglia parte? In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine? Io mentre viva andrò sclamando intorno, Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio;
185 E saran tue fatiche a l’aria sparte? Nostre corone al suol fien tutte
Ar N
186 Nè sorgerà mai tale
Ar
187 Che ti rassembri in qualsivoglia parte?
Ar
187bis In
eterno perì la gloria nostra?
Ar
188 E non d’Italia il pianto e non lo scorno In eterno perimmo? e il nostro scorno
Ar N
189 Ebbe [n] verun confine? Non ha verun confine?
Ar N
190 Io mentre vivo andrò sclamando intorno: viv[o] intorno[:] viva intorno,
Ar
191 Volgiti a gli avi tuoi, guasto legnaggio, [gli avi] legnaggio[,] a’ padri legnaggio; a gli avi agli
Ar An
187 And
Anb 190 Ans
187 Ar 187bis Ar 190
a b
F N
assembrare una cosa, cioè somigliarla. Crus. e rassembrare quando significa sembrare, non ha veramente altro che l’accusativo. Del resto la Crus. ha MI RASSEMBRA per MI SOMIGLIA. V. Bembo Son. [xx]56. 81. QUALSIVOGLIA. V. Casa let. 42. di Consiglio. Angelo di Costanzo: Quel giorno che sarà MENTRE CH’IO VIVA , e c. Stanze che così cominciano. mentr’io viva. id. Son. 105. in qualsivoglia la prima a e la s ritoccano lettere precedenti venne fuso con 188 Ar in un unico verso in N ed. Ranieri intorno:
192 Mira queste ruine 193 E le carte e le tele e i marmi e i templi;
192 Mira queste ruine, ruine[,] 193 Le Le
tele,
i marmi ed i palagi e i Ltempli,
Ar
a b
Ar
a b
tele[,]
e ˆ [Le] [tele] [e] [ed] [i] [palagi] E le carte e le tele e i marmi ei Ltempli, L[t]emp[l]i[,] An LTempi; L[Tempi;] Ltémpi. Ltémpi[.] Ltémpi; Ltempli Bc Ltempli; F 193bis E [se] le carte divine, [E] [le] [carte] [divine]
193 Ans
Ar
g a b g
a b
Cioè, le carte scritte, le tele dipinte, e così i marmi scolpiti. Quindi è significata la poesia ec. l’eloquenza, la pittura, e la scoltura. I templi dinotano propriamente l’architettura, e possono stare con MARMI, chè nè tutti i templi son di marmo, nè intieram. di marmo, nè qui l’indole del concetto ha riguardo, nominandoli, ai marmi che li possono comporre.
a templi forse corretto su tempii (o su tempi se la virgola è successiva all’eliminazione del verso 193bis); cf. 195 Ar b trasforma la virgola nel segno di inserzione, che poi lascia intatto in g An non chiara la sequenza delle correzioni; in g il punto è dissimulato prolungando in una linea orizzontale la parte inferiore della i
193 Ar
194 Pensa qual terra premi; e se destarti
194 Pensa che terra è questa, e se svegliarti Ar [che] [terra] [è] [questa] qual terra premi, premi[,] An premi; [Pensa] [qual] [terra premi][;] [svegliarti] +L’avite [se] ossa rimembra; destarti rimembra, B24
194 And Anb
Anp
a b a b
+ In sedem patritam referri. Arn. ap. Forcel. Mira le patrie tombe, i paterni avelli, i gentili avelli. Il cener patrio membra. Membra il cener paterno, sepolto. I patri avelli mira. Pensa, Membra il cener che premi, cui premi. Mira le tombe avite. Membra il cenere avito. Pensa qual premi arena, qual aura spiri., … attendi. L’urne… pag. ult. v. 8. AVITO è quello che AB AVIS ET MAIORIBUS NOSTRIS AD NOS[TRIS] PERVENIT. Forcellini. Come dunque avite le ossa? Veramente la Crusca spiega anche ANTICO, DE’ PROGENITORI. E io dico che molte volte AVITO non è altro che semplicemente DEGLI AVI, o DE’ MAGGIORI, come PATERNO, PATRIO, MATERNO, sono puramente DEL PADRE, o DELLA MADRE. Orazio od. 3. l. 3. SED BELLICOSIS FATA QUIRITIBUS HAC LEGE DICO, NE NIMIUM PII REBU S QU E FIDENTES, AVI TAE TECTA VELINT REPARARE TROIAE. Troia GIÀ DISTRUTTA come poteva essere avita per li R OMANI? Non altrimenti se non in quanto era DEGLI AVI, e non già EREDITARIA (come pur dice la Crusca in AVITO), o pervenuta dagli avi ai Romani, i quali abitavano Roma e non Troia. E in qualunque altro senso si spiegasse, questo qualunque senso converrebbe egualmente al passo mio. In somma AVITAE qui vuol dire DEG L I AV I , come se dicesse PAT E R NA E , vorrebbe dire D E ’
194 An b forse dapprima L’avita se, cf. sedem patritam 194 And ; precede + come segno di richiamo all’annotazione 194 And Anp Properz. ed etiam aggiunti con un segno di inserzione, ripetuto sulla riga del testo; Arnobio citato qui nel marg. conferma che il foglietto separato che contiene queste note è successivo a 194 And; Patriae Mycenae ecc. di altra penna
Pensa qual terra Pensa qual terra
premi premi;
Bc e se destarti F
PADRI, non essendoci altro addiettivo in latino per dire DEGLI AVI, come c’è per dire DE’ PADRI, cioè PATERNUS, PATRIUS, PATRITUS. PAT E R NA E AT QU E AVITAE , dice Cicerone: perchè non PATRITE˛ , se AVITAE fosse parola d’altro genere che PATERNAE? La quale anch’essa da principio significava EREDITARIO e c. e poi s’è detta anche semplicemente per DEL PADRE. BONA PATERNA ATQUE AVITA, dice lo stesso Cic. ap. Forcell. in PATERNUS. AVITI NOMINIS HERES: Ovid. Qui che altro vuol dire se non DEGLI AVI? anzi precisamente dell’AVO cioè
di Tantalo padre della madre di questo secondo Tantalo. PA TRITUS, QUI EST PATRIS, UT AVITUS QUI EST AVI. Forcellini. SI CUI FAMA FUIT PER AVITA TROPAEA DECORI. Properz. Qui ˆ pure AVITA non par che voglia dire altro che DEGLI AVI. NONNULLA TAMEN ET AVITI INGENII SIGNA OSTENDIT. Fronto p. 31. Qui l’idea di AV I TO precede, ed è naturalmente divisa da quella di mostrare alcuni segni di posseder quell’ingegno. Se AVITO non volesse dire se non QUELLO CHE CI È PERVENUTO DAGLI AVI, sarebbe qui fuor di luogo; non sapendosi se questo ingegno gli [st. ] sia pervenuto, ma solamente vedendosene alcuni segni. Collo stesso ragionamento si può concludere che AVITO nei passi del Rucellai citati dalla Crusca, e PATRITO in quello d’Arnobio citato qui nel marg. stanno semplicem. per DEGLI AVI, DE’ PADRI. PAVORE, AN (vel forsan) AVITAE NOBILITATIS ETIAM INTER ANGUSTIAS FORTUNAE ( a l iˆ quid) RETINENS. Tacito. Ragionate come sopra. La conclusione è che AV I TO significando sempre DEGLI AVI (Forcell. in PATRITUS), s’adopera bene spesso indipendentemente dall’esserci o no pervenuto quello [che] che chiamiamo con questo epiteto. Così nel passo d’Ovidio, AVITI NOMINIS è indipendente da HERES; altrimenti verrebbe a dire EREDE DEL NOME EREDITARIO. Così diciamo AVITE IMPRESE, AVITI GESTI, FU R I P O S TO NEL S E P O L C RO AVITO, cioè DEGLI AVI semplicemente. L’AVITA TROIA rispetto a’ romani è lo stesso che la MATER˛ QUORA NA DELOS di Virgilio rispetto ad Apollo, e MATERNA E [D]d’Ovidio rispetto a Venere. Altri simili esempi v. nel Forcell. in PATERNUS, e PATRIUS. Cioè, LA MADRE DELO, L’ONDA MADRE. Ovvero è il medesimo che la MATERNA MYRTUS (cioè di Venere) rispetto ad Enea. PATRIAE MYCENAE rispetto ai Greci. Aen. 2. 180.
195 Non può la luce di cotanti esempli, 196 Che stai? levati e parti. 197 Non si conviene a sì corrotta usanza
195 Non può la luce di cotanti esempli, [Non può la luce di] [co]tanti esemp[l]i, Il radiar non può di tanti Non può la luce di cotanti esempli esempli,
Ar An
196 Che stai? levati e parti. l[e]vati lévati levati
Ar An
197 Non si conviene a sì corrotta usanza [sì] [corrotta] vostra turpe [turpe] turpe [vostra] [turpe] sì corrotta convien a si corrotta conviene a s[i] sì [convien] a s[i] conviene a sì
Ar
Bc F
N a b g d R18 R18c An
195 Anb
Lo sfolgorar. Il folgorar, fiammeggiar. non val. (Varchi Boez. p. xxiii.) e s’a destarti Il folgore non val.
195 Ar
esempli forse corretto su esempii, o su esempi con ritocco di pi in pli (cf. 193 Ar a) si per errore tipografico
197 R18
198 Questa d’animi eccelsi altrice e scola: 199 Se di codardi è stanza, 200 Meglio l’è rimaner vedova e sola.
198 Questa d’eccelse menti altrice e scola: [d’eccelse menti] di prodi ingegni d’animi eccelsi
Ar An
199 Se di codardi
Ar R18 An
è stanza, stanza; stanza[;] stanza,
d’infingardi di codardi 200 Meglio l’è rimaner vedova e sola.
N
F N Ar
198 And 200 Ana
egregie, ma sta p. 26. Il Chiabrera alla Canz. Quando il pensiero umano, che ha le strofe d’11. versi, fa una chiusa d’8 versi, e questa non è un’apostrofe alla Canzone, ma segue l’argomento, come si fa qui in questa strofe.
198 And
p. 26 di R18, cioè si riferisce al v. 160 An = R18
III. AD ANGELO MAI, QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE DELLA REPUBBLICA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
Italo ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente, Voce antica de’ nostri, Muta sì lunga etade? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente I polverosi chiostri Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t’infonde, Italo egregio, il fato? O con l’umano Valor forse contrasta il fato invano?
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Certo senza de’ numi alto consiglio Non è ch’ove più lento E grave è il nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento Novo grido de’ padri. Ancora è pio Dunque all’Italia il cielo; anco si cura Di noi qualche immortale: Ch’essendo questa o nessun’altra poi L’ora da ripor mano alla virtude Rugginosa dell’itala natura, Veggiam che tanto e tale È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude, A ricercar s’a questa età sì tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
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Di noi serbate, o gloriosi, ancora
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Qualche speranza? in tutto Non siam periti? A voi forse il futuro Conoscer non si toglie. Io son distrutto Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola Fa parer la speranza. Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda Plebe successe; al vostro sangue è scherno E d’opra e di parola Ogni valor; di vostre eterne lodi Nè rossor più nè invidia; ozio circonda I monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade.
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Bennato ingegno, or quando altrui non cale De’ nostri alti parenti, A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno sì che per tua man presenti Paion que’ giorni allor che dalla dira Obblivione antica ergean la chioma, Con gli studi sepolti, I vetusti divini, a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegràr d’Atene e Roma. Oh tempi, oh tempi avvolti In sonno eterno! Allora anco immatura La ruina d’Italia, anco sdegnosi Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo Più faville rapia da questo suolo.
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Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l’averno che la terra amico. L’averno: e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le tue dolci corde Susurravano ancora Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce L’italo canto. E pur men grava e morde
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Il mal che n’addolora Del tedio che n’affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla.
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Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole, Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti Cui strider l’onde all’attuffar del sole Parve udir su la sera, agl’infiniti Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del Sol caduto, e il giorno Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo; E rotto di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L’etra sonante e l’alma terra e il mare Al fanciullin, che non al saggio, appare.
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Nostri sogni leggiadri ove son giti Dell’ignoto ricetto D’ignoti abitatori, o del diurno Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta? Ecco svaniro a un punto, E figurato è il mondo in breve carta; Ecco tutto è simile, e discoprendo, Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta Il vero appena è giunto, O caro immaginar; da te s’apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni; E il conforto perì de’ nostri affanni.
106 Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo 107 Sole splendeati in vista, 108 Cantor vago dell’arme e degli amori,
109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120
Che in età della nostra assai men trista Empièr la vita di felici errori: Nova speme d’Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri, O giardini, o palagi! a voi pensando, In mille vane amenità si perde La mente mia. Di vanità, di belle Fole e strani pensieri Si componea l’umana vita: in bando Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde È spogliato alle cose? Il certo e solo Veder che tutto è vano altro che il duolo.
121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135
O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa Tua mente allora, il pianto A te, non altro, preparava il cielo. Oh misero Torquato! il dolce canto Non valse a consolarti o a sciorre il gelo Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda, Cinta l’odio e l’immondo Livor privato e de’ tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T’abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il nulla, e il mondo Inabitata piaggia. Al tardo onore Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno, L’ora estrema ti fu. Morte domanda Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147
Torna torna fra noi, sorgi dal muto E sconsolato avello, Se d’angoscia sei vago, o miserando Esemplo di sciagura. Assai da quello Che ti parve sì mesto e sì nefando, È peggiorato il viver nostro. O caro, Chi ti compiangeria, Se, fuor che di se stesso, altri non cura? Chi stolto non direbbe il tuo mortale Affanno anche oggidì, se il grande e il raro Ha nome di follia; Nè livor più, ma ben di lui più dura
148 La noncuranza avviene ai sommi? o quale, 149 Se più de’ carmi, il computar s’ascolta, 150 Ti appresterebbe il lauro un’altra volta? 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165
Da te fino a quest’ora uom non è sorto, O sventurato ingegno, Pari all’italo nome, altro ch’un solo, Solo di sua codarda etate indegno Allobrogo feroce, a cui dal polo Maschia virtù, non già da questa mia Stanca ed arida terra, Venne nel petto; onde privato, inerme, (Memorando ardimento) in su la scena Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia Questa misera guerra E questo vano campo all’ire inferme Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180
Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera, E morte lo scampò dal veder peggio. Vittorio mio, questa per te non era Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio Conviene agli alti ingegni. Or di riposo Paghi viviamo, e scorti Da mediocrità: sceso il sapiente E salita è la turba a un sol confine, Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso, Segui; risveglia i morti, Poi che dormono i vivi; arma le spente Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine Questo secol di fango o vita agogni E sorga ad atti illustri, o si vergogni. Ar
autografo con correzioni da cui fu copiato il testo per la stampa spedito al Brighenti con lettera accompagnatoria del 4 febbraio 1820 (Epist. ed. Moroncini, II, p. 8 = LF 138, BL 277) e a cui seguirono con lettera del 26 maggio 1820 alcune «correzioncelle» che qui si indicano al loro luogo nell’app. crit.
data Opera di 10 o 12 giorni, Gen. 1820; pubblicata i primi del Luglio.
An
tit.
Ad Angelo Mai, Mai[,]
Ar
CANZONE | DI | GIACOMO LEOPARDI | AD |ANGELO MAI
B20
Ad Angelo Mai
An
a b
a
Ad Angelo Mai quand’ebbe trovato | i libri | di Cicerone della [r]Repubblica
b
Ad Angelo Mai quand’ebbe trovato i libri | [i libri] di Cicerone | [ di Cicerone] della Repubblica
g
AD ANGELO MAI | QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI | DI CICERONE | DELLA REPUBBLICA
B24
III. | AD ANGELO MAI | QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI | DI CICERONE | DELLA REPUBBLICA.
F
III. | AD ANGELO MAI, | QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI | DI CICERONE | DELLA REPUBBLICA
N
B20 An B24 Bc F N data tit. B20 An B24
C a n zone | di | Giacomo Leopardi | ad | Angelo Mai | — | Bologna. MDCCCXX | — | Per le stampe di Iacopo Marsigli | Con approvazione (Bibl. Naz. Napoli, X. 3) esemplare di B20 con correzioni e note autografe, che servì per il testo di B24 pp. 39-50 pp. 35-42 pp. 22-29 solo in An nel frontespizio (a p. 5 la canzone comincia senza titolo); lettera del 26 maggio 1820 al Brighenti (Epist. ed. Moroncini, II, p. 45 = LF 152, BL 304): «Il titolo sarà, Canzone di Giacomo Leopardi ad Angelo Mai» a titolo centrato; b e g aggiunte nel margine destro, di séguito ad a p. 39; a p. 37 l’occhiello: AD | ANGELO MAI | QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI | DI CICERONE | DELLA REPUBBLICA | CA NZONE TERZA
1 2 3 4 5 6
1
Italo ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Italo ingegno, a che già mai non posi ingegno [,] ingegno, [ingegno], pósi ardito, giammai pòsi posi
Ar
2
Di svegliar da le tombe dalle
Ar N
3
I nostri padri? e a favellar gli meni ed a parlar
Ar N
4
A questo secol morto, al quale incombe morto[,] morto,
Ar
An F N
a b
Bc
5
Sì gran nebbia di tedio? E [per] come or vieni Ar [Sì] [gran] An Tanta
6
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
1 And Ans
a b g
Ar
INDUSTRE. che non POSEREBBE MAI DI METTERLO
4 And
in disgratia ec. M achiav. Vit. di Castrucc. opp. 1550. par. 2. p. 67. lin. 9. ~s [Vetus] ara fuit, juxtaque veterrima laurus INCUMBENS Inge (cioè INCUBANS) ARAE, atque umbrâ complexa penates. Aen. 2.
4 And 5 Ar
Inge~s aggiunto a sinistra dopo aver cancellato Vetus per errore (di copia o di memoria) aveva forse cominciato a scrivere il secondo emistichio del v. 8 e perchè tanti
7 8 9 10 11 12 13
7
Voce antica de’ nostri, Muta sì lunga etade? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente I polverosi chiostri Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t’infonde,
Voce antica de’ nostri, nostri[,] nostri,
Ar
8
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Ar
9
Risorgimenti? In un balen feconde
Ar
Venner le carte? e a la stagion presente carte[?] carte; carte; a la stagion alla
Ar
11
I polverosi chiostri Chiostri [C]hiostri chiostri
Ar B20 An
12
Serbaro intatti i generosi e santi occulti
Ar F
13
Detti de gli avi? E che valor t’infonde avi[?] avi. infonde, degli infonde
Ar
10
10 And 7 Ar 13 N
a b
F
a b
F N
a b
An N
Tornàr. b virgola dissimulata prolungando i con uno svolazzo per infonde Moroncini: «non ostante che in N manchi la virgola, noi, tenendo conto che questa c’è in An e che da ultimo l’A. volle costantemente il vocativo tra due virgole, crediamo debba correggersi l’evidente svista»; ha la virgola anche l’ed. Ranieri
14 Italo egregio, il fato? O con l’umano
14
Il cielo e ’l fato, italo illustre? e quale [i]talo Italo Cielo [Il Cielo e ’l fato, Italo illustre? e quale] Italo egregio, il fato? o quel che cela [o quel che cela] O con l’umano
Ar
a b
B20 An
a b
14 And a invidioso b [invidioso] g o ne l’umano ... guerreggia, fa guerra. o quale umano ... i du = [invidioso]ri fati. d o quale umano Valor ... i du=ri fati. Anb o qual maggiore È del fato e di morte uman valore? o come al regno Preval de l’eneo fato umano ingegno? o qual ti mena Valor che i fati onnipossenti affrena? adamantini. prepotenti. o qual ti guida Tanto valor che i fati empi recida? O qual ti siede Valore in cor che i duri fati eccede? 14 An And
l’elaborazione dei vv. 14-15 presenta due fasi: I Italo egregio, il fato? o quel che cela | Il fato inesorando, e chi ti svela? – II Italo egregio, il fato? O con l’umano | Valor combatte (> contrasta) il duro fato invano? pare che invidioso sia variante di inesorando, poi cancellata (b); g: per esigenze di spazio ha scritto dividendo du=ri ai due lati di [invidioso]; d: Valor pare aggiunto successivamente per maggior chiarezza dell’annotazione (o quale umano Valor ... i duri fati.)
15 16 17 18 19
15
Valor forse contrasta il fato invano? Certo senza de’ numi alto consiglio Non è ch’ove più lento E grave è il nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento
Tanto avvivar fu degno altro mortale? [Tanto avvivar fu degno altro mortale?] Il fato inesorando, e chi ti svela? [Il fato inesorando, e chi ti svela?] Valor combatte il duro fato invano? Valor + [combatte] + contrasta Valor forse contrasta il fato invano?
Ar An
b g N
16
Certo senza divino alto consiglio [divino] de’ numi
Ar An
17
Non è ch’ove più lento
Ar
18
E grave è ’l nostro disperato obblio, il
Ar N
19
A percuoter ne riede ogni momento perc[u]oter ried[e] rieda
Ar
15 Anb 16 Ans 18 Ans
a
a b
+ contrasta. (contrastare con. Ang. di Costanzo son. 102.) celeste. DISPERATO. V. Crus. DISPERATO, §. 1. e DISPERATAMENTE.
15 An g contrasta. nel margine sinistro in basso (insieme alla citazione, cf. 15 Anb) con un segno di richiamo, che è ripetuto accanto a [combatte] nel testo Anb essendo questo l’unico esempio di contrastare con nei C a n t i, potrebbe forse riferirsi a questa nota marginale (oppure alla nota a V. A un vinci tore nel pallone 6 AnpI) anche la seguente citazione che si trova fra le varianti e annotazioni a VIII. Inno ai Patriarchi (vd. tav. 101, prima annotazione a metà del foglio): Però godiamo se ne vien gioconda Fortuna in viso, ed apprestiamo il core A CONTRASTAR CON lei s’unqua s’adira. Chiabr. Sermone 29. v. 49-51, ed ultimi.
20 21 22 23 24
20
21
Novo grido de’ padri. Ancora è pio Dunque all’Italia il cielo; anco si cura Di noi qualche immortale: Ch’essendo questa o nessun’altra poi L’ora da ripor mano alla virtude
Novo grido de’ padri. Ancora è pio [grido] clamor [clamor] grido
Ar An
Dunque a l’ [l’] gl’ [gl’] l’
Ar An
italia il cielo, anco si cura itali[a] il [c]ielo[,] itali il Cielo; [itali] italia [i]talia Italia cielo;
all’
a b
a b g
F N
22
Di noi qualche immortale; immortale[;] immortale:
Ar An
23
Che
Ar
a b
An
a
poi ch’è
questa, o verun’ altra poi questa[,] o [verun] nessun’
Ch[e] [poi ch]’ è Chè dove è dov[e] è dov’ è Ch’essendo questa 24
b o nessun’ altra poi
L’ora da ripor mano a la virtude alla
20 Ans 24 And
F Ar N
NOVO CLAMOR, e qui sotto: È ’L GRIDO DE’ SEPOLTI. Ma GRIDO DE’ SEpolti potrebbe va[LER]ler FAMA. Dunque ora È ’L TEMPO DA RITRARRE il collo. Petrarca.
25 26 27 28
Rugginosa dell’itala natura, Veggiam che tanto e tale È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude,
25
Rugginosa de l’itala natura, dell’
Ar N
26
Tanto e sì strano e tale Tant[o] stran[o] Tanta strana Tant[a] stran[a] Tanto strano Veggiam che tanto e tale
Ar An
27
È ’l clamor de’
b F
sepolti;
Ar Le de gli eroi
28
F
Dimenticati il nome si dischiude, Dimenticati il suol quasi dischiude,
Ar F
26 Ans
a b
sepolti[;] sepolti, [È] [’l clamor d]e’ sepolti[,] De’ sepolti è la voce, ˆ ˆ Le de gli eroi [De]’ sepolti[ ] [ è la voce,] ˆ ˆ Le de gli eroi È ’l clamor de’ sepolti, Le de gli eroi È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
25 Ans
a
An
a b
Dopo NATURA, non si può dir: TANTA, che a prima vista si riferirebbe a NATURA. A cui CON TANTA E CON TAL brama aspiri. Remig. Fior. ep. 7. d’Ovid. Parigi 1762. [t]p. 95
26 An a il femminile concorda con voce di 27 An a 27 An a trasforma la virgola in un segno di inserzione, che è ripetuto a sinistra di è b cancella entrambi i segni di inserzione di a e scrive la virgola tra sepolti e[] ˆ
29 A ricercar s’a questa età sì tarda 30 Anco ti giovi, o patria, esser codarda. 31 Di noi serbate, o gloriosi, ancora
29 30 31
O patria o patria, anco in età sì tarda A ricercar s’a questa età sì tarda Chiedendo se ti giovi esser codarda. Anco ti giovi, o patria, esser codarda. Spirti sublimi, ancor di noi serbate [Spirti sublimi], [ancor di noi] serbate Speme alcuna di noi dunque serbate [Speme alcuna di noi dunque] [serbate] Noi miseri la speme aurea + non fugge, Di noi serbate, o gloriosi, ancora
31 And Ana
Ar F Ar F Ar An
a b
F
Di noi serbate, o gloriosi, ancora Qualche speranza? + Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat. Georg. 2. fine. v. Forcell. Speme o pietà di noi dunque serbate. Pietà de’ figli e speme anco serbate. Noi, Lei di speme o pietà non priva il fato, cielo. Pietà di noi, pietà serbate e speme. Mercè. Sperar non vieta[,] (toglie[,]) o gloriosi, il cielo Al gener vostro? Sperar non vieta a’ figli vostri ec. Noi di speranza, o gloriosi, il fato Lungi non pone, chiude, serra? Nudi non pone? Non pose ignudi? Noi di, da, speme diserti, rimoti il ciel non pone. divisi, disgiunti. Noi di speranza ignudi il ciel |An non pone. Lei, Voi. Noi la candida speme anco non fugge. Noi de la vaga speme il ciel non priva. di candida speme. da la .. non parte. Sperar consente, o gloriosi il fato, cielo, A’ figli vostri, La stirpe vostra. Sperar consente a’ figli vostri ec. Al gener vostro, o glorio-|An si il cielo Sperar consente? concede? No[n]i dal vago sperar non vieta il cielo. Noi da la chiara, vaga speme il ciel non vieta. beata, alma. s
Ans
b
31 An b dopo aurea un segno di richiamo che si riferisce alla citazione marginale 31 And And + segno di richiamo ripetuto al v. 31 An b Di noi ecc. Moroncini: «questa variante, che costituì poi la forma definitiva in F, fu assai probabilmente trovata dall’A. e aggiunta in An dopo l’edizione B24: di fatti si vede scritta in un piccolo spazio rimasto vuoto in alto della pagina a destra, e fu adottata solo in F N»; ma in questo caso dovrebbe essere successiva la citazione Aureus e c c. An d di Ve r g. Georg. II. 538, verso diviso su due righe per entrare nello spazio rimasto libero dopo avere scritto Di noi ecc., che, inoltre, è separato dalla citazione virgiliana con una linea tracciata con la stessa penna di quella (e dunque anche per ciò da ritenersi successiva)
32 Qualche speranza? in tutto 33 Non siam periti? A voi forse il futuro 34 Conoscer non si toglie. Io son distrutto
32
33
34
Qualche speranza? [Qualche speranza?] O gloriosi? Qualche speranza?
in tutto in tutto in tutto in tutto
Ar An F
Non siam periti? a voi certo il futuro [a] A forse
Ar
Ignoranza non copre. copre[.] copre: [Ignoranza] [non] [copre:] Non velano i destini: Ignoranza non copre: Conoscer non si toglie.
Ar
Io son distrutto [Io] io [io son distrutto] altro che lutto io son distrutto Io son distrutto
a
a b
N a b
An F N
34 Anb
Affanno e lutto (Angoscia; Acerbo, Amaro, Improbo) Vo lgono i giorni miei. Altro che lutto Fuggono i giorni miei. Ignoranza non chiude, toglie, vieta. Non velano i destini. coprono, celano, vietano. Non dinegano, sottraggono, c o n t e ndono [i fati] ADOMBRANO i tempi, i fati. ascondono, occultano, ricoprono. Non chiudono, vietano i Superni, Celesti. i Divi. Non chiuggono i destini. offuscano, ingombrano, divietano, disdicono.
34 An
in destini le ultime due lettere sono ritoccate (forse su altre scritte per errore) e fra destini e i due punti che seguono vi è una cancellazione
35 36 37 38 39
35
Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola Fa parer la speranza. Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda
Ed annullato [annullato] annientato
dal dolor, che
scuro
ch[e] chè [Ed] [annientato] [dal dolor], [chè] Sdegnano i sensi miei, chè
Ar
An a
[scuro] torbo [torbo] dubbio e scuro torbo dubbio Ed annullato dal dolor, chè scuro Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
B24 Bc F N
36
M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
Ar
37
È tal che sogno e fola
Ar
38
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ar
39
Voi non sapete a che siam giunti. È morta giunti[.] giunti? [Voi non sapete a che siam giunti? È morta] A i tetti vostri inonorata, immonda Ai
Ar
35 Anb
a b
b
a b
An N
39 And
A sdegno avranno i sensi miei, chè scuro. Hanno in disdegno. A schifo, vile. Sdegnar ec. son usi. chè DUBBIO, TORBO, cieco, incerto, I N G O M B RO (ingombrar la vista. Crus. Bembo, rime, indice delle voci), tolto, ignoto,OSordido lutto.Pmuto. però, poscia che scuro. A i lari.
39 Ar
l’iniziale di non pare scritta su s
40 41 42 43
Plebe successe; al vostro sangue è scherno E d’opra e di parola Ogni valor; di vostre eterne lodi Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
40
Italia vostra; a’ vostri figli è scherno [Italia] [vostra; a’ vostri] [figli] [è scherno] Plebe success[i]e; al vostro sangue è scherno
Ar An
41
O d’opra e di parola [O] E
Ar
a b
42
Ogni valor[.] [Non]; non più di vostre lode Ar Ogni valor ; [non più] [di vostre] lod[e] Ogni valor ; di vostre eterne lodi [eterne] An inclite eterne N
a b
43
Si cura alcun de’ nostri, o si conforta, [Si cura] [alcun] [de’ nostri, o] si conforta, Non è chi pensi, nullo si conforta, si conforta [Non è chi pensi, nullo si conforta] Tace l’itala riva; egro circonda Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
a b
43 And
40 An
Ar B20 An N
ignava ... Tace l’italo suol; passeggia e grava Lussuria il cener vostro. indegna ... passeggia (circonda) e regna Lascivia. EGRA, MOLLE CIRCONDA L’URNE VOSTRE LUSSURIA.
scritto per errore successi ha corretto i in e dissimulando il punto con un ampio svolazzo per il punto e virgola utilizza l’apostrofo di a’ 42 Ar a cancellato Non e messo un punto sopra la virgola, continua il verso sulla medesima riga; sicuro lode (plur. di loda XVIII. Alla sua donna 29) 43 Ar b la cancellazione della virgola potrebbe essere anteriore a quella delle parole And ignava ecc. prepara una rima con la variante indicata di séguito per i vv. 43-44
44 45 46 47
44
45
I monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade. Bennato ingegno, or quando altrui non cale De’ nostri alti parenti,
Che noi d’ignavia esemplo [Che noi d’][ignavia] [esemplo] Di vostro nome, esempio D[i] vostro [nome], [esempio] Del vostro rimembrar, che [Del vostro rimembrar, che] Ozio le tombe vostre, vostre; I monumenti vostri; Noi siamo
e di viltade [e] di viltade di viltade di viltade di viltade di viltade e e e
Ar
g An F N
a la trascorsa Ar Letade. [Noi][s]iam[o] [a][questa e][a] la [trascorsa] ˆ Letade. Siam fatti esempio a la qualsivoglia Letade. esemp[i]o An esemplo [esemplo] [a qualsivoglia] L[etade]. esempio a la futura Letade. alla N
a questa e
46
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
Ar
47
De’ nostri alti parenti,
Ar
46 Ans
45 Ar
a b
a b
a b
BEN NAT’ALMA. Ang. di Costanzo son. 60. O ben nate anime. Casa, Oraz. a Carlo V. p. antepenultima. Bennato è il contrario di Malnato che vale Malvagio ec. come fa vedere il Monti. Dedecorant bene nata culpae. Horatius. b la di Ar a non è cancellato; qualsivoglia parrebbe dunque correzione successiva a quella che modifica il primo emistichio
48 49 50 51 52
48
A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno sì che per tua man presenti Paion que’ giorni allor che dalla dira Obblivione antica ergean la chioma, Con gli studi sepolti,
A te ne caglia, a te cui ’l fato aspira [’l] [fato] nume [nume] + fato ˆ Benigno sì che per tua man presenti
Ar An
50
Paion que’ giorni allor che da la dira dalla
Ar N
51
Obblivione antica ergean la chioma Obblivíone chioma, Obblivione
Ar B20 An N
52
Con gli studi sepolti sepolti,
Ar An
49
48 Ana
And
a b g
Ar
+ O teologicamente o poeticamente che fosse, gli antichi non supponevano il fato inattivo, ma gli attribuivano anche l’azione esecutiva delle cose p. esso preordinate eternamente. Acerba fata Romanos AGUNT. Oraz. Quo fata T[xx]RAHUNT RETRAHUNTQUE sequaMUR. Virg. e c. Dunque il fato può bene aspirare al Mai, cioè favorirlo attivamente. fato, sorte, nume.
48 An g segno di richiamo che si riferisce alla nota 48 Ana; segno di inserzione a sinistra di fato, ripetuto tra cui e [’l] Ana segno di richiamo che si riferisce al v. 48 An g 49 Ar in presenti la r è scritta correggendo una lettera precedente (i?) e la e che segue è scritta su a ed. Ranieri Benigno sì, 52 ed. Ranieri studj
53 54 55 56 57 58 59 60
53
54
55
56 57
58
59 60
I vetusti divini, a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegràr d’Atene e Roma. Oh tempi, oh tempi avvolti In sonno eterno! Allora anco immatura La ruina d’Italia, anco sdegnosi Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo Più faville rapia da questo suolo.
I vetusti divini a cui natura [d]ivini [n]atura Divini Natura natura divini, Parlò senza svelarsi, onde i riposi [senza svelarsi,] nè disvelossi, senza svelarsi, Magnanimi allegrar d’Atene e Roma. allegr[a]r allegràr Oh tempi oh tempi avvolti tempi, oh In ombra eterna! Allora anc[a]o immatura [In] [ombra] etern[a]! [Allora] Nel sonno eterno! allora [Nel] In eterno. Allora eterno! Allora La ruina d’italia, anco sdegnosi [i]talia, Italia, Eravam d’ozio [vile.] turpe, e l’aere a volo l’aura Una favilla ergea dal nostro suolo. da[l] [nostro] questo Qualche favilla Più faville rapia da questo suolo.
Ar An F N Ar An F Ar An Ar F Ar
a b g
B20 N Ar An Ar N Ar F N
a b
61 62 63 64
Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l’averno che la terra amico.
61
Eran calde le tue ceneri sante,
Ar
62
Fortissimo [Fortissimo Intrepido [Intrepido] Impavido [Impavido] Indomito [Indomito] Non domito
Ar
63
64
nemico nemico] nemico [nemico] nemico nemico
g d e
[nemico] nemico
De la fortuna, al cui sdegno e dolore [sdegno e] maschio [maschio] sdegno e [f]ortuna, Fortuna, fortuna, Della
Ar
Fu più l’averno
Ar
62 Ar 64 Ar
che la terra amico; amico[;] amico, amico[,] amico; amico[;] amico: [a]verno amico[:] Averno amico. averno
a b
a b g
An F N a b g d An F
altra possibile sequenza: a Fortissimo nemico, b Impavido nemico, g In trepido nemico, d [Indomito] Non domito nemico punto e virgola di a trasformato nella virgola di b cancellando il punto; di qui la necessità di riscrivere a fianco il punto e virgola di g, trasformato in d cancellando la virgola e aggiungendo un punto in basso, che perciò risulta spostato
65 66 67 68 69
65
L’averno: e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le tue dolci corde Susurravano ancora Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
L’averno: e qual non è parte [p.] migliore averno[:] averno; [a]verno[;] Averno: averno:
Ar
66
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Ar
67
Trepidavano ancora [Trepidavano] ˆ Tremolavano [Tremolavano] Sussurravano [Sussurravano] Tremolavano Susurravano Susurravano
Ar
Del tocco di tua destra, o sventurato D[e]l destra[,] o s[ven]tu[ra]to Dal o sfortunato o [sfortunato] o sfortunato destra,
Ar
F
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
Ar
68
69
67 And 67 Ar
68 Ar
a b
An F a b g d Bc F a b g
Susurravano g possibile sussurravano (Moroncini); ma in tal caso ha forse scritto dapprima sussuravano per errore: rr è in uno spazio insufficiente per due lettere d lettera del 26 maggio 1820 al Brighenti (Epist. ed. Moroncini, II, p. 45 = LF 152, BL 304): «Nella quinta strofe vorrei che si scrivesse | E le tue dolci corde | Tremolavano ancora | Dal tocco di tua destra» g riscrive sulla stessa riga la parola, poco chiara per effetto della correzione
70 L’italo canto. E pur men grava e morde 71 Il mal che n’addolora
70
L’italo canto. E pur men
pesa e morde [pesa] ˆ grava [grava] pesa [pesa] grava
m[e]n mèn men 71
La
sventura che ’l tedio, e la [sventura] sciaura [La] [sciaura] [che] [’l] [tedio], [e la] De la pigra [De la pigra] Il mal che n’addolora
70 And Ans 70 Ar 71 Ar
Ar
a b g d
An N dimora [x] Ar
a b
dimora dimora [dimora]
g d
L’accento sulla [È]E non vuol dire che si pronunzi larga, ma è per distinzione, altrimenti non si potrebbe mettere, come fanno alcuni, a RE, a SE pronome ec. E PUR. G. de’ Conti Capit. 3. Parnaso p. 180. a accanto a pesa un segno di inserzione che si riferisce a una delle correzioni successive; lettera del 26 maggio 1820 (vd. app. crit. v. 67): «vorrei che si scrivesse ... E pur men grava e morde» a dopo dimora ha cancellato una virgola (però molto inclinata a destra) piuttosto che il principio della lettera iniziale di un’aggiunta g virgola non cancellata per una svista; l’elaborazione dei vv. 70-72 presenta queste fasi: I E pur men pesa (W grava) e morde | La sventura (W sciaura) che ’l tedio, e la dimora | Più che l’arduo cammino. Oh te beato – II E pur men pesa (W grava) e morde | De la pigra dimora | Il tedio fati coso. Oh te beato – III E pur men pesa (W grava) e morde | Il mal che n’addolora | Del tedio che n’affoga. Oh te beato
72 73 74 75 76 77
72
Più [Più Il [I]l Del
Del tedio che n’affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla. Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole,
che l’arduo cammino. che l’arduo] [cammino] ˆ tedio faticoso. tedio [faticoso.] tedio che n’affoga.
Oh te beato, Oh te beato, Oh te beato, Oh te beato, Oh te beato, beato beato,
Ar
g B20 F
73
A cui fu vita il pianto. A noi le fasce pianto!
Ar N
74
Cinse la noia, e siede [acan] accanto il nulla [Cinse la noia, e siede accanto il nulla] Il tedio cinse; a noi presso la culla [Il tedio cinse;] Cinse il fastidio;
Ar An
75
Immoto e ne la tom[p]ba e ne la culla. [Immoto e ne la tomba e ne la culla.] Immoto siede, e su la tomba, il nulla.
Ar An
76
Ma tua vita era allor con gli astri e ’l mare, il
Ar N
77
Ligure ardita prole,
Ar
76 Bc 72 Ar 74 Ar 75 Ar
(con gli astri e ’l vento, co’ venti e[x] gli astri.) b punto dopo cammino modificato in segno di inserzione [acan] scrittura erronea per accanto aveva cominciato a scrivere Inm
a b
a b
78 79 80 81 82
Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti Cui strider l’onde all’attuffar del sole Parve udir su la sera, agl’infiniti Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del Sol caduto, e il giorno
78
Quand[o]’ oltre a le colonne ed oltre a i liti colonne, ed alle ai
Ar F N
79
Cui strider l’onde a l’attuffar del sole [l’onde a l’attuffar del] sole, parve in seno a l’onda il strider l’onde all’attuffar del sole
Ar An
Pareva [vicino] udir la sera, ˆ [Pareva udir la sera,] Novo di prode incarco pro[d]e prore Parve udir su la sera,
a gl’infiniti a gl’infiniti a gl’infiniti
Ar An
agl’infiniti
N
80
N a b
81
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Ar
82
Del sol caduto, e ’l giorno [s]ol Sol il
Ar An N
79 Ans
Cui sibilar parea ne l’onda il sole. fra l’onde. Cui strider l’onde a l’attuffar del sole Parea, commesse in alto a gl’infiniti Flutti le vele, e c. Parea sul bruno vespro, a gl’infiniti Flutti commessa, ec. Cui sommerso parea stridere il sole.
78 79 F
ed. Ranieri liti, sole (1), con numero di rinvio alla nota 1 di F pp. 43-44 (corrispondente alle Annotazioni alle dieci canzoni, canz. III, vi. 3 «Di questa fama» ecc.) cominciò a scrivere Parea vicino a sera, e cancellato vicino inserì v in ˆ Parea e continuò la nuova stesura sulla medesima riga su la sera (2), con numero di rinvio alla nota di N p. 172 «Di questa fama» ecc. (cf. app. crit. 79 F)
80 Ar N
83 84 85 86 87 88
83
Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo; E rotto di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
Che nasce allor ch’a i nostri è gito al fondo; [gito] giunto ai
Ar
E vinto di natura ogni contrasto, [vinto] [n]atura rotto Natura natura
Ar An
85
Ignot[e]a immensa terra al tu[a]o viaggio
Ar
86
Fu[r] gloria, e del ritorno gloria[,] gloria,
Ar An F
87
A[i.] i rischi. Ahi ahi che conosciuto il mondo Ar ahi, [che] An ma Ai N
88
Non cresce ma si scema, e assai più vasto cresce, [ma] anzi
84
83 And
a b
N
F
Ar An
al fondo. Guidiccioni Son. Questa che tanti secoli ec. e Degna nutrice ec. Poliz. l. 1. stanza 21.
89 90 91 92
89
L’etra sonante e l’alma terra e il mare Al fanciullin, che non al saggio, appare. Nostri sogni leggiadri ove son giti Dell’ignoto ricetto
È al fanciullin che a quello a cui del cielo [È a]l fanciullin che [a quello a cui del cielo] Al fanciullin che non al saggio appare, + [Al fanciullin che] [non al saggio appare], +L’immenso orbe terreno e l’etra e ’l mare L’[immenso orbe terreno] [e l’etra] e ’l mare L’etra sonante e l’alma terra e ’l mare il
Ar An
Gli arcani e de la terra han perso il velo. [Gli arcani e de la terra han perso il velo.] Cui la terra si svela e l’etra e ’l mare. [svela] schiude. [schiude] schiuse. [Cui la terra si schiuse] [e l’etra e ’l mare] Al fanciullin, che non al saggio, appare.
Ar An
91
Nostri beati sogni ove son giti sogni leggiadri
Ar N
92
De l’ignoto ricetto Dell’
Ar N
90
89 And 90 Anb
a b g
N a b g d
L’etra sonante e l’ampia, alma terra. si scopre, svela. Cui svela i fini suoi l’etera (la terra) e ’l mare. Cui l’etra i fini suoi rivela e ’l mare. Cui lor fini svelar la terra (l’etera) e ’l mare.
89 An b cancellato questo verso e il seguente 90 An g, gli ha preposto una croce, ripetuta come segno di richiamo nel margine destro davanti ai due versi L’immenso orbe terreno e l’etra e ’l mare | Al fanciullin, che non al sag gio, appare scritti con penna diversa da quella delle altre annotazioni marginali; ma siccome è la stessa penna dei due segni di croce, quei due versi (insieme con la variante 89 And) furono scritti fin da principio a margine per mancanza di spazio, e non sono dunque una variante accettata in un secondo momento
93 94 95 96 97 98
D’ignoti abitatori, o del diurno Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta? Ecco svaniro a un punto, E figurato è il mondo in breve carta;
93
D’ignoti abitatori, [e]o del [not.] diurno
Ar
94
De gli astri albergo, e del rimoto letto Degli
Ar N
95
De la giovane aurora, e del notturno [a]urora, Aurora, Della
Ar An
96
Occulto sonno del maggior pianeta?
Ar
97
Sete svaniti a un punto. [Sete] [svaniti] punto[.] Ecco svaniro punto,
Ar An
98
Ecco [tu] descritto il mondo in breve carta, Ar [Ecco descritto il mondo] carta[,] An E figurato è ’l carta; mondo B24 carta, F è il carta; N
N
98 And
Chè figurato.
93 Ar 96 F
e del [not.] cf. v. 95 e del notturno pianeta (2)? con numero di rinvio alla nota 2 di F pp. 44-46 (corrispondente alle Annotazioni alle dieci canzoni, canz. III, vii. 5 «Al tempo che» ecc.) pianeta (3)? con numero di rinvio alla nota di N pp. 173-174 «Mentre la notizia» ecc. (corrispondente alla nota 2 di 96 F, vd. app. crit.) Ecco [tu] cf. v. 99 Ecco tutto cancellato inavvertitamente anche mondo
N 98 Ar An
99 100 101 102 103 104
99
Ecco tutto è simile, e discoprendo, Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta Il vero appena è giunto, O caro immaginar; da te s’apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
Ecco tutto è simile, sim[i]le[,] simíle; simíle[;] simíle, simile, simíle simìle, simile,
e discoprendo, e [discoprendo,] e ritrovando,
e discoprendo,
Ar An
b B24 Bc F N
100 Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
Ar
101 Il vero appena è giunto,
Ar
102 O caro immaginar; da te s’apparta
Ar
103 Nostra mente per sempre; a lo stupendo sempre[;] sempre, [per sempre], a l[o] [stupendo] in eterno; a l’ ammirando a lo stupendo allo
Ar
104 Poter tuo primo ne sottraggon gli anni, anni[,] anni; anni[;] anni, anni;
Ar An
99 And
a
a b
An F N a b N
Pari è ’l novo a l’antico. è ’l novello al prisco. Pari il. Tutto a tutto somiglia. Questo a quel s’assimiglia. Le cose il vero agguaglia.
105 106 107 108
E il conforto perì de’ nostri affanni. Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Sole splendeati in vista, Cantor vago dell’arme e degli amori,
105 E rifugio non resta a i nostri affanni. [E rifugio non resta a i] E ’l conforto mancò de’ [de’] de i [de i] de’ [conforto] refugio [E ’l] [refugio] [mancò] [de’] E il conforto perì de’
Ar An
106 Nascevi a’ dolci sogni intanto, e ’l primo a a’ ai il
Ar B20 An N
107 Sole splendeati in vista[,],
Ar
108 Cantor vago de l’armi e de gli amori arm[i] arme dell’ degli amori,
Ar
a b g d e
a b
N
105 And
perfugium laborum, fortunae miserae, rebus adversis, e t c. Cic.
105 An
g de’ con la penna della correzione precedente, e sulla stessa riga; d refu gio sotto [conforto]; tutte le correzioni a-d sono sotto il verso stampato; e è al di sopra del verso virgola cancellata (perché pareva un prolungamento della g di sogni v. 106) e ripetuta a fianco gli forse modifica l’
107 Ar 108 Ar
109 110 111 112 113 114
Che in età della nostra assai men trista Empièr la vita di felici errori: Nova speme d’Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri, O giardini, o palagi! a voi pensando, In mille vane amenità si perde
109 Che in età de la nostra assai men trista Ch[e] Ch’ Ch[’] Che della de[l]la de la della
Ar
g B20 An N
110 Empièr la vita di felici errori:
Ar
111 Nova speme d’italia. O torri o celle [i]talia. O torri o celle Italia. O torri o celle O torri, o celle,
Ar An
112 O donne o cavalieri O donne, o cavalieri,
Ar F
113 O giardini o palagi, a voi pensando pensando, O giardini, o palagi! a voi pensando,
Ar An F
114 In mille vane amenità si perde
Ar
114 Ans And
a b
F
Fra. PERDERSI detto similmente è nella Crusca §. 17. si dice anche PERDERSI D’ANIMO ec. e SMARRIRSI si dice in cento modi, ed
è tutt’uno. 109 Ar
g lettera del 26 maggio 1820 (vd. app. crit. v. 67): «vorrei che si scrivesse ... Che in età della nostra assai men trista»
115 116 117 118 119 120 121
La mente mia. Di vanità, di belle Fole e strani pensieri Si componea l’umana vita: in bando Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde È spogliato alle cose? Il certo e solo Veder che tutto è vano altro che il duolo. O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
115 L’ingegno mio. Di vanità, di belle La mente mia.
Ar F
116 Fole, e strani pensieri Fole[,]
Ar An
117 L’umana vita era composta; in bando [L’] [umana] [vita] [era composta;] Si componea l’umana vita:
Ar
a b
118 Gli cacciammo: or che resta? or poi che ’l verde Ar Li il N 119 È rapito a le cose? il certo e solo [rapito] spogliato alle Il
Ar An
120 Veder che tutto è vano altro che ’l duolo. il
Ar N
121 O Torquato o Torquato, a noi promesso O Torquato, o Torquato, a noi promesso a noi l’eccelsa
Ar F N
118 Ans
N
Gli scacciammo. Discacciare e scacciare è lo stesso che cacc i a r e, fuor della pro-| An p o s i z i o n e, la qual potrà valere quanto la latina EX: e quindi SCACCIARE sarà come CACCIAR FUORI. Resta dunque luogo ad altra proposizione dinotante non il donde ma[x] il dove la tal cosa sia cacciata; vale a dire nel caso nostro, IN BANDO. Vedi nel Forcellini il verbo expellere congiunto a preposizioni e casi di luogo, come IN RIPAM, IN AURAS, ec. b
122 123 124 125 126
Tua mente allora, il pianto A te, non altro, preparava il cielo. Oh misero Torquato! il dolce canto Non valse a consolarti o a sciorre il gelo Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda,
122 Eri tu allora, il pianto allora[,] allora; Tua mente allora,
Ar An
123 A te, null’ altro prometteva il cielo. [null’]altro, [c]ielo. non Cielo. cielo. preparava
Ar An
124 O misero Torquato, Oh Torquato[,] Torquato; Torquato!
Ar An
N
il dolce canto il il il
F N
N
125 Non valse a consolarti, o a sciorre il gelo consolarti[,]
Ar An
126 Onde il cor ti cingea [ch’e] [Onde] Di che [Di che] [il] [cor ti cingea] Onde l’alma t’avea ch’era sì calda avean ch’era sì calda avean, calda,
Ar
123 And Ans
125 And 126 Ar
a b g d
An
preparava, destinava. Ahi NULL’ALTRO che pianto ec. Petr. Canz. Standomi un giorno. Quel tanto a me, NON PIÙ, del viver giova. Petr. ap. la Crus. v. Giovare. §. 1. Consolarti non valse, o sciorre. a sembra aver voluto scrivere dapprima un endecasillabo Onde il cor ti cingea ch’era sì caldo (cf. v. 127) e dopo la cancellazione [ch’e] ha lasciato l’emistichio come settenario d n pare inserita fra avea e ch’, dove non c’è lo spazio che separa le altre parole
127 128 129 130 131 132
Cinta l’odio e l’immondo Livor privato e de’ tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T’abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il nulla, e il mondo Inabitata piaggia. Al tardo onore
127 Ch’era si caldo, i neri odi e [Ch’era si caldo, i neri odi e] Raggricchiata [Raggricchiata] Cinta l’odio e 128 Livor [Livor] Rancor
privato
l’immondo l’immondo l’immondo
Ar
g
l’immondo
ˆ e de’ tiranni. Amore,
Ar
Ar An
130 T’abbandonava. Ombra reale e salda
Ar
131 Ti parve il nulla, e ’l mondo il
Ar N
132 Tutto un deserto. Onor che giova a un core [Tutto un deserto.][Onor che giova a un core] Inabitata piaggia. Al tardo onore
Ar An
127 Ar 128 Ar 129 Ar 132 N
a b g
[privato] del volgo [Rancor] [del volgo] Livor privato e de’ tiranni. Amore, ˆ ˆ 129 Amor di nostra vita ultim[a]o [ste] inganno Amor, inganno,
129 And 132 And
a b
d
Amor, degli alti cori. agli alti cori. ec. a l’alte menti. Vota stanza de l’eco. a si per errore in luogo di sì g può essere anteriore a b Moroncini: «quasi certamente l’A. voleva scrivere s t e l l a» (per reminiscenza della rima con un verso di stesura di cui non si ha traccia?) onore (4) con numero di rinvio alla nota di N p. 174 «Di qui alla fine della stanza si ha riguardo» ecc. (corrispondente alla nota 3 di 135 F, vd. app. crit.)
133 Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno, 134 L’ora estrema ti fu. Morte domanda 135 Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
133 Tolto d’error? Sollievo a te non danno Ar [Sollievo] sollievo [Tolto][d’error?] [sollievo] [a te] [non danno] Se già d’inganno uscìo? [morte] [non] sorte Lnon danno [Se già] Poi che [Poi che d’inganno uscìo? sorte An Lnon] danno Non sorser gli occhi tuoi; non cura o danno [non cura o] d[a]nno mercè, non dánno, danno, B24 134 Ma ventura ti fu. Morte domanda [Ma] [ventura] Ti [Ti] L’ultim’ora L’[ultim’ora] L’estrema ora L’ora estrema
N
135 Chi ’l nostro mal conobbe, e non ghirlanda. [’l]
Ar An
133 And
Ar
a b g d a b
a b g d
Non gli occhi tuoi, non si levar: non danno. Non si levar gli sguardi tuoi. Gli sguardi tuoi non si levar. Non tu levasti il pigro cor. Non tue pupille si levar.
133 An b m di mercè scritta sulla congiunzione o di a 134 Ar b Ti avviava un verso con tutt’altro andamento, che fu sùbito scartato 135 F ghirlanda (3). con numero di rinvio alla nota 3 di F p. 46 (corrispondente alle Annotazioni alle dieci canzoni, canz. III, ix. 12 «Si ha rispetto» ecc.); cf. 132 N app. crit.
136 137 138 139 140 141 142 143
Torna torna fra noi, sorgi dal muto E sconsolato avello, Se d’angoscia sei vago, o miserando Esemplo di sciagura. Assai da quello Che ti parve sì mesto e sì nefando, È peggiorato il viver nostro. O caro, Chi ti compiangeria, Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
136 Torna torna fra noi, sorgi dal muto [dal] da dal
Ar An
137 E sconsolato avello avello,
Ar An
138 Se vuoi strider d’angoscia, o miserando [vuoi strider d’angoscia,] d’angoscia se’ vago, sei
Ar An
a b
N
139 Esempio di sciaura. Assai da quello Esemp[i]o Esemplo quello, sciagura. quello
Ar An B24 N
140 Che ti parve sì mesto e sì nefando nefando,
Ar An
141 È peggiorato il viver nostro. O caro,
Ar
142 Chi ti compiangeria,
Ar
143 Se fuor che di se stesso altri non cura? Se, stesso,
Ar An
138 Ans
Se di pianger.
136 An
pare che, cancellato per errore a invece di l in dal B20, abbia cancellato tutto d[a]l con due tratti obliqui e scritto al di sopra da; l si direbbe aggiunta successivamente in quello forse o corregge una precedente e
139 Ar
144 145 146 147 148
Chi stolto non direbbe il tuo mortale Affanno anche oggidì, se il grande e il raro Ha nome di follia; Nè livor più, ma ben di lui più dura La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
144 Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Ar
145 Affanno anche oggidì, se ’l grande e ’l raro il il
Ar N
146 Or si chiama [Or] [si] [chiama] Ha[n.] nome di Or si chiama [Or si chiama] Ha nome di
follia,
Ar
follia, follia[,] follia;
B20 An
147 Nè livor più ma ben più grave e dura più, [più] [grave] [e] di lui più
Ar An
148 La noncuranza avviene a i sommi? o quale, ai
Ar N
147 Anb 148 Anb Ans
146 Ar
a b
Nè livor già. ma di livor più dura. ma bene. Tasso t. 8. p. 254. fine noncuranza. Crus. v. NONUSO. QUALE per CHI. Past. fido At. 5. sc. 1. Crus. QUALE IN VECE DI CHI, esemp. 2. Niuna cosa può AD UOMO più comoda AVVENIRE, che la dimestichezza d’un altro uomo, spezialmente conforme, avere. Casa, Uff. comuni, fine. b lettera del 26 maggio 1820 (vd. app. crit. v. 67): «vorrei che si scrivesse ... Se ’l grande e ’l raro | Ha nome di follia».
149 150 151 152 153 154
Se più de’ carmi, il computar s’ascolta, Ti appresterebbe il lauro un’altra volta? Da te fino a quest’ora uom non è sorto, O sventurato ingegno, Pari all’italo nome, altro ch’un solo, Solo di sua codarda etate indegno
149 Se più de’ carmi, il computar s’ascolta, [più de’ carmi,] il canto no, ma [il] [canto] [no], [ma] più de’ carmi,
Ar An
150 T’ appresterebbe il lauro un’altra volta? T[’] Ti
Ar An
151 Da te fino a quest’ora uom non è sorto, sorto[,] sorto,
Ar An N
152 O sventurato ingegno, (O ingegno[,] ingegno), O sventurato ingegno,
Ar An
153 Pari [d.] a l’italo nome, altro ch’un solo, all’
Ar N
154 Solo di su[o]a codarda etate indegno
Ar
a b
N
149 And
S’anzi che ’l plettro, il. che i vati. Se innanzi al plettro (Crusca, v. Innanzi preposiz. §. 1.). più che ’l plettro. Se innanzi a i carmi, vati.
149 Ar
l’ultima lettera di ascolta continua con tracce di una lettera non identificabile (o con uno svolazzo che prolunga a) che Leopardi ha cancellato prima di aggiungere a fianco la virgola in ora la a corregge una precedente r con le prime tre lettere di codarda si ritoccano lettere precedenti (cru?)
151 Ar 154 Ar
155 156 157 158 159
Allobrogo feroce, a cui dal polo Maschia virtù, non già da questa mia Stanca ed arida terra, Venne nel petto; onde privato, inerme, (Memorando ardimento) in su la scena
155 Allobrogo feroce, a cui dal polo 156 Maschio Maschi[o] Maschia [Maschia] Disusata Maschia
Ar
valor, non già da questa [valor], virtù, virtù, non [già] da [questa] virtù, non da la virtù, non già da questa
mia mia mia mia
Ar An
b N
157 Stanca ed arida terra,
Ar
158 Scese nel petto;
Ar
onde privato, inerme, inerme[,] inerme, inerme[,]
[petto;] core; core, Venne nel petto; 159 (Memorando ardimento) in su la scena [(] [)] ( )
156 And 157 And 158 And
a b g d
An inerme,
155 Ans
a
B24 F N Ar
a b g
ALLOBROGO si chiama esso Alfieri nella sua Vita dove dice di quel cod. del Petr. mostratogli in Roma. E così il Parini, Canz. IL DONO, v. 1. Insolita, Insueta, Intrepida, Indomita, Generosa, M a g n a n ima, Obbliata. putrida, marcida. In, Nel petto venne. (ma quel NON DA LA MIA si oppone semplicem. a DAL POLO, e non è bisogno che il verbo SCESE gli corrisponda). Discese, Divenne in petto. In, Nel cor discese, divenne.
160 161 162 163 164 165
Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia Questa misera guerra E questo vano campo all’ire inferme Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
160 Mosse guerra a’ tiranni. Almen si dia tiranni[.] [Almen] tiranni: almen
Ar
161 Questa misera guerra
Ar
162 E questo vano campo a l’ire inferme [E questo vano campo] A le schiacciate genti, [A le schiacciate genti,] E questo vano campo all’
Ar
163 Del mondo. Ei primo e sol dentro a l’arena all’
Ar N
164 Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e ’l brutto ch[e] chè che il
Ar An
165 Silenzio or preme a i nostri innanzi a tutto. ai
Ar N
a b
a b
An N
N
162 And 163 Anb
[E questo vano campo]. Ei primo ec. Non il mondo ma l’Alfieri. Così spessissimo i latini, mettono i pronomi, anche i relativi, lontanissimo da’ nomi a cui spettano, benchè molti altri ne siano frapposti fra ess[o]i e i loro pronomi. V. p. e. Æn. 1. 114. dove IPSIUS r isponde ad AENEAE che sta v. 92. + + E in Orazio Od. 37. l. 1. v. 21, QUE˛ risponde non ad altro che a RE G I NA v. 7. Del che v. la lett. di Giordani al Monti, dove disputa di questo luogo col Perticari; ma nessun de’ due ha ragione. DENTRO A L’ARENA. V. Tasso Ger. 13. [Can.] 71.
162 And
cancellato quando l’emistichio è stato accolto nel testo
166 167 168 169 170 171 172
Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera, E morte lo scampò dal veder peggio. Vittorio mio, questa per te non era Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio Conviene agli alti ingegni. Or di riposo Paghi viviamo, e scorti
166 Disdegnando e fremendo, immacolata
Ar
167 Trasse la vita intera,
Ar
168 E morte lo scampò dal veder peggio.
Ar
169 Vittorio mio, questa per te non era
Ar
170 Età nè [seggio] suolo. Altri anni ed altro seggio
Ar
171 È d’uopo a gli alti ingegni. Or di riposo [È] [d’][uopo] [Co]Son d’uopo [Son d’uopo] ˆ È d’uopo ˆ [È d’uopo] Conviene agli
Ar
172 È vago il mondo, e scorti [È vago il mondo,] Paghi viviamo,
167 Ans
Menò. Guidò. (Rem. Fior. più volte[)] nelle ep. d’Ovid.)
167 Ans
Menò. pare aggiunto dopo Guidò ecc.
a b g
An N Ar An
173 174 175 176 177
Da mediocrità: sceso il sapiente E salita è la turba a un sol confine, Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso, Segui; risveglia i morti, Poi che dormono i vivi; arma le spente
173 Siam da mediocrità; sceso è ’l sapiente seco sceso [Siam d]a mediocrità[;] [seco è ’l] sapiente Da mediocrità: sceso il sapiente
Ar B20 B20 Err An
174 E salita la turba a un sol confine salita è ˆ confine,
Ar An
175 Che ’l mondo agguaglia. O scopritor famoso, il
Ar N
176 Segui, risveglia i morti Segui[,] morti, Segui;
Ar An
177 Poi che dormono i vivi,
vivi[,] vivi;
173 B20
177 Ar
apri le spente [apri] ergi [ergi] arma
Ar
a b
a b g
An
il 17 luglio 1820 Leopardi scrive al Brighenti sulla stampa della canzone: «esattissima, eccetto in un solo luogo, cioè nell’ottavo verso dell’ultima strofe, dove si legge seco è ’l sapiente, dovendo dire, sceso è ’l sapiente. Siccome questo errore impedisce affatto d’indovinare il mio sentimento, perciò mi prenderei l’ardire di pregarla, a volerlo far correggere a mano, non dico in tutte, ma in un certo numero di copie. In quelle che V.S. si compiacerà di spedire a me ... lo correggerò io stesso» (Epist. ed. Moroncini, II, pp. 58-59 = LF 159, BL 316). Il Brighenti fece in tempo ad aggiungere un carticino, così che a fronte della p. 16 si legge: «ERRATA pag. 16. Vers. 8. seco CORRIGE sceso» b non ergan (Moroncini), « v a r. che evidentemente suppone un diverso svolgimento del discorso poetico» (Bufano): i di ergi è prolungato in modo da dissimulare il punto della i di apri (a), e a sua volta sarà quello di ergi dissimulato (g) dalla a iniziale di arma
178 Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine 179 Questo secol di fango o vita agogni 180 E sorga ad atti illustri, o si vergogni.
178 Voci de’ prischi eroi, tanto che [infi] in fine Ar [Voci] Glorie [Glorie] Lingue de’ ˆ eroi[,] An eroi; 179 Questo secol di fango o [lode a] vita agogni
Ar
180 E sorga ad alti alt[i] alte a[l]t[e] atti
Ar
fatti, o si vergogni. [fatti][,] gesta, [gesta,] illustri,
a b g
a b g
IV. NELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
Poi che del patrio nido I silenzi lasciando, e le beate Larve e l’antico error, celeste dono, Ch’abbella agli occhi tuoi quest’ermo lido, Te nella polve della vita e il suono Tragge il destin; l’obbrobriosa etate Che il duro cielo a noi prescrisse impara, Sorella mia, che in gravi E luttuosi tempi L’infelice famiglia all’infelice Italia accrescerai. Di forti esempi Al tuo sangue provvedi. Aure soavi L’empio fato interdice All’umana virtude, Nè pura in gracil petto alma si chiude.
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
O miseri o codardi Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso Tra fortuna e valor dissidio pose Il corrotto costume. Ahi troppo tardi, E nella sera dell’umane cose, Acquista oggi chi nasce il moto e il senso. Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda Questa sovr’ogni cura, Che di fortuna amici Non crescano i tuoi figli, e non di vile Timor gioco o di speme: onde felici Sarete detti nell’età futura: Poichè (nefando stile, Di schiatta ignava e finta) Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
31
Donne, da voi non poco
32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45
La patria aspetta; e non in danno e scorno Dell’umana progenie al dolce raggio Delle pupille vostre il ferro e il foco Domar fu dato. A senno vostro il saggio E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno Col divo carro accerchia, a voi s’inchina. Ragion di nostra etate Io chieggo a voi. La santa Fiamma di gioventù dunque si spegne Per vostra mano? attenuata e franta Da voi nostra natura? e le assonnate Menti, e le voglie indegne, E di nervi e di polpe Scemo il valor natio, son vostre colpe?
46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60
Ad atti egregi è sprone Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto Maestra è la beltà. D’amor digiuna Siede l’alma di quello a cui nel petto Non si rallegra il cor quando a tenzone Scendono i venti, e quando nembi aduna L’olimpo, e fiede le montagne il rombo Della procella. O spose, O verginette, a voi Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno È della patria e che sue brame e suoi Volgari affetti in basso loco pose, Odio mova e disdegno; Se nel femmineo core D’uomini ardea, non di fanciulle, amore.
61 62 63 64 65 66 67 68 69 70
Madri d’imbelle prole V’incresca esser nomate. I danni e il pianto Della virtude a tollerar s’avvezzi La stirpe vostra, e quel che pregia e cole La vergognosa età, condanni e sprezzi; Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto Agli avi suoi deggia la terra impari. Qual de’ vetusti eroi Tra le memorie e il grido Crescean di Sparta i figli al greco nome;
71 72 73 74 75
Finchè la sposa giovanetta il fido Brando cingeva al caro lato, e poi Spandea le negre chiome Sul corpo esangue e nudo Quando e’ reddia nel conservato scudo.
76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90
Virginia, a te la molle Gota molcea con le celesti dita Beltade onnipossente, e degli alteri Disdegni tuoi si sconsolava il folle Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri Nella stagion ch’ai dolci sogni invita, Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe Il bianchissimo petto, E all’Erebo scendesti Volonterosa. A me disfiori e scioglia Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti, Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto Del tiranno m’accoglia. E se pur vita e lena Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.
91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105
O generosa, ancora Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole Ch’oggi non fa, pur consolata e paga È quella tomba cui di pianto onora L’alma terra nativa. Ecco alla vaga Tua spoglia intorno la romulea prole Di nova ira sfavilla. Ecco di polve Lorda il tiranno i crini; E libertade avvampa Gli obbliviosi petti; e nella doma Terra il marte latino arduo s’accampa Dal buio polo ai torridi confini. Così l’eterna Roma In duri ozi sepolta Femmineo fato avviva un’altra volta. An B24
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5) autografo con correzioni e note, da cui fu tratto il testo per la stampa di B24 pp. 53-59
data Ottob. e Nov. 1822. 182[2]. 1821.
An
a b
tit.
Negli sponsali della sorella Paolina. Ne[g]l[i] [sponsali] Nelle nozze
An
a b
NELLE NOZZE | DELLA SORELLA LPAOLINA
B24
IV. | NELLE NOZZE | DELLA SORELLA LPAOLINA.
F
tit. And
Bc F N Nc data tit.
BEROE SOROR, Georg. 4. 341. QUINTUS FRATER ec. ec. omesso il pronome.
pp. 47-51 pp. 30-34
solo in An B24 p. 53; a p. 51 l’occhiello: NELLE NOZZE | DELLA SORELLA PAOLINA | CANZONE QUARTA
1 2 3 4 5 6 7
Poi che del patrio nido I silenzi lasciando, e le beate Larve e l’antico error, celeste dono, Ch’abbella agli occhi tuoi quest’ermo lido, Te nella polve della vita e il suono Tragge il destin; l’obbrobriosa etate Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
1
Poi che del patrio nido
An
2
I silenzi lasciando, e le beate
An
3
Larve e l’antico error, celeste dono,
An
4
Che abbella a gli occhi tuoi quest’ermo li[t.]do, An Ch[e] Ch’ agli N
5
Te ne la polve de la vita e ’l suono nella della e il
An N
6
Tragge il destin; la obbrobriosa etate l[a] l’
An
a b
7
Che ’l duro cielo a noi prescrisse, impara, prescrisse[,] il
An
a b
7 And
PRESCRIVERE
a b
N
p. COMANDARE Past. fido atto 5. sc. [x]2. sulla fi-
ne. 4 An
7 An
la forma della d suggerisce che Leopardi avesse cominciato a scrivere t; cf. lito > lido VIII. Inno ai Patriarchi 104 Anf, lido W lito VII. Alla Pri mavera 69 An a e 68 And, lito I. All’Italia 99, III. Ad Angelo Mai 78, VII. Alla Primavera 86 Anb, VIII. Inno ai Patriarchi 70 e 103 Anf forse a finale di impara scritta su o
8 9 10 11 12 13 14
Sorella mia, che in gravi E luttuosi tempi L’infelice famiglia all’infelice Italia accrescerai. Di forti esempi Al tuo sangue provvedi. Aure soavi L’empio fato interdice All’umana virtude,
8
Sorella mia, che in gravi
An
9
E luttuosi tempi
An
10
L’infelice famiglia a l’infelice all’
An N
11
Italia accrescerai. Di forti esempi
An
12
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
An
13
L’empio fato interdice
An
14
A l’umana virtude virtude, All’
An
13 And Ans
8 An
13 And
a b
N
(interdice. G. de’ Conti Capit. 3. Parnaso p. 183.) L’eneo fato.
l’autografo, la cui prima stesura è già una bella copia, mantiene un intervallo costante fra ciascun verso e il seguente, ma qui, nello spazio che in questa facciata occupano cinque versi, ne sono stati scritti nove (8-16); dunque, dopo il v. 8, Leopardi continuò la stesura con il v. 16 (che comincia la seconda strofa), lasciando in bianco lo spazio che ritenne sufficiente a contenere alcuni versi non ancora giunti a compiuta elaborazione (così come fece al v. 104, dove ozi è chiaramente inserito in un secondo tempo, e cf. VI. Bruto minore 59 An app. crit.), ma poiché tutte le strofe constano di quindici versi, è palese che calcolò male lo spazio, così che i versi inseriti successivamente sono più fitti e in caratteri più piccoli le parentesi isolano la nota, che comincia sulla stessa linea del v. 13 ed è scritta con la stessa penna
15 16 17 18 19 20 21
Nè pura in gracil petto alma si chiude. O miseri o codardi Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso Tra fortuna e valor dissidio pose Il corrotto costume. Ahi troppo tardi, E nella sera dell’umane cose, Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
15
Nè pura in fragil petto alma si chiude. [f]ra[g]il gracil
An
16
O miseri o codardi
An
17
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
An
18
Tra fortuna e valor dissidio pose
An
19
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi tardi,
An F
20
E ne la sera de[ll] le umane cose l[e] l’ cose, nella dell’
An F N
Acquista oggi chi nasce il moto e ’l senso. e il
An N
21
15 Ans
19 Ans 21 And Ans 19 Ans
a b
a b
Nè giusta (degna, dritta) in fragil core alma (cor voglia) si chiude. Nè giusta in petto fral voglia (frale alma) si chiude. Nè dritta voglia in petto fral[e] (in frale alma) si chiude. [NEFANDO] PERVERSO L’atteggiai, l’avvivai, le diedi IL MOTO (alla pittura). Caro, intorno al Masaccio. il moto e ’l senso. Rucell. Api. v. 690. nefando cancellato dopo avere scritto perverso
22 23 24 25 26
22
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda Questa sovr’ogni cura, Che di fortuna amici Non crescano i tuoi figli, e non di vile Timor gioco o di speme: onde felici
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda [c]iel [sieda] Ciel segga [segga] segga s[egg]a sieda ciel
An
23
Questa sovr’ogni cura,
An
24
Che di fortuna amici
An
25
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
An
26
Timor gioco o di speme: onde felici
An
22 Anp 23 And
Anp 22 An
a b g d
F
SIEDA. Speroni Oraz. agl’infiammati, principio. Tasso, Ger. 7. 6[x]1. Ruscelli Rimar. e infiniti altri. Tasso Gerus. 19. 116. così diciamo SOPRA OGNI COSA, SOPRA TUTTI, SOPRA T U T TO senz’aggiunta di ALT RO. SOPRA CIASCUNO. Chiabr. Vita. p. xxviii. Machiav. Asino d’oro, cap. 8. v. 105. SOVR’OGNI CURA . Tasso Gerus. 19. 129.
lo sviluppo della correzione non è chiaro: cancellato l’iniziale sieda di a, deve avere scritto, al di sotto, segga (b) , perché anche questa parola è cancellata, mentre quella al di sopra della linea non è cancellata ma solo ritoccata in alcune lettere, ed è quindi scrittura successiva; poiché non avrà cancellato segga di b per riscriverlo identico al di sopra, dove per di più si collocava poco bene per un’interferenza dell’occhiello della d di sieda a (e infatti in questo segga g vi è una sensibile distanza fra la seconda g e a, ai due lati di quell’occhiello e senza traccia di altra lettera nel mezzo), è da ritenere che in b abbia cominciato a scrivere seggia (cf. XVIII. Alla sua donna 36 var. sedendo W seggendo), ma si sia fermato a seggi e abbia modificato i (che pare ravvisabile) in una a risultata di aspetto abnorme
27 28 29 30 31 32 33 34 35
Sarete detti nell’età futura: Poichè (nefando stile, Di schiatta ignava e finta) Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta. Donne, da voi non poco La patria aspetta; e non in danno e scorno Dell’umana progenie al dolce raggio Delle pupille vostre il ferro e il foco Domar fu dato. A senno vostro il saggio
27
Sarete detti ne l’età futura: nell’
An N
28
Poichè (nefando stile stile,
An B24
29
Di schiatta ignava e finta)
An
30
Virtù viva spregiam, lodiamo estinta. sprezziam,
An N
31
Donne, da voi non poco
An
32
La patria aspetta, e non in danno e scorno aspetta[,] aspetta;
An Nc
33
De l’umana progenie al dolce raggio Dell’
An N
34
De le pupille vostre il ferro e ’l foco Delle e il
An N
35
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
An
29 Ans 33 Ans
invida e finta. v. Hor. od. 24. l. 3. v. 32. prosapia[.], famiglia, ma sta nella 1. stanza.
33 Ans
dopo prosapia, muta il punto in virgola e continua su altra riga con diversa penna, cf. 45 Ans app. crit.; il richiamo dopo famiglia si riferisce al v. 10
36 37 38 39 40 41 42 43 44
36
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno Col divo carro accerchia, a voi s’inchina. Ragion di nostra etate Io chieggo a voi. La santa Fiamma di gioventù dunque si spegne Per vostra mano? attenuata e franta Da voi nostra natura? e le assonnate Menti, e le voglie indegne, E di nervi e di polpe
E ’l forte adopra e pensa. pensa. pensa. pensa[.] pensa; il
A voi d’intorno [A voi d’intorno] ˆ E quanto il giorno ˆ [E] e
An
g N
37
Di questa vita si consuma il verde. [Di questa vita si consuma il verde] Col divo carro accerchia, a voi s’inchina.
An
38
Ragion di nostra etate
An
39
Io chieggio a voi. La santa chieggo
An F
40
Fiamma di gioventù dunque si spegne
An
41
Per vostra mano? attenuata e franta
An
42
Da voi nostra natura? [E] e le inchinate [inchinate] assonnate
An
43
Menti, e le voglie indegne,
An
44
E di nervi e di polpe
An
37 Ans 44 And 44 And
a b
a b
a b
illustra, esplora. a voi s’inchina. Past. fido, atto 3. coro. (nervi e polpe. G. de’ Conti Capit. 3. Parnaso p. 180.) le parentesi isolano la nota, che comincia sulla stessa linea del v. 44 ed è scritta con la stessa penna
45 46 47 48 49 50 51
45
46
Scemo il valor natio, son vostre colpe? Ad atti egregi è sprone Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto Maestra è la beltà. D’amor digiuna Siede l’alma di quello a cui nel petto Non si rallegra il cor quando a tenzone Scendono i venti, e quando nembi aduna
Scemo il v[i]alor natío son vostre colpe? nat[í]o natio natio,
An
A’ A[’] A Ad
An
forti fatti è sprone [forti] [fatti] ˆ gli atti egregi ˆ atti egregi
a b
N a b
N
47
Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto
An
48
Maestra è la beltà. D’amor digiuna
An
49
Siede l’alma di quello a cui nel petto
An
50
Non brilla, amando, il cor quando a tenzone Non si rallegra il cor
An N
51
Scendono i venti, e quando nembi aduna
An
45 Ans
Manco MISURA SCEMA, LUOGO, MONTE SCEMO (Crusca) vale MANCANTE, e però come questo può ricevere il genit. e collo stesso senso. Anche MANCANTE che pur s’accompagna col genit. e significa PRIVO, originariam. vale lo stesso che SCEMO, dal lat. MANCUS. Scemo il PATRIO (cioè natio) valor. Hor. Od. 4. 4. v. 5.
45 An
aveva cominciato a scrivere vigor, cioè Scemo il vigor natio; cf. VIII. In no ai Patriarchi 54 Domo il vigor natio, var. Scemo il patrio vigor con il medesimo riferimento ad Orazio citato per questo verso Scemo il patrio ecc. lontano dal verso a cui si riferisce e scritto con altra penna, identica a quella dell’aggiunta famiglia ecc. 33 Ans Manco sotto Scemo del verso, per mancanza di spazio; dunque posteriore alle altre note marginali
Ans
52 53 54 55 56 57 58 59
L’olimpo, e fiede le montagne il rombo Della procella. O spose, O verginette, a voi Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno È della patria e che sue brame e suoi Volgari affetti in basso loco pose, Odio mova e disdegno; Se nel femmineo core
52
L’Olimpo, e fiede le montagne il rombo [O]limpo olimpo
An
53
De la procella. O spose, spose spose, Della
An B24 F N
54
O verginette, a voi
An
55
Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno
An
56
È de[l.] la patria, e chi sue brame e suoi patria[,] ch[i] che della
An
57
An
58
Odio mova e disdegno;
An
59
Se pure a voi nel core [pure] [a] [voi] [nel] nel femmineo fem[m]ineo femmineo
An
Luridi (Monti. LURIDI MOSTRI.)
a b
N
Codardi affetti in basso loco pose, [Codardi] Volgari Vulgari Volgari Volgari
57 Ans
a b
a b
B24 B24 Err Bc a b g B24
60 61 62 63 64 65 66 67
D’uomini ardea, non di fanciulle, amore. Madri d’imbelle prole V’incresca esser nomate. I danni e il pianto Della virtude a tollerar s’avvezzi La stirpe vostra, e quel che pregia e cole La vergognosa età, condanni e sprezzi; Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto Agli avi suoi deggia la terra impari.
60
D’uomini ardea non di fanciulle amore. ardea, fanciulle,
61
Madri d’imbelle prole
An
62
V’incresca esser nomate. I danni e ’l pianto e il
An N
63
De la virtude a tollerar s’avvezzi Della
An N
64
La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
An
65
Il vergognoso tempo, aborra e sprezzi; abborra La vergognosa età, condanni
An B24 N
66
Cresca a la patria, e gli alti fatti, e quanto [fatti], gesti, alla
An
A gli avi suoi deggia la terra impari. impari[.] impari: impari[:] impari. Agli
An
67
65 And Ans 66 Ans
67 An
An N
a b
N a b g N
nequitoso. Oggi la turpe età, condanni. Il pestifero, VENENOSO, venefico. GESTI. Tasso, Ger. 17. 87. e altri moltiss. Casa or. 1. p. la lega. p. 9. il punto di a è dissimulato in b prolungando la i finale di impari con una linea, trasformata poi (g) in uno svolazzo che copre i due punti
68 69 70 71 72 73 74
Qual de’ vetusti eroi Tra le memorie e il grido Crescean di Sparta i figli al greco nome; Finchè la sposa giovanetta il fido Brando cingeva al caro lato, e poi Spandea le negre chiome Sul corpo esangue e nudo
68
Qual de’ vetusti eroi
An
69
Fra le memorie e ’l grido [Fra] ˆ Tra e il
An
70
Crescean di Sparta i figli al Greco nome; [G]reco greco
An
a b
71
Finchè la sposa giovanetta il fido Fin[chè] ˆ Fin che Finchè
An
a b
a b
N
N
72
Brando cingeva al caro lato; e poi lato[;] lato,
An
73
Spandea le negre chiome
An
74
Sul corpo esangue e nudo
An
a b
75 76 77 78
75
Quando e’ reddia nel conservato scudo. Virginia, a te la molle Gota molcea con le celesti dita Beltade onnipossente, e degli alteri
Quando
riedea nel conservato scudo. [riedea] redia red[ia] reddia [reddia] reddia ˆ Quando e’ reddia
F
76
Virginia, a te la molle
An
77
Guancia blandia con le celesti dita [Guancia] [blandia] Gota molcea
An
78
Beltade onnipossente, e de gli alteri degli
An N
75 And Ans 77 And Ans
75 An
77 Ans
An
a b g d
a b
QUANDO E’ REDDIA. Il dittongo di riedere non è mobile come quello di sedere, ma immobile come di fiedere, chiedere ec. che sono [della] verbi della stessa forma. GOTA MOLCEA. REDIA — BLANDIA . Et Iovis arcanis Minos ADMISSUS, h abentque Tartara Panthoiden iterum Orco DEMISSUM. Orazio. colle, con le rosee dita (rJododavktuloı). con le vezzose dita. cancellato riedea, (b) ha scritto al di sopra redia e poi (g) ha modificato ia in di ed ha aggiunto a; ma risultando un po’ confusa la scrittura, (d) ha cancellato e ripetuto reddia con segno di inserzione sotto la parola e sulla linea del verso prima di nel per l’incertezza su queste forme di riedere vd. la lettera del 7 giugno 1822 (Epist. ed. Moroncini, II, p. 170 = LF 213, BL 446) in cui si chiedeva al Melchiorri se nella Crusca «tra gli esempi portati al verbo Riedere, ve ne fosse alcuno dove si trovasse l’imperfetto indicativo di questo verbo; cioè qualch’esempio dove si dicesse riedea, o riedeva, riedeano, rie devano ec.» collega inavvertitamente alla parentesi la linea che isola l’annotazione 87 Ans
79 80 81 82 83 84 85 86 87
Disdegni tuoi si sconsolava il folle Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri Nella stagion ch’ai dolci sogni invita, Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe Il bianchissimo petto, E all’Erebo scendesti Volonterosa. A me disfiori e scioglia Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti, Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto
79
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
An
80
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
An
81
Ne la stagion ch’ a i dolci sogni invita, ch[’]a [i] che a’ ch’ a i invita invita, Nella ai
An
82
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
An
83
Il bianchissimo petto,
An
84
E a l’Erebo scendesti all’
An N
85
Volonterosa. A me disfiori e scioglia
An
86
Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti,
An
87
Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto tomba[,] tomba,
An
79 Anb Ans 81 And 85 Ans 87 Ans
a b
B24 F N
a b
N
neut. pass. come SCONFORTARSI. rattristava. sbigottiva. sconfortava. seco doleasi, struggeasi. dolor premeva. travagliava. Tasso, Ger. 3. 69. SCIOGLIA, ACCOGLIA. V. il Rimar. del Petr. ec. e il Torto e Diritto, c. 22. [)] ’l sozzo letto. SCONSOLARSI
88 89 90 91 92 93 94 95
Del tiranno m’accoglia. E se pur vita e lena Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena. O generosa, ancora Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole Ch’oggi non fa, pur consolata e paga È quella tomba cui di pianto onora L’alma terra nativa. Ecco alla vaga
88
Del tiranno m’accoglia.
An
89
E se pur vita e lena
An
90
Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena. del dal dal
An B24 B24 Err Bc
91
O generosa, ancora
An
92
Che più bello a’ tuoi dì splen[g]desse il sole
An
93
Ch’oggi non fa, pur consolata e paga
An
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È quella tomba che di pianto onora [che] cui
An
a b
95
La patria terra. Ecco a la smorta e vaga An [La patria terra] [a] [la] [smorta] [e] L’alma terra nativa. a la alla N
a b
90 And 92 Ans 95 Ans 92 Ans
E TU. V. molti esempi di tal uso della partic. E, nelle note alla Vita del Cell. Mil. 1806-11. p. 406-7. vol. 2. sorgesse, LUCESSE[.], FULGESSE, NASCESSE. natale, paterna (Ovid. ap. Forcell.).
dopo lucesse il punto è stato trasformato in una virgola in séguito all’aggiunta di fulgesse ecc. con altra penna ed. Ranieri Sole
96 97 98 99 100 101 102 103 104 105
Tua spoglia intorno la romulea prole Di nova ira sfavilla. Ecco di polve Lorda il tiranno i crini; E libertade avvampa Gli obbliviosi petti; e nella doma Terra il marte latino arduo s’accampa Dal buio polo ai torridi confini. Così l’eterna Roma In duri ozi sepolta Femmineo fato avviva un’altra volta.
96
Tua spoglia intorno la romulea prole
An
97
Di nova ira sfavilla. Ecco di polve
An
98
Lorda il tiranno i crini, crini;
An N
99
E libe[t.]rtade avvampa
An
100 Gli obbliviosi petti, e ne[ll] la doma petti; e nella
An N
101 Terra il Marte latino arduo s’accampa [Marte] ˆ marte
An
102 Dal buio polo a i torridi confini. ai
An N
103 Così l’eterna Roma
An
104 Ne’ duri ozi sepolta In
An F
105 Femineo fato avviva un’altra volta. Femmineo Femineo Femmineo
An B24 F N
101 Anp 104 Ans
Nè così freme il mar quando l’oscuro Turbo discende e MEZZO SE GLI ACCAMPA. Ar. Fur. 10. 40. Ne’ tristi. In tristi. In dure ombre.
104 An
vd. 8 An app. crit.
a b
IN
V. A UN VINCITORE NEL PALLONE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
Di gloria il viso e la gioconda voce, Garzon bennato, apprendi, E quanto al femminile ozio sovrasti La sudata virtude. Attendi attendi, Magnanimo campion (s’alla veloce Piena degli anni il tuo valor contrasti La spoglia di tuo nome), attendi e il core Movi ad alto desio. Te l’echeggiante Arena e il circo, e te fremendo appella Ai fatti illustri il popolar favore; Te rigoglioso dell’età novella Oggi la patria cara Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26
Del barbarico sangue in Maratona Non colorò la destra Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, Che stupido mirò l’ardua palestra, Nè la palma beata e la corona D’emula brama il punse. E nell’Alfeo Forse le chiome polverose e i fianchi Delle cavalle vincitrici asterse Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.
27 28 29 30 31
Vano dirai quel che disserra e scote Della virtù nativa Le riposte faville? e che del fioco Spirto vital negli egri petti avviva Il caduco fervor? Le meste rote
32 33 34 35 36 37 38 39
Da poi che Febo instiga, altro che gioco Son l’opre de’ mortali? ed è men vano Della menzogna il vero? A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse Natura stessa: e là dove l’insano Costume ai forti errori esca non porse, Negli ozi oscuri e nudi Mutò la gente i gloriosi studi.
40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52
Tempo forse verrà ch’alle ruine Delle italiche moli Insultino gli armenti, e che l’aratro Sentano i sette colli; e pochi Soli Forse fien volti, e le città latine Abiterà la cauta volpe, e l’atro Bosco mormorerà fra le alte mura; Se la funesta delle patrie cose Obblivion dalle perverse menti Non isgombrano i fati, e la matura Clade non torce dalle abbiette genti Il ciel fatto cortese Dal rimembrar delle passate imprese.
53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65
Alla patria infelice, o buon garzone, Sopravviver ti doglia. Chiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia, Nostra colpa e fatal. Passò stagione; Che nullo di tal madre oggi s’onora: Ma per te stesso al polo ergi la mente. Nostra vita a che val? solo a spregiarla: Beata allor che ne’ perigli avvolta, Se stessa obblia, nè delle putri e lente Ore il danno misura e il flutto ascolta; Beata allor che il piede Spinto al varco leteo, più grata riede. An
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5) autografo con correzioni e note, steso immediatamente di séguito a quello della canzone IV. Nelle nozze della sorella Paolina (vd. qui p. 151 data app. crit.) e scritto con la stessa penna; da questo autografo fu tratto il testo per la stampa di B24
data Finita l’ult. di Novembre 1821.
An
tit.
A un vincitore nel pallone [v]incitore Vincitore [V]incitore vincitore
An
A UN VINCITORE | NEL PALLONE
B24
V. | A UN VINCITORE | NEL PALLONE.
F
B24 Bc F N Nc data
tit. An
B24
F N
a b g
pp. 63-67 pp. 53-55 pp. 35-37
solo in An; secondo il Moroncini «potrebbe anche riferirsi al canto precedente» IV. Nelle nozze della sorella Paolina, ma in tal caso questa sarebbe l’unica delle canzoni il cui autografo non reca la data, che è sempre stata posta prima del titolo, e il canto precedente sarebbe l’unico a recare due indicazioni cronologiche, l’una al principio e l’altra alla fine del testo trasforma l’iniziale di vincitore in maiuscola allungando le aste di v, e poi cancella quei prolungamenti; due schede separate di annotazioni (che qui si riportano ciascuna al proprio luogo nell’app. crit.) hanno come intestazione lo stesso titolo: A un vincitore nel pallone. (AnpI) e A un vincit. nel pallone. (AnpII); l’autografo dell’abbozzo del canto (pubblicato nell’ed. Moroncini, p. 181, fotografia nell’ed. De Robertis, II, p. 117) reca A un Vincitore NEL [P]pallone p. 63; a p. 61 l’occhiello: A UN VINCITORE | NEL PALLONE | CANZONE QUINTA, con QUINTA stampato su una listella di carta che è stata poi incollata sulla pagina per correggere QUARTA dell’occhiello già stampato; identica correzione in Bc: QUARTA – QUINTA p. 195 nell’indice: A un Vincitore nel pallone p. 164 nell’indice: A un vincitore nel Pallone p. 1 nell’indice: A un vincitore nel pallone
1 2 3 4 5
Di gloria il viso e la gioconda voce, Garzon bennato, apprendi, E quanto al femminile ozio sovrasti La sudata virtude. Attendi attendi, Magnanimo campion (s’alla veloce
1 Di gloria il viso e la gioconda voce,
An
2 Garzon bennato, apprendi,
An
3 E quanto al femminile ozio sovrasti
An
4 La sudata virtude. Attendi attendi,
An
5 Magnanimo campion, se a la veloce campion[,] s[e] (s’ alla
An
3 And Ans 4 And Anb
a b
N
SOVRASTI da SOVRASTARE, come CONTRASTI da CONTRASTARE. V. la Crusca. Casa t. 2. p. 13. fine — soprastino. V. Bartoli
Torto ec. [p.] ^ cap. 257. neghittoso, rugginoso, sonnacchioso. L’OPEROSA. V. Forcellini. sudati cibi. Rucellai Api p. 165. Parnaso.
6 7 8 9
Piena degli anni il tuo valor contrasti La spoglia di tuo nome), attendi e il core Movi ad alto desio. Te l’echeggiante Arena e il circo, e te fremendo appella
6 Fuga de gli anni il tuo valor contrasti Piena degli
An F N
7 La spoglia di tuo nome, attendi e ’l core nome[,]), e il
An
8 Vesti [Vesti Movi
An
d’ alto desio. Te l’echeggiante d] ad
9 Arena e ’l circo, e te fremendo app[l.]ella e il
a b
N a b
An N
6 AnpI strofe 1. verso [1]6. CONTRASTI ec. CONTRASTARE vuol dir veramente STAR CONTRA. Ma CONTRASTARE A UNO UNA COSA è di quelle tante figure verbali ec. irregolari che l’uso o l’eleganza introduce in dispetto della propria forza, e dell’etimologia delle parole. Diciamo tuttogiorno: CONTRASTARE A UNO L’ENTRATA, LA CORONA ec. QUESTO GLI FU CONTRASTATO ec. Così i francesi CONTESTER , e gli spagnuoli CONTRASTAR . CONTRASTARE CON UNO, o CON ALCUNA COSA si dice (Ang. di Costanzo son. 102); e ^ pur questo ancora è contro l’etimologia di tal verbo. UN NUMEROSO ESERCITO NON TROVANDO IL NEMICO ATTO A CONTRASTARLO (contrastargli). Casa Istruz. al Card. Caraffa. p. 6. e Or. 1. p. la lega p. 3. fine. v. Crus. CONTRASTABILE. contrastargli il passo. Casa Or. 1. p. la lega p. 19. mezzo. AnpII strofe 1. v. 6. CONTRASTANDOGLI IL PASSO. Speroni Diall. ib. p. 166. mezzo. 8 And mosse altri pensieri. Poliz. st. 21. c. 2. stanze. Ans Sveglia. Volgi ad[.], a maschio. 6 AnpI AnpII
7
vd. III. Ad Angelo Mai 15 Anb app. crit. (vd. 23 AnpII app. crit.) si ricollega al foglietto contenente 6 AnpI; questa annotazione segue quella 52 AnpII e ib. si riferisce all’edizione ivi citata; pur è aggiunto sopra la riga, con un segno di inserzione che è ripetuto fra e e questo ed. Ranieri attendi, e il core
10 11 12 13 14
Ai fatti illustri il popolar favore; Te rigoglioso dell’età novella Oggi la patria cara Gli antichi esempi a rinnovar prepara. Del barbarico sangue in Maratona
10 A i fatti illustri il popolar favore; Ai favore: favore[:] favore;
An N Nc
11 Te rilucente [della] [p] de l’età novella [rilucente] rigoglioso dell’
An
12 Oggi la patria cara
An
13 Gli
spenti nomi a [spenti] estinti [Gli] [nomi] [a] L’antiche lodi a Gli antichi esempi
ravvivar prepara. [ravvivar] suscitar [suscitar] [prepara] rinnovar prepara.
14 Non del barbaro sangue in Maratona Del barbarico
10 Ans 11 Ans 13 And Ans 14 And 11 Ans 13 An
a b
N An
a b g
F An N
Ai chiari fatti. Te rigoglioso. lieto della forte. Te (misera cui negra onda flagella) Te (lassa cui fatale ira flagella) ristorar, SUSCITAR, rinnovar, rintegrar. Le spente, prische lodi. I nomi antichi. Gli antichi. Del prisco tempo a la virtù. ’EN Maraϕw`ni prokinduneus. Demost. peri; steϖ. Te (lassa ecc. di diversa penna estinti scritto sotto spenti perché vi era maggiore spazio che sopra la riga (dove era di ostacolo p di patria del verso precedente), e poi non cancellato per una svista
15 16 17 18 19 20
Non colorò la destra Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, Che stupido mirò l’ardua palestra, Nè la palma beata e la corona D’emula brama il punse. E nell’Alfeo Forse le chiome polverose e i fianchi
15 Sparse l’invitta destra Tinse Tinse Non colorò la
An Bc F N
16 Que’ che gli atleti ignudi e ’l campo Eleo, [E]leo, eleo, Quei e il
An
17 Che stupido mirò l’ardua palestra,
An
18 Nè la palma beata e la corona
An
19 Degna invidia spirogli: e ne l’Alfeo [Degna invidia spirogli:] D’emula brama il punse: punse[: e] punse. E nell’
An
20 Spesso le chiome polverose [i]e i fianchi Forse le chiome Forse le chiome
An Bc F
16 Ans 18 And Ans Anb 19 And Ans Anb 20 An
a b
N
a b g
N
Que’ che rigido e muto.. Vide e le corse e l’orrida palestra. Nè lo morse, gli morse, la palma. Nè la p. lo strinse e. Nè lo vinse la pallida.. Nè la vivida palma. Nè la palma l’attinse. gli attinse.. Di gloriosa invidia. Di magnanima, generosa, invidia. D’emula voglia il punse. D’emula voglia brama, brame, il petto. i scritto per errore e sùbito corretto in e dissimulando il punto con un ampio svolazzo
21 22 23 24 25
Delle cavalle vincitrici asterse Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido
21 De[l] le cavalle vincitrici asterse Delle
An N
22 Tal che le greche insegne e ’l greco acciaro e il
An N
23 Menò de’ Persi fuggitivi e stanchi [Menò] [de’] [Persi] Spinse de’ Medi Guidò
An
a b
F
24 Ne le rotte caterve; onde sonaro [rotte caterve;] pallide torme; Nelle
An
25 Di sconsolato grido
An
a b
N
22 An (Cotal che i greci segni) AnpII v. 9 Greci SEGNI p. INSEGNE. Tratt. I. di S. G. Grisost. della compunz. del cuore. Roma 1817. p. 18. princ.; Crus. ec. 23 And Guidò ne’ Persi — Onde l’ampia Babele; Onde i templi del Foco; Onde gli orti su[b.]perbi, onde sonaro Ans Mise, spinse. AnpII strofe 2. v. 10. MEDI. Così chiamavansi spessissimo i Persiani tra’ greci; onde mhdismo;", e mhdivzein, cioè esser parziale del re di Persia. V. Isocr. Panegir. ^ p. 175. Forcellini v. MEDUS ec. Plutar. in Cimone p. 481. f. in Thes. fine. p. 17. 24 And Nelle pallide (scommesse) torme. 25 And Di paventoso, spaventato, sbigottito, spaurato, lamentoso. Ans Di pianti e di querele I molli atri di Susa e di Babele. 22 An AnpII 23 AnpII
la variante Cotal ecc. scritta sopra il verso per mancanza di spazio v. 9 scil. della «strofe 2» (vd. 23 AnpII app. crit.) questo foglietto separato AnpII reca, nell’ordine, le annotazioni a 23 An, 22 An, 50 An, e al verso le annotazioni a 52 An e 6 An p. 175. aggiunto sopra la riga con un segno di inserzione che è ripetuto dopo Panegir.
26 27 28 29 30 31 32
L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido. Vano dirai quel che disserra e scote Della virtù nativa Le riposte faville? e che del fioco Spirto vital negli egri petti avviva Il caduco fervor? Le meste rote Da poi che Febo instiga, altro che gioco
26 Gli alti gorghi d’Eufrate, e ’l servo lido. Eufrate[,] L’alto sen dell’ e il 27 Vano dirai [ch.]quel che disserra e scote 28 De la virtù nativa Della
An
a b
N An An N
29 Le riposte faville? e che del fioco faville[?] faville, faville[,] faville? faville, e che del fioco faville?
An
Bc F
30 Spirto vital ne gli egri petti avviva negli
An N
31 Il caduco fervor? Le meste rote
An
32 Da poi che ’l sole [a]istiga, altro che gioco [’l] [sole] [istiga,] Febo instiga,
An
a b g
26 Ans 27 And Ana 29 And 30 And 31 Ans 32 And Ans
L’alto sen de l’. v. il Forcell. in Excutio. sprigiona fioco. Ang. di Cost. son. 106. Spirto vital B. Tasso nel Parn. t. 10. p. 188. fine Le assidue. altro che? Casa, Son. 46. affrena, infiamma, governa, travaglia, corregge, fatiga.
32
ed. Ranieri giuoco
a b
33 34 35 36 37 38 39
Son l’opre de’ mortali? ed è men vano Della menzogna il vero? A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse Natura stessa: e là dove l’insano Costume ai forti errori esca non porse, Negli ozi oscuri e nudi Mutò la gente i gloriosi studi.
33 Son le cure [le cure] l’opre de’
mortali? ed è men vano
An Nc
34 De la menzogna il vero? A noi di lieti Della
An N
35 Inganni e di felici ombre soccorse
An
36 Natura istessa; istessa: Natura stessa Natura [i]stessa:
An N N Err Nc
e là dove l’insano
37 Costume a i forti errori esca non porse, ai
An N
38 Ne gli ozi infermi e nudi Negli oscuri
An N
39 Mutò la plebe i gloriosi studi. gente
An F
35 And Ans 36 Ans 39 And Ans
35 And 39 An
sovvenire d’una cosa. Crus. soccorretemi degli aiuti che ec. Cell. Vita, t. 2. p. 270-1. gentili. dove il cieco umano. e ’l cieco ingegno umano Dove a i gentili. PLEBE. Tasso Ger. 1. 63. Quivi il secol mutò. Quivi converse, rivolse. I secoli mutar. Mutò la gente. Mutar le genti. L’età converse, rivolse. generosi, valorosi, onorati, egregi. soccorretemi ecc. di altra penna dopo il v. 39 seguono in questa facciata i vv. 61-65, separati con una linea orizzontale da quanto precede, e separati con un’altra linea orizzontale dalle annotazioni a piè di pagina, che si riferiscono a quei versi
40 41 42 43 44 45
Tempo forse verrà ch’alle ruine Delle italiche moli Insultino gli armenti, e che l’aratro Sentano i sette colli; e pochi Soli Forse fien volti, e le città latine Abiterà la cauta volpe, e l’atro
40 Tempo forse verrà che a le ruine ch[e] ch’ alle
An
41 De le italiche moli Delle
An N
42 Insultino gli armenti, e ’l greve aratro e che l’
An N
43 Sentano i sette colli; e pochi soli [s]oli Soli soli Soli Soli
An B24 B24 Err Bc
44 Andranno forse, e le città latine Forse fien vòlti, volti,
An F N
45 Abiterà la cauta volpe, e l’atro
An
42 Ans 44 Ans 45 Ans
a b
N
[s] e ’l curvo, e che l’aratro. Il gregge insulti, e che l’adunco. e a le città latine Riparerà, Ricovrerà. Albergherà. [Ricoverar — e l’atro] infida, astuta [.], irsuta. l’agreste damma.
a b
46 47 48 49
Bosco mormorerà fra le alte mura; Se la funesta delle patrie cose Obblivion dalle perverse menti Non isgombrano i fati, e la matura
46 Bosco [ond] sormonterà l’eccelse mura; An [sormonterà] [l’eccelse] mormorerà fra (ne) le alte l[e] l’ fra l’ alte mura; B24 le F
a b
47 Se pur la sozza de le patrie cose [pur] [sozza] funesta delle
An
a b
48 Obblivion da le canute menti [canute] perverse dalle
An N
49 Non isvelgono isgombrano
An N
46 Ans 48 Ans
48 Ans
i fati, e la matura
Bosco ondeggiar vedrai su le alte mura. mormorerà, susurrerà fra le alte mura. CANUTA MENTE. Baldi egl. 10. p. 203. PENSIER Tr. Cast. p. 182. Ariosto 6. 73. ec. Ariosto ecc. di altra penna ed. Ranieri obblivion delle perverse menti
g
N
CANUTI.
a b
Petr.
50 Clade non torce dalle abbiette genti 51 Il ciel fatto cortese
50 [c]Clade non vieta a le codarde genti ˆ torce da le abbiette dalle
An F
51 Il ciel fatto cortese [c]iel Ciel ciel
An
50 And Ans
AnpII
Bc 50 An And AnpII
N a b
F
(Casa p. la lega p. 19. mezzo. [)] p. 30. ^ diserte genti VIETARE. Remig. Fior. ep. 11. d’Ovid. Parigi 1762. p. 139. Rucellai Api v. 398. Alam. Coltiv. p. 136. [A] Parnaso. Clade non torce da le triste, afflitte, meste. non volge. Rem. Fior. p. 154. strofe 4. v. 11. E chi VIETA (impedisce, ci rassicura) poichè abbiamo perduto il timore e gittato via la vergogna, che non ci gittiamo e anneghiamo in ogni fossa di perdizione? Tratt. II. come qui sopra. p. 78. la qual cosa è più facile da VIETAR prima che ec. (impedire) Cast. Corteg. Mil. 1803. t. 2. p. 155. per VIETAR CHE i popoli non incorrano in questi errori, non è miglior via che guardargli dalle male consuetudini. ivi. Clade non torce da le cieche, o, abbiette, o, incaute, o, stolte. per il segno di inserzione vd. 50 And annotazione scritta fra i vv. 49-50 per mancanza di spazio e preceduta da un segno di inserzione che è ripetuto nel v. 50 fra vieta e a vd. 23 AnpII app. crit.; come qui sopra si riferisce alla citazione in 22 AnpII
52 53 54 55 56 57 58 59
Dal rimembrar delle passate imprese. Alla patria infelice, o buon garzone, Sopravviver ti doglia. Chiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia, Nostra colpa e fatal. Passò stagione; Che nullo di tal madre oggi s’onora: Ma per te stesso al polo ergi la mente.
52 Da la pietà Dal
de[l. ] le vetuste imprese. [vetuste] passate
sovvenir rimembrar delle
An F N
53 A la patria infelice, o buon garzone, Alla
An N
54 Sopravviver ti doglia.
An
55 Chiaro per lei stato saresti allora
An
56 Che del serto fulgea di ch’ella è spoglia, fulgea fulgea, fulgea,
An N N Err Nc
57 Nostra colpa e fatal. Passò stagione, stagione;
An N
58 Chè nullo di tal madre oggi s’onora: Che
An N
59 Ma per te stesso al polo ergi la mente.
An
52 And Ans
AnpII
52 AnpII
a b
di lor passate Da la memoria de le avite imprese. passate, paterne. DAL RIMEMBRAR. Da, Per pietà de le belle avite imprese. v. ult. Speroni Oraz. 3a. ed. Ven. 1596. p. 111. mezzo. LA PIETADE DELLE OFFESE NON MERITATE. vd. 6 AnpII app. crit.
60 61 62 63 64 65
Nostra vita a che val? solo a spregiarla: Beata allor che ne’ perigli avvolta, Se stessa obblia, nè delle putri e lente Ore il danno misura e il flutto ascolta; Beata allor che il piede Spinto al varco leteo, più grata riede.
60 Nostra vita a che val? Solo a spregiarla; [S]olo spregiarla[;] solo spregiarla: spregiarla; spregiarla:
An
61 Beata allor che ne’ perigli avvolta,
An
62 Se stessa obblia, nè de[l. ] le macre e lente obblia[,] [macre] ^ putri ^ obblia, delle
An F N
63 Ore il danno misura e ’l flutto ascolta; e il
An N
64 Beata allor che ’l piede il
An N
65 Spinto al confin Letéo, più grata riede. [confin ] [L]etéo, varco letéo, leteo,
An
60 Anb Ana 62 Anb 63 Anb 65 Anb
60 Anb 61 An
a b
B24 N a b
a b
F
VALERE A.
Bartoli, Mogòr. p. 191. Ang. di Costanzo son. 52. + + Chiabr. Vita p. xviii. Casa, Son. 46. de le scarne. DE LE PUTRI. i danni — i passi. il passo. i moti o il moto. il grado. l’ale. flusso. Posto al margin[.], varco, margo. guado. più bella, vaga, dolce, degna. aggiunto in fine un segno di richiamo, per collegarvi 60 Ana vd. 39 An app. crit.
VI. BRUTO MINORE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
Poi che divelta, nella tracia polve Giacque ruina immensa L’italica virtute, onde alle valli D’Esperia verde, e al tiberino lido, Il calpestio de’ barbari cavalli Prepara il fato, e dalle selve ignude Cui l’Orsa algida preme, A spezzar le romane inclite mura Chiama i gotici brandi; Sudato, e molle di fraterno sangue, Bruto per l’atra notte in erma sede, Fermo già di morir, gl’inesorandi Numi e l’averno accusa, E di feroci note Invan la sonnolenta aura percote.
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Dell’inquiete larve Son le tue scole, e ti si volge a tergo Il pentimento. A voi, marmorei numi, (Se numi avete in Flegetonte albergo O su le nubi) a voi ludibrio e scherno È la prole infelice A cui templi chiedeste, e frodolenta Legge al mortale insulta. Dunque tanto i celesti odii commove La terrena pietà? dunque degli empi Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta Per l’aere il nembo, e quando Il tuon rapido spingi, Ne’ giusti e pii la sacra fiamma stringi?
31
Preme il destino invitto e la ferrata
32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45
Necessità gl’infermi Schiavi di morte: e se a cessar non vale Gli oltraggi lor, de’ necessarii danni Si consola il plebeo. Men duro è il male Che riparo non ha? dolor non sente Chi di speranza è nudo? Guerra mortale, eterna, o fato indegno, Teco il prode guerreggia, Di cedere inesperto; e la tiranna Tua destra, allor che vincitrice il grava, Indomito scrollando si pompeggia, Quando nell’alto lato L’amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride.
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Spiace agli Dei chi violento irrompe Nel Tartaro. Non fora Tanto valor ne’ molli eterni petti. Forse i travagli nostri, e forse il cielo I casi acerbi e gl’infelici affetti Giocondo agli ozi suoi spettacol pose? Non fra sciagure e colpe, Ma libera ne’ boschi e pura etade Natura a noi prescrisse, Reina un tempo e Diva. Or poi ch’a terra Sparse i regni beati empio costume, E il viver macro ad altre leggi addisse; Quando gl’infausti giorni Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa?
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Di colpa ignare e de’ lor proprii danni Le fortunate belve Serena adduce al non previsto passo La tarda età. Ma se spezzar la fronte Ne’ rudi tronchi, o da montano sasso Dare al vento precipiti le membra, Lor suadesse affanno; Al misero desio nulla contesa Legge arcana farebbe O tenebroso ingegno. A voi, fra quante
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Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte, Figli di Prometeo, la vita increbbe; A voi le morte ripe, Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende.
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E tu dal mar cui nostro sangue irriga, Candida luna, sorgi, E l’inquieta notte e la funesta All’ausonio valor campagna esplori. Cognati petti il vincitor calpesta, Fremono i poggi, dalle somme vette Roma antica ruina; Tu sì placida sei? Tu la nascente Lavinia prole, e gli anni Lieti vedesti, e i memorandi allori; E tu su l’alpe l’immutato raggio Tacita verserai quando ne’ danni Del servo italo nome, Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga sede.
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Ecco tra nudi sassi o in verde ramo E la fera e l’augello, Del consueto obblio gravido il petto, L’alta ruina ignora e le mutate Sorti del mondo: e come prima il tetto Rosseggerà del villanello industre, Al mattutino canto Quel desterà le valli, e per le balze Quella l’inferma plebe Agiterà delle minori belve. Oh casi! oh gener vano! abbietta parte Siam delle cose; e non le tinte glebe, Non gli ululati spechi Turbò nostra sciagura, Nè scolorò le stelle umana cura.
106 Non io d’Olimpo o di Cocito i sordi 107 Regi, o la terra indegna, 108 E non la notte moribondo appello;
109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120
An B24 Bc F N Nc
Non te, dell’atra morte ultimo raggio, Conscia futura età. Sdegnoso avello Placàr singulti, ornàr parole e doni Di vil caterva? In peggio Precipitano i tempi; e mal s’affida A putridi nepoti L’onor d’egregie menti e la suprema De’ miseri vendetta. A me dintorno Le penne il bruno augello avido roti; Prema la fera, e il nembo Tratti l’ignota spoglia; E l’aura il nome e la memoria accoglia.
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5) autografo con correzioni e note, da cui fu tratto il testo per la stampa di B24 pp. 89-96 pp. 57-62 pp. 38-42
data Opera di 20 giorni, Dic. 1821.
An
tit.
Bruto minore.
An
BRUTO MINORE
B24
VI. | BRUTO MINORE.
F
tit. Anp
Bruto minore. Così gli antichi intitolavano spesso i loro libri assolutamente dal nome delle persone che v’erano introdotte a parlare. Non solo i Dialoghi (come Cic. il Cato maior, e il Laelius, dove pur prima di tutto parla esso Cic. in persona propria) ma similmente altri libri, come Isocrate il Nicocle e l’Archidamo.
data tit. B24
solo in An a p. 69 l’occhiello: BRUTO MINORE | CANZONE SESTA pp. 195-196 nell’indice: Bruto minore p. 164 nell’indice: Bruto Minore p. 1 nell’indice: Bruto minore
F N
1 2 3 4 5 6
1
Poi che divelta, nella tracia polve Giacque ruina immensa L’italica virtute, onde alle valli D’Esperia verde, e al tiberino lido, Il calpestio de’ barbari cavalli Prepara il fato, e dalle selve ignude
Poi che ne’ campi Macedóni estint[i]a [ne’] [campi] [Macedóni] [estinta] divelta ne la tracia polve divelta, nella
N
2
Giacque ruina immensa
An
3
La Italica virtute onde a le L[a] [I]talica L’ italica virtute, alle
4
valli
An
a b g
An
a b
B24 N
D’Esperia verde e al Tiberino lido [T]iberino tiberino verde, e lido,
An
5
Il calpestio de’ barbari cavalli
An
6
Prepara il fato, e da le selve ignude dalle
An N
a b
F
5 Ans 6 Anb
il fremito, lo scalpitar. e da le smunte, smorte, nude selve.
1 An
pare abbia scritto i, sùbito corretto in a dissimulando il punto con un ampio svolazzo polve (1) con numero di rinvio alla nota 1 di F p. 63 («Si usa qui la licenza» ecc.) tracia (5) con numero di rinvio alla nota di N p. 174 ed. Ranieri calpestío
F N 5
7 8 9 10 11 12
Cui l’Orsa algida preme, A spezzar le romane inclite mura Chiama i gotici brandi; Sudato, e molle di fraterno sangue, Bruto per l’atra notte in erma sede, Fermo già di morir, gl’inesorandi
7
Cui l’Orsa algida preme preme,
An F
8
A spezzar la romana inclita rocca l[a] roman[a] inclit[a] [rocca] le romane inclite mura
An
a b
9
Chiama i Gotici brandi; [G]otici gotici
An
a b
10
Sudato, e molle di fraterno sangue,
An
11
Bruto
An
12
Certo già di morir, gl’inesorandi Fermo
7 Anb Ans 8 Anb Ans 11 Ans 12 Ans
in riposta sede, [in] [riposta] [sede] per l’atra notte in erma sede,
An F
l’Orsa ignava. PREME. Alam. Coltiv. p. 98. Parnaso. eccelsa rocca. A spezzar le romane — mura. antiche, invitte. Nec posse Argolicis EXSCINDI Pergama telis. Aen. 2. infelice in solitaria sede. p. l’alta notte. Dido CERTA MORI. Aen. 4. 564.
a b
13 Numi e l’averno accusa, 14 E di feroci note
13
14
Numi e l’averno [a]verno Averno
attesta, [attesta,] in [in] appella, Averno in testimoni appella, ˆ ˆ [ in testimoni] [appella] ˆ attesta, [attesta] Averno accusa, ˆ ˆ accusa[,] averno accusa,
E invan di fere note [invan di fere note] di feroci note
An
a b g d e z h
F An
a b
13 Ans Anb 14 Anb
e l’[a]Averno appella, e ’l Tartaro appella. testimoni invoca. E invan di fere note Le stelle e ’l sonnolento aere.
13 An
incerto l’ordine delle correzioni: pare che in b, cancellato attesta, abbia scritto in per tentare in testimoni, desistendo (g) a favore di appella, e poi (d) abbia scritto interamente in testimoni (salvo che in b non abbia tentato in testimoni invoca, cf. 13 Anb, scrivendo in testimoni sopra la riga e continuando con in di invoca, ma preferendo sùbito appella e cancellando successivamente in testimoni appella per tornare ad attesta); ac cusa è preceduto da un segno di inserzione che si connette con quello che già si trovava dopo Averno (in cui non sappiamo a quale fase appartenga la trasformazione dell’iniziale in una maiuscola) in Averno la maiuscola è sovrapposta a una precedente a, e non viceversa; cf. il modo con cui si passa da A ad a in 79 An b (vd. app. crit.)
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15
Invan la sonnolenta aura percote. Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Dell’inquiete larve Son le tue scole, e ti si volge a tergo Il pentimento. A voi, marmorei numi, (Se numi avete in Flegetonte albergo
L’aer tranquillo e i muti astri percote. [L’] [aer tranquillo e i muti astri] Indarno i sonnolenti astri [Indarno i sonnolenti astri] Invan la sonnolenta aura
An
16
Stolta virtù, le cave nebbie e ’l vano nebbie, i campi
An F
17
De le trepide larve De l’inquiete Dell’
An F N
18
Seggio t’accoglie, e ti si volge a tergo Son le tue scole,
An F
19
Il pentimento. A voi, marmorei numi,
An
20
(Se numi avete in F[r]legetonte albergo
An
15 Anb
18 Ans
19 Ans
a b g
Le stelle e ’l sonnolento aere. Le stelle ignave e ’l muto, cieco, bruno, sordo[,] aere. Gli astri sereni, lucenti. Indarno la tranquilla aura. Invano i[l sonn] taciturni astri. Indarno il sonnolento aere. La tranquilla notturna aura. la serena aura. INVAN LA SONNOLENTA AURA. chiude, acchiude. T’ACCOGLIE p. T’ALBERGA . Remig. Fi o r. ep. 15. d’Ovid. p. 215. Varchi Boez. l. 3. rim. 8. e ti succede a tergo. perversi numi.
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O su le nubi) a voi ludibrio e scherno È la prole infelice A cui templi chiedeste, e frodolenta Legge al mortale insulta.
21
O su le nubi) a voi sollazzo e scherno An [su] [le] [nubi] [)] [a] [voi] [sollazzo] ˆ ne l’etereo sen) ludibrio ˆ O su le nubi) a voi F
22
È la prole infelice
An
23
A cui templi chiedeste, e frodolenta [A] [cui] ˆ Che di ˆ [Che di] A cui
An
Legge al mortale insulta.
An
24
21 Ans
Anb 23 Ans Anb Anp
24 Ans
a b
a b g
O ne l’etereo campo, o su l’aeree nubi, piagge, sfere, ardua, ampia magion. LUDIBRIO e scherno. è giuoco e scherno La progenie. O su l’Olimpo, su le stelle. Cu[x]i vittime, delu[p]bri chiedeste. Cui di templi chiedeste. Cui sacre are. Che di templi. Cui — richie. Che di templi v’onora. Ch’are v’offriva ed inni. Ch’inni v’offriva e templi. Ch’ara poneavi e templo. Ch’ostia porgeavi ed inno. Ond’inni avete, aveste, ed are, e templi. Ond’inni, ond’are avete. Ond’are, ond’inni. Ch’onor d’are, d’inni v’offriva ec. Che ’l vostro nome appella. Ond’onorati foste. Per ch’ara ed inno avete. Ch’inno sacrovvi e templo. Ch’ara vi pose e templo. Che templi, templo ergeavi ed are, ara. Ch’a voi gli altari incende. Ch’a voi le braccia estolle. Che voi di templi onora. Richiedere uno d’una cosa[,] (d’un disegno), per, domandargliela. Vasari sul fine della Vita di Raffaelle. d’una grazia ingiusta. Marcello Adriani Opusc. di Plut. Fir. 1819. opusc. 15. t. 1. p. 420. Chiedere uno d’una cosa. Bembo lett. vol. 4. par. 1. p. 319. col. 2. fine. A I[m] MORTALI
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25
Dunque tanto i celesti odii commove La terrena pietà? dunque degli empi Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta Per l’aere il nembo, e quando Il tuon rapido spingi, Ne’ giusti e pii la sacra fiamma stringi? Preme il destino invitto e la ferrata
Dunque tanto i celesti odi commove odii odii
An
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La terrena pietà? dunque de gli empi degli
An N
27
Siedi, Giove, a tutela; e quando esulta tutela[;] tutela?
An
28
Per l’aere il nembo, e quando
An
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Il tuon rapido spingi,
An
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Ne’ giusti e [pi.i.i.] pii la sacra fiamma stringi?
An
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Preme il destino invitto e la ferrata
An
25 An Anb
28 Anb 29 Anb 30 Ans Anb
25 An 30 An
a b
B24
a b
(ódi) Ahi ahi dunque di tanta ira v’infiamma, accende. tanta nel cielo ira commove. tanto l’eterne ire. gli eterni, I DIVINI, i superni odi. Dunque tanto i celesti animi offende, irrita, adira. DUNQUE TANTO CELESTE ODIO, IRA PROSEGUE, consegue, fatiga, travaglia. animi inaspra, incende, infiamma, accende. Ne l’aere; per, ne l’etra. Ne’ boschi il vento. Il tuon per l’etra, aria spingi. Per l’etra il carro. e gli acri Destrieri al carro aggiugni — impugni? Il tuon [—] ... roti — scoti? iÔerh;n ϖlovga chiama Esiodo il fulmine, Teogon. v. 692. Arde l’empirea faccia, I giusti il fragoroso, Gl’innocenti il commosso etra minaccia? (ódi) scritto sotto odii del verso scritto per errore piii, ha cancellato prima di mettere i punti sulle tre i
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Necessità gl’infermi Schiavi di morte: e se a cessar non vale Gli oltraggi lor, de’ necessarii danni Si consola il plebeo. Men duro è il male Che riparo non ha? dolor non sente Chi di speranza è nudo?
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Necessità gl’infermi
An
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Schiavi di morte; e se a campar non vale morte[;] e s[e] morte: e s’ morte: e se a cessar
An
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Gli oltraggi lor, de’ necessarii danni
An
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Si consola il plebeo. Men duro è ’l male è il
An N
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Che riparo non ha? dolor non sente
An
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Chi di speranza è nudo?
An
33 Ans
34 Anb 35 Ans Anb 36 Anb
33 Ans 35 An Ans
a b
F
CA M PARE p. EVITARE, o LIBERARSI e c. coll’accusativo, e non di MORTE. Casa Oraz. alla Nob. Venez. p. antipenult. fine. Campar gli oltraggi — V. Crus. Campare, Campato, Scampato. Casa lett. 6. dal MS. Soranzo, Crus. v. aiuto. Tratt. 1. di S. Gris. della compunz. del cuore. Roma 1817. p. 39. Tasso Gerus. 19. 47. del necessario. conforta. Consolasi. Men grave. più leve. (MINUS DIU VIVUNT. Plin. l. 14. c. 22. senz’altra corrispondenza a quel MINUS.) NON SENTA, non prova, NON PROVI, non punge. SE RIPARO, SE CONTRASTO, ritegno, rattento NON HA?
Campar ecc. di altra penna in Men la M (che pare tracciata diversamente da M in Men 35 Anb) potrebbe essere stata dapprima N (N è?), ma la collocazione della e s eguente implica già la correzione in M Consolasi di altra penna
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Guerra mortale, eterna, o fato indegno, Teco il prode guerreggia, Di cedere inesperto; e la tiranna Tua destra, allor che vincitrice il grava, Indomito scrollando si pompeggia, Quando nell’alto lato L’amaro ferro intride,
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Guerra impavida, eterna, o fato indegno, mortale,
An F
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Teco il prode guerreggia guerreggia,
An F
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Di cedere inesperto: e la tiranna inesperto[:] inesperto;
An
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Tua destra, allor che vincitrice il grava,
An
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Terribile sc[o]rollando si pompeggia, [Terribile] ˆ Indomito ˆ Quando ne l’alto lato nell’
An
L’amaro ferro intride,
An
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38 Anb 40 Ans 41 Anb 43 Anb 44 Anb
38 Anb 41 An
a b
a b
An N
Eterna, immensa, orrida[.] guerra. Guerra dura immortale. ˆ Uom che di ritornar [che] sia poscia esperto. Dante, Crusca. in quel che vincitrice. Ne l’alto seno. Ne l’alte vene. Ne l’imo, alto petto, fianco. Nel rotto. Quando l’amaro ferro ec. ne l’alto ec. L’acuto, acerbo ferro. Il nudo, duro ferro. La fera mano. L’ultrice [fe] mano intride. Il freddo acciaro. [Il fr] dopo orrida il punto è trasformato in segno di inserzione e guerra è aggiunto sopra la riga in grava la prima a è ripassata
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E maligno alle nere ombre sorride. Spiace agli Dei chi violento irrompe Nel Tartaro. Non fora Tanto valor ne’ molli eterni petti.
E maligno a le fredde ombre sorride. [fredde] nere alle
An
Spiace a gli Dei chi l’immatura al rogo [l’immatura al rogo] ˆ violento irruppe ˆ irrompe agli
An
N
An
Tanto valor ne’ molli eterni petti.
An
46 Ans
Ana Anp 47 Ans 48 And
a b
F N
Vita schivò. Non fóra [Vita schivò] Nel Tartaro. fora
45 Anb
a b
a b
F
a le nere ombre. E vendicato in su l’acciar sorride. su l’a[l]tra onda. E sul vindice ferro egro sorride. E a la vendetta in sul morir, cader sorride. a Stige. a l’Orco. chi volontario scende, scese, al, nel Tartaro. Chi non chiamato il bruno Flutto[,] varcò, mirò. Chi violento il bruno, morto, sozzo ec. Regno, Stige, Flutto, varco, guado, stagno, Dite occupò. chi violento IL bruno, sozzo, PIGRO Stige, DITE OCCUPÒ. SPIACE ec. Che il suicidio fosse condannato anche dall’antica teologia, v. il 6to dell’Eneide. IRRUPPE. Parini Canz. ALLA MUSA , v. 7. spogliò, spregiò, gittò, snodò, sdegnò, indegnò, sprezzò, o ccupò, calcò, spezzò. eterei.
49 50 51 52 53
49
50
Forse i travagli nostri, e forse il cielo I casi acerbi e gl’infelici affetti Giocondo agli ozi suoi spettacol pose? Non fra sciagure e colpe, Ma libera ne’ boschi e pura etade
Forse i lunghi martori, e forse il [lunghi] [martori] pallidi lustri, travagli nostri, Gli umani pianti e [pianti] casi I casi acerbi e
cielo [c]ielo Cielo cielo
i vorticosi affetti [i] [vorticosi] gl’infelici gl’infelici
An F An
Giocondo a gli ozi suoi spettacol pose? agli
An N
52
Non fra sciaure e colpe, sciagure
An N
53
Ma libere ne’ boschi e pure etadi liber[e] pur[e] etad[i] libera pura etade
An
50 Anb 53 Anb 49 Anb 50 Anb
a b
F
51
49 Ans Anb
a b
a b
i lugubri tempi. Forse gli acerbi, atroci, orridi casi; i casi dolenti; le crude, dire, dure [angosce] ambasce; i lunghi, gli aspri, gli empi travagli, martori, sudori; l’aspre empie vicende. Forse i miseri lustri. le triste, gravi, nere ambasce. i miseri casi. i procellosi, turbinosi, miserandi affetti. Gli umani casi e gl’infelici affetti. strazi. ˆ Del gener nostro i lagrimosi affetti. gl’iniqui casi. ne’ monti, negli antri. ambasce sopra la riga, dopo aver cancellato angosce strazi sopra la riga, preceduto da un segno di inserzione che è ripetuto dopo affetti
54 Natura a noi prescrisse, 55 Reina un tempo e Diva. Or poi ch’a terra 56 Sparse i regni beati empio costume,
54
55
56
Natura a noi prescrisse, prescrisse[,] prescrisse,
An F
E di natura i dolci regni infranse An [E di natura i dolci regni infranse] [De] Già de’ tempi reina. Or poi che La terra ch[e] ch’ [Già] [de’ tempi reina] [ ] Reina un tempo e Diva. ˆ Il corrotto costume, onde a novella An [Il corrotto costume, onde a novella] Sparse i regni beati empio costume,
54 Anp 55 Ans Anb
54 An
a b a b g d a b
PRESCRISSE cioè ASSEGNÒ. Crusca v. IMPORRE §. 5. prescrisse. P a l l a v i c. Stile, Modena 1819. p. 73. Tasso Gerus. 4.70,7.32,12.96. Donna pietosa, de’ padri, e Diva. Donna de gli avi antichi, antica. Donna [de] antica de gli avi, amica. Donna sola de gli avi. De gli avi unica donna. De gli avi alta alma reina. fasi dell’elaborazione dei vv. 54-57: I Natura a noi prescrisse, | E di natu ra i dolci regni infranse | Il corrotto costume, onde a novella | E trista leg ge il viver nostro addisse. – II Natura a noi prescrisse [,] | Già de’ tempi reina. Or poi ch’a terra | Sparse i regni beati empio costume, | E ’l viver macro a nova legge addisse; – III Natura a noi prescrisse | [ ] Reina un ˆ tempo e Diva. Or poi ch’a terra ecc.
57 E il viver macro ad altre leggi addisse; 58 Quando gl’infausti giorni
57
58
E trista legge il viver nostro addisse. [E trista legge il viver nostro addisse.] E ’l viver macro a nova legge addisse; a nove leggi E il [a nove] ad altre
An
Ove
i mutati soli [s]oli Soli [i mutati Soli] le infauste luci
An
gl’infausti giorni
F
F N Nc
58 And Ans Anb Anp
57 Anb 58 Anp
a b g d
[Ove] Quando
57 And Anb
a b
E ’l secol, viver PUTRE, ec. E dura, dira, nera, cruda, ed empia, ed atra, aspra legge. E ’l viver fosco, PUTRE, guasto, tristo, tetro. E ’l viver nostro ˆ ad altra. giorni. Quando l’infausta luce, gl’infausti soli, l’aure maligne, i mutati [s]Soli, alberghi. Ove le guaste, indegne sedi. (QUANDO LE TRISTE, negre ec. luci, smorte, meste ec.) Le infauste luci. Vuol dire GL’INFAUSTI GIORNI. Vedi la ristampa Veronese del Vocabolario. (Monti Proposta.) Varchi, Boez. l. 3. rime 1. INFAUSTE. V. Crus. Forcell. ec. INDOLES NUTRITA FAUSTIS SUB PENETRALIBUS. Horat. od. 4. l. 4. v. 25.26. PUTRE, aggiunto sopra la riga con un segno di inserzione prima di guasto Varchi ecc. aggiunto successivamente
59 60 61 62 63
Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa? Di colpa ignare e de’ lor proprii danni Le fortunate belve Serena adduce al non previsto passo
59
Virile alma ricusa,
An
60
Riede natura, e quello sdegno accusa? [n]atura, [quello sdegno] Natura, ’l non suo dardo natura, e il
An
61
Di colpa ignare e di lor proprii danni d[i] de’
An Nc
62
Le fortunate belve
An
63
Serena adduce al non previsto passo
An
59 And Ans 60 Ans Anb 63 And Ans Anb
59 An And
a b
F N
Egregia. (recusa) Bennata, Gentile. E ’l nostro ferro, e gli alti, i degni, forti ec. sensi accusa. telo, colpo. e quegli sdegni. e ’l degno ferro, rogo. E ’l bello, forte, franco, l’alto sdegno. scorge. Benigna. e le conduce e lor conduce al passo. e mena al sommo, arduo passo. Matura adduce. Matura, La piena età, la grave età. PLACIDA SCORGE AL. Cura non punge, [e] fiede, morde, rode, e al — Guida, Mena la stanca età. Virile è scritto più spaziato e con e prolungata con una linea, come per occupare uno spazio lasciato dapprima in bianco; cf. IV. Nelle nozze del la sorella Paolina 8 An app. crit. (recusa) sulla linea del verso dopo ricusa, (ma di altra penna)
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La tarda età. Ma se spezzar la fronte Ne’ rudi tronchi, o da montano sasso Dare al vento precipiti le membra, Lor suadesse affanno; Al misero desio nulla contesa Legge arcana farebbe
64
La tarda età. + Ma se spezzar la fronte
An
65
A i duri tronchi, o da montano sasso [A] [i] [duri] Ne’ rudi
An
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Dare al vento precipiti le membra,
An
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Lor suadesse acerba [acerba] affanno, affanno;
An
Sventura, al fier desio nulla contesa [Sventura] [al] [fier] Al barbaro Al misero
An
Legge arcana farebbe
An
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64 And Ans Ana Anb 65 Ans 67 Ans 68 And Ans
64 An Ana
a b
a b
F a b
F
la secca. stanca. fiaccar, schiacciar. + la grave. Casa. t.[x]2. 81. Ma se la fronte Spezzar ne’, ai tronchi, Ma se ne’ tronchi Spezzar la fronte, o se, giù d’alpestre [,] sasso, d’acuto masso. o giù da scabro. o da scosceso masso. nebbioso. Lor suadesse il core. acerbo Travaglio. a l’amaro, flebile, lugubre, misero. nullo contrasto, ritegno. A l’acerbo, atroce, feroce desio. vd. 64 Ana qui sotto preceduto da + come segno di riferimento, ripetuto nel verso fra età. e Ma
70 O tenebroso ingegno. A voi, fra quante 71 Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
70
O dubitoso ingegno. A voi, del caro [dubitoso] [del caro] tenebroso fra quante
An
a b
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Spirto, fra quante il ciel famiglie avviva, [Spirto, fra quante il ciel famiglie avviva] Stirpi il cielo avvivò, l’aprica stanza stanza, avvivò, soli fra tutte,
An
a b
70 Ans Anb
71 And Ans
B24 F
del molle. A voi, fra quante[.] O tenebroso, nubiloso, nebuloso ingegno. A voi la dolce Vita, fra quanti il mondo animi educa, alberga. l’aprica Terra, l’aprico Giorno fra quanti il senso animi irriga, scote; fra quante il senso alme commove; fra quante il ciel menti produsse; fra quant[e]i al mondo, a vita animi usciro, furo (scesero [ec.]. [)] vennero ec.). A voi fra quante Stirpi natura avviva, il terreo manto, frale ammanto. Stirpi il senso commove; agitò; fra quanta Plebe i sensi agitar, di vita il foco. il tenue, molle, dolce, caro Spirto; i sensi e ’l giorno. il puro spirto. l’etereo spirto, volto, faccia, foco. (L’ETEREO SPIRO) Stirpi il cielo avvivò, l’etereo foco, l’aprica stanza, parte. Stirpi, Spirti, natura avviva, educa il terreo nido, il giorno ameno. l’aprica Riva, Lato, seggio, albergo.
71 An b non cancellata la virgola dopo avviva, che forse per questo (se non è una svista) non è ripetuta dopo stanza (B24 ha correttamente stanza,) And inserito nel v. 71 per mancanza di spazio
72 73 74 75 76
72
Figli di Prometeo, la vita increbbe; A voi le morte ripe, Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende. E tu dal mar cui nostro sangue irriga,
Soli, di Prometéo nepoti, increbbe: Figli di Prometéo, la vita increbbe; Prometèo, Prometéo, Promet[è]o, Prometéo, Promet[é]o, Prometeo,
An F N N Err Nc
73
A voi le morte ripe ripe,
An F
74
(Se ’l fato ignavo pende) Se pende, il
An F N
75
Soli, o miseri, a voi Giove contende. Soli[,] miseri[,] Soli, miseri,
An
76
E tu del mar cui nostro sangue irriga, del mar, dal mar cui
An Bc F
72 And 74 Ans 75 Ans 76 Anb 72 Nc
a b
a b g
Sola da te. Rem. Fior. ep. 15. d’Ovid. v. 4. Se ’l pigro, tardo fato. Se ’l fato indugia e pende. Soli il dubbioso immaginar contende. Solo, miseri. accresce, tinge. a: nel testo cancella è, che a margine corregge in é con segno di richiamo; b: cancella é e vi affianca e
77 78 79 80 81 82 83 84
Candida luna, sorgi, E l’inquieta notte e la funesta All’ausonio valor campagna esplori. Cognati petti il vincitor calpesta, Fremono i poggi, dalle somme vette Roma antica ruina; Tu sì placida sei? Tu la nascente Lavinia prole, e gli anni
77
Candida luna, sorgi,
An
78
E l’inquieta notte e la funesta notte, notte[,]
An b
a
A l’Ausonio valor campagna esplori. [A] usonio ˆ ausonio All’
An
a b
80
Cognati petti il vincitor calpesta,
An
81
Fremono i poggi, da le somme vette dalle
An N
82
Roma antica ruina;
An
83
Tu sì placida sei? Tu la nascente
An
84
Lavinia prole, e gli anni
An
79
78 Ans Anb 79 Anb 80 Ans 81 Anb 84 Anb
N
E la pavida notte. E la commossa, agitata, turbata, angosciosa. illustri. contrada. Consorti petti (cioè fraterni. Forcell. Consors. in fine). i colli, boschi, freme la selva. ROMULEA, ROMANA PROLE.
78 An b virgola di penna diversa da quella usata per a 79 An b a sopra la riga, con segno di inserzione fra [A] e u 83 An sei con s ripassato
g
85 86 87 88 89 90 91
Lieti vedesti, e i memorandi allori; E tu su l’alpe l’immutato raggio Tacita verserai quando ne’ danni Del servo italo nome, Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga sede. Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
85
Lieti vedesti e i memorandi allori; vedesti, e
An F
86
E tu su l’alpe l’immutato raggio
An
87
Tacita verserai quando ne’ danni
An
88
Del servo italo nome,
An
89
Sotto barbaro piede
An
90
Rintronerà la solitaria sede. quella solinga
An F
91
Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
An
85 Anb 87 Anb 88 Anb 90 Anb
91 Ans Anb
e i memorandi, gloriosi regni, imper[o]i, impero, regno. e i faticosi allori. O luna, spargerai. italo gregge, nido. l’inabitata, dirupata, pruinosa, turbinosa, tempestosa, nubil[ó]osa, nebulosa. La Cozzia tremerà squallida, gelida sede. ventosa, nembosa, nevosa, canuta. Tremerà l’invernale ispida sede. la nevosa, (ventosa) ispida, (orrida) sede. la deserta. l’invernal retica sede. nevale, neval. La bianca tremerà norica (Forcell. in ALPES), carnica sede. L’iberna ec. sassosa. Tremerà la montana ispida sede. la romita. Rimbomberà, la sbigottita. [E] scabri. cavi. in cavata rupe, antro, speco ec. duri. su nudo sasso, selce, selci.
92 93 94 95 96 97 98
E la fera e l’augello, Del consueto obblio gravido il petto, L’alta ruina ignora e le mutate Sorti del mondo: e come prima il tetto Rosseggerà del villanello industre, Al mattutino canto Quel desterà le valli, e per le balze
92
E la féra e l’augello, f[é]ra fera
An
93
Del consueto obblio gravido il petto,
An
94
L’alta ruina ignora e le mutate
An
95
Sorti del mondo. E come prima il tetto mondo[.] [E] mondo: e
An
96
Rosseggerà del villanello industre,
An
97
Al mattutino canto
An
98
Ridesterà le valli, o per le balze Quel desterà le valli e valli, e
An Bc F
93 Anb 96 Anb 97 Anb 98 Anb 92 An
a b
a b
De l’usato sopor. De l’usata quiete onusto. del villereccio, pastorale albergo, del rustico abituro. del pastorello. Al volo i terghi, al canto, Desterà gli arboscelli, Ridesterà le piagge. per le rupi. dato fere (senza accento) del v. 118 An, potrebbe anche avere scritto fe ra, poi modificato in féra e da ultimo ripristinato
99 100 101 102
99
Quella l’inferma plebe Agiterà delle minori belve. Oh casi! oh gener vano! abbietta parte Siam delle cose; e non le tinte glebe,
La paurosa plebe Quella l’inferma plebe
An Bc
100 Agiterà de le minori belve belve. delle
An
101 Giusta l’usato stil. Parte sì vana [Giusta] [l’usato] [stil.] [Parte sì vana] Oh casi, o gener frale! abbietta parte casi[,] casi! Oh casi! oh o oh gener [o] gener [frale!] oh vano!
An
102 Siam de le cose; nè le tinte glebe, [nè] ˆ e non ˆ delle
99 Anb 101 And Anb
a b
N a b g B24 N N Err Nc An
a b
N
la paventosa, fuggitiva, sbigottita, spaventata. Giusta l’usato[,]. Abbietta parte e vana. o gener vano! Oh cure, oh prole inferma, oh de le cose, Abbietta, Negletta parte! nè le ec. Oh fati, o gener frale, abbietta e vana Parte del mondo. Oh casi, oh gravi, duri affanni. Oh casi, oh vana stirpe, nuda stirpe. Giusta l’usato stil. Negletta parte, Abbietta parte, Parte sì vana, leve, breve, poca, Sì poca ec. parte. Giusta l’usato. Ahi sì negletta parte, Ahi ahi sì poca ec. parte, [negletta parte].
103 Non gli ululati spechi 104 Turbò nostra sciagura, 105 Nè scolorò le stelle umana cura.
103 Nè gli ululati monti N[è] [monti] Non scogli [scogli] spechi
An
104 Nostro dolor commove [Nostro dolor commove] Sentir nostra sciaura, [Sentir] Turbò sciagura,
An
105 E pe’ vestigi suoi corse natura. [E pe’ vestigi suoi corse natura]. Nè d’ombra i giorni avvolse umana cura. [Nè d’ombra i giorni avvolse umana cura]. Nè scolorò le stelle umana cura.
An
103 Ans Anb
104 Ans Anb 105 Ans
a b g a b g
N a b g
Nè i lamentati scogli ec. gli ululati spechi, monti, boschi. E ne’ vestigi suoi stette. E le vestigia sue calcò. E pe’ — mosse, volse, trasse. E pel noto sentier. calca preme. sciagura. Turbò, ferì. Nè da’ vestigi suoi torse. E ’l piè ne, su l’orme sue pose natura. [E]Nè del fato mortal pianse natura. E ne l’usata via stette. E per le usate vie. note vie. E calcò le vetuste orme. Nè del nostro dolor pianse. E del fato e di noi l’orbe non cura. Nè stinse, tinse, a Febo il volto umana cura. il raggio. Nè scolorò le stelle umana cura. Nè d’ombra i [giorni,] i soli, i cieli, avvolse. Nè l’auree stelle offusca, adombra, e c. ; Nè l’auree stelle, l’ignee rote, gli aurei giorni, cieli, umano fato, doglia oscura.
104 An g Turbò scritto, per mancanza di spazio, accanto a spechi 103 An g
106 107 108 109 110 111 112 113
Non io d’Olimpo o di Cocito i sordi Regi, o la terra indegna, E non la notte moribondo appello; Non te, dell’atra morte ultimo raggio, Conscia futura età. Sdegnoso avello Placàr singulti, ornàr parole e doni Di vil caterva? In peggio Precipitano i tempi; e mal s’affida
106 Non io di Stige e non d’Olimpo i sordi d[i] [Stige e non d’Olimpo] d’ Olimpo o di Cocito
An
107 Regi, o la terra indegna,
An
108 E [l] non la notte moribondo appello;
An
109 Non te, de l’atra morte ultimo raggio, dell’
An N
110 Conscia futura età. Sdegnoso avello
An
111 Placàr feminee grida, e laudi ornaro femminee singulti, ornàr parole e doni
An B24 F
112 Di vil caterva? In peggio
An
113 Precipitano i tempi; e mal s’affida
An
106 Anb 107 Anb 109 Anb
110 Anb 111 Ans Anb 113 Ans Anb
a b
NON IO D’OLIMPO O DI COCITO I SORDI. o la notte, o le stelle ignare, E non la terra, nè l’empia terra. Numi. Non te de l’egro ingegno ultima speme. de[’] l’egra mente ultimo raggio ec. Non te de’ gravi affanni, de’ fati indegni, ultimo raggio, porto, lido, riva. de’ forti petti ultima speme. de l’alme afflitte. Conscia prole futura. Irato, ovvero ec. Placò femineo lutto, e doni ornaro[,] D’imbelle mano? Placar feminei pianti e don[o]i (e lauri) ornaro D’imbelle mano? e laudi ornaro D’IMBELLE TORMA? si fida. e male a ... E putridi nepoti La memoria s’affida e la. La memoria de’ forti e la.
114 115 116 117 118 119 120
A putridi nepoti L’onor d’egregie menti e la suprema De’ miseri vendetta. A me dintorno Le penne il bruno augello avido roti; Prema la fera, e il nembo Tratti l’ignota spoglia; E l’aura il nome e la memoria accoglia.
114 A putridi nepoti A’ putridi A putridi A’
An B24 B24 Err Bc
115 L’onor d’egregie menti, e la suprema menti[,]
An
116 De’ miseri vendetta. A me dintorno
An
117 Le penne il bruno augello avido roti;
An
118 Preman le fere, e ’l nembo Prema[n] l[e] fer[e], Prema la fera, fera, o ’l fera, e il
An
a b
F N
119 Volga l’ignota spoglia; [Volga] Tratti
An
120 E l’aura il nome e la memoria accoglia.
An
117 Anb 118 Anb
a b
a b
120 Anb
Le penne il corvo festeggiando, giubilando. Preman le fere e ’l nembo. Prema la fera e ’l nembo L’insalutata, inonorata, abbandonata, derelitta, illacrimata, s c o n osciuta. Stracci, Sbrani, Strazi la fera. La destituta, inconosciuta. Sparga la fera. e ’l vento ec. L’indeplorata (Ovid.) spoglia. Lavi l’ignota, Fieda. TRATTI. E l’aura il nome e l’egro spirto.
117 An
forse il punto e virgola dopo roti modifica una virgola della prima stesura
119 Ans Anb
VII. ALLA PRIMAVERA, O DELLE FAVOLE ANTICHE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Perchè i celesti danni Ristori il sole, e perchè l’aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta Delle nubi la grave ombra s’avvalla; Credano il petto inerme Gli augelli al vento, e la diurna luce Novo d’amor desio, nova speranza Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte Pruine induca alle commosse belve; Forse alle stanche e nel dolor sepolte Umane menti riede La bella età, cui la sciagura e l’atra Face del ver consunse Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Di febo i raggi al misero non sono In sempiterno? ed anco, Primavera odorata, inspiri e tenti Questo gelido cor, questo ch’amara Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32
Vivi tu, vivi, o santa Natura? vivi e il dissueto orecchio Della materna voce il suono accoglie? Già di candide ninfe i rivi albergo, Placido albergo e specchio Furo i liquidi fonti. Arcane danze D’immortal piede i ruinosi gioghi Scossero e l’ardue selve (oggi romito Nido de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre Meridiane incerte ed al fiorito Margo adducea de’ fiumi Le sitibonde agnelle, arguto carme Sonar d’agresti Pani
33 34 35 36 37 38
Udì lungo le ripe; e tremar l’onda Vide, e stupì, che non palese al guardo La faretrata Diva Scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda Polve tergea della sanguigna caccia Il niveo lato e le verginee braccia.
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Vissero i fiori e l’erbe, Vissero i boschi un dì. Conscie le molli Aure, le nubi e la titania lampa Fur dell’umana gente, allor che ignuda Te per le piagge e i colli, Ciprigna luce, alla deserta notte Con gli occhi intenti il viator seguendo, Te compagna alla via, te de’ mortali Pensosa immaginò. Che se gl’impuri Cittadini consorzi e le fatali Ire fuggendo e l’onte, Gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime Selve remoto accolse, Viva fiamma agitar l’esangui vene, Spirar le foglie, e palpitar segreta Nel doloroso amplesso Dafne o la mesta Filli, o di Climene Pianger credè la sconsolata prole Quel che sommerse in Eridano il sole.
58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
Nè dell’umano affanno, Rigide balze, i luttuosi accenti Voi negletti ferìr mentre le vostre Paurose latebre Eco solinga, Non vano error de’ venti, Ma di ninfa abitò misero spirto, Cui grave amor, cui duro fato escluse Delle tenere membra. Ella per grotte, Per nudi scogli e desolati alberghi, Le non ignote ambasce e l’alte e rotte Nostre querele al curvo Etra insegnava. E te d’umani eventi Disse la fama esperto, Musico augel che tra chiomato bosco
72 73 74 75 76
Or vieni il rinascente anno cantando, E lamentar nell’alto Ozio de’ campi, all’aer muto e fosco, Antichi danni e scellerato scorno, E d’ira e di pietà pallido il giorno.
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Ma non cognato al nostro Il gener tuo; quelle tue varie note Dolor non forma, e te di colpa ignudo, Men caro assai la bruna valle asconde. Ahi ahi, poscia che vote Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono Per l’atre nubi e le montagne errando, Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro In freddo orror dissolve; e poi ch’estrano Il suol nativo, e di sua prole ignaro Le meste anime educa; Tu le cure infelici e i fati indegni Tu de’ mortali ascolta, Vaga natura, e la favilla antica Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, E se de’ nostri affanni Cosa veruna in ciel, se nell’aprica Terra s’alberga o nell’equoreo seno, Pietosa no, ma spettatrice almeno.
An
B24 Bc F N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5) autografo da cui fu tratto il testo di B24; ciascuna delle cinque strofe è scritta per intero su una facciata dove (a parte aggiunte marginali più tarde) in calce ai versi e separate con una linea orizzontale sono poste le varianti, raccolte tutte di séguito; per le strofe quarta (vv. 58-76) e quinta (vv. 77-95) le varianti continuano (però ordinatamente divise in capoversi) sulla facciata successiva (facciata che, per distinguerla da quella in cui si trova anche la strofa, indicheremo con Anf); l’ultima facciata reca una stesura dei vv. 85-87 con le varianti (evidentemente copia tratta da una precedente redazione) e un appunto dell’autore per sua memoria (85 Anf «Così posi io» ecc.) pp. 99-103 pp. 65-69 pp. 43-46
data Opera di 12 giorni, Gen. 1822.
An
tit.
An
Alla Primavera o delle Favole antiche
ALLA PRIMAVERA | O | DELLE FAVOLE B24 ANTICHE VII. | ALLA PRIMAVERA, | O | DELLE FA- F VOLE ANTICHE.
data tit. B24 F
solo in An p. 99; a p. 97 l’occhiello: ALLA PRIMAVERA | O | DELLE FAVOLE ANTICHE | CANZONE SETTIMA p. 196 nell’indice: Alla Primavera, o delle Favole antiche p. 164 nell’indice: Alla Primavera, o delle favole antiche (= N, Nc)
1 2 3 4 5 6 7
Perchè i celesti danni Ristori il sole, e perchè l’aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta Delle nubi la grave ombra s’avvalla; Credano il petto inerme Gli augelli al vento, e la diurna luce Novo d’amor desio, nova speranza
1
Per che i celesti danni Perchè
An N
2
Ristori il sole[, ond] e per che l’aure inferme sole, e perchè
An F N
3
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
An
4
De le nubi la grave ombra s’avvalla; Delle
An N
5
Credano il petto inerme
An
6
Gli augelli al vento, e la diurna luce
An
7
Novo d’amor disio, nova speranza desio desio,
An F Nc
1 Ans 2 And Ans Anb 3 Ans
4 Anb 5 Anb 7 Anb
O PER CH’io vidi, o CHE veder mi parve. Remig. Fior. ep. 10. d’Ovid. Parigi 1762. p. 127. così Molza, Ninfa Tiberina. st. 8. Ripari il sole. Damna tamen celeres reparant celestia lune˛. Hor. e posson GLI ANNI Ben RISTORARE I DANNI De la passata lor fredda [f.] vecchiezza. Past. fido. At. 3. SC. V. Ang. di Costanzo, son. 14. Ripari. Perchè ristori il sole I travagli celesti, e l’aure. ZeFiro. Petr. Son. Zefiro torna. Zefiro. Guidicc. Son. Sovra un bel verde cespo ec. Firenzuola Le rime [p.] car. 92. p. 2. Firenze 1549. ediz. classica, e così credo l’Alamanni a ogni tratto. B. Tasso. Son. [Ecco scesa dal ciel]. Perchè spiri. Chiabr. Son. Zefiro corse. Poliz. l. 1. st. 25. 113. ec. la fredda, cieca, fosca ombra. Fidino. Nova speme d’amor, novo disio. Novo d’amor disio, novella speme.
8 9 10 11 12
8
Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte Pruine induca alle commosse belve; Forse alle stanche e nel dolor sepolte Umane menti riede La bella età, cui la sciagura e l’atra
Ne’ penetrati [p.] boschi e fra le sciolte Nè penetrati Ne’ penetrati Ne’
An B24 B24 Err Bc
+ Pruine induca ✠ a le commosse belve; alle
An N
10
Forse a le stanche e nel dolor sepolte + alle
An N
11
Umane menti riede
An
12
La bella età, cui la sciagura e l’atra
An
9
12 Anb
✠ induce una certa riverenza a chi la mira. Cast. Corteg. l. 3. Mil. 1803. t. 2. p. 8[9]8. + indurre col dativo. V. la Crus. Introdurre, Introdotto; e il Rabbi ib. così si dice entrare ad uno, ingredi ad aliquem ec. infonda. a le riscosse belve. strofe 1. v. 9. Induce nova speranza alle belve ec. INDURRE p. INTRODURRE si dice colla prep. IN. Ma non è egli ben detto p. e. METTERE UNA COSA IN B O C CA A UNO? DESTARGLI UN DESIDERIO? ec. In questo modo adunque è detto qui INDURRE SPERANZA ALLE ec. Questi tali dativi sono usati tuttodì e nelle lingue moderne e nelle antiche. GALLO, CUIUS AMOR TANTUM MIHI CRESCIT IN HORAS QUANTUM e c.Virg. ecl. 10. fine. Ivi. 9. Costei, dicea, stupore e riverenza INDUCE A l’alma. Ar. Fur. 10. 46. + Ang. di Cost. son. 112. a le triste. Forse a le stanche e in cieca notte[.] avvolte. La fresca, verde età.
9 An 10 An 12 An
due segni di rinvio alle due annotazioni marginali 9 And segno di rinvio all’annotazione marginale 10 Ans atra con r forse su altra lettera
9 And
Ans Anb Anp
10 Ans Anb
13 14 15 16 17 18 19
Face del ver consunse Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Di febo i raggi al misero non sono In sempiterno? ed anco, Primavera odorata, inspiri e tenti Questo gelido cor, questo ch’amara Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
13
Face del ver consunse
An
14
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
An
15
In sempiterno al misero non sono Di Febo i raggi al misero non sono febo [F]ebo febo
An F N Err Nc
16
Di Febo i raggi? ed anco, [Febo] febo In sempiterno? ed anco,
An
17
Primavera odorata, ispiri e tenti inspiri
An N
18
Questo gelido cor, questo che amara ch[e] ch’
An
19
Nel fior de gli anni suoi vecchiezza impara? degli
An N
14 Anb 15 Ans Anb 16 And 17 And Ans 18 Anb
a b
F
a b
Intorbidati. A I MISERI.
Non son di Febo, del giorno, a l’infelice i raggi Eternamente? Non son di Febo in sempit. i raggi A l’infelice? anco. Casa lett. 4. al Gualteruzzi. ISpirare. Tasso op. t. 8. p. 247. princip. iSpirare. Vit. SS.PP. t. 1. p. 3. Questo rigido cor.
20 21 22 23 24
Vivi tu, vivi, o santa Natura? vivi e il dissueto orecchio Della materna voce il suono accoglie? Già di candide ninfe i rivi albergo, Placido albergo e specchio
20
Vivi tu, vivi o santa vivi, o
An N
21
Natura, e vano al dissueto orecchio Natura[,] [e vano] [al] Natura? vivi, e ’l vivi e il
An
Non erra il suon de la tua voce intorno? [Non erra] [il suon] [de] [la tua voce] [intorno] De la materna voce il suono accoglie? Della
An
22
N
Già di vezzose Dee le fonti albergo, [vezzose] [Dee] [le] [fonti] candide ninfe i rivi
An
24
Placido albergo e specchio
An
22 Ans
Anb 23 Ans Anb 24 Ans Anb
a b
N
23
20 Anb 21 Ans Anb
a b
a b
Vivi pur. (dissuetudine. Crus.) disusato orecchio. e invano. e intorno — in[t]darno, invano. Natura[,], vivi, e ’l — Il suono empiea de la materna voce? De la materna voce il suono accoglie? accolse. (Tasso Gerus. 10. 19.) di tua favella. Non fiede, fére il suon ec. indarno? Già di ninfe leggiadre i fonti. Già di secrete, tacite, ninfe i rivi. Nitido albergo. Diletto albergo.
25 26 27 28
25
Furo i liquidi fonti. Arcane danze D’immortal piede i ruinosi gioghi Scossero e l’ardue selve (oggi romito Nido de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre
Furo i liquidi rivi: arcane danze [rivi:] fonti: fonti[:] [a]rcane fonti. Arcane
An
26
D’immortal piede gl’inaccessi gioghi [gl’inaccessi] i ruinosi
An
27
Scossero e l’ardue selve (oggi romita romit[a] romito
An Nc
28
Stanza de’ venti): e ’l pastorel che a l’ombre ch[e] ch’ e il all’ [Stanza] Nido
An
25 Ans Anb 26 Ans Anp 27 Anp
26 Anp 27 An
a b g a b
a b
F N Nc
I NITIDI FONTI.
i liquidi fonti. I RUINOSI GIOGHI.
E le selve crollaro. piè, le inospite foreste — e gli ardui monti, l’ardue balze, le discoscese rupi. Ivi. 7. POSSIN up’AQANATOISI Poseidawno" ionto". Hom. Ivi. 8. OGGI ROMITA STANZA. Nunc tantum sinus. ec. Aen. 2. 23. Ivi si riferisce a Strofe 1 della prima nota in questa scheda, riportata in 9 Anp, ma in realtà questo è il v. 8 della seconda strofe vd. 26 Anp app. crit.
29 30 31 32 33 34 35
Meridiane incerte ed al fiorito Margo adducea de’ fiumi Le sitibonde agnelle, arguto carme Sonar d’agresti Pani Udì lungo le ripe; e tremar l’onda Vide, e stupì, che non palese al guardo La faretrata Diva
29
Meridiane incerte e a la fiorita alla [e alla] fiorit[a] ed al fiorito
An N Nc
30
Margo adducea de’ fiumi
An
31
Le sitibonde agnelle, argu[r]to carme
An
32
Sonar d’agresti Pani
An
33
Udì lungo le ripe; e tremar l’onda
An
34
Vide, e stupì, chè non palese al guardo che
An N
35
La bella arciera Diva [bella] [arciera] faretrata
An
29 Ans 30 Anb 31 Anb 33 Anb 34 Anb 35 Anb 29 F N 33 Anb
a b
Sul fervido meriggio. Sul meriggio cocente. incerte. Virg. ecl. 5. v. 5. Piaggia Spiaggia. Il — gregge. Udì p. l’ampie valli, le campagne. lungo le piagg[i]e. chè a l’uman guardo ignota, occulta. La casta. La boschereccia. LA FARETRATA. incerte (1) con numero di rinvio alla nota 1 di F pp. 71-72 (corrispondente alle Annotazioni alle dieci canzoni, canz. VII, ii. 9 «Anticamente correvano» ecc.) Meridiane (6) con numero di rinvio alla nota di N pp. 174-175 («La stanchezza, il riposo» ecc., che è rielaborazione della nota in F) ed. Ranieri incerte, ed ha scritto lampie aggiungendo poi l’apostrofo
36 37 38 39 40
36
Scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda Polve tergea della sanguigna caccia Il niveo lato e le verginee braccia. Vissero i fiori e l’erbe, Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Scendea ne’ caldi flutti, e de l’immonda d[e] l’ da l’ dall’
An
37
Polve tergea de la sanguigna caccia della
An N
38
Il niveo lato e le possenti braccia. [possenti] verginee
An
39
Vissero i fiori e l’erbe,
An
40
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
An
36 Ans
Anb 37 Ans 38 Anb 39 Ans 40 Ans
a b
N
a b
Scendea ec. La Diva arciera e d[e]a la polve immonda Stanco, Lasso, Egro tergea ec. Affannoso, Faticoso tergea d[a]e l’aspra caccia Il casto lato, bianco ec. E LE VIRGINEE BRACCIA. Anelo, Languido, Afflitto detergea. faticoso p. stanco. Rabbi v. Stanco. Sannazz. egl. 2. v. 12. Scendea ne’ caldi flutti La diva arciera e de la polve immonda Lasso, Stanco, Egro tergea da la sudata ec. silvestre caccia. sonante TERGERE DA. Crus. v. Detergere. Il molle fianco e le nevose braccia. gagliarde. decenti. formose. tremende. Vissero i dumi e l’erbe Vissero i fiori. Visser le nubi. le frondi e l’erbe. i dumi.
41 42 43 44 45 46
Aure, le nubi e la titania lampa Fur dell’umana gente, allor che ignuda Te per le piagge e i colli, Ciprigna luce, alla deserta notte Con gli occhi intenti il viator seguendo, Te compagna alla via, te de’ mortali
41
Aure, le nubi, e la Titania lampa nubi[,] [T]itania titania
An
42
Fur de l’umana gente,+ allor che ignuda dell’
An N
43
Te per le piagge e i colli,
An
44
Ciprigna luce, a la deserta notte alla
An N
45
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
An
46
Te compagna + a[l. ] la via, te de’ mortali alla
An N
41 Ans 42 Ans Ana 44 And Ans Anb 45 Ans 46 And Anb Ana
41 Ans 46 An
a b g
Aure vaganti celesti, e le dorat[i]e nubi — ˆ e le Titanie rote. E la solar quadriga. stirpe. + Gens humana ruit ec. Orazio. Deliaca luce. A la profonda notte. ROSCIDA LUNA, a la deserta ec. Anelo ed egro[,] Te ec. il peregrin. Allor che stanco ec. seguiva; Te consorte ... Cittadini convitti. Te compagna di[s]cea, i nvocò — Sollecita ec. TE PEREGRINA IN CIEL, ANCOR. (Del gran pianetA Al nido ov’egli alberga. Petr.) Te compagna fedel. + SilvA Alta Iovis. Aen. 3. vacuA Atria. Aen. 2. Georg. 4. 244. Aen. 2. [3]238. vaganti scritto sopra la riga, con segno di inserzione dopo Aure segno di rinvio all’annotazione marginale Ana
47 Pensosa immaginò. Che se gl’impuri 48 Cittadini consorzi e le fatali 49 Ire fuggendo e l’onte,
47
Pensosa im ˜ aginò.
Che se gl’indegni [indegni] impuri
immaginò.
An B24
48
Cittadini consorzi, e le fatali consorzi[,]
An
49
Ire fuggendo e l’onte,
An
47 Ans
Anb Anp
48 Ans 49 Ans
47 An Ans
a b
a b
SOLLECITA SI FINSE. E QUANDO I TRISTI [.], [Pensosa] E DOVE. Sollecit[à]a estimò. Che se gl’IMPURI. Pensosa riputò. Che se gli umani Contaminati alberghi, sedi. Che se. Vit. SS.PP. p. 120. col. 2. Che se gl’immondi. [Ch. ] [Strofe] Strofe 3. v. 9. CHE SE. Alberto Lollio Oraz. per Gaio Fulvio Cresino verso il fine, nelle Pros. Fiorent. e ivi, vol. 1. par. 3. p. 20. consorzi. Galateo c. 22. fine. c. 24. p. 289. Non degne, dome ire fuggendo. Inclemenze fuggendo. Cruente ire fuggendo. lo spazio tra m e g serve per non collocare la tilde sopra a, ed è perciò escluso che tale segno modifichi un precedente imaginò Sollecita con accento cancellato su à scritta per errore
50 Gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime 51 Selve remoto accolse, 52 Viva fiamma agitar l’esangui vene,
50
I duri tronchi a l’egro petto indarno [I] [duri] [l’egro] [indarno] Gl’ispidi al altri ne l’ime nell’
An N
51
Lo sventurato accolse, [Lo] [sventurato] Selve remoto
An
52
Viva fiamma agitar l’esangui vene,
An
50 And Anb
Anp
51 Ans Anb
a b
a b
al [t]fremebondo petto. a l’affannoso petto. I RUDI TRONCHI. Gl’ignavi tronchi. (immoti, silvestri, inerti, scabri ec.) a l’affannato, ANGOSCIOSO petto. A l’ansioso petto. Strofe. 3. v. 12. I DURI TRONCHI. Al fremebondo petto altri gl’ignavi Tronchi RO M I TO accolse. ne l’erme, erte Rupi. su l’erte. ne l’erme, atre Selve. Altri gl’ispidi tronchi al petto indarno Per l’ime selve accolse, Su l’erte, IRTE rupi accolse, Ne l’erme rive accolse. al petto accolse — indarno. indarno accolse — al petto. Ne l’ime selve strinse. Altri ne l’erme rive, su l’erte rupi, monti, ec, al petto indarno [G] I tronchi ispidi accolse. [per] Altri per selve e rupi. Per selve e [p. ] rupi accolse. In erma sede, sedi. Altri per l’ime selve i tronchi ignavi, inerti, immoti, A l’egro petto accolse. Per le cieche, negre, buie, cupe foreste, Per le secrete ec. selve i tronchi ignavi Altri si strinse, s’accolse, al petto. Altri mísero al petto i tronchi ignavi — accolse. Altri mísero i tronchi ispidi al petto. Altri misero al petto indarno i rudi Tronchi romito accolse. ACCOLSE. Alam. Coltiv. p. 56. Parnaso. accolse — indarno.
53 54 55 56 57 58 59
Spirar le foglie, e palpitar segreta Nel doloroso amplesso Dafne o la mesta Filli, o di Climene Pianger credè la sconsolata prole Quel che sommerse in Eridano il sole. Nè dell’umano affanno, Rigide balze, i luttuosi accenti
53
Spirar le foglie, e palpitar segreta
An
54
Nel doloroso amplesso
An
55
Dafne o la mesta Filli o di Climene Filli,
An N
56
Pianger credè la sconsolata prole
An
57
Quel che sommerse in Eridano il sole.
An
58
Nè de l’umano affanno, dell’
An N
59
Squallide balze, i luttuosi accenti [Squallide] Rigide
An
53 Ans Anb
a b
Anf 59 And Anb Anf
SPIRARE p. VIVERE. Past. fido Atto 4. sc. 9. Spirare i tronchi, i rami. E palpitar si finse ... E palpitar commossa. nel disperato amplesso. (O Dafne o l’ ... Filli) la Tracia Filli. Piangere ancor [d] la desolata. Commiserar credè la mesta, l’afflitta prole. Nè degli umani affanno. Nè voi l’umano, gli umani affanni — e i luttuosi accenti Inuditi ferir. Nè l’[a]uman fato a voi, Squallide rupi ec. — Immiserati fur. RUVIDE. Rigide balze. Livide. i DISPERATI. i lagrimosi accenti. GEMITUS LACRIMABILIS. En. 3. sul princ.
55
ed. Ranieri Dafne e la
54 Anb 55 And Anb 56 Anb 58 Anb
60 61 62 63 64 65
Voi negletti ferìr mentre le vostre Paurose latebre Eco solinga, Non vano error de’ venti, Ma di ninfa abitò misero spirto, Cui grave amor, cui duro fato escluse Delle tenere membra. Ella per grotte,
60
Voi negletti ferir, mentre le vostre fer[i]r[,] ferìr
An
61
Paurose latebre Eco solinga,
An
62
Non vano error de’ venti,
An
63
Ma di ninfa abitò misero spirto,
An
64
Cui grave amor, cui duro fato escluse
An
65
De le tenere membra. Ella per grotte, Delle
An N
61 Anb 62 Anb Anf 64 Anp
65 Anb
60 An 62 Anf
a b
Inaccesse, SINUOSE latebre. Non vana opra, ozio, urto ec. non cieco error de’ venti. Non frode ... de venti. Non vôto ec. strofe 4. v. 7. ESCLUDERE DA un luogo per CACCIAR FUORI. Ar. Orl. Fur. 9. 29.+ + e v. la Crus. es. ultimo, ed in ESCLUSO. Arios. Sat. 1. terz. 44. Egli p. grotte. Ei per le grotte, Per le concave rupi e l’erme arene, valli ec. lo spessore dell’accento (cf. per es. abitò 63 An) dissimula il punto predente de sic
66 Per nudi scogli e desolati alberghi, 67 Le non ignote ambasce e l’alte e rotte 68 Nostre querele al curvo
66
Per nudi scogli e moribonde ar[i]ene e desolati alberghi alberghi, alberghi,
An F N Err Nc
67
Le non ignote ambasce e l’alte e rotte
An
68
Nostre querele a[i.] i curvi [a i curvi] ˆ al curvo ˆ
An
66 Anb
Anf 68 And Anb Anf
66 An Anb 68 An
a b
Per le riposte arene, e l’erte rupi, l’ime vall[e]i. Per l[i]e deserte ec. Per gli sterili scogli ec. e moribonde rive. Infeconde, inospitali arene. Moribonde arene. Moribundaque membra disse Virg. de’ corpi umani in genere, e vuol dire CHE SPIRANO MORTE, CHE HANNO DEL MORTO. A GLI ASPRI. rudi liti. AL CURVO ETRA Ai vasti Lidi. ai curvi, empi, feri, duri CIELI. AL CURVO [E]ETRA. TONDO lo chiama Dante. Crus. v. Etera. A i vaghi Astri. puri. sommi. il nesso re (lettere di solito separate, cf. per esempio arene 66 Anb e Anf) nasce dal fatto che e dissimula i, il cui punto è coperto con un ampio svolazzo pare abbia scritto li e poi corretto i in e, ma vi è anche la cancellazione di un accento grave dopo e, lettera che sembra proseguire nel principio di un’altra o per cancellare il punto ha utilizzato la variante 68 And AL CURVO ETRA già scritta sopra il verso, cancellando tutto ETRA, cancellando la sottolineatura di AL CURVO e preponendo un segno di inserzione ripetuto nel verso dopo querele
69 70 71 72
69
70 71
72
Etra insegnava. E te d’umani eventi Disse la fama esperto, Musico augel che tra chiomato bosco Or vieni il rinascente anno cantando,
Lidi insegnava. E te d[i.]’umani eventi [Lidi] ˆ Etra ˆ Disse la fama esperto,+
An
An
Flebile augel che fra chiomato bosco [f]ra tra Musico
An
Non lunge il rinascente anno salúti, Or vieni il rinascente anno cantando,
An F
69 And Anb Ana Anp
70 Ana 71 Anb 72 Anb Anf 69 And Anp 70 Ana
a b
a b
F
[(]E V E N TO è SUCCESSO. Or v. Ariosto c. 5. st. 23. e 58.[)] e Forcell. EVENTUM) E TE DE’ NOSTRI EVENTI. EVENTO per AVVENIMENTO. Pallavic. Stile, Mod. 1819. p. 209, str. 4. v. 12. SUCCESSO p. AVVENIMENTO [è]e SUCCEDERE p. AVVENIRE, dicono tuttogiorno i buoni scrittori spagnuoli, e così l’italiano parlato e scritto. V. Crus. SUCCESSO es. ult. Pallavic. St. del Conc. Proem. c. 1. tit. Crus. SUCCEDERE §. ult. ec. Vasari Vit. di Raff. Roma 1821. p. 29. QUA E (Aegyptiorum gens) P L U R I M O RU M SE ˛ C U L O RU M E T EVENTORUM MEMORIAM LITTERIS CONTINET. C i c. de rep. III. 9. v. 12. SUCCESSO p. avvenimento. Davanzati opusc. B a s s a n o. p. 125. lin. ult. + ESPERTO DI. v. in lat. INEXPERTUS. Canoro ... da profondo ... Piangendo[,] il. Cantando il rinascente ec. la parentesi iniziale è stata prolungata in una linea che isola tutto questo gruppo di note v. 12 scil. della strofe 4, cf. prima nota di questa scheda in 64 Anp l’annotazione continua sulla pagina seguente
73 E lamentar nell’alto 74 Ozio de’ campi, all’aer muto e fosco, 75 Antichi danni e scellerato scorno,
73
E lamentar ne l’alto nell’
An N
74
Ozio de’ campi, a l’aer muto e fosco, e l’ all’
An F N
75
Antichi danni e scellerato scorno, scel[l]erato scellerato
An
73 Ans 75 Ans
a b
N
nel vasto, ne’ vasti. Ozi de l’ore al[x] ciel tacito. E lamentar canoro, credemmo Per li vasti silenzi a l’aer fosco. E lamentar ne’ vasti Riposi, Silenzi de la terra ec. a l’aer fosco. E memorando scorno. Antiche offese. ec. Antiche orride, acerbe colpe, offese e nero scorno, E d’empia vista, clade insanguinato, inorridito ec. cene.
76 E d’ira e di pietà pallido il giorno.
76
E da nefando suol profugo il giorno. E d’ira e di pietà pallido
76 And Ans
Anf
76 Ans
An F
(E da BARBARO) E da cruento suol. E d’ira e di terror livido, profugo, pallido. E di pietà lurido, squallido. E di nefande cene, E di fera ˆ vendetta, e di nefanda clade orrido il giorno. E BRUTTO DI [cr]NEFANDE OPERE, cruente ec. (Sol qui terrarum flammis opera omnia lustras). E d’imman[e]i vendette. E di nefanda cruenta vista. E di spettacol reo. E sozzo di nefande opere il giorno. (fugato, attonito, spaventato, inorridito, afflitto, macchiato o POLLUTUS, oscurato, [)] attristato, turbato[.], irato.+) epule il giorno. + infame, abbominevole, colpevole, lugubre. E cruento di fere opere il giorno. E da barbaro suol. (cene, clade, vendetta, delitto, vista, suolo, paese, casa, reggia, soglie [ec][.], [)]fatto, cas[x]o. E di nova empietà squallido, pallido, l[u]ivido il giorno. E di nefando scempio. E funesto d’infande, atroci, immani ec. opere il giorno. E di novo furor pallido il giorno. E d’✃atroci vendette[.] orrido il giorno. (cioè INORRIDITO. v. il Monti, Proposta.) ✃ immani. E d’esecrande cene ec. E d’empia vista i[nx.]mpallidito, inorridito, [il] intenebrato il giorno. E fuggitivo a l’empia vista il giorno. E d’esecrandi casi orrido il giorno. E di nefanda vista orrido il giorno. E di spettacol reo[,] lugubre. E D’IRA E DI PIETÀ LIVIDO IL GIORNO. (di grande pietà, non potea motto fare, cioè per la, dalla. Crus. v. DI.) Non mi finisce, perchè questo affetto par che si riferisca solam. allo scellerato scorno, cioè al fatto di Tereo, e non a quello di Progne ec. lurido, aggiunto sopra la riga e preceduto da un segno di inserzione ripetuto dopo pietà
77 78 79 80 81 82
77
Ma non cognato al nostro Il gener tuo; quelle tue varie note Dolor non forma, e te di colpa ignudo, Men caro assai la bruna valle asconde. Ahi ahi, poscia che vote Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono
Ma non da l’empio seme [da l’empio seme] cognato a l’empio al nostro
An
Il gener tuo, non le soavi note [Il] [,] [non] [soavi] Genere il gener tuo; le varie note Il gener tuo; quelle tue varie note
An
Sciagura esprime, e te di colpa ignudo, [Sciagura esprime,] Dolor non finge, forma,
An
80
Men caro assai la bruna valle asconde.
An
81
Ahi ahi, poscia che vote
An
82
Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono
An
78
79
a b
F a b
F a b
F
77 Ans
MA NON ec. senza il verbo. NON PERCHÈ DEGNO TU, MA PERCH’IO PIA. Remig. Fior. ep. 6. d’Ovid. sul fine.
Anb
Ma non da l’uomo è sceso ec. Ma da l’iniquo, afflitto infauˆ sto ec. seme, sangue[.] Non venne il tuo. l’assidue. dolci. le dolenti. D’ogni saper d’ogni ignoranza nude. Crus. v. Inspirare. Fortuna esprime. indotto, netto, vôto, integro, immune, sciolto. l’opaca, la chiusa valle. la bruna selva ACCOGLIE. Son le case. le dimore [o]Olimpie. le celesti sedi. le superne sedi.
78 And Anb 79 And Anb 80 Anb 82 Anb
77 Anb 82 An
infausto aggiunto sopra la riga, preceduto da un segno di inserzione che, trasformando la virgola, è ripetuto dopo afflitto al di sopra della virgola una insistita cancellazione (forse di un punto dapprima cancellato malamente, o dell’inizio di E in luogo di e)
83 Per l’atre nubi e le montagne errando, 84 Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
83
Per l’a[l]tre nubi e le montagne errando errando,
An B24
84
Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
An
83 Anb 84 Anb
per gli atri nembi e per le rupi. errando — il tuono. al paro.
83 An
a[l]tre o a[t]tre (forse aveva avviato alt.)
85 In freddo orror dissolve; e poi ch’estrano 86 Il suol nativo, e di sua prole ignaro
85
86
D’orror gelido [cin]ingombra, e poi che strano [D’orror gelido ingombra,] In freddo orror dissolve; ch’estrano
An
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
An
85 And Ans Anb Anf
Anp
86 And Anb 85 An Anf Anp
a b
F
(involve, avvolge[)], avvince) Extemplo Aeneae SOLVUNTUR FRIGORE membra. v. Alam. coltiv. p. 85. Parnaso. D’orror pavido SCOTE, squassa, e poi ch’ESTRANO. D’orror geli[g]do stringe, e poi ch’in terra L’ignavo Pluto, e d’Acheronte avaro Il sordo flutto emerse. (Il nero Pluto. Il pigro flutto. Il negro stagno. COCYTI STAGNA alta vides, e altrove dice Virg. IL FIUME DI Cocito o DI Stige. Il negro sozzo limo, fango. Il morto Pluto, Lo smorto. Il morto flutto. Il morto regno e d’Acheronte ec. La nera, pigra morte. ec. Così posi io da principio. Mi piace più l’immagine. Non sarebbe aliena dall’argomento, il quale è LA VITA CHE GLI ANTICHI IMMAG I NAVANO IN TUTTE LE COSE DI QUESTA TERRA . Laonde i detti versi poeticamente direbbero, che oggi stante la mancanza delle illusioni, la terra stessa, e l’albergo stesso dei vivi, è divenut[a]o sede di morte, e tutto morto. Nondimeno preferisco l’altra lezione, perchè mi pare se non più AD REM, almeno tolta più da vicino; e dubito che il sentimento [d] dei versi soprascritti, e la relazione che hanno col soggetto, si potesse comprendere al primo momento. s t r. 5. v. 9. OR RO R E p. TREMITO. V. Forcell. HO R RO R, HORREO, HORRIDUS ec. e Monti Proposta, in ORRORE, o vero in ˆ ORRIDO che non ben mi ricordo, e Casa Son. 52. v. penult. e quivi i comenti. il suol paterno. Il patrio suolo, lito. in pare scritto su cin (escluso strin) (Il nero: la parentesi, che non si chiuderebbe, potrebbe fungere da segno di separazione di queste note dai versi precedenti Horridus aggiunto sopra la riga, preceduto da un segno di inserzione che è ripetuto prima di ec.
87 Le meste anime educa; 88 Tu le cure infelici e i fati indegni
87
Le meste anime educa; educa: educa; educa;
An B24 Bc F
88
Tu l’aspre cure e le fortune indegne [l’aspre] [e le] [fortune] indegn[e] ˆ le infelici e i fati indegni
An
87 Anb 88 And Anf
a b
Le inferme genti — il suol nativo. Le afflitte, patrie genti. i casi acerbi ec. Tu le fortune e l’implacate angosce. Tu le fortune indegne e i lunghi affanni. Tu le non degne sorti. Tu le fortune e i miserandi, disperati, lagrimosi affan. Tu de’ mortali dolorosi ec. il grido. Tu l’aspre cure e le fortune e ’l grido. Tu gli aspri fati, e le fortune indegne. Tu l’uman fato e le fortune indegne, Tu le querele ascolta. Tu le misere cure e i fati indegni, e i lunghi affan. Tu gli aspri casi, fati, e le voraci [cure] ec. cure. [G]Tu gl[i]’indomiti fati e le fortune, e le sciagure. [G]Tu gli aspri fati e le mordaci cure. Tu le fortune e le mordaci cure. Tu gli aspri fat[e]i e le — angosce. Tu le misere angosce, e l’aspre cure, e i fati indegni, e le fortune, e i fati acerbi, e ’l fato. le de[s]formi.✃ (Oraz.) ✃ ma non conviene con ASCOLTA come nè anche SQUALLIDE ec. Tu le fortune miserande e ’l[’] grido. lagrimose ec. Tu de’ mortali il miserando affanno Tu le fortune ascolta. E le fortune ec. acerbe. Tu le cure infelici e ’l fato indegno.+ (Essendosi detto EMPIO GENERE non si può dire FORTUNE INDEGNE , bensì FATO il quale ci fa empi e sfortunati.) + Forte recensebat .. FATAQUE FORTUNA S QU E virûm. Aen. 6. 682-3.
89 90 91 92 93
Tu de’ mortali ascolta, Vaga natura, e la favilla antica Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, E se de’ nostri affanni Cosa veruna in ciel, se nell’aprica
89
Tu de’ mortali ascolta,
An
90
Vaga natura, e la favilla antica [n]atura, Natura, natura,
An
91
F
Rendi a l’ ingegno mio; se tu pur vivi, l[’] [ingegno] lo spirto l[o] [spirto] l’ ingegno lo spirto allo
An
92
E se de’ nostri affanni
An
93
Cosa veruna in ciel, se ne l’aprica nell’
An N
89 Ans 90 Anf
91 And 92 Anf
ASCOLTA.
a b
a b g
F N
Et breviter Troiae SUPREMUM AUDIRE LABOREM. Virg. E de la fiamma antica Scalda, Desta, Movi, Sprona, Ardi Scoti, l’ingegno mio. Torna a l’ingegno mio. Premi a. Spira a. E la favilla antica Desta nel petto mio. Ridona al. Ritorna al. Movi nel. Suscita al. [E x. ] E de la fiamma ant. Raccendi, Agita il petto. Suscita il. agli spirti: a mia verde età. E se di nostro fato.
94 Terra s’alberga o nell’equoreo seno, 95 Pietosa no, ma spettatrice almeno.
94
95
Terra s’annida o ne l’equore[a]o seno, [annida] alberga nell’
N
Pietosa no, ma spettatrice almeno.
An
94 Ans Anb
94 An
An
a b
Terra soggiorna, o d’Amfitrite, o nel ceruleo seno. s’alloggia. Terra s’accoglie[.], si posa, [si chiude], [s’asconde], si spazia. o se del mare, de l’onda, di Teti in seno. la o finale di equoreo ritocca una o tracciata come la a finale del precedente alberga
VIII. INNO AI PATRIARCHI, O DE’ PRINCIPII DEL GENERE UMANO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
E voi de’ figli dolorosi il canto, Voi dell’umana prole incliti padri, Lodando ridirà; molto all’eterno Degli astri agitator più cari, e molto Di noi men lacrimabili nell’alma Luce prodotti. Immedicati affanni Al misero mortal, nascere al pianto, E dell’etereo lume assai più dolci Sortir l’opaca tomba e il fato estremo, Non la pietà, non la diritta impose Legge del cielo. E se di vostro antico Error che l’uman seme alla tiranna Possa de’ morbi e di sciagura offerse, Grido antico ragiona, altre più dire Colpe de’ figli, e irrequieto ingegno, E demenza maggior l’offeso Olimpo N’armaro incontra, e la negletta mano Dell’altrice natura; onde la viva Fiamma n’increbbe, e detestato il parto Fu del grembo materno, e violento Emerse il disperato Erebo in terra.
22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32
Tu primo il giorno, e le purpuree faci Delle rotanti sfere, e la novella Prole de’ campi, o duce antico e padre Dell’umana famiglia, e tu l’errante Per li giovani prati aura contempli: Quando le rupi e le deserte valli Precipite l’alpina onda feria D’inudito fragor; quando gli ameni Futuri seggi di lodate genti E di cittadi romorose, ignota Pace regnava; e gl’inarati colli
33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56
Solo e muto ascendea l’aprico raggio Di febo e l’aurea luna. Oh fortunata, Di colpe ignara e di lugubri eventi, Erma terrena sede! Oh quanto affanno Al gener tuo, padre infelice, e quale D’amarissimi casi ordine immenso Preparano i destini! Ecco di sangue Gli avari colti e di fraterno scempio Furor novello incesta, e le nefande Ali di morte il divo etere impara. Trepido, errante il fraticida, e l’ombre Solitarie fuggendo e la secreta Nelle profonde selve ira de’ venti, Primo i civili tetti, albergo e regno Alle macere cure, innalza; e primo Il disperato pentimento i ciechi Mortali egro, anelante, aduna e stringe Ne’ consorti ricetti: onde negata L’improba mano al curvo aratro, e vili Fur gli agresti sudori; ozio le soglie Scellerate occupò; ne’ corpi inerti Domo il vigor natio, languide, ignave Giacquer le menti; e servitù le imbelli Umane vite, ultimo danno, accolse.
57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70
E tu dall’etra infesto e dal mugghiante Su i nubiferi gioghi equoreo flutto Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima Dall’aer cieco e da’ natanti poggi Segno arrecò d’instaurata spene La candida colomba, e delle antiche Nubi l’occiduo Sol naufrago uscendo, L’atro polo di vaga iri dipinse. Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi Studi rinnova e le seguaci ambasce La riparata gente. Agl’inaccessi Regni del mar vendicatore illude Profana destra, e la sciagura e il pianto A novi liti e nove stelle insegna.
71
Or te, padre de’ pii, te giusto e forte,
72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
E di tuo seme i generosi alunni Medita il petto mio. Dirò siccome Sedente, oscuro, in sul meriggio all’ombre Del riposato albergo, appo le molli Rive del gregge tuo nutrici e sedi, Te de’ celesti peregrini occulte Beàr l’eteree menti; e quale, o figlio Della saggia Rebecca, in su la sera, Presso al rustico pozzo e nella dolce Di pastori e di lieti ozi frequente Aranitica valle, amor ti punse Della vezzosa Labanide: invitto Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni E di servaggio all’odiata soma Volenteroso il prode animo addisse.
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Fu certo, fu (nè d’error vano e d’ombra L’aonio canto e della fama il grido Pasce l’avida plebe) amica un tempo Al sangue nostro e dilettosa e cara Questa misera piaggia, ed aurea corse Nostra caduca età. Non che di latte Onda rigasse intemerata il fianco Delle balze materne, o con le greggi Mista la tigre ai consueti ovili Nè guidasse per gioco i lupi al fonte Il pastorel; ma di suo fato ignara E degli affanni suoi, vota d’affanno Visse l’umana stirpe; alle secrete Leggi del cielo e di natura indutto Valse l’ameno error, le fraudi, il molle Pristino velo; e di sperar contenta Nostra placida nave in porto ascese.
104 105 106 107 108 109 110
Tal fra le vaste californie selve Nasce beata prole, a cui non sugge Pallida cura il petto, a cui le membra Fera tabe non doma; e vitto il bosco, Nidi l’intima rupe, onde ministra L’irrigua valle, inopinato il giorno Dell’atra morte incombe. Oh contra il nostro
111 112 113 114 115 116 117
Scellerato ardimento inermi regni Della saggia natura! I lidi e gli antri E le quiete selve apre l’invitto Nostro furor; le violate genti Al peregrino affanno, agl’ignorati Desiri educa; e la fugace, ignuda Felicità per l’imo sole incalza.
An
B24 Bc F N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, X. 4), autografo da cui fu tratto il testo per B24; il canto è scritto su cinque facciate, in cui i versi occupano una metà verticale (destra nelle facciate dispari, sinistra nelle pari) e la metà a fianco è occupata da varianti e note (così che in questo caso è superfluo distinguere tra And e Ans); la facciata 5 reca a destra in alto gli ultimi versi (110-117) e anche il resto della metà destra è riservato ad annotazioni, che continuano nella sesta facciata (6 Giunta alla pagina precedente) e nelle due seguenti, e inoltre sulle quattro facciate di due carte sciolte, spesso con aggiunte evidentemente eseguite in tempi diversi; qui indichiamo con An anche le annotazioni marginali ai versi, distinguendone con Anf quelle su facciate che recano solo annotazioni e con Anp quelle sulle facciate delle pagine sciolte; sulle due redazioni An I e An II per l’inizio del canto vd. avvertenza dopo il v. 5 An I a p. 224 pp. 113-118 pp. 73-78 pp. 47-51
data Opera di 17 giorni. Luglio 1822.
An
tit.
Inno | ai Patriarchi | o de’ principii del genere umano. | Canz. nona.
An
INNO | AI PATRIARCHI | O | DE’ PRINCIPII DEL GENERE UMANO
B24
VIII. | INNO | AI PATRIARCHI, | O | DE’ PRINCIPII DEL GENERE UMANO.
F
tit. An
INNO — CANZONE RE — ODE VI.
tit. An
Canz. nona. inserito in caratteri più piccoli fra il titolo e il v. 1 con penna diversa (e identica a quella dell’annotazione marginale al titolo) p. 113; a p. 111 l’occhiello: INNO | AI PATRIARCHI | O | DE’ PRINCIPII DEL GENERE UMANO | CANZONE NONA (in B24 compare come ottava canzone l’Ultimo canto di Saffo) p. 196 nell’indice: Inno ai Patriarchi, o de’ principi del genere umano (= F, N, Nc)
B24
NONA.
Così Oraz. l. 4. CARMEN
SAECULA-
1
E voi de’ figli dolorosi il carme,
An I
2
Il nostro carme avrete, o di funesta
An I
3
Prole parenti, a cui de l’etra il Sire [Sire] Padre
An I
a b
4
Men ch’a la stirpe vostra infando e torbo An I l[a] stirp[e] vostr[a] [infando] e torb[o] le stirpi vostre amara e torba
a b
5
Viver concesse. Vi[ver] ^ [concesse.] prescrisse. Vita ^
a b
Immedicati affanni
An I
I precedenti vv. 1-5 sono stati cancellati su An fino a prescrisse (v. 5) e sostituiti da una nuova stesura, che si trova su un foglio a parte (sotto l’intestazione Principio del l’Inno ai Patriarchi.), seguita da alcune note (vd. tav. 95); si riporta qui tale stesura (An II) insieme con le successive correzioni manoscritte ed a stampa:
1 An I sventurati, infortunati. 3 An I b AETHERIUS PATER. Forcell. ex Mart. ETEREA LUCE, cioè CHE STA NELL’ETERE , CELESTE. v. Forcell. AETHERIUS ed AEREUS. 4 An I ch’a’ nepoti. amaro e. tristo, BRUNO, tetro, macro, fosco, negro. MEN CH’A’ FUTURI VOSTRI ANÉLA E STANCA, ed egra, posteri, afflitta, truce, tempi, tempo. 5 An I IMMEDICATO come INDOMITO, INVITTO per INVINCIBILE e v. la nota alla Canz. 6. st. 3. ajnhvkesto". Giorni, Anni permise, prescrisse. Intol[l]erandi, interminati, insuperati, immansueti, inesorandi. 5 An I
Canz. 6. st. 3. dell’annotazione marginale si riferisce a VI. Bruto minore st. III. 1 (= v. 31) ferrata; ajnhvkesto" di altra penna
1 2 3 4 5 6
E voi de’ figli dolorosi il canto, Voi dell’umana prole incliti padri, Lodando ridirà; molto all’eterno Degli astri agitator più cari, e molto Di noi men lacrimabili nell’alma Luce prodotti. Immedicati affanni
1
E voi de’ figli dolorosi il canto,
An II
2
Voi, [Voi,] O Voi
di misera prole incliti padri, di di de l’umana prole dell’
An II
Lodando appellerà. Molto a ’l eterno appellerà[.] [M]olto appellerà; molto a l’ all’ [appelle]rà; ridirà;
An II
4
De gli astri agitator più cari e molto cari, e Degli
An II F N
5
Di noi men lacrimabili ne l’alma nell’
An II N
6
Luce prodotti. Immedicati affanni
An II
3
3 An II
APPELLARE
3 An II 4 An II 6 An II
a ’l sic forse gli da un precedente l’ l’autografo ha Immedicati ec. che si ricollega al v. 5 An I
a b
Bc N a b
B24 N Nc
è ALLOQUI. Lodando ESULTERÀ , onorerà, e c c iterà, echeggerà, sonerà, esalterà, innalzerà, membrerà. L’ egra musa dirà. cetra. ornerà. invocherà, eseguirà, emergerà. 4 An II DE L’ORBE ANIMATOR. AGGIRATOR (Monti Proposta, in AGGIRATORE).
7 8 9 10 11 12 13
Al misero mortal, nascere al pianto, E dell’etereo lume assai più dolci Sortir l’opaca tomba e il fato estremo, Non la pietà, non la diritta impose Legge del cielo. E se di vostro antico Error che l’uman seme alla tiranna Possa de’ morbi e di sciagura offerse,
7
Al misero mortal, nascere al pianto,
An
8
E de
An
l’eterea luce etere[a] [luce] etereo lume
assai più dolci
dell’ 9
N
Sortir l’opaca tomba e e
10
11
12
13
’l fato estremo, estremo[,] estremo, il fato estremo,
An
An
Legge del cielo. [c]ielo Cielo cielo
An
E se di vostro antico
a b
F N a b
F
Error, che l’uman seme a la tiranna Error[,] alla
An
Possa de’ morbi e di sciagura offerse,
An
13 An
a b
F N
Non la diva pietà, non l’equa impose pietà[,] pietà, Non la pietà, non la diritta impose
8 An 9 An 10 An
a b
a b
N
De l’aprica stanza, seggio, parte, lato, riva. MEN dura, GRAVI. l’ignava, avara, CIECA, NERA tomba. l’equa non …. IMPOSE. v. la Crus. Tasso t. 8. p. 254. Casa, Uff. com. c. 6. 9. 11. e spessis. e di sciagura oppose. OFFERSE. Petr. Tr. della Fama, Cap. 1. terz. 23.
14 15 16 17 18
Grido antico ragiona, altre più dire Colpe de’ figli, e irrequieto ingegno, E demenza maggior l’offeso Olimpo N’armaro incontra, e la negletta mano Dell’altrice natura; onde la viva
14
Grido antico ragiona, altre più díre dire
An F
15
Colpe de’ figli, e pervicace ingegno, [pervicace] irrequieto
An Nc
16
E demenza maggior l’offeso olimpo [o]limpo Olimpo
An
17
N’armaro incontra, e la negletta mano
An
18
De l’altrice Natura; onde n’increbbe [n’increbbe] la viva natura; Dell’
An
14 An 15 An 16 An 17 An 18 An
16 An 17 An
a b
a b
F N
Ragiona antica fama. più nere. Opre. e mal ardito, irrequieto, turbolento, e di protervo, procace, superbo, petulante, temerario. PERVICACE. V. Oraz. 3. od. 3. v. 70. l. 2. od. 19. v. 9. stoltezza, demenza più grave, rea. e già noverca … La … la viva Fiamma n’increbbe, e del materno seno Il concetto accusammo. nell’annotazione marginale stoltezza, è aggiunto successivamente l’annotazione marginale indica una possibile stesura incontra, e già no verca mano … onde n’increbbe | La vital fiamma ecc.
19 20 21 22
19
Fiamma n’increbbe, e detestato il parto Fu del grembo materno, e violento Emerse il disperato Erebo in terra. Tu primo il giorno, e le purpuree faci
La vital fiamma, Led
esecrato
An il parto
[La vital] [f]iamma[,] Fiamma^ 20
re de’ vivi [re de’ vivi] violento
dal del del
An
Emerse il disperato Erebo in terra.
An
22
Tu primo il giorno, e la purpurea face l[a] purpure[a] fac[e] le purpuree faci
An
22 An
a b
B24 B24 Err Bc
21
20 An
b
L[ed] e[s]e[cra]to n’increbbe, ^ Le detestato
Fu del grembo materno, e
19 An
a
a b
abbominato. e maledetto, DETESTATO, accusato. de’ chiostri materni. DEL MATERNO GREMBO, E PREMATURO. E V I O L E N TO. e l’ombre oscene In terra e ’l disp. Er. emerse, Emerse e ’l disp. Er. in terra. Fu de l’alvo. TENEBROSO EC. luce. vermiglia. faci. volta, chiostra[ta] Del — Empiro.
23 24 25 26 27
23
Delle rotanti sfere, e la novella Prole de’ campi, o duce antico e padre Dell’umana famiglia, e tu l’errante Per li giovani prati aura contempli: Quando le rupi e le deserte valli
De le rotanti spere, e la novella spere[,] sfere, Delle
An
24
Prole de’ campi, o duce antico e padre
An
25
De l’umana famiglia, e tu l’errante Dell’
An N
26
Per li giovani prati aura contempli: contempli[:] contempli. contempli:
An
27
Quando l’ignaro bosco e l’erme rive [l’][ignaro] [bosco] [e l’erme rive] ^ le rupi e le deserte valli ^
23 An Anp 24 An
25 An 27 An
a b
F N
a b
F An
a b
Degli stellanti chiostri. Bem. De le rote superne. E TU LA NOVA^ vaga, amena — E LA VOLANTE. p. 1. [2]v. 22. LA SFERA DEL SOLE, cioè il disco, il corpo solare. Crus. SPERA, e Cell. Vita, Mil. 1806. t. 1. p. 433, 435. o genitor famoso, caduco, superbo, supremo, lodato, canuto, vetusto, lugubre, festoso, fastoso ^ dolente. DUCE, ajrchgo;", hJgemw;n. DUCE, Varchi Boez. l. 3. rim. 6. v. 18. DUCE. v. Cic. de Harusp. resp. c. 26. fin. de Orat. 3. c. 17. progenie, prosapia, legnaggio. autor .. e padre. piagge.
28 29 30 31 32
28
Precipite l’alpina onda feria D’inudito fragor; quando gli ameni Futuri seggi di lodate genti E di cittadi romorose, ignota Pace regnava; e gl’inarati colli
a b
L’ alpino flutto ruinoso empiea alpin[o] alpina [L’] [alpina flutto ruinoso empiea] Precipite l’alpina onda fería onde ferìa onda feria
An
29
D’inudito fragor; quando [le] i futuri [i futuri] gli ameni
An
a b
30
Seggi superbi di lodate genti [S]eggi [superbi] Futuri ^seggi
An
a b
31
E di cittadi romorose, immota [immota] occulta ignota
An
a b
Pace regnava; e gl’inarati colli
An
32
29 An
30 An 31 An 32 An
g F N
N
l’amene — stanze. i superbi Futuri seggi. le vaste stanze. ruina, e quando i vasti, ricchi. le ricche, grate, dolci. I SUPERBI — ARCANA. di superbe. clamorose, popolose. teneva, premeva, sedeva, abitava. Avea silenzio, quiete. Ozio.
28 An b la correzione alpina denota l’intenzione di utilizzare la parola per un settenario L’alpina onda fería g tutto il verso è cancellato con un’unica linea da alpina a empiea e la nuova stesura è scritta tutta in una volta F onde errore tipografico 29 An l’annotazione marginale i superbi — arcana è aggiunta nella facciata seguente; cioè: 29-32 quando i superbi | Futuri seggi di lodate genti | E di cittadi romorose, arcana | Pace teneva ecc.
33 34 35 36
33
Solo e muto ascendea l’aprico raggio Di febo e l’aurea luna. Oh fortunata, Di colpe ignara e di lugubri eventi, Erma terrena sede! Oh quanto affanno
a b
Sol di febo ascendea l’aprico raggio Sol [di] [febo ascendea l’aprico] Solo ascendeva il taciturno [ascendeva il taciturno] Solo^ e muto ascendea l’aprico
An
34
O la secreta luna. Oh fortunata, [O la secreta] Di febo e l’aurea
An
a b
35
Di colpe ignara e de’ letali affanni, d[e’] [letali] [affanni,] di lugubri eventi,
An
a b
36
Erma terrena sede. Oh quanto affanno sede!
An N
33 An
Anp
34 An
35 An
36 An
33 An Anp
g
Solo ascendea la — lampa. Solo e vano. Taciturno ascendea l’aprico raggio. Solitario ascendea. SOLO E MUTO ASCENDEA L’APRICO RAGGIO. Solo il diurno raggio e la secreta Luna ascendeva. p. 2. v. 3. MUTO: perchè anche il giorno era allora silenzioso come la notte. Per amica silentia lunae. Aen. 2. v. 2-3. ASCENDERE coll’accusativo è de’ latini: ma noi pur diciamo SALIRE, e MONTARE, e SCENDERE collo stesso caso. l’alma, alba luna. AUREA. Reg. Parnas[i]si, Georg. 1. 431. Il color della luna è tra l’oro e l’argento. Ed AUREO vale SPLENDIDO. E la vezzosa, ridente, pallente, placida luna. indótta. funebri, immiti, voraci, DE L’EDACE, atroce. De l’atra colpa, De’ neri affanni e di sciaure indótta. De l’egro affanno. funebri, LUGUBRI , ingordi, LETALI AFFANNI. Vana terrestre. Oh qual d’affanni. nell’annotazione marginale Taciturno ecc., laprico con apostrofo aggiunto v. 2-3 cioè p. 2. v. 2-3., essendo nota immediatamente successiva a 45 Anp
37 38 39 40
37
Al gener tuo, padre infelice, e quale D’amarissimi casi ordine immenso Preparano i destini! Ecco di sangue Gli avari colti e di fraterno scempio
Al gener tuo, padre infelice, oh quale [oh] ^ ^e [e] ^oh [^oh] ^e
An
38
D’amarissimi casi ordine immenso
An
39
Preparano i destini. Ecco di sangue destini!
An N
40
Gli avari cólti e di fraterno scempio còlti colti
An F N
37 An 38 An 39 An 40 An Anp
a b g d
misero padre. oh quale. Di miserrimi, tristiss. acerbiss. atrociss. (Di miserandi casi). DEGGIONO I CRUDI FATI, le fere, amare crude sorti, gli atroci fati, Volgono (sic volvere Parcas. Aen. 1.). L’avare glebe, arene, campi. fraterna clade. (Le pingu[e]i, dure glebe). p. 2. v. 10. GLI AVARI COLTI: fatti avari dopo il peccato originale.
37 An b cancellato l’originario oh, non è chiaro se abbia scritto ^ o (cf. per es. oh … o in VI. Bruto minore 101 An b Oh casi, o gener frale!), anche se sarebbe più probabile una cancellazione o[h] e poi in g il ripristino di oh con la semplice aggiunta di h, oppure se abbia scritto ^ e, che anticipa la stesura finale; successivamente (g) ha riscritto oh e infine (d) ha aggiunto ^ e ripetendo il segno di inserzione sotto [oh] di An a 40 An l’accento su cólti pare di altra penna (cf. v. 98 vóta, 107 dóma, 108 ónde minístra)
41 42 43 44
Furor novello incesta, e le nefande Ali di morte il divo etere impara. Trepido, errante il fraticida, e l’ombre Solitarie fuggendo e la secreta
41
Furor novello incesta, e le cruente [cruente] nefande
An
42
Ali di mort[i]e il divo etere impara.
An
43
Trepido, errante il fratricida, fraticida, fratricida, fraticida,
An B24 F N
44
Solitarie fuggendo e la secreta
41 An
43 An 44 An
Anp
41 An 43 An B24 N 44 Anp
e l’ombre e e e
a b
An
Livor —. FERRIGNE — [sen.] [ete] IL PURO ETERA SENTE, funebri, nefande, possenti, non dome. e la funebre Ala — etera turba, invade, attrista, scote, fende, preme, crolla. (il puro etra paventa. e de le brune, tetre, ^ oscene, fosche — etra s’avvede, si turba.) (etere infesta. e le secrete. etra commove, corrompe). Pavido, stupido, ^ torbido pallido, esule, profugo. esangue. (trepido[,] ansante, anelo). Taciturne. Vane fuggendo e ’l susurrar de’ boschi. [f]Fuggendo e ’l vano ec. SECLUDERE IN ALIQUEM LOCUM si dice. v. Forcell. SECLUDO, e SEC[ERNO]RETUS. Dunque anche SECERNERE. (e la RACCHIUSA, riposta, sepolta[)], celata.[)] remota. p. 2. v. 14. LA SECRETA NELLE ec. grecismo: th;n ejn tai`" u{lai". così Caro Com. sopra la Canz. ec. p. 517. DAL MONTE BERECINTO NELLA FRIGIA. V. Aen. 5. 613. nell’annotazione marginale ^ oscene aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di fosche nell’annotazione marginale ^ torbido aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di pallido nota di Leopardi a p. 190: «N.B. (Per errore di stampa il testo dice ,,fraticida,, ma devesi leggere ,,fratricida,, come è scritto nell’originale dell’au tore).» fraticida giustificabile per eufonia, cf. in N propio XXVI. Il pensiero do minante 11 e XXXV. Imitazione 1 ed. Ranieri fratricida così Caro ecc. aggiunta inserita fra le righe con altra penna; la citazione dopo Frigia. pare aggiunta ancora più tarda
45 46 47 48 49
Nelle profonde selve ira de’ venti, Primo i civili tetti, albergo e regno Alle macere cure, innalza; e primo Il disperato pentimento i ciechi Mortali egro, anelante, aduna e stringe
45
Ne le profonde selve ira de’ venti, Nelle
An N
46
Primo i civili tetti, albergo e regno
An
47
A le pallide cure, inalza; e primo [pallide] macere innalza; e Alle
An F N
48
Il disperato pentimento i ciechi
An
49
Mo[l]rtali egro, anel[e]ante, aduna e stringe
An
45 An Anp 46 An 47 An Anp 48 An 49 An
46 An 47 F N
a b
(Ne le cupe foreste.). (Ne l’INOSPITE selve.). p. 2. v. 15. [nel] LA SELVA FONDA dice Dante. civici. ^ (v. Or. od. 1. l. 2.) chiostri, ospizi. A l’indomite cure. (A le deformi cure). (A LE [pa.] torbide, TABIDE, SQUALLIDE CURE [)], MACERE, gelide.) LA — PENITENZA. i tristi. La …. coscienza. (L’irrequieto pentimento). ESANGUE E PAVIDO RACCOGLIE. e tremebondo accoglie. a nsante e palpitante accoglie Ne’ comuni. ansando e palpitando. incalza, istiga. egro e smarrito. accoglie e sprona, spinge. citazione aggiunta sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di chiostri innalza (1); e con numero di rinvio alla nota 1 di F p. 79 («Egressusque Cain» ecc., che riporta la citazione biblica delle Annotazioni alle dieci canzoni, canz. IX. 46) innalza (7); e con numero di rinvio alla nota di N p. 175 «Egressusque Cain»
50 Ne’ consorti ricetti: onde negata 51 L’improba mano al curvo aratro, e vili 52 Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
50
Ne’ consorti ricetti: onde negata
An
51
L’improba mano al curvo aratro, e vili
An
52
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
An
50 An 51 Anf
Anp
51 Anp
CONSORTIA TECTA. Georg. 4. 153.
Alla p. 2. v. 21. Sempre costei i buon sotto i piè tiene, Gl’IMPROBI INALZA. Macchiavelli Capitolo della Fortuna. v. 28-9. L’IMPROBO e van desio, fallace e stolto. Girolamo Benivieni, Amore, stanza otto. L’ignava, indegna, ^ fera, turpe, sozza, iniqua, indótta IMPURA altera mano. a l’unco aratro. e vile Fu de le glebe il culto. a’ ^ curvi aratri. La pigra mano. aratro, e vólte Fur le glebe [arene.] in arene. e vili Fur gli [studi] agricoli studi. fera ecc. aggiunto sopra la riga, con un segno di inserzione ripetuto prima di iniqua altera aggiunto sopra la riga, con un segno di inserzione ripetuto prima ^ di mano ^
53 Scellerate occupò; ne’ corpi inerti 54 Domo il vigor natio, languide, ignave
53
Scelerate occupò; l’immonda eruppe ne’ corpi inerti Scellerate
An F N
53bis Fame de l’oro, e ne le tarde membra
An
54
An
Domo il vigor natio, languide, ignave
53 Anf
Anp
54 Anp
53 bis
53
Anf An
Alla p. [3]2. Verso 23. perchè quel movimento impetuoso, e subito, senza parole, o altra dimostrazion di collera, che con tutta la / forza unitamente in un tratto, quasi come scoppio di bombarda, ERUMPE dalla quiete, che è il suo contrario, è molto più violento, e furioso, che quello che crescendo per gradi si riscalda a poco a poco. Il Libro del Cortegiano del Conte Baldessar Castiglione. lib. 2. Mil. 1804. vol. [2] 1. p. 2[3]25-6. / p. 226. dell’ed. Milanese. L’ingorda, avida, S CA R NA, SMUNTA, macra, S TO LTA, INSANA, indegna, improba, tetra, trista, sorda, ignava eruppe. La torva eruppe. La prava eruppe. E NE’ CODARDI PETTI FRANTO. negl’inerti, enervi, socordi petti. E NE LE TORPI MEMBRA, salme. e ne le tarde salme Franto. L’arida — Fame de l’oro. L’oscena, SMORTA eruppe. e ne’ lascivi petti, infermi. L’inculta, ignuda eruppe. p. 2. v. 23. E RU P P E. v. Parini ALLA MUSA. v. 7. e Forcell. v. INDE. Monti Il. 7. 1. ERUPPE. Spento, rotto, smunto, schiuso, sperso il vigor natio. languide, inerti. languide e vane, stanche, frali, abbiette. languida — giacque la mente. languidi, [x.] enervi — gl’ingegni. languide, inferme. Scemo il vigor. [e lang] misere inferme ec Languìr le menti. (DOMO IL PATRIO VIGOR. patrio, cioè innato, ricevuto dal padre nel nascere, ingenito, natio. V. Hor. od. 4. 4. v. 5.) il segno / tra la e forza richiama un’aggiunta a margine, qui riprodotta dopo la citazione del Cortegiano verso soppresso a partire da F, rifacendo il secondo emistichio del v. 53 An e collegandolo direttamente con il v. 54. ne: forse ne’ con l’apostrofo poi dissimulato prolungando e con uno svolazzo
55 Giacquer le menti; e servitù le imbelli 56 Umane vite, ultimo danno, accolse. 57 E tu dall’etra infesto e dal mugghiante
55
Giacquer le menti; e servitù le imbelli
An
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Umane vite, ultimo danno, accolse.
An
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E tu da l’etra infesto e dal mugghiante dall’
An N
55 Anp
56 Anf
Anp 57 Anp
55 Anp
56 Anp
le stanche, oscure, inerti, frali Umane vite. E servitù gl’imbelli Secoli e freno irrecusato, i n t o l e r a n d o, obbrobrioso: e legge, peste irreparata, e morbo, clade, tosco; e nodo irresoluto accolse. l’enervi Umane vite, indegne, inique, impure. e freno, morbo ec insuperato, insuperando, ineluttando. le inferme Umane ec, le fosche, tetre, triste (degeneri etadi, tralignate). Alla p. 2. v. 27. ACCOLSE. EXCEPIT. ACCOGLIERE è voce generica. Si può bene e male accogliere, e si dice tutto giorno: FU MALE ACCOLTO, I NEMICI L’ACCOLSERO CON UNA FURIA DI MOSCHETTATE ec. UMANE GREGGI ^ (Or. od. 1. l. 3. v. 5.), PLEBI, turba, schiera, genti. ultima clade, [ples] peste, invase, ottenne, incesse. ultima clade oppresse. da l’etra infenso. dal nembo immenso, dal verno (HIEMS. Alamanni, Coltiv.). e da l’ondante, de l’etra — e de l’. e del natante. Ma tu da l’etra ec. degeneri etadi, tralignate potrebbe implicare una diversa stesura di questo passo (Moroncini), ma la collocazione fra parentesi sembra piuttosto significare (come in altri luoghi di questo autografo) che qui l’annotazione è fuori posto (e allora si potrebbe pensare a una stesura dei vv. 37-38 e quale | Di degeneri etadi ordine immenso) ( O r. e c c. aggiunto sopra la riga, con un segno di inserzione ripetuto ^ prima di plebi
58 59 60 61
58 59 60 61
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima Dall’aer cieco e da’ natanti poggi Segno arrecò d’instaurata spene
Su[i.] i nubiferi gioghi equoreo flutto Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima Da l’aer cieco e da’ natanti poggi Dall’ Segno arrecò d’instaurata spene
58 Anp
60 An
Anp 61 An
58 Anp
An An An N An
Fra’ nubiferi massi, sassi, scogli. Fra, su le superbe, supreme ˆ (Georg. 4. 460.), inospite, inaccesse rupi. Su le rupi e le torri, selve ec. e dal rifuso, infuso Ne la pavida terra, negl’immobili campi. oceano. ne le selve, valli, monti ec. ne’ boschi e ne le valli, rupi equoreo flutto. Su l’eccelse ec. pendici. FOSCO. e le natanti piagge, rive, lidi. DA L’ AER SOLO, muto. Da’ gravi, molli boschi, ciechi ec. (COLLI). (Da l’aer bruno, tetro). (Da gli ermi boschi). p. 3. v. 2. POGGI, non MONTI, perchè il diluvio era sul calare. SEGNO APPORTÒ DI REDIVIVA SPENE di rinnovata, suscitata, ristorata, riparata, rinverdita, r i n t egrata, rinata, risorta, FORTUNATA, più gioconda, beata, benigna. Di salute arrecò placido, propizio, vivido segno, presagio e segno. Certo segno recò di lieta spene. Recò di lieta spene augurio, auspicio e segno. segno beato. bramato segno. Recò di spene desiato segno, fortunato, indubitato. non dubbio segno. Recò di lieta spene indubio segno. Segno di spene in su la nave ardita, in sul … tetto Recò pura colomba. SEGNO ec. cioè segno che v’era speranza di salute, considerando la speranza come persona, indipendentemente da chi la prova, alla poetica. (Lieto segno, Fausto segno recò ne l’ardua nave.). (Fortunato arrecò segno di spene. Fuggitiva recò.). (SEGNO RECÒ. NUNZIO RECÒ.). (indice e segno. Apportò di salute indice e segno, amico sesupreme ecc. aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di inospite
^
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La candida colomba, e delle antiche Nubi l’occiduo Sol naufrago uscendo, L’atro polo di vaga iri dipinse. Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
62
La candida colomba, e de le antiche delle
An N
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Nubi l’occiduo sol naufrago uscendo, [s]ol Sol
An
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L’atro polo di vaga iri dipinse.
An
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Riede a la terra, e ’l crudo affetto e gli empi alla terra, e il
An N
62 An 63 An 64 An 65 An
Anp
62 64 An
a b
gno ec. Arrecò ec. aperto segno. fede. [)] PEGNO. Recò ne l’arduo [t.e] nave, tetto, su l’arduo tetto. arra di spene.) (di ravvivata spene.). [Re] INSTAÜRATA. V. la Crus. v. RESTAURARE, e RESTAURATO. La candida, pavida, trepida, timida colomba auspicio e, amico segno Di salute, D’alma pace, speme recava. l’occiduo Sol madido. NAUFRAGO. cioè come un naufrago esce dalle acque. Gli atri nemb[o]i. L’atro[,] ^ cielo, nembo di lieta. RIEDE A I TETTI, campi, DESERTI, E LE FUNESTE COLPE RINTEGRA. e l’infelici Colpe. e le ferali Colpe. e gl’infelici Studi rinnova. e l’espiate Colpe. e ’l furor primo e gli empi. Casi. Riede a l’aprico e ’l furor noto e gli empi Casi rintegra (osservate che qui RINTEGRA potrebb’esser equivoco, e significare anche CONFORTA, come, Quando la luna i campi arsi rintegra. Molza Ninfa Tiberina). (RIEDE e c. questo RIEDE non si riferisce a RIPARATA cioè R I N N OVATA , ma solamente a S T I R P E, e vuol dire, la stirpe umana, rinnovandosi, ritorna a popolar la terra; e va benissimo.). ed. Ranieri dell’antiche nell’annotazione marginale cielo, è aggiunto sopra la riga, trasformando in segno di inserzione la virgola precedente
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Studi rinnova e le seguaci ambasce La riparata gente. Agl’inaccessi Regni del mar vendicatore illude Profana destra, e la sciagura e il pianto
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Studi rinnova e le seguaci ambasce
An
67
La riparata stirpe. A gl’inaccessi [stirpe][.]^ gente. Agl’
An N
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Regni del mar vendicatore illude
An
69
Proterva destra, e la sciagura e ’l pianto [Proterva]^ Profana e il
An
66 Anp
a b
a b
N
e le nefande Colpe, Opre, Atti. e le ferali angosce La RECIDIstirpe. e le nefande imprese. e i dolorosi, lacrimosi, miserandi, lacrimandi affetti. esecrandi. e gl’infelici, lacrimosi ec. eventi. La rintegrata, rinnovata, ristorata gente, stirpe. Ai dinegati. ^ insulta L’ardita proda, pino. il nudo (perchè nudo nasce, e perchè spogliato dal diluvio), il vano Mortale insulta. il frale, cieco Abete insulta. p. 3. v. 10. ILLUDE. Vedi specialm. l’es. di Virg. Georg. 2. 374. nel Forcellini. p. 3. v. 10. VENDICATORE: alludendo al diluvio, e a quel che s’è detto del mare nei versi di sopra. SUPERBA, MALVAGIA DESTRA. Inferma destra. Mortale ingegno, cupido ec. Protervo remo, poppa, legno, antenna, senno, petto, e c. Vano mortale. il vinto, domo Genere, Mortale insulta. il folle Mortale. insana destra. Mortal vestigio. VA
67 Anf Anp 68 Anp
69 Anp
67 An b il punto dopo [stirpe] è trasformato in segno di inserzione Anp Ai oppure ^ A i; Ai dinegati aggiunto sopra la riga, collocato prima di ^ insulta 68 Anp
70 A novi liti e nove stelle insegna. 71 Or te, padre de’ pii, te giusto e forte, 72 E di tuo seme i generosi alunni
70
A novi liti e novo nov[o] nove nov[e] novo nove novo nove
cielo insegna. [cielo] stelle [stelle] ^insegna. ^cielo stelle cielo stelle
An
g Bc F N
71
Or te, padre de’ pii, te giusto e forte,
An
72
E di tuo seme i [glo] generosi alunni
An
70 Anp 71 Anp
72 Anp
70 Anp 72 Anp
a b
E NOVE STELLE. A NOVI SOLI E NOVE TERRE. ^ e novo polo. FORTE. La Scrittura narra una battaglia vinta da Abramo per
salvar Lot.) Ma te. Or te, cura del ciel, te — Progenitor de’ pii, debita onora — L’egra cetera mia. [M] Or te, padre de’ pii, debita onora, te lieta onora, grata, flebile, festiva, dogliosa. Or [de] te diletto al ciel. padre de’ pii, cura del cielo. Or te, cura del ciel, te giusto e forte Progenitor de la prescelta gente. O genitor. Progenitor d’eletta prole, gente, onora. TE GIUSTO E SAGGIO, santo. TE RETTO, saggio, CASTO, puro e forte. (la forza è compagna ed emblema della giustizia e della VIRTÙ. Iustum et tenacem propositi virum ec.) TE SANTO E FORTE. te giusto e chiaro, te chiaro e forte ec. (DI TUO SEME ALUNNI. Il seme alimenta in certo modo le piante, potendosi considerar come divenuto radice delle medesime, prodotte che sono. + + Può anche voler dire: i figli de’ tuoi figli. Del resto, SEMINI TUO dabo terram hanc: multiplicabo SEMEN tuum ec. Genesi. I GLORIOSI, FORTUNATI ALUNNI. E di tuo sangue. e novo polo aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione dopo TERRE. + Può ecc. a margine, di altra penna
73 74 75 76
73 74
75 76
Medita il petto mio. Dirò siccome Sedente, oscuro, in sul meriggio all’ombre Del riposato albergo, appo le molli Rive del gregge tuo nutrici e sedi,
Medita il petto mio. Dirò siccome Sedente, oscuro, in sul meriggio a’ l’ombre oscuro[,] a[’] all’ oscuro, Del riposato albergo, appo le molli Rive del gregge tuo nodrici e sedi, nutrici
73 Anp
74 Anp
75 Anf Anp
76 Anp
73 Anp
74 Anp 75 Anp
An An
a b
N Nc An An N
MEDITA TE, cioè, di cantar te: ellissi frequentissima. IL PETTO MIO. V. il principio del 4. inno di Callimaco. Celebra, Saluta, Modula, ^ Tempera Risuona, Memora IL PLETTRO, verso, canto mio. Suona, Vanta la cetra, l’accento mio. Loda, onora, ^ volge, canta la musa mia. Narra la cetra mia. OSCURO A L’OMBRE. Obscurus umbris arborum. Forcell. detto di persona. (SUL FERVIDO MERIGGIO) A L’OMBRE ASSISO DEL FORTUNATO ALBERGO. Del placido abituro, riposto, quieto, solingo, tranquillo. (Sul meriggio …) a l’ombre. In sul fervor de l’ore. Tacito assiso in sul meriggio, solingo. Vacuo, sedente in sul. Cheto. ^ Queto. Alla p. 3. v. 17. appo le rive Del balar di tuo gregge risonanti. del caro albergo[,] e de’ soavi, oscuri, opachi, supini colli, poggi ec. DEL PACIFICO TETTO, albergo, ^ ostello, del placido soggiorno, beato ricetto, ricovro. De la .. magione. Del caro albergo, appo le fonti e l’alte, alme Ripe. appo le dolci Rive, Valli ec. GREGGI TUOI. nodrici e cura. Tempera aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di Risuona volge, aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di ^ canta Queto aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione dopo Cheto. ostello, aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima ^ di del ^
77 78 79 80 81
Te de’ celesti peregrini occulte Beàr l’eteree menti; e quale, o figlio Della saggia Rebecca, in su la sera, Presso al rustico pozzo e nella dolce Di pastori e di lieti ozi frequente
77
Te de’ celesti peregrini occulte
An
78
Beàr l’eteree menti; e quale, o figlio
An
79
De la [vezzosa L] saggia Rebecca, in su la sera, Della
An N
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Presso al rustico pozzo e ne la dolce nella
An N
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Di pastori e di lieti ozi frequente
An
77 Anp
78 Anp
79 Anp 80 Anf
Anp 81 Anp
79 An
ambia La decora sembianza, sovrumana forma, improvvisa ec. ambiva Il decoroso volto. La vaga eterea forma, specie. ignote, accolta — forma. La celata sembianza, ascosa, dissimulata arcana. De’ tre celesti. viatori. L’immortal forma. (PEREGRINI, cioè forestieri.[)] OCCULTE, cioè nascose sotto la forma di peregrini.). Cinse, scosse, destò, ferì l’aerea forma, vista ec. BEÒ L’ETEREO SPIRTO. p. 3. v. 20. Esse apibus partem divinae mentis, et haustus AETHERIOS dixere. Georg. 4. CASTA REBECCA. Alla p. 3. v. 22. Presso al rustico pozzo E ne la dolce ec. Aen. 2. 179. Quod pelago ET curvis secum avexere carinis. p. 3. v. 22. E. Guicc. t. 1. 366. Anon, Castello in sulla strada maestra fra Asti e Alessandria, e in sulla ripa destra del Tanaro. NE L’AMENA. Di greggi e di beati. E D’AMENI. e vespertini ozi. di grati. [Di. ] e pastorali. Di lieti vespertini, pastorali ozi frequente. e di tardi ozi. saggia è scritto sopra la riga del verso in corrispondenza di [vezzosa] ma è correzione contemporanea alla prima stesura perché la successiva lettera L (iniziale di Labaníde, cf. v. 83 qui erroneamente anticipato a memoria) è rimasta, intatta, a costituire parte della R di Rebecca
82 83 84 85
Aranitica valle, amor ti punse Della vezzosa Labanide: invitto Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni E di servaggio all’odiata soma
82
Aranitica valle, amor ti punse
An
83
De la vezzosa Labaníde: invitto Della Labanide:
An N
84
Amor che lunga etate al duro incarco An [Amor] [che] [lunga] [etate] [al] [duro] [incarco] Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni
a b
85
Di servitude [Di servitude] E di serv[ì]aggio a l’odiata soma all’
a b
83 Anp 84 Anp 85 Anp
An N
devot[o]a ec. a lunghi esigli al duro, grave incarco Di servitute, servitù …. volenteroso e ’l ec. che per tre lustri. AL DURO AFFANNO. SALMA, incarco, pondo. a la nefanda. E sudor lungo ec e servitute indegna[,] ^ ec. e trista cura, assidua ec. E servitude ingrata, infesta, acerba, indegna il fior de gli anni Volenterosi e ’l giusto capo. SOME (v. Crus. §. 3.). A L’ESECRATA SOMA. E sudor molto, e desir, tristo, [e] vano ec.
84 An b scritto di séguito a [Di servitude] del verso seguente 85 An b la nuova stesura segue sotto il v. 84 An b Anp ec. aggiunto sopra la riga, e trasformata in altro segno di inserzione la ^ virgola precedente
86 Volenteroso il prode animo addisse. 87 Fu certo, fu (nè d’error vano e d’ombra 88 L’aonio canto e della fama il grido
86
Volenteroso il prode animo addisse.
An
87
Fu certo, fu (nè d’error vano e d’ombra
An
88
L’avito canto e de la fama il grido [avito] Aonio [A]onio aonio della
An
86 Anp
87 An
88 An Anp
86 Anp 87 An 88 Anp
a b g
N
VOLENTEROSO IL GIUSTO CAPO ADDISSE. L’età fiorita e ’l giusto capo, e ’l prode animo addisse. L’innocente, giovanile animo. L’età vivida. arbitro addisse. Il fior de gli anni tuoi sudditi oppose. Tua disiosa, giovanile età suddita spinse, etade arbitro addisse. indusse, spinse, ^ impose, strinse, sospinse, oppose, offerse ec. Disiando e sperando ti soppose, ti molcea, lenia, il capo, i giorni addisse. Volenteroso i mesti giorni addisse. i verdi lustri. ec, ec. La prima, verd’età volenteroso addisse. Tua disiosa eta[te]de arbitro spinse. nè di mentito, costrutto, bugiardo errore, inganno. ingannoso, fallace, m e n d a c e, imago. di menzogna e d’ombra, frode, fola, larva. malcauto, leggiadro, beato, soave. (nè d’error solo e d’ombra. nè sol di vano errore ec. d’error vano e stolto, cieco, folle. L’AONIO CA N TO[.], ^ carme. L’AVITA MUSA. L’AVITA FAMA E DE LE MUSE IL CANTO. [L’]ib. v. 3. L’avito canto, cioè venutoci dagli avi che ci hanno tramandato le poetiche descrizioni, lodi e memorie dell’età d’oro. PASCE L’AVIDA PLEBE, turba. l’ignaro volgo, incauto. la stolta, insana, vana, cieca plebe. ^ impose, strinse, sospinse, aggiunti sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di oppose nell’annotazione marginale ^ carme aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto dopo il punto di canto trasformato in virgola; ^ insa na aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di vana ib. cioè p. 4. (l’annotazione segue immediatamente quella 89 Anp) ^
89 90 91 92 93
Pasce l’avida plebe) amica un tempo Al sangue nostro e dilettosa e cara Questa misera piaggia, ed aurea corse Nostra caduca età. Non che di latte Onda rigasse intemerata il fianco
89
Pasce il cupido volgo) amica un tempo [i]l [cup]id[o] [volgo]) l’ avida plebe)
An
a b
90
Al sangue nostro, e dilettosa e cara nostro[,]
An
a b
91
Questa misera piaggia; ed aurea corse piaggia[;] piaggia,
An
a b
92
Nostra caduca età. Non che di latte
An
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Onda raggiasse al puro sole incontra [raggiasse] [al puro sole incontra] rigasse intemerata il fianco
An
89 An Anp 90 An 91 An 93 An
a b
Pasce i cupidi sensi, orecchi, petti, bramosi, gli avidi petti. p. 4. v. 4. PASCE D’OMBRA. animum pictura pascit inani. Aen. [2]. 1. Al gener nostro. lito. lurida, sordida, squallida. FU LA T E R R E NA STANZA, LA DIURNA lampa FIAMMA. aurea si volse. Questa flebile, lugubre stanza.). Onda corresse, movesse, volvesse, fuggisse a l’Oceano in grembo Da la materna rupe, Per le nitide selve. Onda fulgesse, piovesse a l’ima valle in grembo, Sotto la patria balza, l’erta pendice, pendici, a le foreste in grembo. Onda rigasse fuggitiva il fianco De le ruvide balze, De la materna rupe, rupi. A l’arduo, alto sole. RIGASSE FUGGITIVA, intaminata, inviolata, immacolata, indelibata. Onda piovesse fragorosa in grembo, luminosa, De le gelide valli, de l’ime. o le foreste ec Lasciando, fuggendo, sdegnando, e le nevose, native alpi, aure scendesse, corresse L’irsuta lepre ai mansueti ovili. De l’ardue rupi, erte, o di perpetue foglie Verdeggiassero i boschi ec.
94 Delle balze materne, o con le greggi 95 Mista la tigre ai consueti ovili
94
95
[Ne le riposte valli] An De le balze materne, o su le Lrive materne, o con le Lgreggi Bc II Delle N De l’infecondo mar l’adunca falce Mista la tigre a i mansueti ovili consueti ai
a b
An Bc II F N
94 An
Ne le romite, segrete, profonde, sassose, fiorite, gelide, tacite ec. o su le spiagge — l’adunco [rastro] rastro. De le rupi. DE LE S QUALLIDE, PALLIDE, RU V I D E BALZE, rupi. De le patrie pendici Anf [R . ] o su le ripe. (RIVE DEL MAR. Del mar tirreno a la sinistra riva. Petrarca.). Bc II (o con le agnelle — CONSUETI FONTI — LUPI A STUOLO IL FANCIULLIN. con gli armenti. per gioco adducesse. al rivo. i cervi, le damme [)]. Nè, E guidasse.) — Visse l’umana stirpe. 95 Anf l’avara, avida, acuta falce, falci. dell’infecondo mar … E l’enea falce, rastro. (E l’unca falce.) GLI ACRI GIOVENCHI E L’ENEA FALCE, RASTRO[.], E ’L VOMER DURO. Anp p. 4. v. 10. INFECONDO, così lo chiama Omero. Qui vale: LA CUI AC QUA NON FERTILIZZA, come il sole è detto fecondo, cioè fecondatore. 94 An a scritto Ne le riposte valli, ha cancellato (conseguenza della correzione del verso precedente) e ha continuato sulla stessa riga con la nuova stesura De le balze materne ecc.
96 Nè guidasse per gioco i lupi al fonte 97 Il pastorel; ma di suo fato ignara 98 E degli affanni suoi, vota d’affanno
96
E gli acri gioghi esercitasse il bruno gli acri tori O guidasse per gioco i lupi al fonte E [E] Nè
An Bc I Bc II F Nc
97
Agricoltor; ma di suo fato ignara Agricoltor[;] Agricoltor; Il pastorel;
An
E de gli affanni suoi, vóta d’affanno vòta degli vota
An F N
98
96 Anf
97 Anf 98 Anf Anp
a b g
Bc II
gli acri tori tauri. il duro NUDO A r a t o r, Messor, Mietitor, il curvo. (GLI ACRI GIOGHI. GIOGO vuol dire anche PAIO DI BUOI. IUGA BOUM EMI QUINQUE sta nel Vangelo. V. Forcell.) Nè gli acri, o gli acri. (E gli acri buoi sollecitasse il bruno, l’arene, le glebe sollecitasse ec.) indótta. D’AFFANNO INTEGRA, SCIOLTA, sc[e]arca, spoglia, franca, leve, immune, indótta, inta[n]tta. v. 13. VOTA. v. i latini, VACUUS.
97 An b scritto il punto e virgola (a), ha cancellato la virgola e l’ha sùbito ripristinata, collocandola, per esigenze di spazio, a destra rispetto al punto sovrastante; data questa asimmetria, è meno probabile una virgola (a) cancellata (b), con successiva inserzione di un punto e virgola (g) 98 An l’accento su vóta pare di altra penna (cf. v. 40 cólti, 107 dóma, 108 ónde minístra) Anf in intatta le ultime tre lettere sono ritocco di una scrittura precedente; dubbio intamin, che è variante del v. 93 An Anp cioè p. 4. v. 13.; l’annotazione, certo contemporanea alla prima stesura di questa facciata, non è inserita nell’elenco su una nuova riga come le altre (come se fosse un’aggiunta, più che per guadagnare spazio alla fine del foglio, dato l’originario errore nella numerazione dei versi per le note 100 Anp e 102 Anp)
99 100 101 102
99
Visse l’umana stirpe; alle secrete Leggi del cielo e di natura indutto Valse l’ameno error, le fraudi, il molle Pristino velo; e di sperar contenta
Visse l’umana gente. gente[.] gente; stirpe; stirpe;
100 Leggi del cielo e di [c]ielo Cielo cielo
A le riposte [A] a a le secrete alle
natura indutto [n]atura Natura natura
An Bc II F N An
An F
102 Pristino velo; e di sperar contenta
An
100 Anf Anp 101 Anf 102 Anf Anp
100 Anp 102 Anp
a b
F
101 Valse l’ameno error, le fraudi e ’l molle fraudi, il molle
99 Anf
a b
STIRPE: A LE SECRETE. Alle negate Leggi. imposto, involto, avvolto. v. 1[0]5. INDUTTO. Crus. INDURRE §. 3. es. 1. Giacque. l’amico, antico, il beato error. LA FRAUDE ANTICA E ’L PURO VELO. [L] le nubi e ’l prisco Nitido, Lucido, Fulgido, Splendido velo. e ’l bianco, puro, vago. Antico, Vetusto velo. (di sperar contenta. V. Forcell. e Vit. SS.PP. p. 115. [)] 126.) v. 1[5]7. DI SPERAR CONTENTA. V. Crus. CONTENTARE es. ult. Cellini t. 3. p. 2. ^ e v. DINTORNO. e Forcellini.
cioè p. 4. v. 15. cioè p. 4. v. 17.; Cellini ecc. aggiunta di altra penna, ^ e v. Dintorno ulteriore aggiunta sopra la riga, su cui è ripetuto il segno di inserzione
103 Nostra placida nave in porto ascese. 104 Tal fra le vaste californie selve 105 Nasce beata prole, a cui non sugge
103 Nostra placida nave in porto ascese.
An
104 Tal fra le vaste Californie selve [C]alifornie californie
An
105 Nasce beata prole, a cui non sugge
An
103 Anf
Anp 104 Anf
105 Anf
104 Anf f
105 An
a b
il porto, al porto, i liti, ai liti. aggiunse: Nostro.. dì pervenne, fu giunto a sera. Nostro beato dì. Nostro placido Sol divenne a sera. Nostro placido giorno a sera … (ASCESE. et portu se condidit alto. Aen. 5.[)] v. la risposta del Caro alla 7. opposiz. del Castelvetro.). p. 4. v. 19. ASCESE IN. v. Crus. ASCENDERE, e ALTUR[ina]ETTA. Tal ne l’, su l’estremo Californio li[t]do, lato. (TAL NE LE DENSE CALIFORNIE[)] DENSAS CORULOS. Bucol. egl. 1.) (CALIFORNIE. Da CALIFORNIA io fo il nome nazionale CALIFORNIO. Così i latini da A RABIA, ARABIUS. V. il Forcell. in ITALIUS, ARABIA, ARABIUS ^ LATIUS ec. [)] Così anche da PATRIA, PATRIUS. V. Forc. PATRIUS in fine.) vive. gente. a cui — FIEDE, preme, ^ grava, frange, punge, rode, pasce. ec. non siede, giace, vive — in petto, non sorge. A cui non doma, frange ec. (SUGGE IL PETTO. v. la Crus. e Aen. 5. 137.) A cui non fiede Rigida, Pallida, ^ Macera, Gelida, Ruvida cura il petto, a cui non sugge, frange, pasce Dira tabe le membra. A cui non visse Torbida cura in petto, a cui non franse Dira tabe ec. A cui non giacque Ferrea cura nel petto ec. Latius aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di ^ ec. grava, aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di ^ frange Macera, Gelida aggiunti sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto ^ prima di Ruvida
106 Pallida cura il petto, a cui le membra 107 Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
106 Torbida cura il petto, a cui le membra [Torbida] Rabida [Rabida] Torbida [Torbida] Pallida
An
107 Fera tabe non dóma,
An B24 N N Err Nc
doma, doma; doma[,] doma;
106 Anf
107 Anf 106 Anf 107 An
e vitto il bosco bosco,
a b g d
[Gelida cura il] SQUALLIDA, LIVIDA ^ RUVIDA, barbara, spietata, RIGIDA, putida, fetida, macera, fervida cura (Ferrea, Scarna, Torba cura nel petto.). [A CUI LE MEMBRA Fero] TABIDA CURA IL P E T TO, A CUI LE MEMBRA FERO MORBO ec. non doma Cruda tabe. Dira tabe. tra Livida e cura un segno di inserzione; scritte sopra la riga le altre parole (tra cui fervida è aggiunta successiva, con altra penna) non doma cancellata la sottolineatura l’accento su dóma pare di altra penna (cf. v. 40 cólti, 98 v ó t a), e così quelli del v. 108 ónde minístra
108 Nidi l’intima rupe, onde ministra 109 L’irrigua valle, inopinato il giorno
108 Nidi l’intime rupi, ónde ministra intim[e] rup[i], min[i]stra intima rupe, minístra ministra onde
F N
109 L’irrigua valle, inopinato il giorno
An
108 Anf
109 An Anf
108 An 109 Anf
An
a b
Nidi l’alpe sassosa, ricurva, secreta, cavata. PUR[E]I FONTI LA RUPE (FONTES si dice p. bevanda e ogni liquore.), OZI MINISTRA L’ôra, aura e la terra, L’ERBOSA VALLE, opaca, CHIUSA, QUETA. aure soavi Ministra il colle, inopinata e lenta L’avara morte. ozi ministra La .. luna. Fonti l’alpe ministra, ozi soavi L’erbosa valle. Letto l’erbosa ec. Tetto. ozi ministra l’erbosa, vaga terra. dispensa. onde ministra L’alpe sassosa, fragosa, La pura fonte. ONDE MINISTRA L’UMIDA VALLE, amena, queta ec. Nidi la cava rupe. ozi ministra L’alpe ricurva ec. ombre dispensa. Rura mihi et rigui placeant in vallibus amnes. Georg. 2. fine. inaspettato il giorno, viso, ferro, dardo. La queta valle. (IL GIORNO DE L’ATRA MORTE. Cioè LA MORTE. Così Omero douv lion h~∆ mar, cioè d o uleiva, novstimªo;ºon h~∆ mar, [cioè] [n osto"] odyss. 1. v. 6. cioè novsto", ib. 413. Abstulit atra dies et funere mersit acerbo. Virg.) p. 4. v. ult. INOPINATO p. inaspettato. Mac^chiavelli opp. 1550, par. 2. p. 95. mezzo. vd. 107 An app. crit. Mac^ch i a v e l l i: aggiunge c sopra la riga e un segno di inserzione prima di h
110 Dell’atra morte incombe. Oh contra il nostro 111 Scellerato ardimento inermi regni
110 De l’atra morte incombe. Oh vani, o troppo An oh Oh [vani, oh troppo] Oh ne[l. ] l’umana Oh contra il nostro F Dell’ N
a b g
111 A l’iniquo mortal facili regni [A] [l’] [iniquo] [mortal] [facili] Scelerata baldanza inermi Scelerato ardimento inermi Scellerato
a b
110 An
Anf
111 Anf
111 Anf
An F N
FELIX HEU NIMIUM FELIX. Aen. 4. Oh brevi, flussi, frali, nudi, domi, vinti, stanchi. oh come, quanto, tanto. oh levi. Oh frali oh vani Oh de l’empio mortal sudditi regni, A l’iniquo mortal. OH VANI E BREVI, A L’INIQUO MORTAL SUDDITI REGNI. OH [VANI] FRALI E TOSTO DA L’INIQUO MORTAL DOMI[n]TI. A l’umano valor, ardir, furor. A, Da l’audacia, audace mortal. Da l’ingegno mortal. Oh fati, oh crudo Umano ingegno. Oh fati, oh colpe [d]Di scelerato ingegno. AL PUTIDO MORTAL, nefando. a l’ingegno mortal. NE L’UMANA, cioè C O N T RO, INCONTRO, VERSO, A P P E T TO A, A RISPETTO DELL’UMANA. OH NE L’UMANO SCELERATO, Fo r s e n n a t o, Temerario ARDIM E N TO INERMI REGNI. TEMERARIA, FO R S E N NATA, OSTINATA BALDANZA. Oh ne la dolce, inferma, inerme Natura …. Umano ingegno! Oh de’ regni di natura facil domatore umano ingegno! domator di natura ec. Scelerato valor, furor. DISPIETATA baldanza. Sacrilega baldanza, ardimento, empietà. Proterva … ^ procace. PERTINACE BALDANZA, Intrepida, orgogliosa, fidanza. Disfrenata baldanza, Nequitosa, Disperata: Baldanzosa protervia, nequizia, ardimento, valore, furore. procace aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto dopo i tre punti
^
112 Della saggia natura! I lidi e gli antri 113 E le quiete selve apre l’invitto 114 Nostro furor; le violate genti
a b
112 De la saggia natura. I lidi e gli antri [n]atura. Natura. natura. Della natura!
An
113 E le
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a b
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selve pacifiche disserra selve [pacifiche] [disserra] ^ ^ l’invitto quiete selve ^apre
114 Nostro furor; la violata plebe [plebe] gente le violate genti 112 An Anf 113 An
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114 An Anf 113 Anf
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F
I boschi — E le valli. I lieti boschi, cari ec. I boschi, ec. i lieti boschi ec. De la santa, casta, dolce, mite Natura. dischiude. E le placide valli occupa e turba, il cieco, d i r o. occupa e schiude, invade ec. APRE. Cioè, penetra entra. V. il lat. APERIRE nel Forcell. e Tacito Ann. 16. c. 23. COSÌ PATEFACERE. e le quiete vie so[s]ttentra, dischiude, disserra, penétra il cieco Nostro furor. I BOSCHI E GLI ANTRI, [E]E LE QU I E T E, SECRETE, ^ odorate VALLI APRE. E l’odorate selve (v. i diz. geograf. [d] sulla California). l’ingordo, indegno, immite, acerbo ec Nostro furor. APRE IL SUPERBO. apre l’errante, stolto. apre l’infesto, infausto. apre l’infando, il nefando, l’immite, immane. sede. la temerata gente. la repugnante plebe. odorate aggiunto sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima ^ di valli
115 Al peregrino affanno, agl’ignorati 116 Desiri educa; e la fugace, ignuda
115 Al peregrino affanno, a gl’inesperti a gl’ignorati agl’
An F N
116 Desiri educa; e fuggitiva e nuda [fuggitiva] [e nuda] la fugace, ignuda educa: educa; educa;
An
115 An
Anf 116 An
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B24 B24 Err Bc
(INESPERTE. V. Crus. ESPERTO.). A gl’iniqui consorzi. A GL’INQUIETI DESIRI. [A] a l’inesperte Lacrime [in] istiga, a le perverse, nefande, deformi Lagrime, Opere, Imprese. a le inesperte, ferali Colpe Cladi, Pesti ammaestra. A gl’iniqui convitti, [A] al peregrino Affanno ec, ec. a gl’infelici Desiri. A gl’infausti consorzi, convitti. LAGRIME insegna, INFORMA E SEMIVIVA, ^ moribonda e stanca, inerme, doma, vinta, smorta, sola, egra. avvezza, ADUSA, addestra. e franta, macra, sozza. FUGACE, cioè FUGGENTE. V. la Crus. il Forcell. e Oraz. od. 1. l. 2. v. 19. e la fugata[,] inerme, ^ imbelle esangue, inferma Felicità: (fugata non mi piace perchè ancora non è fugata, ma si sta lavorando per fugarla, e così vorrei che s’intendesse questo passo.). IGNUDA, cioè INERME; e però facile a vincere, ch’è appunto quello che voglio dire; ovvero spogliata di tutti i suoi possedimenti ec. ovvero misera, povera, ec. chè in qualunque modo sta bene. E LA FUGGENTE, IGNUDA. Lacrime incíta. la profuga felicità. nell’annotazione marginale, ^ moribonda e sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di stanca; ^ imbelle sopra la riga, con segno di inserzione ripetuto prima di esangue
117 Felicità per l’imo sole incalza.
117 Felicità per l’imo sole incalza.
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An
PER L’IMA TERRA, PER L’IMA SERA, vespro, per l’occidente, per l’ampia terra, per ogni lido, per tutto l’orbe, [(c] da tutto l’orbe, (cioè [gli] le va addosso da ogni parte della terra), per questa terra, sede, per l’orbe ultimo. e per lo mondo estremo Felicità … incalza, … felicitade incalza. PER L’IMO SOLE. La California sta nell’estremità occidentale del Continente. SOLE è detto qui poeticamente in vece di TERRA. V. in Virg. PLAGA SOLIS e altri luoghi dove i poeti definiscono o accennano la terra, il clima ec. pigliando i nomi dal cielo. Del resto IN SOLE, PER SOLEM vedilo nel Forcell. Così noi diciamo AL SOLE, NEL SOLE, cioè SOTTO IL SOLE, A’ RAGGI DEL SOLE. Oblati PER LUNAM Hypanisque Dymasque. [G] Aen. 2. cioè AL LUME DELLA LUNA. per l’ima plaga, per l’imo cielo, [da] (v. i latt.) da tutto l’orbe esclude. NE L’IMO SOLE ec. (in sole. Forcell.) PER L’IME TERRE. (per l’imo sole. V. Tasso Ger. 9. 66.)
sole incalza (2). con numero di rinvio alla nota 2 di F p. 79 («Non accade avvertire» ecc., che è rifacimento delle Annotazioni alle dieci canzoni, canz. IX. 117 «Non occorre avvertire» ecc.) sole (8) incalza. con numero di rinvio alla nota di N p. 175 («È quasi superfluo ricordare» ecc.)
IX. ULTIMO CANTO DI SAFFO.
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Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettose e care Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l’insueto allor gaudio ravviva Quando per l’etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso de’ Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo, Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell’onda.
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Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i numi e l’empia Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L’aprico margo, e dall’eterea porta Il mattutino albor; me non il canto De’ colorati augelli, e non de’ faggi Il murmure saluta: e dove all’ombra Degl’inchinati salici dispiega
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Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico piè le flessuose linfe Disdegnando sottragge, E preme in fuga l’odorate spiagge.
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Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In che peccai bambina, allor che ignara Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di giovanezza, e disfiorato, al fuso Dell’indomita Parca si volvesse Il ferrigno mio stame? Incaute voci Spande il tuo labbro: i destinati eventi Move arcano consiglio. Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo De’ celesti si posa. Oh cure, oh speme De’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre, Alle amene sembianze eterno regno Diè nelle genti; e per virili imprese, Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto.
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Morremo. Il velo indegno a terra sparto, Rifuggirà l’ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator de’ casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano D’implacato desio furor mi strinse, Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro Giove, poi che perìr gl’inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Giorno di nostra età primo s’invola. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra Della gelida morte. Ecco di tante Sperate palme e dilettosi errori, Il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno Han la tenaria Diva, E l’atra notte, e la silente riva.
data Opera di 7 giorni, Mag. 1822.
An
tit.
Ultimo canto di Saffo. [c]anto Canto
An
ULTIMO CANTO | DI SAFFO
B24
IX. | ULTIMO CANTO | DI SAFFO.
F
An
a b
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5,2) autografo da cui fu tratto il testo per B24; consta di dodici facciate (la prima pagina, bianca nel recto, funge da copertina e reca al verso la premessa «Il fondamento di questa Canzone» ecc., riprodotta nella tav. 114); ciascuna delle quattro strofe è scritta separatamente sulla parte destra di una facciata; le varianti e annotazioni sono scritte accanto alla strofa, nello spazio libero sul margine sinistro e in calce, e proseguono nella facciata successiva (dedicata solo ad esse) e nelle due ultime facciate; altre sono aggiunte su schede separate; secondo le sigle di p. 13, indichiamo con An le facciate che contengono la strofa con le relative varianti e annotazioni; con Anf quelle, successive, dedicate solo a varianti e annotazioni; con Anp le schede a parte pp. 107-110
B24 Bc F N Nc
pp. 81-84 pp. 52-54
data tit. B24 F
solo in An (cf. la data 19. Maggio. Domenica. 1822. nell’annotazione 68 Anf) p. 107; a p. 105 l’occhiello: ULTIMO CANTO | DI SAFFO | CANZONE OTTAVA (in B24 questa canzone precede l’Inno ai Patriarchi) p. 196 nell’indice: Ultimo Canto di Saffo p. 164 nell’indice: Ultimo canto di Saffo (= N, Nc)
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Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettose e care Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride
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Placida notte, e verecondo raggio
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De la cadente luna; e tu che spunti Della
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Fra la tacita selva in su la rupe,
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Nunzio del giorno; oh desiate e care oh dilettose e care, care[,]
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(Mentre ignote mi fur l’Erinni e ’l fato) [E]rinni erinni Mentre e il fato fato, fato,
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Sembianze a gli occhi miei; già non arride agli
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2 An 3 An 4 Anf 5 Anp
6 An Anf
a b
SPLENDI. Fra’ taciti arboscelli, fra ’l taciturno bosco, fra le tacite piante. O DESIATE E CARE MENTRE ec. DULCES EXUVIAE, DUM FATA DEUSQUE SINEBANT, ACCIPITE ec. Aen. 4. 651. O dilettose, speciose, graziose e care. strofe 1. v. 5. IGNOTE cioè INESPERIMENTATE. Così IGNARO per INESPERTO. Haud ignara mali miseris succurrere disco. Aen. 1. V. il Forcell. v. IGNARUS, NESCIUS, INSCIUS, e Horat. od. 4. 4. v. 6. non s’addice. SEMBIANZE. NON TULIT HANC SPECIEM FURIATA MENTE COROEBUS. Aen. 2. 407.
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Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l’insueto allor gaudio ravviva Quando per l’etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso de’ Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo,
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Spettacol molle a i dispe[t]rati affetti. ai
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Noi l’insueta allor gioia
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insuet[a] insueto
commove [commove] ravviva
g
[gioia] gaudio
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Quando per l’etra liquido si volve
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E per li campi trepidanti il flutto
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Polveroso de’ Noti, e quando il carro,
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Grave carro di Giove a noi sul capo,
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SPETTACOL MITE A I dolorosi, lagrimosi ec. PROCELLOSI. lene, vago, blando, mite. Serena, benigna, tranquilla, amena, soave vista, senso. SPETTACOL MOLLE. È ben detto SPETTACOL DOLCE, DOLCE VISTA, DOLCE SGUARDO ec? Perchè dunque si può trasportare una voce dal palato agli occhi, e dal tatto agli occhi non si potrà? Con[ve]sento che la metafora sia ardita, ma quante n’ha Orazio delle più ardite. E se il poeta, massime il lirico, non è ardito nelle metafore, e teme l’insolito, sarà anche privo del nuovo. L’INUSATA. GAUDIO. gioia ravviva, rivede, rimira, tentenna: Noi peregrina allor. [gaudio]. RITENTA. il telo. Igneo, fiero, nero, bruno, arduo, feral, tetro. GRAVE CARRO. TU GRAVI CURRU QUATIES OLYMPUM. Orazio.
8 An 12
le due correzioni b e g sono scritte con penne diverse ed. Ranieri capo senza virgola
Anf
8 An
13 Tonando, il tenebroso aere divide. 14 Noi per le balze e le profonde valli
13
Tonando, il tenebroso aere divide.
13bis 13
ter
[Oh quale i venti e la fulminea possa
An ]
An
[Ingrato ozio raffrena? Oh chi mi scorge ] [Oh] [ oh ]
An
13quat [Fra’ nembi e ’l suon de gli agitati boschi
]
An
13quin
[Per le piagge natanti, o di superbo
]
An
[Fiume a[l] la dubbia sponda
]
An
Noi per le balze e le profonde valli
An
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sex
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a b
13bis An [O ubi campi etc. Georg. 2. 486] 13quat An [de’ ru[n]inosi, (maraviglioso p. maravigliato ec.) de gli scoscesi abeti.] 13quin An [Per le [pi] valli]. 13sex An [M’addita la vittrice ira de l’onda]? 14 An e le DEPRESSE valli. Georg.3. 276. Anf Noi per le valli e per l’aeree balze Natar fra’ nembi [e]alletta. Natar giova fra’ nembi, e noi la vasta Fuga de’ greggi sbigottiti, e degli armenti. Noi per le piagge e le dirotte balze. fra’ densi, larghi nembi. Noi per le balze e le profonde valli Natar giova fra nembi, e noi la fuga Giova ec. 13bis 13quin 13sex
An i vv. 13bis-13sexies sono stati cancellati durante la stesura del canto (vd. 13sexies app. crit.) An nella variante, [p i] per errore causato dal ricordo di p i a g g e nel v. 13quinquies An l’annotazione a margine M’addita ecc. (cf. v. 18) è variante di un verso che avrebbe dovuto seguire il v. 13sexies e dunque, in certi casi, Leopardi metteva in bella copia appunti che già distinguevano fra testo fondamentale e varianti, e qui la trascrizione della variante ha preceduto quella del verso (rifiutato prima ancora di copiarlo); identica conclusione nel caso che il passo sia completo e Leopardi abbia solo omesso di scrivere un punto interrogativo dopo sponda del v. 13 sexies: allora M’ad dita ecc. non sarebbe variante di un verso successivo, ma possibilità di una differente prosecuzione del testo, però sempre annotata prima della stesura completa del v. 13sexies
15 16 17 18 19
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Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell’onda. Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Natar Natar ˆ
fra’ nembi, oscuri, e noi la fuga An fra’ [oscuri,] [fuga] giova vasta [fra’] tra’
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Giova de’ greggi sbigottiti, o d’alto [Giova] Fuga
An
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Fiume a la dubbia sponda alla
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Il suono e la vittrice ira de l’onda. dell’
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Vago il tuo manto, o divo cielo, e vaga [Vago] [vaga] Bello bella
An Nc
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16 Anf 17 Anf 19 An Anp 19 Anp
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imbribus atris. Georg. 1. 323. nimborum in nocte. 328. ib. Aen. 5. Quem iuvat clamor etc. Oraz. Od. 2. l. 1. Ed io son un di quei CHE ’l pianger GIOVA. Petr. e SÈ non GIOVA. Crus. Di più, NOI può anche esser 3zo caso. Crusca. DE’ GREGGI. v. Monti, Proposta. DUBBIA SPONDA, cioè LUBRICA, o MAL SICURA che il fiume non la sormonti, cioè PERICOLOSA. SPONDA DEL FIUME. Ar. Fur. 35. 12. riso. puro, bruno. verso 1. DIVO. V. Tasso Ger. 11. 7. ed. Ranieri cielo; verso 1. scil. della Strofe 2; la citazione segue quella 27 Anp
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Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i numi e l’empia Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
Se’ tu, roscida terra. Ahi ma di vostra Ahi [ma] [di] ˆ de la ˆ rorida di cotesta Sei
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Infinita beltà parte nessuna
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A la misera Saffo i numi e l’empia Alla Numi numi [N]umi numi
An N N Err Nc
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Sorte non fenno. Ingrata ospite accolta, [Ingrata ospite accolta] A’ tuoi superbi regni
An
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a b
F N
a b
ROSCIDA perch’era sul far del giorno. Ahi non di vostra. de la vostra. Non caduca beltà, Sospirata. parte veruna. e l’aspra. (fata aspera. Aen. 6.) [concesse.] non diero. concesse. ACCOLTA. [s]Si può accogliere bene e male, e si dice tutto giorno, FU MALE ACCOLTO ec. Così in lat. EXCIPERE. Ingrata ospite e vile, In basso loco e vile, Or peregrina e vile, non fèr, me peregrina e vile — accolta. A tuoi regni (o natura) ospite accolta. A le tue sedi accolta, Regal Natura, in basso loco, e trista. IN BASSO LOCO A I DOLCI TUOI REGNI (ALMA NATURA) OSPITE ACCOLTA. ai REGNI TUOI SUPERBI (O NATURA). AI DOLCI TUOI RICETTI. A LE TUE DOLCI SEDI, A’ TUOI SUPERBI REGNI, VILE (O NATURA) ABITATRICE ACCOLTA, InGIOCONDA (O NATURA) OSPITE ACCOLTA, DISGRADITA, MALGRADITA. (volgare, plebea, umile.). In basso loco, infesta, abbietta, ingrata, Di tuoi regni ec. Alma natura, in basso loco addetta, uscita ec. ACCETTA. + + Illos porticibus rex accipiebat in amplis. Aen. 3. infra la plebe. Fra la plebe, o natura. Plebea, dolce natura. indótta.
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Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride
Saggia Natura, in dolci regni, e vile [Saggia Natura, in dolci regni,] Ne’ regni tuoi (dolce Natura), [Ne’ regni tuoi (dolce Natura)], [e vile] Vile, o Natura, e grave ospite addetta, o natura,
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E dispregiata amante, a le vezzose alle
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Tue forme il core e le pupille invano
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Supplichevole intendo. A me non ride
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F
Santa, mite. Aliena ospite. A’ regni tuoi, dolce Natura, ec. CASTA. Ne’ seggi. Ne’ ricchi In ricchi seggi, alberghi, alma Natura. Abbietta ospite. Strana, o dolce natura. Stran[o]a e vile. Strana e male, Male, o dolce natura, ospite accetta. ADDETTA. V. nell’Alberti A D D I T TO. VILE E GRAVE, cioè MOLESTA. V. Petr. Tr. della Fama, Cap. 1. terz. 30. e l’ind. alle rime del Bembo. Vettori lett. 1. nelle pr. fiorent. a le divine Tue forme. a la vezzosa. TUE FORME IL CIGLIO E L’EGRO SPIRTO INVANO, E ’L DOLOROSO INGEGNO. INTENDO. AD CAELUM TENDENS ARDENTIA LUMINA FRUSTRA. Aen. 2. 405. Casa, Or. 1. p. la lega. p. 1. 4. Strofe 2. verso 9. INTENDO. V. Tasso Gerusal. 4. 28, 12. 30, 19. 82.
24 An a dolci (non daci, «variante registrata dal Moroncini, ma di cui non si capisce il senso», Bufano)
28 29 30 31 32
28
L’aprico margo, e dall’eterea porta Il mattutino albor; me non il canto De’ colorati augelli, e non de’ faggi Il murmure saluta: e dove all’ombra Degl’inchinati salici dispiega
L’erboso poggio da l[a]’ eterea porta [erboso] [poggio] aprico margo, e dall’
N
29
Il mattutino albòr; me non il canto albor;
An N
30
De’ colorati augelli, e non de’ faggi
An
31
Il murmure saluta. E dove a l’ombra saluta[.] [E] saluta: e all’
An
De gl’inchinati salici dispiega Degl’
An N
32
28 An
Anf
30 An Anf 31 An 32 An Anf
An
a b
a b
N
e la vermiglia luce De le rote febee. purpurea. e la benigna luce, face Del mattutino albor. colle, prato, ameno. E da l’eterea sede, chiostra, balzo, campo. plaga. Rucell. MARGO. Così ORA in lat. ch’è lo stesso di MARGO, s’adopra per OGNI LUOGO, e così da noi LIDO, PIAGGIA, RIVA ec. E DA L’ETEREA PORTA. PORTA TONAT CA E L I. Virg. Georg. 3. BALCONE dissero [n] i nostri poeti. V. la Crusca. pini. lo spiro De’ zeffiri. boschi. COLORATI. PICTAEQUE VOLUCRES. Aen. 4. murmure — V. Monti, Proposta, in Mormorio. populi. (v. Sannaz. egl. 10. v. 105.) si versa Fresco ruscel[,] tra levi sassi, fiori ec. discorre, discende. De gl’incurvati salici. verdeggianti, ramiferi. SALICI. AMNICOLE˛ SALICES. Ovid. ap. Forcell. Si potrebbe anche dir GEMEBONDI ma veramente i salici piangenti son piante d’Egitto, e non credo note agli antichi.
28 An var. plaga ecc. a destra del testo fra i vv. 28-29 per mancanza di spazio
33 34 35 36
Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico piè le flessuose linfe Disdegnando sottragge, E preme in fuga l’odorate spiagge.
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Candido rivo il puro seno, al mio
An
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Lubrico piè le flessuose linfe
An
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Disdegnando sottragge,
An
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E preme in fuga l’odorate spiagge.
An
33 An
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Anf
Garrulo, Limpido, Querulo rivo. Gelido rivo. Prono ruscel. Lucido rivo (Petr.). Nitido Tremulo piè. tortuose, sinuose. le vagabonde linfe. E ’n fuga va per, tra le fiorite. In fuga sparso, sciolto, mosso per le molli, verdi piagge, spiagge. E ’n fuga tinge, lambe, bagn[o]a. Ed erra in fuga per. E ’n fuga asperge, sparge, stringe, irrora, scorre. E ’l fior mi sdegna e l’odorate spiagge, mi schiva[.], schifa. SPIAGGE. Suol dirsi del mare. Ma così propriamente anche altri tali nomi, p. e. LITUS in lat. eppure metaforicam. s ’ a ppropria anche a’ fiumi ec. v. il Forcellini, e v. anche RIPA. ˆ SPIAGGIA è [ LO]lo stesso che PIAGGIA. Or v. la Crusca in PIAGGIA e PIAGGETTA.
33 An var. Nitido a destra del testo fra i vv. 32-33 per mancanza di spazio
37 Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso 38 Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
37
38
Qual
fallo, anzi ch’ al dì mie luci aprisse [fallo] [anzi ch’ al dì mie luci aprisse] di mio leve spirto opra nefanda [Qual] [di mio leve spirto opra nefanda] ˆ Qual de la mente mia nefando errore ˆ Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
An
Peccò lo spirto mio, tal che sì duro [Peccò lo spirto mio, tal che sì duro] Macchiommi anzi ’l natale, onde sì crudo [crudo] tristo [tristo] crudo anzi il torvo
An
37 An
a b g
F a b g d F
movesse il guardo, il ci[e]glio, levasse. aprissi. ECCESSO. QUAL de lo spirto mio, SPIRTI MIEI, NEFANDO ERRORE[,] ANZI AL NASCER macchiommi, M’INFECE.
Anf
38 An
colpa nefanda. Qual di mia trista mente opra nefanda. NEFANDO ERRORE. Crusca v. ERRORUZZO, ERRARE §. 3. Tasso t. 8. p. 248-54.-55. ec. colpa, vizio nefando. ECCESSO. impresa. fallo, fallir nefando. affetto. Qual de la mente ... atto, opra nefanda. Qual de gli affetti miei. sì grave (ec.) errore. de’, i sensi miei. ec. de l’ingegno mio. effetto. ardire. (ausu[m]s.) Legommi. Oprò, Errò, Ardì Osò, Trasse, Volse, Mosse. Tinse, Macchiò. Lo mio spirto corruppe, onde sì crudo, torvo, fello, fero. anzi le fasce, la vita, anzi che nata.
38 An var. ha scritto fello. s’ e poi, con altra penna, ha mutato s’ in f per scrivere fello, fero ed ha aggiunto s’ prima di avvolga 43 An var.
39 Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? 40 In che peccai bambina, allor che ignara 41 Di misfatto è la vita, onde poi scemo
39
Mi fosse il cielo e di fortuna il senno? [Mi fosse il cielo] Il ciel mi fosse [c]iel Ciel Del Ciel Fortuna Il ciel fortuna volto?
An
40
Qual ne la prima età (mentre di colpa In che peccai bambina, allor che ignara
An N
41
Nudi viviam), sì ch’inesperto e scemo Puri Viviamo ignari), onde Di misfatto è la vita, onde poi scemo
An Bc F N
39 An Anf
40 An Anf 41 An Anp
a b g
Bc F
Il ciel mi fosse. sì torvo ... il [C. ]viso, guardo, cenno. Fossemi il cielo. IL SENNO. COSÌ DI GIOVE IL SENNO S’ADEMPÍA. Monti Iliade, ˆ principio (dio;" d’ ejteleiveto BOULH;.) V. la [Cus] Crusca, SENNO, §. 4. 10. e Casa let. 38. di lode. Basvill. can. 4. v. 6. Monti, Il. 1. 734. 7. 53. Così in gr. gnwvmh, in lat. SENTENTIA p. VOLERE. ˆ Di colpa Franchi, [s]Sciolti, Netti, Giusti. di colpa Nesci, Lunge, Spogli. inesperto e manco. sì che mendico e scemo. V. Monti Proposta, in MENDICO. SCEMO qui non vuol dire DIMINUITO, ma assolutamente MANCA N T E. Così negli esempi della Crus. MISURA NON P I E NA[,] MA SCEMA, IL MONTE CH’ERA SCEMO, e non era stato mai pieno (v. quivi la dichiaraz. del Buti), LUOGO SCEMO ec. In somma non vale SCEMATO, ma PRIVO; bensì PRIVO D’UNA COSA CHE GLI CONVENIVA D’AVERE.
42 Di giovanezza, e disfiorato, al fuso 43 Dell’indomita Parca si volvesse
42
43
Di giovanezza
il mio ˆ
corresse viver ˆ giovanezza [il mio viver corresse] ˆ [e] e sconsolato al fuso giovanezza, e sconsolato, al fuso disfiorato,
De l’ atre Parche al fuso. Incaute voci l[’] [atre] Parc[he] [al fuso. Incaute] [voci] la rigida Parca si devolva l’ indomita Della rigida si volvesse Dell[a] [rigida] Dell’ indomita
42 An Anf 43 An
Anf
An
a b
F N An
a b
B24 N Nc
e tenebrato al fuso. Di giovanezza, i [t.ri.] duri anni m’appresti De l’atra Parca, Diva, il fuso? — De l’inumana Parca. mi svolga, tragga ec. s’avvolga, volga, attorca, discenda, discorra[,]. dispensi .. il. i tristi anni. De l’acerba [l]Lanifica s’avvolga, si volga, s’attorca, discenda ec. De la severa ec Lachesi. DE L’ATRE PARCHE. Klwj w`eı mevlainai. Iscriz. Triop. 2. v.... DE L’INDOMITA (squallida, sordida, tabida) PARCA SI DEVOLVA MIO FERRUGINEO DÌ? Cioè del colore della ruggine, oscuro, e v. il Monti, Proposta, e Virg. Georg. 1. sulla fine. INDOMITA si può ben chiamare anche Lachesi, giacchè gli antichi attribuivano alle Parche il governo del mondo. Sic volvere Parcas. ec. ec. SI DEVOLVA. Cioè, discenda dalla conocchia, scorra. V. Georg. 4. [3x4.] 384. si ravvolga. [De l’indomita Parca si devolva M .]
42 An a viver omesso inavvertitamente e aggiunto sopra il verso con un segno di inserzione che è ripetuto fra mio e corresse b e scritto sopra il punto di [il], ma cancellato perché risultava confuso per troppo inchiostro ed. Ranieri giovinezza
44 Il ferrigno mio stame? Incaute voci 45 Spande il tuo labbro: i destinati eventi 46 Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
44
45
Mio nubiloso dì? Malcaute voci [nubiloso] [dì][?] ˆ ferrugineo dì? ˆ Il ferrigno mio stame? Incaute voci
N
Move
An
il tuo labbro. I destinati eventi labbro[.] [I] labbro: i
[Move] Schiude Spande 46
Regge arcano consiglio. Arcano è tutto, [Regge] Move
44 An
An
a b
a b g
F An
a b
Incauti detti, accenti. SPARGE Spande. LEGGE ARCANA DIˆ
SPENSA. MOVE arcano ec. MIO .. GIORNO? INCAUTE ec.
46 An
Mio lagrimoso tempo. il mio nubilo, lurido, pallido giorno, squallido, livido, tabido, sordido. Audaci detti. Volge il tuo [ver]labbro. Audaci sensi. i fortunosi eventi. Strofe 3. verso 9. Schiude, sparge, spande, rompe, versa, scioglie, rende (reddere voces), (rumpere voces), manda il tuo labbro[;]: i destinati eventi Move, guida arcano consiglio. Apre il tuo lab[r]bro. Suona il tuo labbro. Legge arcana comparte, ministra.
46
ed. Ranieri tutto senza virgola
Anf 45 An Anp
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Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo De’ celesti si posa. Oh cure, oh speme De’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre,
47
Fuor di nostro dolor. Negletta prole Fuor che il
An F
48
Nascemmo al pianto, e la cagione in grembo ragione
An N
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De gli Eterni si posa. Oh cure, oh speme [gli] [Eterni] De’ Celesti cure[,] celesti cure,
An
De’ più verd’anni! A le sembianze il Padre, Alle
An N
50
47 An Anf 48 An Anf 49 An Anf 50 An
a b
F
Fuor che ’l, del. seme, stirpe, gente, germe. SOL CHE NOSTRO DOLOR (Sannazz.[)]Rabbi ec.) [SCH]Schiuso il nostro ec. Fuor la nostra .... Misera prole. ec. Nasciamo. e lo perchè (Dante) nel grembo. ejn gouvnasi kei`tai. Omero, ed alIN GREMBO ec. Qew`n ªejpiiºŸ ˆ tri poeti greci in più luoghi. De’ Superni. si cela, si giace. Oh cure oh nome ec. CELESTI. Caro En. 5 al v. 686. di Virg. De gli anni acerbi. (Poliz. stanze l. 1. st. 26) il [p]Padre De gli uomini e de’ numi.
47 An var. in Rabbi scrive R modificando la parentesi; in Schiuso ha cominciato a sottolineare Sch ed ha sùbito cancellato la sottolineatura
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Alle amene sembianze eterno regno Diè nelle genti; e per virili imprese, Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto.
51
A l’ amene sembianze eterno regno A le amene Alle
An F N
52
Diè ne’
An B24 F N N Err Nc
53
Per dotta lira o canto,
An
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Virtù non lúce in disadorno ammanto. lùce luce
An F N
caduchi; e per virili imprese, caduchi, ne le genti, nelle genti; genti[,] genti;
51 An Anf 52 An Anf
53 An 54 An
a le dolci. immoto, INVITTO, unico. albergo[,] e. A l’amene sembianze e seggio e regno. immenso regno. eterno impero. A LE VANE SEMBIANZE. A LE VOTE, vacue, SEMBIANZE. ne’ terreni terrestri. E non per .. imprese Non per cetra nè canto Virtù n’allice in disadorno ammanto. E non per cetra o. E per lodate imprese. Si potrebbe dire ancora; non intendendo che sien LODATE (poichè si dice VIRTÙ NON LÚCE), ma LODEVOLI, come diciamo ONORATO, PREGIATO ec. per ONOREVOLE ec. Per dolce, molle, grata cetra, lira. Per lene cetra. non fulge. Non lúce alma virtude in rozzo. Alma virtù non lúce. egra, trista, degna, aurea. Valor non lúce.
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Morremo. Il velo indegno a terra sparto, Rifuggirà l’ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator de’ casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano
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Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
An
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Ricovrerà l’ignudo animo a Dite, Ri[covre]rà Dite[,] Rifuggirà Dite,
An
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F
E ’l duro fallo emenderà del cieco [duro] crudo [crudo] tristo E il crudo
An
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Dispensator de’ casi. E tu cui lungo
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Amore indarno e lunga fede e trista [trista] vano indarno, e fede, e
An
55 Anf 56 An
57 An 58 An Anf 59 An
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a b g
N a b
F
MORREMO. MORIEMUR INULTAE ec. Aen. 4. 659. il velo indegno e i ferrei ec. nodi Spargerà la fugace anima in terra, l’angoscioso animo a terra, l’infelice. (Ricovrerà. Casa Or. alla Nob. Venez. p. 6. fine). Succederà, Riparerà, rifuggirà, discenderà. Scenderà, F u ggirà l’angoscioso. la fugace anima. a Dite, a Lete, Stige, a l’ombre, Pluto, al vento. a l’Orco. Ricovrerà l’ignudo. E L’ASPRO, diro, tristo, grave. E ’l fallo acerbo, atroce, amaro. E ’l [d] tristo error ec. E ’l tristo error [g]castigherà ec. ammenderà, cancellerà. Dominator de’ casi. DISPENSATO R DE ’ CASI, cioè il fato. V. Crus. v. D i s p e n s a r e, esemp. ult. che risponde a Ovid. ep. 12. v. 3. e grave .... legge.
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D’implacato desio furor mi strinse, Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro
D’implacato disio
legge mi strinse, [legge] furor
An
g
d[i]sio desio D’indomito D’implacato
Bc F
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Vivi felic[i]e, se felice in terra
An
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Visse nato mortal. Me non asperse
An
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Del soave licor l’avara ampolla del doglio avaro
An N
60 An
61 Anf
63 An
61 An
a b
lena, cura, face, forza, valor, vita, possa mi strinse. DI FLEBILE, LUGUBRE DISIO. e ... D’implacato, indomito desir nodo. DI MISERO DISIO. DI VIGILE, INQUIETO DISIO. SE FELICE IN TERRA VISSE NATO MORTAL. Gli Dei, secondo gli antichi, erano NATI, e NON MORTALI; e parecchi di questi erano vissuti alcun tempo IN TERRA; e molti erano terrestri, e v’abitavano sempre, come le ninfe de’ boschi, fiumi, mare ec. Pane, i silvani ec. ec. Di letizia già mai. Di soave. i corretta in e dissimulando il punto con un ampio svolazzo
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Giove, poi che perìr gl’inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Giorno di nostra età primo s’invola. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
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Di Giove indi che ’l sogno e i lieti ingann[o]i Giove, poi che perir gl’inganni e il sogno perìr per[i]r perìr
An N N Err Nc
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Perìr di fanciullezza. Ogni più caro Della mia lieto
An N
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Giorno di nostra età primo s’invola.
An
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Sottentra il morbo e la vecchiezza, e l’ombra morbo, e
An F
64 An Anf
65 An 66 Anf 67 An
indi che l’ombre e ’l caro inganno, dolci ec. e i lieti errori Mancàr. INDI CHE. INDE ADEO QUOD, Terent. ap. Forcell. cioè D’ALLORA A QU E L TEMPO CHE. INDI CHE è [lo] D’ ALLORA CHE , lo stesso che DAPPOI CHE, siccome INDI è appunto [dapp] DA POI, e contiene in se stesso la preposiz. DA. Ora noi costumiamo d’unir questa preposiz. (e cent’altre) alla particella CHE, come DA CHE, lo stesso che INDI CHE ec. INDI CHE è dell[x.]’Alamanni, Coltiv. spessissimo. + + IO FUGGO INDI OVE SIA CHI MI CONFORTE ec. Bembo, Son. 41. cioè DA QUEL LUOGO DOVE SIA ec. E qui INDI CHE vuol dire DA QUEL TEMPO CHE PERI[sc]RONO ec. OGNI BEATO, più grato. Punto, Parte, Tempo. RATTO S’INVOLA. Ogni migliore. GIORNO DI NOSTRA ETÀ PRIMO [ec] S’INVOLA. PRIMO dipende da E T À [e]o spetta a S ’I N VO L A . Domandatelo a Vi r g i l i o Georg. 3. 66-6[8]9. e l’ora De la pallida morte. Ecco per. l’alta notte.
68 Della gelida morte. Ecco di tante
68
De la gelida morte. Ecco di tante Della
68 Anf
An N
Strofe ult. v. 14. Ecco per l’alta Sperata lode e i fortunati errori. Ecco di tanto Sperato bene e per l’ameno, lo vago ec. errore. Ecco a le tante ... Il Tartaro succede. La memoria m’avanza. Vana, Vota spoglia m’avanza. Trattan l’imago i venti. L’aura vota ... E de’ promessi onori, allori. Ecco di tanto Sudor, Sudate .. ec. La nuda ombra m’avanza. polve, fumo, cenere. per gli alti Sperati pregi. Fugge la vota spoglia. Ecco di tanta ... speme, e per .. ec. Ecco sen fugge ... Il Tartaro m’avanza. Il rimembrar m’avanza. Ecco [di] [tanta] per quella Sperata lode (fama), antico nome, ..... Sperata sorte. la vota imago. la vacua spoglia. Sperato gaudio, gaudi, gioia. la cava forma. specie, fantasma ECCO DI TANTE SPERATE PALME E DILETTOSI ERRORI, IL TARTARO M’AVANZA. Il Tartaro è forse una palma, o un error dilettoso? Tutto l’opposto, ma ciò appunto dà maggior forza a questo luogo, venendoci ad entrare una come ironia. Di tanti beni non m’avanza altro che il Tartaro, cioè un male. Olˆ ˆ tracciò si può spiegare questo luogo anche es[e]attamente, e con un senso molto naturale. Cioè, queste tante speranz[i]e e questi errori così piacevoli si vanno a risolvere nella morte: di tanta speranza, e di tanti amabili errori, non esce, non risulta, non si realizza altro che la morte. Così il DI viene a stare molto naturalmente per DA o PER o cosa simile. Che se la frase è ardita e rara, non per questo è oscura, ma il senso n’esce chiarissimo. E di queste tali espressioni incerte, e più incerte ancora di questa, n’abbonda la poesia latina, Virgilio, Orazio, che sono i più perfetti; anzi questi due n’abbondano massimamente. E lo stesso incerto, e lontano, e ardito, e inusitato, e indefinito, e pellegrino di questa frase le conferisce quel VAGO che sarà sempre in sommo pregio appresso chiunque conosce intimamente la poesia e le lingue poetiche antiche, anzi presso chiunque conosce la vera natura della poesia. In somma il luogo sta bene così, e non bisogna guastarlo. La voce TANTE è da conservarsi a tutti i patti[:], chè nessun’altra potrebbe supplire all’effetto suo; effetto che appartiene all’intima natura del[l] cuore umano, e deriva dall’indeterminato di questa voce, ossia della quantità ch’ella significa; come ho notato altrove. (19. Maggio. Domenica. 1822.).
69 Sperate palme e dilettosi errori,
69
Sperate palme e dilettosi errori,
An
E PERÒ DI (fra, per, in compenso, in vece di) TANTI SUOI DISPIACERI, QU E S TA VO LTA LO VOGLIO VEDER RIDERE. Cellini,
Anp
69 An
Anf
Vita, Mil. 1806. [t. 1.]vol. 1. p. 59. DI TANTE. DI invece di PER vedilo nella Crusca. # # acciocchè almeno la tardezza ec. non me le faccia parer DI negligente (PER neglig. che sono) neghittosissimo. Bembo op. t. 3. p. 189. col. 2. GELIDA MORTE. Orazio 2. od. 8. v. 11-12. Strofe ult. verso 14. Siccome il cielo DI nuvoloso, sereno, e il mare DI t u r b a t o, tranquillo, sommamente ci rallegriam di vedere. Alberto Lollio Orazione a Carlo V. per la liberazione del Cristianissimo re Francesco I. nelle Prose Fiorentine par. [2] 1. vol. 2. ed. Venez. 1730-43. p. 27. una pagina e poco più, avanti la fine dell’Orazione. e colui che non l’ha DI orrevole uomo è riputato vile. Davanzati Or. nel prendere il consolato nell’Acc. Fior. Pros. fiorent. par. 1. Vol. 2. p. 48. Piacemi che sforzato, non volontario, è stato il mio consiglio (dato a voi), che altrimenti DI fedele et amorevole, arrogante et temerario forse giudicato ne sarei. (IN VECE DI). Bern. Tasso Lettere Lib. 1. Ven. 1603. car. 30. p. 2. [u]Un asino fu già ch’ogni osso e nervo Mostrava DI (per, dalla) magrezza. Arios. Sat. 1. terz. 83. DI (per) bontà merita di esser canonizzato p. S a n t o. Caro lett. 102. a nome del Guidicc. Sperate lodi. e fortunati, venturosi, meditati. e de’ beati, e del beato errore. onori. e disusati onori. E DE L’AMENO ERRORE. E DE L’ANTICO ERRORE, amico, amici. E DE’ GIOCONDI ERRORI. e fortunati eventi. FESTOSI, gentili, leggiadri. PALME. PRIMUS EGO IN PATRIAM MECUM, MODO VITA SUPERSIT AONIO REDIENS DEDUCAM VERTICE MUSAS; PRIMUS IDUMAEAS REFERAM TIBI, MANTUA, PALMAS. Georg. 3. 10.
70 Il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno 71 Han la tenaria Diva, 72 E l’atra notte, e la silente riva.
70
Il Tartaro m’avanza; e ’l prode ingegno tartaro Tartaro e il
An F N
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Han la Tenaria Diva [T]enaria [D]iva tenaria diva [d][iva] Diva Diva,
An
E l’atra notte e la silente riva. notte, e
An F
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70 An 71 An 72 An 71 An
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F
e ’l chiaro, L’ALTO ingegno. e ’l raro ingegno. L’estrema ora m’avanza, Il rogo..., il funere, l’urna ... Premon, Avran la Stigia Diva. Plutonia, funerea, Tartarea, inamata, Trinacria. Sotterranea Diva. l’alta notte. b: cancella solo D e sopra scrive d; g: cancella iva di a, trasforma d di b in D e aggiunge iva
X. IL PRIMO AMORE.
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Tornami a mente il dì che la battaglia D’amor sentii la prima volta, e dissi: Oimè, se quest’è amor, com’ei travaglia! Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi, Io mirava colei ch’a questo core Primiera il varco ed innocente aprissi. Ahi come mal mi governasti, amore! Perchè seco dovea sì dolce affetto Recar tanto desio, tanto dolore? E non sereno, e non intero e schietto, Anzi pien di travaglio e di lamento Al cor mi discendea tanto diletto? Dimmi, tenero core, or che spavento, Che angoscia era la tua fra quel pensiero Presso al qual t’era noia ogni contento? Quel pensier che nel dì, che lusinghiero Ti si offeriva nella notte, quando Tutto queto parea nell’emisfero: Tu inquieto, e felice e miserando, M’affaticavi in su le piume il fianco, Ad ogni or fortemente palpitando. E dove io tristo ed affannato e stanco Gli occhi al sonno chiudea, come per febre Rotto e deliro il sonno venia manco. Oh come viva in mezzo alle tenebre Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi La contemplavan sotto alle palpebre! Oh come soavissimi diffusi Moti per l’ossa mi serpeano, oh come Mille nell’alma instabili, confusi Pensieri si volgean! qual tra le chiome D’antica selva zefiro scorrendo, Un lungo, incerto mormorar ne prome.
34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74
E mentre io taccio, e mentre io non contendo, Che dicevi o mio cor, che si partia Quella per che penando ivi e battendo? Il cuocer non più tosto io mi sentia Della vampa d’amor, che il venticello Che l’aleggiava, volossene via. Senza sonno io giacea sul dì novello, E i destrier che dovean farmi deserto, Battean la zampa sotto al patrio ostello. Ed io timido e cheto ed inesperto, Ver lo balcone al buio protendea L’orecchio avido e l’occhio indarno aperto, La voce ad ascoltar, se ne dovea Di quelle labbra uscir, ch’ultima fosse; La voce, ch’altro il cielo, ahi, mi togliea. Quante volte plebea voce percosse Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese, E il core in forse a palpitar si mosse! E poi che finalmente mi discese La cara voce al core, e de’ cavai E delle rote il romorio s’intese; Orbo rimaso allor, mi rannicchiai Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi, Strinsi il cor con la mano, e sospirai. Poscia traendo i tremuli ginocchi Stupidamente per la muta stanza, Ch’altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi? Amarissima allor la ricordanza Locommisi nel petto, e mi serrava Ad ogni voce il core, a ogni sembianza. E lunga doglia il sen mi ricercava, Com’è quando a distesa Olimpo piove Malinconicamente e i campi lava. Ned io ti conoscea, garzon di nove E nove Soli, in questo a pianger nato Quando facevi, amor, le prime prove. Quando in ispregio ogni piacer, nè grato M’era degli astri il riso, o dell’aurora Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato. Anche di gloria amor taceami allora Nel petto, cui scaldar tanto solea,
75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103
Che di beltade amor vi fea dimora. Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea, E quelli m’apparian vani per cui Vano ogni altro desir creduto avea. Deh come mai da me sì vario fui, E tanto amor mi tolse un altro amore? Deh quanto, in verità, vani siam nui! Solo il mio cor piaceami, e col mio core In un perenne ragionar sepolto, Alla guardia seder del mio dolore. E l’occhio a terra chino o in se raccolto, Di riscontrarsi fuggitivo e vago Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto: Che la illibata, la candida imago Turbare egli temea pinta nel seno, Come all’aure si turba onda di lago. E quel di non aver goduto appieno Pentimento, che l’anima ci grava, E il piacer che passò cangia in veleno, Per li fuggiti dì mi stimolava Tuttora il sen: che la vergogna il duro Suo morso in questo cor già non oprava. Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro Che voglia non m’entrò bassa nel petto, Ch’arsi di foco intaminato e puro. Vive quel foco ancor, vive l’affetto, Spira nel pensier mio la bella imago, Da cui, se non celeste, altro diletto Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.
An
B26 F N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, XV. 1) autografo senza titolo nelle pp. 17-19 di un quaderno in cui segue alla cantica Appressamento della morte; nella parte inferiore delle pp. 18v e 19r, stese in una sola volta e in ordinata successione (e dunque tratte da materiali precedenti), si trovano le varianti, di altra penna e di diversa epoca rispetto alle correzioni fatte sul testo1 pp. 25-29 con il titolo Elegia I, seguita alle pp. 30-33 dalla Elegia II («Dove son? dove fui?» ecc.), sotto il titolo generale: Elegie | MDCCCXVII pp. 85-89 pp. 55-58
tit.
ELEGIA I
B26
X. | IL PRIMO AMORE.
F
1
La parte superiore della p. 18v reca i vv. 95-103ter; la parte superiore della p. 19r contiene due terzine estranee al Primo amore, che sviluppano l’inizio dell’argomento di elegia «Oggi finisco il ventesim’anno» ecc. (Bibl. Naz. Napoli, XV. 20 = Tutte le opere di G. Leopardi, ed. Flora, Le poesie e le prose, I, p. 381, II) e che sarà utile trascrivere perché di solito non compaiono nelle edizioni di tutte le opere di Leopardi, nemmeno in quelle che pubblicano anche gli argomenti di elegie: Ecco da poi che le pupille ignude Sentii di schermo incontro ai primi raggi Il ventesimo sole oggi si chiude. Misero, e che fec’io? qual appo i saggi Lodevol opra, e che d’obblio mi giovi (vaglia) Per lunga etade a raffrenar gli oltraggi? A margine la variante per un’altra possibile stesura degli ultimi due versi, aggiunta con altra penna: (per lunga Età mi giovi ec.). Poiché il dato biografico assegna l’argomento di elegia al 29 giugno 1818, e dunque il tentativo di elaborazione poetica a un periodo successivo, le varianti che seguono l’autografo napoletano del Primo amore non possono essere anteriori alla seconda metà del 1818. tit. manca in AN B26 vd. qui p. 283 app. crit.
1 2 3 4 5 6 7
1
Tornami a mente il dì che la battaglia D’amor sentii la prima volta, e dissi: Oimè, se quest’è amor, com’ei travaglia! Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi, Io mirava colei ch’a questo core Primiera il varco ed innocente aprissi. Ahi come mal mi governasti, amore!
Io mi ricordo il dì che la battaglia [ricordo] rimembro Tornami a mente
An
2
Prima d’Amor sentii nel petto, e dissi: D’amor sentii la prima volta,
An B26
3
Ahimè se quest’è amor, c[h.]om’ei travaglia! Ahimè, Oimè,
An B26 F
4
Che gli occhi al suol tuttora immot[o]i e fissi, intenti
An B26
5
Vagheggiava colei ch’al mesto core Io mirava a questo
An B26
6
Primiera il varco ed innocente aprissi.
An
7
Ahi come mal mi governasti, Amore! amore!
An B26
1 An 2 4 5 7
a b
B26
Terzina 1. Tornami a mente il dì. D’Amor primiera[.] ebbi. sentii la prima volta. 2. intenti e fissi Io mirava. a questo core. 3. Deh.
1 An var. le varianti sono ordinate da Leopardi secondo il numero (qui riprodotto) della terzina a cui si riferiscono B26 a differenza degli altri canti, in cui il verso iniziale della strofa è una riga rientrata, il primo verso di ciascuna terzina del Primo amore è una riga a rubrica, sia in B26 sia nelle successive edizioni (e così appare qui nel testo alle pp. 281-83); questa disposizione non è rispettata già nell’ed. Ranieri
8 9 10 11 12 13 14 15 16
Perchè seco dovea sì dolce affetto Recar tanto desio, tanto dolore? E non sereno, e non intero e schietto, Anzi pien di travaglio e di lamento Al cor mi discendea tanto diletto? Dimmi, tenero core, or che spavento, Che angoscia era la tua fra quel pensiero Presso al qual t’era noia ogni contento? Quel pensier che nel dì, che lusinghiero
8
Perchè seco dovea sì caro affetto dolce
An B26
9
Recar tanto desio, tanto dolore?
An
10
Perchè tanta tenzone entro il mio petto? E non sereno, e non intero e schietto,
An B26
11
Perchè senza tremor senza lamento Anzi pien di travaglio e di
An B26
12
Al cor non mi scendea tanto diletto? mi discendea
An B26
13
Dimmi tenero cor, fammi contento, Dimmi; core, or che spavento, Dimmi,
An B26 F
14
Che ti mancava in mezzo a quel pensiero Che angoscia era la tua fra
An B26
15
Ch’ogni altro ben ti fea parere un vento? Presso al qual t’era noia ogni contento?
An B26
16
Quel pensier che nel giorno, e lusinghiero dì, che
An B26
8 10
15
sì dolce. 4. E non sereno e non intero e schietto Anzi pien di [p.] travaglio e di lamento Al cor mi discendea. tranquillo. di querela e di tormento. di tempesta e di spavento. 5. Appo, Verso, il quale ogni ben t’era, Ver cui t’era ogni ben quasi, ombra o vento.
17 18 19 20 21 22
Ti si offeriva nella notte, quando Tutto queto parea nell’emisfero: Tu inquieto, e felice e miserando, M’affaticavi in su le piume il fianco, Ad ogni or fortemente palpitando. E dove io tristo ed affannato e stanco
17
Ti s’ affacciava ne la notte, quando si offeriva nella
An B26 N
18
Cheta ogni cosa par ne l’emispero. [Cheta] [ogni] [cosa] [par] Tutto quieto parea queto emisfero: nell’
An F N
19
Ma tu inquieto e felice e miserando inquieto, e miserando, Tu inquieto,
An B26 F
20
M’affaticavi
su le piume il fianco in su le fianco,
An B26
21
Ad ogni poco forte palpitando. or fortemente
An B26
22
Ed io scontento ed affannoso e stanco E[d io] [scontento] quand’io triste [E] [quan]d’ E allor ch’ E dove io tristo ed affannato
An
17 20
a b
a b g
B26
6. Ti si offeriva. 7. in su le piume.*
20 An var. con l’asterisco posto dopo la variante, Leopardi indica il luogo a cui appartengono, secondo l’ordine delle terzine, le varianti della terzina 10 (vv. 30-31), che nell’autografo sono aggiunte da ultimo, dopo quelle della terzina 34 (v. 100 segg.) 22 An g non cancellato completamente quand’
23 24 25 26 27 28 29
23
Gli occhi al sonno chiudea, come per febre Rotto e deliro il sonno venia manco. Oh come viva in mezzo alle tenebre Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi La contemplavan sotto alle palpebre! Oh come soavissimi diffusi Moti per l’ossa mi serpeano, oh come
Chiudea [g] le luci al sonno e qual per febre Chiudea [le luci] [al sonno] [e qual] Gli occhi al sonno chiudea come Lper febre Chiudea, [chiudea] ˆ chiudea, chiudea come chiudea, chiudea,
An
Rotto e deliro il sonno venia manco. Oh come viva in mezzo a le tenebre alle Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
An An N An
27
La contemplavan sotto a le palpebre! alle
An N
28
Oh come soavissimi, diffusi soavissimi diffusi Moti per l’ossa mi serpeano! o come oh serpeano,
An B26 An
24 25 26
29
a b g
B26 F Fc N
a b
B26
23 An a pare abbia scritto febbre (per una svista, cf. v. 25 tenebre e 27 palpebre), coprendo poi bb con una b più grande delle altre lettere b ha scritto la nuova stesura sopra le parole cancellate, però senza cancellare l’iniziale Chiudea di a g ha cancellato chiudea di b e ha posto un segno di inserzione prima di Chiudea (superstite da a) e una virgola dopo quella parola; dunque in g (= B26): Gli occhi al sonno chiudea, come per febre Fc lettera a L. de Sinner da Firenze, 1831, dopo la pubblicazione di F: «Alla pag. 86, v. 5, dopo chiudea interpungi.» (Epist. ed. Moroncini, VI, p. 66 = LF 748, BL 1610) 29 An b h è aggiunta nello spazio fra o e come; per oh ... o cf. ad es. 1816 Appres samento della morte II. 139 a Oh Italia mia dolente o patria lassa, (b O[h] ecc.) e 1821 VI. Bruto minore 101 b ed. Ranieri serpeano!
30 31 32 33 34 35
Mille nell’alma instabili, confusi Pensieri si volgean! qual tra le chiome D’antica selva zefiro scorrendo, Un lungo, incerto mormorar ne prome. E mentre io taccio, e mentre io non contendo, Che dicevi o mio cor, che si partia
30
Mille la mente attoniti, confusi ne l’alma instabili, nell’
An B26 N
31
Agitavan pensier[i]! come le chiome Agitavan ˆ M’ Pensier mi si volgean! qual tra Pensieri si volgean! Pensie[r] [mi] Pensieri
An
32
a b
B26 N Err Nc a b
[Di] Folte di selva Zefiro scuotendo sc[u]otendo Talor de’ boschi zefiro scorrendo, D’antica selva
An
33
Un lungo incerto susurrar ne prome. lungo, incerto mormorar
An B26 N
34
E mentre io taccio e mentre io non contendo, taccio, e
An B26
35
Che dicevi o mio cor, [x.] che si partia
An
30
(*) 10. Mille la mente instabili, confusi Pensier mi rivolgean. ravvolgean. Pensieri mi volgean, avvolgean. Mille ne, per, l’alma instabili, confusi Pensier mi s’avvolgean, mi si volgean, Pensieri mi fervean ec. rapidi, confusi.
B26 F
30 An var. vd. 20 An var. 34 ed. Ranieri mentr’io 35 An dopo la seconda virgola, parte di una lettera (p. ?) sùbito cancellata ed. Ranieri dicevi o mio
36 37 38 39 40 41 42 43 44 45
Quella per che penando ivi e battendo? Il cuocer non più tosto io mi sentia Della vampa d’amor, che il venticello Che l’aleggiava, volossene via. Senza sonno io giacea sul dì novello, E i destrier che dovean farmi deserto, Battean la zampa sotto al patrio ostello. Ed io timido e cheto ed inesperto, Ver lo balcone al buio protendea L’orecchio avido e l’occhio indarno aperto,
36
Quella onde sol pen[g.]ando ivi e battendo? per che
An B26
37
Il cuocer non sì tosto io mi sentia più
An B26
38
De la vampa d’amor, che ’l venticello Della che il
An N
39
Che l’aleggiava, volxxxrne via. [volxxxrne] volossene
An
40
Senza sonno i’ giacea sul dì novello, io
An N
41
E i destrier che dovean [x]farmi deserto deserto,
An B26
42
[D]Battean la zampa sotto al patrio ostello.
An
43
Ed io timido e cheto ed inesperto,
An
44
Ver lo balcone al buio protendea
An
45
L’orecchio avido e l’occhio indarno aperto,
An
a b
39 An a ha scritto dapprima una o due parole, rese irriconoscibili dalla correzione (Moroncini: volosserne?; pare ravvisabile -rne, da escludere sia vol vessene sia irne perché mancherebbe il punto della i); deve aver corretto in modo poco chiaro, così che ha cancellato tutto ed ha riscritto volosse ne sopra la riga 42 An D sùbito modificato in B
46 47 48 49 50 51 52 53 54 55
La voce ad ascoltar, se ne dovea Di quelle labbra uscir, ch’ultima fosse; La voce, ch’altro il cielo, ahi, mi togliea. Quante volte plebea voce percosse Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese, E il core in forse a palpitar si mosse! E poi che finalmente mi discese La cara voce al core, e de’ cavai E delle rote il romorio s’intese; Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
46
La voce ad ascoltar, [(] se ne dovea
An
47
Di quelle labbra uscir, ch’ultima fosse;
An
48
La [x.] voce, ch’altro il fato fato, [fato], cielo,
An B26 Nc
49
Quante volte plebea voce percosse
An
50
Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
An
51
E ’l core in forse a palpitar si mosse! E il
An N
52
E come finalmente mi discese poi che
An B26
53
La cara voce al core, e de’ cavai
An
54
E de le rote il fragorio s’intese, intese; delle romorio
An B26 N
55
Allora miserel mi rannicchiai Orbo rimaso allor,
An B26
52 53
ahi mi togliea. ahi, mi ahi, ahi,
18. E quando. E poi che. (Petrar. Trion. del tempo terzina 6. CAVAI per, CAVALLI)
53 An var. eccezionalmente, questa citazione si trova nel testo, accanto al verso
56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66
Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi, Strinsi il cor con la mano, e sospirai. Poscia traendo i tremuli ginocchi Stupidamente per la muta stanza, Ch’altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi? Amarissima allor la ricordanza Locommisi nel petto, e mi serrava Ad ogni voce il core, a ogni sembianza. E lunga doglia il sen mi ricercava, Com’è quando a distesa Olimpo piove Malinconicamente e i campi lava.
56
Palpitando nel letto, e chiusi gli occhi, letto e, chiusi
An B26
57
Strinsi il cor con la mano, e sospirai.
An
58
Poscia traendo i tremuli ginocchi
An
59
Stupidamente per la muta stanza,
An
60
Ch’altro sarà, dicea, che ’l cor mi tocchi? il
An N
61
Amarissima allor la ricordanza
An
62
Locommisi nel petto, e mi serrava
An
63
Ad ogni voce il core a ogni sembianza. core, a
An B26
64
E lunga doglia il sen mi ricercava,
An
65
Come allor[x] ch’a distesa Olimpo piove Com’è quando a
An B26
66
Malinconicamente e i campi lava.
An
56
19. letto e, chiusi.
65 An 66 An
allor sembra modificare una scrittura precedente (il dì?) nc su co
67 68 69 70 71 72 73 74
Ned io ti conoscea, garzon di nove E nove Soli, in questo a pianger nato Quando facevi, amor, le prime prove. Quando in ispregio ogni piacer, nè grato M’era degli astri il riso, o dell’aurora Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato. Anche di gloria amor taceami allora Nel petto, cui scaldar tanto solea,
67
Ned io ti conoscea garzon di nove conoscea, Ned’io Ned io
An B26 F N
68
E dieci verni, in questo al pianto nato [al pianto] a pianger nove Soli,
An
69
Quando facevi, Amor, le prime prove. amor,
An B26
70
Quando molesto ogni piacer nè grato in ispregio piacer,
An B26
71
[Che] M’era del Sole il riso, o de l’aurora de’ campi de gli astri degli o dell’
An B26 F N
72
Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.
An
73
Anche di gloria amor taceami allora
An
74
Nel petto cui scaldar tanto solea, petto,
An B26
70 71
24. Quando in ispregio ogni. de’ campi il riso. il riso de’ colli. cielo, aura ec.
69
ed. Ranieri Amor,
B26
a b
75 76 77 78 79 80 81
Che di beltade amor vi fea dimora. Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea, E quelli m’apparian vani per cui Vano ogni altro desir creduto avea. Deh come mai da me sì vario fui, E tanto amor mi tolse un altro amore? Deh quanto, in verità, vani siam nui!
75
Che di beltade amor vi fea dimora. Chè beltate beltade Che
An B26 F N
76
Nè l’alma ai dolci studi io rivolgea, gli occhi a i noti ai
An B26 N
77
E quelli m[i.]’apparian vani per cui
An
78
Tutt’altro vanità creduto avea. Vano ogni altro desir
An B26
79
Oh
An
come mai da me sì [d.] fui; ˆ vario
Deh fui[;] fui,
B26 Nc
80
[Come] E tanto amor mi tolse un altro amore! amore?
An B26
81
Oh
An
quanto in verità vani siam nui! [quanto] come Deh quanto, in verità,
a b
B26
79 81
27. Deh. Deh.
79 An
dopo la cancellazione (probabilmente [d.]) ha omesso inavvertitamente vario e lo ha aggiunto sopra il verso con un segno di inserzione prima di fui
82 83 84 85 86 87 88
Solo il mio cor piaceami, e col mio core In un perenne ragionar sepolto, Alla guardia seder del mio dolore. E l’occhio a terra chino o in se raccolto, Di riscontrarsi fuggitivo e vago Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto: Che la illibata, la candida imago
82
Solo il mio cor piaceami, e col mio core core, core[,]
An B26 Nc
83
In [p.] un perenne
An B26 N Nc
ragionar sepolto sepolto,
continuo [continuo] perenne 84
85
Sotto la guardia star del mio dolore. [Sotto] [star] A posar seder Alla
An B26 N
E l’occhio tuttavia chiuso e raccolto [chiuso] basso a terra chino o in se raccolto,
An
86
Di riscontrarsi fuggitivo e vago
An
87
[E]Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto; volto:
An B26
88
Che la illibata la candida imago Chè la illibata, Che
An B26 N
84 85
28. A la guardia vegliar. A, In, guardia dimorar. 29. tuttafiata in se raccolto.
87 An
E sùbito modificata in N
a b
B26
a b
89 90 91 92 93 94 95 96
Turbare egli temea pinta nel seno, Come all’aure si turba onda di lago. E quel di non aver goduto appieno Pentimento, che l’anima ci grava, E il piacer che passò cangia in veleno, Per li fuggiti dì mi stimolava Tuttora il sen: che la vergogna il duro Suo morso in questo cor già non oprava.
89
Contaminar temea sculta nel seno, seno; Turbare egli temea pinta nel seno,
An B26 N
90
Come per soffio tersa onda di lago. Come all’aura si turba aure aur[a] aure
An N N Err Nc
91
E quel di non aver goduto appieno
An
92
Pentimento che l’anima ci grava, Pentimento,
An B26
93
E ’l piacer che p[i]assò cangia in veleno, E il
An N
94
Per li fuggiti dì mi stimolava
An
95
D’amare fitte il sen, poscia ch’ il duro An [amare] sen[,] acerbe sen: Tuttora il sen: chè la vergogna il duro B26 che N
96
Di colpa morso il cor non m’addentava. Suo morso in questo cor già non oprava.
95
An B26
32. Tuttora il sen, poi che (che la) vergogna il duro Suo morso in questo cor già non oprava.
95 An a in poscia la s pare scritta su altra lettera, forse c
a b
97 98 99 100 101 102 103
97
Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro Che voglia non m’entrò bassa nel petto, Ch’arsi di foco intaminato e puro. Vive quel foco ancor, vive l’affetto, Spira nel pensier mio la bella imago, Da cui, se non celeste, altro diletto Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.
Al cielo, a voi gentili anime io giuro, anime, io giuro[,] Cielo, a voi, cielo,
An
98
Che voglia non m’entrò bassa nel petto,
An
99
Ch’arsi di foco intaminato e puro: puro.
An B26
a b
B26 F
100 E che senza rossor, di quello affetto Vive quel foco ancor, vive l’affetto,
An B26
101 E parlo e canto, onde non mai deliro Spira nel pensier mio la bella imago,
An B26
102 Bramai se non Celeste altro diletto. [se non] [C]eleste forchè celeste Da cui, se non celeste, altro diletto
An
103 E ancor ne’ sogni e ancor vegliando io miro Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.
An B26
103bis Talor così la santa vista, e mando
An
103ter Da l’intimo del petto anco un sospiro.
An
a b
B26
100
34. Vive quel foco ancor, vive l’affetto, Spira nel pensier mio la bella imago; Da cui, se non celeste, altro diletto Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago. Vive quel foco ancora e il dolce affetto, Vive nel pensier mio ec.
103bis An
i vv. 103bis e 103ter sono stati abbandonati in B26 e nelle successive edizioni
XI. IL PASSERO SOLITARIO.
1 2 3
D’in su la vetta della torre antica, Passero solitario, alla campagna Cantando vai finchè non muore il giorno; m[u]ore
Nc
4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
Ed erra l’armonia per questa valle. Primavera dintorno Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Sì ch’a mirarla intenerisce il core. Odi greggi belar, muggire armenti; Gli altri augelli contenti, a gara insieme Per lo libero ciel fan mille giri, Pur festeggiando il lor tempo migliore: Tu pensoso in disparte il tutto miri; Non compagni, non voli, Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; Canti, e così trapassi Di tua vita e dell’anno il più bel fiore. [D]i [e dell’anno] Nc Dell’anno e di
17 18
Oimè, quanto somiglia Al tuo costume il mio. Sollazzo e riso, mio! mio[.] mio!
19 20
21
Della novella età dolce famiglia, E te, german di giovinezza amore, te[,] giovinezza, Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
N Err Nc
Nc
22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39
Non curo, io non so come; anzi da loro Quasi fuggo lontano; Quasi romito, e strano Al mio loco natio, Passo del viver mio la primavera. Questo giorno ch’omai cede alla sera, Festeggiar si costuma al nostro borgo. Odi per lo sereno un suon di squilla, Odi spesso un tonar di ferree canne, Che rimbomba lontan di villa in villa. Tutta vestita a festa La gioventù del loco Lascia le case, e per le vie si spande; E mira ed è mirata, e in cor s’allegra. Io solitario in questa Rimota parte alla campagna uscendo, Ogni diletto e gioco Indugio ad altro tempo: e intanto il guardo [ad] in
40 41 42 43 44
Steso nell’aria aprica Mi fere il Sol che tra lontani monti, Dopo il giorno sereno, Cadendo si dilegua, e par che dica Che la beata gioventù vien meno.
45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57
Tu, solingo augellin, venuto a sera Del viver che daranno a te le stelle, Certo del tuo costume Non ti dorrai; che di natura è frutto Ogni vostra vaghezza. A me, se di vecchiezza La detestata soglia Evitar non impetro, Quando muti questi occhi all’altrui core, E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro Del dì presente più noioso e tetro, Che parrà di tal voglia? Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Nc
58 59
Ahi pentirommi, e spesso, Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 59-61, che qui si riproduce aggiungendovi le correzioni di Nc
XII. L’INFINITO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
An
Av
Nr B26 F N
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.
p. 2 di un fascicolo (Bibl. Naz. Napoli, XIII. 22) contenente i sei Idilli, nell’ordine: 1. [La Luna o l]La Ricordanza (= XIV. Alla luna), 2. L’Infi n i t o (= XII), 3 . [Il Sogno] Lo spavento notturno (= Fr a m m e n t i. XXXVII), 4. La sera del giorno festivo (= XIII. La sera del dì di festa), 5. Il sogno (= XV), 6. La vita solitaria (= XVI); da questo autografo fu tratto Av p. 3; Av, che servì per la stampa di Nr e B26, consta di ventidue facciate numerate e reca gli Idilli nell’ordine in cui apparvero in quelle pubblicazioni: 1. L’Infinito, 2. La sera del giorno festivo, 3. La Ricordanza, 4. Il Sogno, 5. Lo spavento notturno, 6. La vita solitaria anno I, parte II, N° 12, Dicembre 1825, p. 903 p. 7 p. 91 p. 62
tit.
Idillio | L’Infinito
An
L’Infinito | Idillio I
Av
L’INFINITO. | Idillio I.
Nr
L’INFINITO | Idillio I
B26
XI. | L’INFINITO.
F
XII. | L’INFINITO.
N
tit. Av Nr B26 F
precede questo titolo l’intestazione Idilli | MDCCCXIX precede questo titolo l’intestazione: IDILLI E VOLGARIZZAMENTI DI ALCUNI VERSI | MORALI DAL GRECO | del conte Giacomo Leopardi. precede questo titolo l’intestazione IDILLI | MDCCCXIX a p. 88 nell’indice: L’Infinito a p. 164 nell’indice: L’infinito (= N, Nc)
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello
1
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
An
2
E questa siepe, che da tanta parte
An
3
Del celeste confine il guardo esclude. De[l] [celeste confine] l’ultimo orizzonte Dell’
An
Ma sedendo e mirando, un infinito [un infinito] interminato interminati
An
5
Spazio di là da quella, e sovrumani Spazi
An N
6
Silenzi, e profondissima quiete
An
7
Io [mi.] nel pensier mi fingo, ove per poco fingo;
An B26
8
Il cor non si spaura. E come il vento
An
9
Odo stormir fra queste piante, io quello [fra] tra
An
4
1 An
a b
N a b
N
a b
colle con e ripassata su una e precedente, prima di scrivere la virgola (se questa non è stata aggiunta più tardi) 3 An b questa e le altre correzioni (tranne quella del v. 9) sono tutte della stessa penna, diversa da quella usata per la prima stesura del testo riporta sull’autografo una correzione del Supplemento generale a tutte le mie carte (Bibl. Naz. Firenze, B. R. 342, n. 11, 1), p. 2: «Agl’Idilli. Scrivi: che da tanta parte De l’ultimo orizzonte» 6 An ritoccata la m di profondissima
10 11 12 13 14 15
Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.
10
Infinito silenzio a questa voce
An
11
Vo comparando. E mi sovvien l’eterno, comparando[.] [E] comparando: e
An
12
E le morte stagioni, e la presente
An
13
E viva, e[`] ’l suon di lei. Così fra questa [fra] tra e il
An
14
15
a b
N
Immensitade il mio pensier s’annega, An Immensit[ade] [il mio] [s’] [annega,] Immensità s’annega il mio; [Immensità] mio[;] Infinità mio: Immensità Av [Immensità] Infinità Immensità F E ’l naufragar m’è dolce in questo mare. E il
a b
a b g a b
An N
14 An b in Immensitade ha cancellato de e ha posto un accento grave su a g ha cancellato la virgola del punto e virgola, ed ha aggiunto in basso un punto, che perciò risulta asimmetrico rispetto a quello superiore; impossibile dire se le due correzioni di g siano contemporanee 15 An se in m’è l’apostrofo (come pare probabile) è stato omesso inavvertitamente ed aggiunto in un secondo tempo, sono certo contemporanee di quella aggiunta le virgole dopo siepe v. 2 e mirando v. 4
XIII. LA SERA DEL DÌ DI FESTA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33
Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa: Tu dormi, che t’accolse agevol sonno Nelle tue chete stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai nè pensi Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno Appare in vista, a salutar m’affaccio, E l’antica natura onnipossente, Che mi fece all’affanno. A te la speme Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. Questo dì fu solenne: or da’ trastulli Prendi riposo; e forse ti rimembra In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri, Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo Quanto a viver mi resti, e qui per terra Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi In così verde etate! Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto Dell’artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46
An Av P Nr B26 F N Nc
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido De’ nostri avi famosi, e il grande impero Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio Che n’andò per la terra e l’oceano? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e più di lor non si ragiona. Nella mia prima età, quando s’aspetta Bramosamente il dì festivo, or poscia Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia, Premea le piume; ed alla tarda notte Un canto che s’udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco, Già similmente mi stringeva il core.
(vd. XII. L’infinito qui p. 303 An), pp. 5-7 (vd. XII. L’infinito qui p. 303 Av), pp. 4-6 VIII (1824-25), pp. 127-129 anno I, parte II, N° 12, Dicembre 1825, pp. 903-904 pp. 8-9 pp. 93-95 pp. 63-64
tit.
Idillio | La sera del giorno festivo
An
La sera del giorno festivo – Idillio
P
La sera del giorno festivo | Idillio II
Av
LA SERA DEL GIORNO FESTIVO. | Idillio II.
Nr
LA SERA DEL GIORNO FESTIVO | IDILLIO II B26 XII. | LA SERA | DEL GIORNO FESTIVO.
F
XIII. | LA SERA | DEL DÌ DI FESTA.
N
1 2 3 4 5 6
1
Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa:
Oimè, chiara è la notte e senza vento, Dolce e chiara [Oimè] [,] chiara Dolce e
An P An
2
E queta in mezzo a gli orti e in cima a i tetti agli a gli e sovra i tetti E queta e sovra i tetti e in mezzo agli orti E queta sovra E queta [e] sovra
An P Av F N N Err Nc
3
La luna si riposa, e le montagne riposa e riposa, e Posa la luna, e di lontan rivela
An P Av N
4
Si discopron da lungi. O donna mia, Serena ogni montagna. O
An N
5
Già tace ogni sentiero, e pe’ balconi pe’ pe[’] pei
An P An
Rara traluce la notturna lampa:
An
6
a b
a b
1 P sz˜a 5 An b ha aggiunto i, arrotondando l’apostrofo in modo da trasformarlo nel punto sopra la lettera
7 8 9 10 11
7
8
9
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno Nelle tue chete stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai nè pensi Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno che ch[e] chè che
An P An
[Nell.] Ne le tue chete stanze, e non ti Lmorde stanze, L[cura] morde stanze; Lmorde Ne la tua cheta stanza; l[a] tu[a] chet[a] stanz[a]; le tue chete stanze; Nelle
An
a b
F a
P An
b
Av
a b
N
Cura nessuna[,]: e già non pensi o stimi nessuna: nessuna[:] nessuna; non sai nè pensi
An P An
10
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
An
11
E bene sta, che amor da quand’ io nacqui An poi ch’ io nacqui — P [quand’] io nacqui An poi ch’ [E bene sta, che amor] [da] [poi ch’] [io nacqui] Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
a b
N a b g
7 An b accento grave aggiunto su che di a con altra penna 8 P [cura] cancellato accuratamente e perciò di incerta lettura 11 P i vv. 11, 23, 35 e 45 sono contrassegnati da una linea (a destra o sinistra) posta, rispettivamente, alla fine di gruppi di 12 (tenendo conto anche del titolo), 12, 12 e 10 righe, che presumibilmente occupavano ciascuno una facciata dell’autografo di cui P è copia
12 13 14 15 16
12
Appare in vista, a salutar m’affaccio, E l’antica natura onnipossente, Che mi fece all’affanno. A te la speme Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Non ebbi nè sperai nè merto. Il cielo [Non ebbi nè sperai nè merto.] [Il cielo] Appare in vista, a salutar m’affaccio,
13
Io qui m’affaccio a salutare, il cielo [Io qui m’affaccio a salutare, il cielo] E l’antica natura onnipossente, [n]atura Natura natura
14
An =P An
a
An =P An
a
b
b g
F
Che mi fece al[t.] travaglio. A te la speme travaglio. – A [al] [travaglio.] A a l’affanno. all’
An P An N
15
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro speme, speme;
An P Av
16
[n]Non brillin gli occhi tuoi fuor[chè] [di] che Ldi pianto. fuor che fuor[c] che se non Ldi pianto.
An
a b
P Av N
14 An a sicuro [t.]: è chiara l’asta orizzontale della lettera, che ha la forma che presenta t (legata a l precedente) in altro del v. 15; e ciò è confermato dal fatto che qui, eccezionalmente, per la presenza di t. le lettere al sono cancellate non con uno ma con due tratti di penna (come in [sl] o [st.] del v. 44)
17 18 19 20 21 22
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli Prendi riposo; e forse ti rimembra In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri, Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo Quanto a viver mi resti, e qui per terra
17
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli solenne; solenne:
An P Av
18
Prendi riposo, e forse ti rimembra riposo;
An B26
19
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
An
20
Piacquero a te: non io certo già mai te; non io certo giammai te: gi[à] mai giammai non io, non già, ch’io speri,
An P An
21
Ti ricorro al pensiero. Intanto io chieggio Al pensier ti ricorro. chieggo
An N
22
Quanto a viver mi resti, e qui per terra al a
An P Av
20 An b cancellato l’accento grave di à e aggiunto m fra gia e mai ed. Ranieri non già ch’io speri,
N
a b
23 24 25 26 27 28
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi In così verde etate! Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto Dell’artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; E fieramente mi si stringe il core,
Mi getto e mi ravvolgo. Oh giorni orrendi orrendi — getto e [mi ravvolgo] orrendi getto, e grido, e fremo. getto, e mi ravvolgo. getto, e [mi ravvolgo.] ˆ grido e fremo. grido,
An P An
a
Av
a b
In così verde etade. Ahi per la via etate! eta[d]e[.] etate! Ahi,
An P An
25
Sento non lunge il solitario canto Odo
An N
26
De l’artigian che riede a tarda notte artigian, notte, Dell’
An B26 N
27
Dopo i sollazzi al suo povero ostello, sollazzi, ostello;
An B26
28
E fieramente mi si stringe il core core,
An F
23
24
23 And
b
Nr a b
B26
(Oh vita o giorni orrendi)
23 An b la virgola dopo getto non è di a ed. Ranieri O giorni orrendi And di penna diversa da quella della prima stesura di An P vd. 11 P app. crit. 24 An b ha aggiunto sul punto di a un tratto verticale con altra penna, che pare la stessa della seconda t nella correzione etate
29 30 31 32 33 34 35
A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov’è il suono Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido De’ nostri avi famosi, e il grande impero
29
A pensar come tutto al mondo passa passa,
An N
30
E vestigio
An =P An
non lascia. Ecco è fuggito
[vestigio] quasi orma 31
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
An
32
Volgar succede, e si travolge il tempo e se ne porta
An N
33
Ogni umano accidente. Or dov’è ’l suono il
An N
34
Di que’ popoli antichi? or dov’è ’l grido [dov’] dov’è il grido
An Av N
35
De’ nostri avi famosi, e ’l grande impero — De’ De’ il
An P Av N
35 P
nr˜i; vd. 11 P app. crit.
a b
36 37 38 39 40
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio Che n’andò per la terra e l’oceano? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e più di lor non si ragiona. Nella mia prima età, quando s’aspetta
36
Di quella Roma, e l’armi e ’l fragorio Roma; Roma, armi, il
An, P Av B26 F N
37
Che n’andò per la terra e l’oceano? [l’]la
An Av
38
Tutto è silenzio e pace, e tutto cheto pace e pace, e pace e silenzio, e pòsa posa
An P Av F N
39
È ’l mondo, e più di lor non si favella. mondo e mondo, e Il mondo, e ragiona.
An P Av F N
40
Ne la mia prima età, quando s’aspetta Nella
An N
36 An
37 P 38 P
dubbio se dopo Roma vi sia punto e virgola o piuttosto solo virgola (cf. B26) il punto sulla i di fragorio è molto più consistente che su tutte le altre i dell’autografo: ha la stessa consistenza che si nota in pei di 5 An b, dove il punto risulta dalla modificazione di un apostrofo; si può sospettare che Leopardi avesse scritto dapprima fragorìo (con un accento grave un po’ più corto del solito, come per es. quello di andò nel successivo v. 37); cf. le correzioni di I. All’Italia 75 fuggìa R18 > fuggia An a, 79 salìa R18 > salia An, II. Sopra il monumento di Dante 23 udìa R18 > udia An, IV. Nelle nozze della sorella Paolina 45 natío An a > natio b, ecc. n’andò p. la terra e to. cheto
41 42 43 44 45
Bramosamente il dì festivo, or poscia Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia, Premea le piume; ed alla tarda notte Un canto che s’udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco,
41
Bramosamente il dì festivo, or poscia
An
42
Ch’egli era spento, io doloroso e desto ˆ doloroso, in veglia,
An F
43
Premea le piume, e per la muta notte piume; ed a la tarda alla
An B26 F N
44
Questo canto che udia per lo [sx. ] sentiero, ch’ sentiero ch[e] sentiero[,] ch’ ch[’] che ch’ Un canto che s’udia per li sentieri
An P An
E moria slontanando a poco a poco, — E moria slontanando E moria [s]lontanando [E moria] [lontanando] Lontanando morire
An P An
45
42 An
a b g
B26 F a b g
era disavvedutamente omesso e aggiunto sopra la riga con un segno di inserzione fra egli e spento 44 An a sx.: forse [sl] (per anticipazione di slontanando del v. 45) oppure [st.] cancellato con due tratti di penna, prima di completare t tagliando il tratto verticale con la caratteristica linea curva orizzontale (cf. st di stringeva v. 46); vd. 14 An a app. crit. b impossibile stabilire a quale fase appartenga la cancellazione della virgola 45 P vd. 11 P app. crit.
46 Già similmente mi stringeva il core.
46
46 P
Fin da quegli anni mi stringeva il core. Al modo istesso core — [Fin] [da] [quegli] [anni] core. Al modo istesso Pur similmente Già
a fianco di questo verso, le iniziali: (G. L.) —
An P An F N
a b
XIV. ALLA LUNA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l’anno, sovra questo colle Io venia pien d’angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l’etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l’affanno duri!
An P Av Nr B26 F N Nc
(vd. XII. L’infinito qui p. 303 An), p. 1 VIII (1824-25), pp. 121-122 (vd. XII. L’infinito p. 303 Av), p. 3 anno II, parte I, N° 1, Gennaio 1826, p. 45 p. 10 p. 97 p. 65
tit.
Idillio | La Luna
An o la
Ricordanza
La Luna, o la ricordanza – idillio –
P
Idillio | [La] [Luna] [o l]a Ricordanza La
An
La Ricordanza
Av
| Idillio III
LA RICORDANZA. | Idillio III.
Nr
LA RICORDANZA | IDILLIO III
B26
XIII. | ALLA LUNA.
F
XIV. | ALLA LUNA.
N
a b g
An a il titolo fu dapprima solo La Luna perché le due parole (come negli altri idilli di questo fascicolo) sono disposte simmetricamente sotto Idillio e la a di Luna termina con uno svolazzo come in parole che sono alla fine di una riga; cf. la forma di a finale in Ricordanza (tit. An b) e selva (v. 4 An g) il 14 novembre 1825 il fratello Carlo scrive a Giacomo che questi, recandosi a Bologna, ha lasciato in casa, fra gli altri manoscritti, anche uno intitolato «La luna o Le ricordanze, Idillio» (Epist. ed. Moroncini, III, p. 253 = BL 771), che pare stesura non pervenutaci g L maiuscola scritta su l F a p. 164 nell’indice: Alla Luna N a p. 1 nell’indice: Alla luna Nr precede questo titolo l’intestazione generale come per l’Infinito (vd. XII. L’infinito tit. Nr app. crit.) tit
1 O graziosa luna, io mi rammento 2 Che, or volge l’anno, sovra questo colle 3 Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
1
2
O graziosa Luna, io mi rammento Oh O[h] O luna, Ch’ or volge [or volge] è presso Ch’ è presso [è presso] or volge ˆ Ch’ or volge Ch[’] Che, Che, or volge
3
Venia
An, P Av
a b
Nr F
un anno, io sopra questo An Lpoggio [un anno] a un anno, a un anno, io sopra questo P Lpoggio [a] questo An Lpoggio
a
Av An Av un anno, io sopra questo Nr Lpoggio l’ anno, io sovra questo F Lcolle l’ anno, sovra N
a d b
carco d’angoscia a rimirarti: pieno Io venia pien d’angoscia [V]enia pien[o] Io venia pien
{
b
g
An, P N N Err Nc
2 An a dopo un aveva cominciato a scrivere alt. o altr.? (ciò spiegherebbe perché in b abbia cancellato e riscritto più chiaramente anche un anno) b la linea orizzontale che non cancella le ultime tre lettere di volge, ma è continuata da un’altra linea che muove da sotto la e di volge, assicura che un anno di a fu cancellato in questa fase dell’elaborazione e riscritto di séguito a è presso a insieme con la virgola (sebbene questa non risultasse cancellata in a) g segno di inserzione tanto sotto or della correzione quanto sotto [or] di a d correzione contemporanea in An e Av, perché in entrambi si scrive e in modo da dissimulare l’apostrofo e si inserisce la virgola P sopra q.to poggio
4 5 6 7
4
5
E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
a b
E tu pendevi allor sopra quel bosco, [bosco], prato, [sopra] [quel prato,] su quella selva, su quella selva, selva[,] selva
An
P An Av
d
Com’ ora
An
a b
P An
g
fai, che tutto tutt[o] tutta Com’ ora fai che tutta [Com’ora] fai, Siccome or Siccome or fai,
lo rischiari. l[o] la la rischiari.
g
Av
6
Ma nebuloso e tremulo dal pianto pianto, pianto
An P Av
7
Che mi sorgea sul ciglio, [al.] a le mie luci a le mie luci [a le mie luci] il tuo bel viso [il tuo] [bel viso] a le mie luci a le mie luci alle
An P An
a b g
Av N
4 An b cancella quel prato non con una linea orizzontale (come per [sopra]) ma con una linea che si sviluppa sulle due parole avvolgendosi ripetutamente, in modo da renderle quasi illeggibili g correzione aggiunta nella stessa riga, a fianco delle parole cancellate 5 An b trasforma le o in a, in concordanza con la sostituzione di selva a prato in 4 An g g correzione aggiunta a destra delle tre parole cancellate 7 An a non [ad]
8 9 10 11 12
8
9
Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l’etate Del mio dolore. Oh come grato occorre
Il tuo viso apparia, [Il] [tuo] [viso] Al mio sguardo [Al mio sguardo] [apparia] Il tuo volto apparia, Il tuo volto apparia, apparia[,] apparia; apparia; apparia,
perchè dolente [perchè dolente] che travagliosa che travagliosa ch[e] chè chè che
An
g P An
An An
10
O mia diletta Luna. E pur mi giova luna.
An F
11
La rimembranza, e ’l noverar l’etate ri[membr]anza ricordanza La ricordanza, e ’l e il
An
Del mio dolore. Oh quanto grato occorre [quanto] come come
An An
12 An
d
Av N
Era mia vita: ed è, nè cangia stile, [cangia] cambia ca[mb]ia cangia cangia
12
a b
a, P b g
Av
a b
P, Av N
Av
(come sì grato)
8 An d ha aggiunto l’accento sul precedente che 12 An var. nel margine destro del foglio, su una riga verticale lungo i vv. 12-14
a, P b
13 14 15 16
13-14 15
16
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l’affanno duri!
vd. v. 16 Nc
Il sovvenir de le passate cose delle de[lle] de le ˆ de le cose, delle
An, P Av
Ancor che tristi trist[i] triste, triste,
An
a b
P An
g
e ancor che ’l pianto duri! e e e duri! [’]l duri! il triste, e duri! duri! duri.
a b
Nr B26 N
Av Nr B26
Nc: sui due ultimi versi (15-16) di N la correzione manoscritta
[Il sovvenir delle passate cose,] [Ancor che triste, e ancor che il pianto duri.] Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l’affanno duri! 16 An b riporta sull’autografo una correzione decisa nel Supplemento generale (vd. XII. L’infinito v. 3 An app. crit.), p. 2: «Agl’Idilli ... Scrivi: Anc[h.]or che triste.». La i finale di tristi aveva il punto sopra il tratto orizzontale della t precedente (come in rimirarti v. 3 e stile v. 9) ed è trasformata in e che termina con uno svolazzo (come a di Luna tit. e selva v. 4) in modo che lo svolazzo arrivi a coprire il punto; la virgola è forse di una fase successiva g cancella l’apostrofo e aggiunge i davanti a l P a fianco di questo verso, le iniziali: (G. L.) Av la congiunzione e pare scritta modificando un’altra lettera, o ripassando una e riuscita confusa per troppo inchiostro
XV. IL SOGNO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33
Era il mattino, e tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole Nella mia cieca stanza il primo albore; Quando in sul tempo che più leve il sonno E più soave le pupille adombra, Stettemi allato e riguardommi in viso Il simulacro di colei che amore Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. Morta non mi parea, ma trista, e quale Degl’infelici è la sembianza. Al capo Appressommi la destra, e sospirando, Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Serbi di noi? Donde, risposi, e come Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: nè mi credea Che risaper tu lo dovessi; e questo Facea più sconsolato il dolor mio. Ma sei tu per lasciarmi un’altra volta? Io n’ho gran tema. Or dimmi, e che t’avvenne? Sei tu quella di prima? E che ti strugge Internamente? Obblivione ingombra I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno; Disse colei. Son morta, e mi vedesti L’ultima volta, or son più lune. Immensa Doglia m’oppresse a queste voci il petto. Ella seguì: nel fior degli anni estinta, Quand’è il viver più dolce, e pria che il core Certo si renda com’è tutta indarno L’umana speme. A desiar colei Che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare L’egro mortal; ma sconsolata arriva La morte ai giovanetti, e duro è il fato Di quella speme che sotterra è spenta.
34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74
Vano è saper quel che natura asconde Agl’inesperti della vita, e molto All’immatura sapienza il cieco Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, Taci, taci, diss’io, che tu mi schianti Con questi detti il cor. Dunque sei morta, O mia diletta, ed io son vivo, ed era Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma Provar dovesse, a me restasse intera Questa misera spoglia? Oh quante volte In ripensar che più non vivi, e mai Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo, Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s’addimanda? Oggi per prova Intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarre. Giovane son, ma si consuma e perde La giovanezza mia come vecchiezza; La qual pavento, e pur m’è lunge assai. Ma poco da vecchiezza si discorda Il fior dell’età mia. Nascemmo al pianto, Disse, ambedue; felicità non rise Al viver nostro; e dilettossi il cielo De’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Soggiunsi, e di pallor velato il viso Per la tua dipartita, e se d’angoscia Porto gravido il cor; dimmi: d’amore Favilla alcuna, o di pietà, giammai Verso il misero amante il cor t’assalse Mentre vivesti? Io disperando allora E sperando traea le notti e i giorni; Oggi nel vano dubitar si stanca La mente mia. Che se una volta sola Dolor ti strinse di mia negra vita, Non mel celar, ti prego, e mi soccorra La rimembranza or che il futuro è tolto Ai nostri giorni. E quella: ti conforta, O sventurato. Io di pietade avara Non ti fui mentre vissi, ed or non sono, Che fui misera anch’io. Non far querela
75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100
An
P Av Cp Nr B26 F N Nc
Di questa infelicissima fanciulla. Per le sventure nostre, e per l’amore Che mi strugge, esclamai; per lo diletto Nome di giovanezza e la perduta Speme dei nostri dì, concedi, o cara, Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto Soave e tristo, la porgeva. Or mentre Di baci la ricopro, e d’affannosa Dolcezza palpitando all’anelante Seno la stringo, di sudore il volto Ferveva e il petto, nelle fauci stava La voce, al guardo traballava il giorno. Quando colei teneramente affissi Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, Disse, che di beltà son fatta ignuda? E tu d’amore, o sfortunato, indarno Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi E mai più non vivrai: già ruppe il fato La fe che mi giurasti. Allor d’angoscia Gridar volendo, e spasimando, e pregne Di sconsolato pianto le pupille, Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi Pur mi restava, e nell’incerto raggio Del Sol vederla io mi credeva ancora.
(vd. XII. L’infinito qui p. 303 An), pp. 7-12; per la data di composizione cf. l’appunto «Se tu devi poetando fingere un sogno» ecc., datato «3 Dicembre 1820» (Bibl. Naz. Napoli, XI. 10 bis; Tutte le opere di G. Leopar di, ed. Flora, Le poesie e le prose, I, p. 449) I (prima del 1822), pp. 106-109 (vd. XII. L’infinito qui p. 303 Av), pp. 8-13 Notizie Teatrali, Bibliografiche e Urbane | ossia | Il Caffè di Petronio, N° 33, Bologna, Sabbato 13 Agosto 1825, pp. 129-130 (nella sezione Notizie Bibliografiche) anno II, parte I, N° 1, Gennaio 1826, pp. 45-48 pp. 11-15 pp. 99-103 pp. 66-69
tit.
Idillio | Il Sogno
An
Idillio – Il Sogno
P
Il Sogno | Idillio IV
Av
Il Sogno. | ELEGIA (inedita)
Cp
IL SOGNO. | Idillio IV.
Nr
IL SOGNO | IDILLIO IV
B26
XIV. | IL SOGNO.
F
XV. | IL SOGNO.
N
tit. B26
a p. 88 nell’indice: Il sogno
1 2 3 4 5 6 7
Era il mattino, e tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole Nella mia cieca stanza il primo albore; Quando in sul tempo che più leve il sonno E più soave le pupille adombra, Stettemi allato e riguardommi in viso Il simulacro di colei che amore
1
Era il mattino, e fra le chiuse imposte tra
An Av
2
Per lo balcone insinuava il sole Sole sole
An Cp B26
3
Ne la mia cieca stanza i primi raggi, il primo albore; Nella
An F N
4
Quando su[l.] l’ora che più leve il sonno Quando su Quando in su ˆ in sul tempo
An P An F
5
E più soave le pupille annebbia, adombra,
An Av
6
Vennemi
An
a
Vennemi [Vennemi] Stettemi [Vennemi a] Stettemi allato
P An
b
Il simulacro di colei ch’ amore che ch[’] che
An P An
7
allato e riguardommi Lin viso
a b
Av
5 And
(adombra)
2 6 Av
ed. Ranieri Sole la nuova stesura segue la cancellazione sulla medesima riga
a b
8 9 10 11 12 13 14 15
8
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. Morta non mi parea, ma trista, e quale Degl’infelici è la sembianza. Al capo Appressommi la destra, e sospirando, Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Serbi di noi? Donde, risposi, e come Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: nè mi credea
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. insegnommi, insegnommi[,] insegnommi, insegnommi insegnommi,
An P An
9
Morta non mi parea, ma trista, e quale trista trista,
An Av Nc
10
De gl’infelici è la sembianza. Al capo Degl’ De gl’ Degl’
An Cp Nr N
11
Accostommi la destra, e sospirando, Accostommi A[ccosto]mmi Appressommi
An P An
12
Vivi pur, disse, e ricordanza alcuna tu, Vivi, mi disse,
An Av F
13
Serbi di noi? Donde, risposi, e come
An
14
Vieni o cara beltà? Quanto, deh quanto Vieni, o
An N
15
Di te mi dolse e duol: nè che tu fossi duol; duol[;] duol: duol; duol: nè mi credea
An Av
a b g
Cp Nr
Cp Nr F
a b
a b
16 17 18 19
Che risaper tu lo dovessi; e questo Facea più sconsolato il dolor mio. Ma sei tu per lasciarmi un’altra volta? Io n’ho gran tema. Or dimmi, e che t’avvenne?
16
Mai per saperlo io mi credeva; e questa credeva, credeva; credeva, credeva; questo Che risaper tu lo dovessi;
An P Av Cp Nr B26 F
17
M’era cagion di più crudele affanno. Facea più sconsolato il dolor mio.
An F
18
Ma se’ tu per lasciarmi un’altra volta? se’ se[’] sei se’ sei
An P An
19
a b
F N
Certo ch’io ’l temo. Or dimmi, e che ti avvenne? An dimmi t’ P t[i] An dimmi, t’ ti Av t[i] t’ ti Nr t’ B26 Io n’ho gran tema. F
a b a b
18 An a la prima a di altra pare scritta su una o due lettere (cx?) 19 Av b correzione contemporanea di An b perché eseguita in modo identico in entrambi i casi, trasformando il punto di i in apostrofo e cancellando la parte inferiore della lettera con un tratto obliquo da destra a sinistra (cf. 26 Av, 37 Av b, 57 Av b, 84 An b)
20 21 22 23 24 25
20
Sei tu quella di prima? E che ti strugge Internamente? Obblivione ingombra I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno; Disse colei. Son morta, e mi vedesti L’ultima volta, or son più lune. Immensa Doglia m’oppresse a queste voci il petto.
Se’ pur quella di prima? E che ti strugge pur [pur] tu Perchè lunge mi fosti? e Se’ tu quella di prima? E Sei
Cp Nr N
21
Internamente? Obblivion ricopre Obblivìon Obblivion Obblivione ingombra
An Cp Nr F
22
I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno, pensieri pensieri, sonno;
An Av B26
23
Disse colei. Son morta, e mi vedesti colei, colei[,] colei.
An Av
24
L’ultima volta è già gran tempo. Immensa volta volta, volta, or son più lune.
An P An Av F
Doglia m’oppresse a queste voci il petto.
An
25
21 23 Av
An P An
ed. Ranieri Oblivione b virgola cancellata ancor prima di continuare la scrittura del verso
a b
a b a b
26 27 28 29 30 31
26
Ella seguì: nel fior degli anni estinta, Quand’è il viver più dolce, e pria che il core Certo si renda com’è tutta indarno L’umana speme. A desiar colei Che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare L’egro mortal; ma sconsolata arriva
Ella seguì: sul fior de gli anni estinta, sul degli [su]l de gli nel [sul] nel seguì. Sul fior degli seguì: nel fior de gli degli
An P An
27
Quando è ’l viver più dolce, e pria che ’l core il ’l Quand’è il il
An Cp Nr N
28
Certo si renda com’ è tutta indarno com[e]’è tutto com’ è tutta
An P Av
29
L’umana speme. A desiar colei
An
30
Che de gli affanni il tragge ha poco andare degli affanni d[e] [gli] affann[i] d’ ogni affanno tragge,
An P An
L’egro mortal; ma sconsolata arriva mortal. Ma mortal; ma mortal, mortal;
An P Av Cp Nr
31
26 Av
a b
Av Cp Nr N
a b
B26
nel è scritto di séguito a [sul] nella medesima riga, cioè durante la stesura stessa del verso, e dunque è correzione contemporanea ad An b 30 An a poco probabile, nell’ortografia di Leopardi, una prima stesura de gli af fann’ il tragge P per errore a, con h aggiunto a matita un po’ più in alto
32 33 34 35 36
32
La morte ai giovanetti, e duro è il fato Di quella speme che sotterra è spenta. Vano è saper quel che natura asconde Agl’inesperti della vita, e molto All’immatura sapienza il cieco
La morte a’ giovanetti, e duro è ’l fato ai [a][’] ai ˆ ai il
An P An
Di quella speme che ’l sepolcro estingue. che ’l sepolcro estingue [che] [’l sepolcro] cui la tomba terra opprime. che sotterra è spenta.
An P An
Vano è ’l saper quel che natura asconde Natura [N]atura natura è saper
An Av
35
A gl’ inesperti de la vita, e molto Agl’ inesperti de la A gl’ de la Agl’ della
An P Av N
36
A l’immatura sapienza il folle immediata folle immatura [folle] cieco All’
An P An
33
34
32 An b i scritto sull’apostrofo
a b
N a b
F N a b
N
N
a b
37 38 39 40 41 42
37
38
39
40
41
42
Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, Taci, taci, diss’io, che tu mi schianti Con questi detti il cor. Dunque sei morta, O mia diletta, ed io son vivo, ed era Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma
Dolor prevale. O sfortunata, o cara, O sfortunata, o cara, O sfortunata[,] o sfortunata, Oh oh O o Oh oh Taci taci, diss’io, chè tu mi schianti Taci, taci, che Taci taci, chè che Taci, taci, chè che Con questi detti il cor. Dunque se’ morta morta, morta sei morta, O mia diletta? ed io son vivo? ed era diletta? vivo? diletta[?] vivo[?] diletta, vivo, Pur fisso in ciel che que’ sudori estremi que’ que[’] quei Cotesta cara e tenerella salma
41 And Ans 42 And
An P An Av An P Av Nr B26 N An Nr B26 N An P An An P An An
(angosce estreme) FISSO. Past. fido At. 1.
Coro. stanza 4.
(vaga, delicata)
37 Av b evidente la contemporaneità con An d 38 An possibile che, con l’accento grave aggiunto successivamente
a b g d a b
a b a b
43 44 45 46 47 48 49 50
Provar dovesse, a me restasse intera Questa misera spoglia? Oh quante volte In ripensar che più non vivi, e mai Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo, Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s’addimanda? Oggi per prova Intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarre.
43
Provar dovesse, a me restasse intera
An
44
Questa misera spoglia? Oh quante volte
An
45
In ripensar che più non vivi, e mai vivi, vivi[,] vivi, vivi vivi,
An P An
46
Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo,
An
47
Creder nol posso. Ahi ahi, che c[h.]osa è questa An Ahi, ahi, P Ahi ahi, Av
48
Che morte s’addimanda? oggi per prova oggi [o]ggi Oggi
An P An
49
Intenderlo potessi, e ’l capo inerme potessi, potessi potessi, potessi potessi, il
An P Av Cp Nr B26 N
50
A gli atroci del fato odii sot[r.]trarre. Agli
An N
47 49 P 50
a b g
Cp Nr
a b
ed. Ranieri posso! forse scrisse dapprima Intender lo, oppure Intendere con e cancellata prima di scrivere lo ed. Ranieri sottrarre!
51 52 53 54 55 56
Giovane son, ma si consuma e perde La giovanezza mia come vecchiezza; La qual pavento, e pur m’è lunge assai. Ma poco da vecchiezza si discorda Il fior dell’età mia. Nascemmo al pianto, Disse, ambedue; felicità non rise
51
Giovane son, ma si consuma e perde
An
52
La giovanezza mia come vecchiezza, vecchiezza, vecchiezza[,] vecchiezza; vecchiezza; vecchiezza, vecchiezza;
An P An
53
a b
Av Cp Nr
La qual pavento, e pur m’è lungi assai: lungi assai, lung[i] assai[:] lunge assai.
An P An
54
Ma poco da vecchiezza si discorda
An
55
Il fior de l’età mia. Nascemmo al pianto, de gli anni miei. de l’età mia. dell’
An Cp Nr N
56
Disse, ambedue. Felicità non rise ambedue. Felicità ambedue; felicità
An P Av
a b
53 An b ha scritto e su i dissimulandone il punto con un ampio svolazzo, ed ha trasformato i due punti in punto fermo prolungando la i precedente fino a raggiungere il punto in alto; impossibile dire se le due correzioni siano contemporanee
57 58 59 60 61
Al viver nostro; e dilettossi il cielo De’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Soggiunsi, e di pallor velato il viso Per la tua dipartita, e se d’angoscia Porto gravido il cor; dimmi: d’amore
Al viver nostro, e dilettossi il cielo cielo [c]ielo Cielo nostro; cielo [c]ielo Cielo nostro, cielo nostro; Cielo cielo
An P An
a
Av
a b
58
De’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Del nostro affanno. De’ nostri affanni.
An Cp Nr
59
Soggiunsi, e di pallor velato il viso
An
60
Per la tua dipartita, e se d’angoscia
An
61
Port[a]o gravido il cor; dimmi: d’amore Porto dimmi; Porto dimmi, dimmi[,] dimmi: cor, dimmi, cor; dimmi:
An P Av
57
60 And
b
Cp Nr F
a b
Cp Nr
(ambascia)
57 An b cf. 41 ciel P nr˜o Av b evidente (anche per l’identico prolungamento della parte superiore di c) la contemporaneità con An b 58 P nr˜i
62 63 64 65 66 67 68
62
Favilla alcuna, o di pietà, giammai Verso il misero amante il cor t’assalse Mentre vivesti? Io disperando allora E sperando traea le notti e i giorni; Oggi nel vano dubitar si stanca La mente mia. Che se una volta sola Dolor ti strinse di mia negra vita,
Già non favello: ma pietà nessuna favello: favello[:] piet[à] [nessuna] favello; pietade alcuna favello, favello; Favilla alcuna, o di pietà, giammai
An P An
Del tuo misero amante in cor ti nacque cor [cor] sen Verso il il cor t’assalse
An P An
64
Mentre vivesti? Io disperando allora
An
65
E sperando traea le notti e i giorni. giorni. giorni[.] giorni; giorni, giorni;
An P An
66
Oggi nel vano dubitar si stanca
An
67
La mente mia. Che se una volta pure sola
An N
68
Mercè ti strinse di mia negra vita, Dolor
An N
63
a b
Cp Nr N a b
N
Cp Nr
62 An b d scritto sull’accento grave a destra di a in pietà 65 An b il punto è dissimulato prolungando la i precedente 67 An in volta le ultime due lettere modificano una scrittura precedente
a b
69 70 71 72
69
70
71
Consentimi ch’io [s] ’l sappia, e mi soccorra ch’io ’l sappia, sappia[,] il sappia ’l Non mel celar, ti prego,
An P An Cp Nr N
a
La rimembranza, or che ’l futuro è tolto rimembranza rimembranza[,] [’]l il ’l il ’l il
An P An
a
A’ A’
An P An
A[’] Ai Ai Ai Ai 72
Non mel celar, ti prego, e mi soccorra La rimembranza or che il futuro è tolto Ai nostri giorni. E quella: ti conforta, O sventurato. Io di pietade avara
nostri giorni. Ed ella: ti conforta nostri giorni. Ed ella: E[d] [ella:] E quella: Ed ella, E quella:
conforta,
O poverello. Io di pie[d.]tade avara poverello. [poverello] O sventurato. ˆ sventurato, io sventurato. Io
b
b
Cp Nr B26 F a b g Cp Nr N An P An
a b
Cp Nr
71 P nr˜i 72 An b sventurato. aggiunto sopra il verso, con segno di inserzione fra O e [po verello]
73 74 75 76 77 78
73
Non ti fui mentre vissi, ed or non sono, Che fui misera anch’io. Non far querela Di questa infelicissima fanciulla. Per le sventure nostre, e per l’amore Che mi strugge, esclamai; per lo diletto Nome di giovanezza e la perduta
Non ti fui mentre vissi, ed or non sono; vissi, vissi[,] sono, vissi,
An P An Av B26
74
Chè fui misera anch’io. Non far querela Che
An N
75
Di questa infelicissima fanciulla.
An
76
Per le miserie nostre, e per l’amore nostre, nostre[,] sventure nostre,
An P An B26
77
Che mi strugge, esclamai; per lo diletto esclamai, esclamai; Ch’io ti porto, esclamai, Che mi strugge, esclamai;
An P Av Cp Nr
78
Nome di giovanezza, e la perduta l[e]a perdut[e]a giovanezza e la perduta
An P Av
74 An 76 P
a b
a b
Non far querela si trova un po’ più in alto perché Leopardi ha utilizzato un foglio su cui aveva scritto Senofonte (seguito forse da una cifra) e la cancellatura di quel nome supera la riga su cui si trova il verso nr˜e
79 80 81 82 83
79
Speme dei nostri dì, concedi, o cara, Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto Soave e tristo, la porgeva. Or mentre Di baci la ricopro, e d’affannosa Dolcezza palpitando all’anelante
Speme de’ nostri dì, de’ de[’] de i dei de i
concedi o cara, concedi, concedi concedi, concedi
dei concedi, concedi,
An P An Cp Nr B26 N N Err Nc
80
Che la tua destra io tocchi. Ed ella in atto ella,
An B26
81
Soave e tristo la porgeva. Or mentre tristo,
An B26
82
Di baci la ricopro, e d’affannosa
An
83
Dolcezza palpitando a l’anelante all’
An N
79 P 83 Av
nr˜i ne di anelante ritoccato su una scrittura precedente
a b
84 85 86 87 88 89
84
Seno la stringo, di sudore il volto Ferveva e il petto, nelle fauci stava La voce, al guardo traballava il giorno. Quando colei teneramente affissi Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, Disse, che di beltà son fatta ignuda?
Seno la stringo, di sudor la fronte sudor la fronte sudore [la] [fronte] il volto sudore [la] il volto il volto
An P An
85
Ferveva e ’l petto, ne le fauci stava il nelle
An N
86
La voce, al guardo traballava il giorno. giorno, giorno.
An P Av
87
Quando colei teneramente affissi
An
88
Gli occhi ne gli occhi miei, già scordi, o caro, scordi, scordi[,] scordi, scordi negli scordi,
An P An Nr B26 N
Disse, che di beltà son fatta ignuda?
An
89
84 And
a b
Av Cp
a b
(la guancia)
84 An b correzione più tarda della variante marginale (la guancia), perché volto è compresso nello spazio tra quella e [fronte], e probabilmente contemporanea della stesura 84 Av d An a differenza delle altre varianti, scritte verticalmente dall’alto in basso, questa procede dal basso verso l’alto, come le varianti marginali del canto seguente (XVI. La vita solitaria) Av pare abbia scritto sudor la, modificando poi in sudore [la] e continuando con il volto
90 91 92 93 94 95 96 97
90
E tu d’amore, o sfortunato, indarno Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi E mai più non vivrai: già ruppe il fato La fe che mi giurasti. Allor d’angoscia Gridar volendo, e spasimando, e pregne Di sconsolato pianto le pupille,
E tu d’amore, o sventurato, indarno sventurato, [sventurato] sfortunato,
An P An
91
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
An
92
Nostre misere menti e nostre salme
An
93
Son disgiunte in eterno. A me non vivi eterno, a eterno. A
An Cp Nr
94
E mai più non vivrai: già ruppe il fato vivrai, vivrai:
An Cp Nr
95
L’amor che mi giurasti. Allor d’angoscia La fe che
An N
96
Gridar volendo, e spasimando, e pregne molli pregne
An Cp Nr
97
Di sconsolato pianto le pupille, pupille pupille,
An P Av
92 P 93 97 An
a b
nr˜e salme ed. Ranieri vivi, la seconda p di pupille è scritta su un’altra lettera parzialmente cancellata (l.?)
98 Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi 99 Pur mi restava, e nell’incerto raggio 100 Del Sol vederla io mi credeva ancora.
98
Dal sonno mi disciolsi. Ella ne gli occhi negli
An N
99
Pur mi restava, e ne l’incerto raggio nell’
An N
100 Del sol vederla io mi pensava ancora. pensava ancora — [pensava] ancora. credeva Sol sol Sol
An P An
100 P B26
nella riga sotto questo verso: Di G. Leopardi cf. XVI. La vita solitaria v. 27, ma qui sole al v. 2
Av Nr B26
a b
XVI. LA VITA SOLITARIA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22
La mattutina pioggia, allor che l’ale Battendo esulta nella chiusa stanza La gallinella, ed al balcon s’affaccia L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce I suoi tremuli rai fra le cadenti Stille saetta, alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi risveglia; E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Degli augelli susurro, e l’aura fresca, E le ridenti piagge benedico: Poichè voi, cittadine infauste mura, Vidi e conobbi assai, là dove segue Odio al dolor compagno; e doloroso Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna Benchè scarsa pietà pur mi dimostra Natura in questi lochi, un giorno oh quanto Verso me più cortese! E tu pur volgi Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando Le sciagure e gli affanni, alla reina Felicità servi, o natura. In cielo, In terra amico agl’infelici alcuno E rifugio non resta altro che il ferro.
23 24 25 26 27 28 29 30 31 32
Talor m’assido in solitaria parte, Sovra un rialto, al margine d’un lago Di taciturne piante incoronato. Ivi, quando il meriggio in ciel si volve, La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Ed erba o foglia non si crolla al vento, E non onda incresparsi, e non cicala Strider, nè batter penna augello in ramo, Nè farfalla ronzar, nè voce o moto Da presso nè da lunge odi nè vedi.
33 34 35 36 37 38
Tien quelle rive altissima quiete; Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto; e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, nè spirto o senso Più le commova, e lor quiete antica Co’ silenzi del loco si confonda.
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69
Amore, amore, assai lungi volasti Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, Anzi rovente. Con sua fredda mano Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo Che mi scendesti in seno. Era quel dolce E irrevocabil tempo, allor che s’apre Al guardo giovanil questa infelice Scena del mondo, e gli sorride in vista Di paradiso. Al garzoncello il core Di vergine speranza e di desio Balza nel petto; e già s’accinge all’opra Di questa vita come a danza o gioco Il misero mortal. Ma non sì tosto, Amor, di te m’accorsi, e il viver mio Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi Non altro convenia che il pianger sempre. Pur se talvolta per le piagge apriche, Su la tacita aurora o quando al sole Brillano i tetti e i poggi e le campagne, Scontro di vaga donzelletta il viso; O qualor nella placida quiete D’estiva notte, il vagabondo passo Di rincontro alle ville soffermando, L’erma terra contemplo, e di fanciulla Che all’opre di sua man la notte aggiunge Odo sonar nelle romite stanze L’arguto canto; a palpitar si move Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano Ogni moto soave al petto mio.
70 71
O cara luna, al cui tranquillo raggio Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107
An
Alla mattina il cacciator, che trova L’orme intricate e false, e dai covili Error vario lo svia; salve, o benigna Delle notti reina. Infesto scende Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro A deserti edifici, in su l’acciaro Del pallido ladron ch’a teso orecchio Il fragor delle rote e de’ cavalli Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi Su la tacita via; poscia improvviso Col suon dell’armi e con la rauca voce E col funereo ceffo il core agghiaccia Al passegger, cui semivivo e nudo Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre Per le contrade cittadine il bianco Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi Va radendo le mura e la secreta Ombra seguendo, e resta, e si spaura Delle ardenti lucerne e degli aperti Balconi. Infesto alle malvage menti, A me sempre benigno il tuo cospetto Sarà per queste piagge, ove non altro Che lieti colli e spaziosi campi M’apri alla vista. Ed ancor io soleva, Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso Raggio accusar negli abitati lochi, Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando Scopriva umani aspetti al guardo mio. Or sempre loderollo, o ch’io ti miri Veleggiar tra le nubi, o che serena Dominatrice dell’etereo campo, Questa flebil riguardi umana sede. Me spesso rivedrai solingo e muto Errar pe’ boschi e per le verdi rive, O seder sovra l’erbe, assai contento Se core e lena a sospirar m’avanza.
(vd. XII. L’infinito qui p. 303 An), pp. 12-17, immediatamente di séguito a XV. Il sogno e scritto con la stessa penna
tit.
P Av Nr B26 F N Nc
Idillio | La Vita
solitaria
An
Idillio – La Vita
solitaria
P
Idillio | La [V]ita solitaria vita
An
La vita solitaria
| Idillio VI
Av
LA VITA SOLITARIA. | Idillio VI.
Nr
LA VITA SOLITARIA | IDILLIO VI
B26
XV. | LA VITA SOLITARIA.
F
XVI. | LA VITA SOLITARIA.
N
a b
I (prima del 1822), pp. 109-113, di séguito a XV. Il sogno (vd. XII. L’infinito qui p. 303 Av), pp. 16-22 anno II, parte I, Gennaio 1826, pp. 49-51 pp. 18-22 pp. 105-109 (non mantiene la divisione strofica dei manoscritti, delle stampe precedenti e di N: ha solo una seconda strofa che comincia al v. 70 O cara luna ecc.) pp. 70-74
1 2 3 4 5 6 7
1
La mattutina pioggia, allor che l’ale Battendo esulta nella chiusa stanza La gallinella, ed al balcon s’affaccia L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce I suoi tremuli rai fra le cadenti Stille saetta, alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi risveglia;
La mattutina pioggia allor che l’ale pioggia, allor
An =P An
2
Battendo esulta ne la chiusa stanza [nella] ne la nella
An Av N
3
La gallinella, ed al balcon s’affaccia Le gallinella, La gallinella L[e] gallinella, La gallinella,
An N N Err Nc
4
L’abitator de’ campi, e ’l sol che nasce
An =P An
[’]l [s]ol il Sol sol Sol
nasce, nasce
I suoi trepidi rai fra le cadenti tremuli
An F
6
Stille tramanda, a la capanna mia saetta, alla
An N
7
Dolcemente picchiando mi risveglia;
An =P An Av
[risp.]risveglia;
b
a b
Nr B26
5
picchiando,
a
a b
1 An b virgola di altra penna 3 N Le per errore tipografico N Err «la mancanza di virgola nell’Err. di N deve ritenersi una mera svista» (Moroncini) perché la virgola di N non è tolta in Nc 5 ed. Ranieri tremoli 7 An b virgola di altra penna
8 9 10 11 12 13 14
8
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Degli augelli susurro, e l’aura fresca, E le ridenti piagge benedico: Poichè voi, cittadine infauste mura, Vidi e conobbi assai, là dove segue Odio al dolor compagno; e doloroso Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
E sorgo, e i lievi nugoletti, e ’l primo lieti augelletti, [lieti] lievi lievi nugoletti, il
An P
De gli augelli susurro, e l’aura fresca, Degli
An N
10
E le ridenti piagge benedico; benedico[;] benedico:
An Nc
11
Perchè
voi, cittadine infauste mura, voi mura P[er]chè voi, mura, Poichè
An P An
12
Vidi e conobbi assai, dove si piglia prende là dove segue
An F N
13
Lo sventurato a scherno; e [sf] sventurato scherno: scherno; Odio al dolor compagno; e doloroso
An P Av N
14
Io nacqui, e tal morrò, deh presto! Alcuna [presto] tosto! Alcuna[,] Io vivo,
An
9
8 P
a b
Av N
a b
a b
Av F
augelletti: probabilmente Paolina ha male interpretato la scrittura dell’autografo da cui copia e che non doveva essere del tutto chiara, a giudicare anche dalla correzione di lieti in lievi (vd. pure v. 83 P app. crit.)
15 16 17 18 19 20
Benchè scarsa pietà pur mi dimostra Natura in questi lochi, un giorno oh quanto Verso me più cortese! E tu pur volgi Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando Le sciagure e gli affanni, alla reina Felicità servi, o natura. In cielo,
15
Benchè scarsa pietà pur mi concede pur [co] mi concede dimostra
An Av N
16
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto luoghi, [luoghi] ˆ lochi,
An Av
17
Verso me più cortese. E tu pur anche pur volgi cortese[.] cortese!
An B26 Nc
18
Da’
An =P An
miseri ti svolgi,
Da[’] Da i
e a la reina
svolgi[,]
Dai
lo sguardo; e tu, sdegnando
B26 N
19
Le sciaure e gli affanni, a la reina sciagure alla
B26 N
20
Felicità servi o natura. In cielo [n]atura. Natura. cielo, servi, servi natura. servi,
An
15 And 16 Av 18
Av Nr B26 F N
(Ben che) b trasforma la virgola di a in segno di inserzione An, Av e P non recano il v. 19, che compare a partire da B26
a b
a b
a b
21 22 23 24 25 26
In terra amico agl’infelici alcuno E rifugio non resta altro che il ferro. Talor m’assido in solitaria parte, Sovra un rialto, al margine d’un lago Di taciturne piante incoronato. Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
21
In terra amico a gl’infelici alcuno agl’ a gl’ agl’
An P Av N
22
E rifugio non resta altro che ’l ferro. ’l[’] [’]l il pianto. ferro.
An P An
Talor m’assido in solitaria parte
An =P An
a
An P An
a
23
parte, 24
Su S[u] Sopra Sovra
d’ un rialto al margine d’un lago rialto, [d’]un rialto,
b
b
N
Di taciturne piante incoronato.
An
26
Quivi mentre
An =P An
il meriggio in ciel si volve,
[Quivi] [mentre] Ivi quando volve,+ 22 B26
b
B26 F
25
Ivi, quando
a
a b
Av F
«cambiamento probabilmente imposto dalla Censura bolognese» (Moroncini) 23 An b virgola di penna diversa da quella di a 24 An b trasforma u in o e d’ in a (cancellando l’apostrofo e la parte superiore della lettera); la virgola pare della stessa penna usata per correggere in Sopra 26 Av dopo volve, un segno di richiamo per il v. 27 omesso e aggiunto nel margine sinistro
27 28 29 30 31 32 33
27
La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Ed erba o foglia non si crolla al vento, E non onda incresparsi, e non cicala Strider, nè batter penna augello in ramo, Nè farfalla ronzar, nè voce o moto Da presso nè da lunge odi nè vedi. Tien quelle rive altissima quiete;
La sua tranquilla imago il sol dipinge, [s]ol Sol + La
sol Sol 28
An =P An
29
An
30
Strider, nè batter penna augello in ramo,
An
31
Nè farfalla ronzar, nè voce o moto moto, moto[,]
An N Nc
32
Da lungi
An =P An
Da [lungi] ˆ presso ˆ 33
odi nè vedi.
da [presso] ˆ lungi ˆ lung[i] lunge
Tien quelle rive altissima quiete; quiete, quiete;
27 Av 28 Av
b
Av Nr B26
Ed erba o foglia non si crolla al vento, Erba nè foglia E[rba nè] foglia ˆ Ed erba o foglia ˆ E non onda incresparsi, e non cicala
nè da presso
a
An Av
a b
a b g
An P Av
vd. 26 Av app. crit. b cancella ba nè, trasforma r in d ed aggiunge erba o in alto, con un segno di inserzione tra [nè] e foglia 32 An g modifica i in e dissimulandone il punto con un ampio svolazzo
34 35 36 37 38 39 40 41
Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto; e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, nè spirto o senso Più le commova, e lor quiete antica Co’ silenzi del loco si confonda. Amore, amore, assai lungi volasti Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, Anzi rovente. Con sua fredda mano
34
Ond’io quasi me stesso e ’l mondo obblio stesso, obblio[–] stesso il
An P Av N
35
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte immot[t]o
An Av
36
Giaccian le membra mie, nè spirto o senso mie mie,
An P Av
37
Più le commova, e lor quiete antica
An
38
Co’
An =P An
silenzi del loco si confonda.
Co[’] Coi Co’
B26
39
Amore amore, assai lungi volasti Amore, amore, Amore amore, Amore, amore,
An P Av Nc
40
Dal petto mio che fu sì caldo un giorno, si sì mio,
An P Av B26
41
Anzi rovente. Con sua fredda mano
An
a b
42 43 44 45 46 47 48 49
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo Che mi scendesti in seno. Era quel dolce E irrevocabil tempo, allor che s’apre Al guardo giovanil questa infelice Scena del mondo, e gli sorride in vista Di paradiso. Al garzoncello il core Di vergine speranza e di desio
Lo strinse la sciaura, e in ghiacchio è volto ghiaccio ghiacc[h]io v[o]lto vólto volto vólto volto
An P An
a
Av
a b
Sul fior de gli anni. Mi sovviene il tempo degli [Su]l de gli Nel degli sovvien del
An P An
44
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
An
45
E irrevocabil tempo allor che s’apre tempo,
An B26
46
Al guardo giovanil questa infelice giovenil giovanil giov[e]nil giovanil
An F N Err Nc
47
Scena del mondo, e gli sorride in vista
An
48
Di paradiso. Al garzoncello il core
An
49
Di vergine speranza e di desio
An
42
43
49 And 42 Av 49
(vergini) b correzione contemporanea a quella di An g manca in P
b g
B26
N
a b
50 51 52 53 54 55 56
Balza nel petto; e già s’accinge all’opra Di questa vita come a danza o gioco Il misero mortal. Ma non sì tosto, Amor, di te m’accorsi, e il viver mio Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi Non altro convenia che il pianger sempre. Pur se talvolta per le piagge apriche,
50
Balza nel petto; e già s’accinge a l’opra Brilla nel petto; Balza nel petto; all’
An P Av N
51
Di questa vita come a danza o [festa] gioco o gioco o gioco
An P Av
52
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
An
53
Amor, di te m’accorsi, e ’l viver mio il
An N
54
Fortuna avea già rotto, ed a quest’ occhi
An =P An
quest[’] questi 55
Non altro convenia che ’l pianger sempre. il
An N
56
Pur se talvolta per le piagge apriche, piaggie
An N
a b
50 And
tripudia in, brilla, giubbila,
50 P And
cf. 50 And una linea semiellissoidale unisce giubbila, con tripudia, forse per distinguere tripudia in e giubbila da brilla gioco aggiunto sullo stesso rigo e scritto con la medesima penna di festa errore di stampa (cf. qui piagge v. 10 e 93, e inoltre 1818 II. Sopra il mo numento di Dante 140, 1822 VII. Alla Primavera 43) sfuggito alla correzione anche in N Err e Nc
51 An 56 N
57 58 59 60 61 62 63 64
57
Su la tacita aurora o quando al sole Brillano i tetti e i poggi e le campagne, Scontro di vaga donzelletta il viso; O qualor nella placida quiete D’estiva notte, il vagabondo passo Di rincontro alle ville soffermando, L’erma terra contemplo, e di fanciulla Che all’opre di sua man la notte aggiunge
Su la tacita aurora,
o quando al sole
aurora[,]
An =P An
a b
58
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
An
59
Scontro di vaga donzelletta il viso;
An
60
O qualor ne la placida quiete nella ne la nella
An P Av N
61
D’estiva notte, il vagabondo passo notte notte,
An P Av
62
Di rincontro a le ville soffermando, alle
An N
63
L’erma terra contemplo, e di fanciulla le fanciulle [le] fanciull[e] di fanciulla di fanciulla
An P
Che a l’opre di sua man la notte aggiunge Ch’ a aggiunge aggiung[e] aggiunga Che a l’opr[e] aggiunge opra opre all’
An P
a a b
An
b
64
64 And
(opra)
a b
Av
F N
65 66 67 68 69
Odo sonar nelle romite stanze L’arguto canto; a palpitar si move Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano Ogni moto soave al petto mio.
65
Odo sonar ne le romite stanze nelle
An N
66
L’arguto canto; a palpitar si move canto: canto;
An P Av
67
Questo mio cor di sasso: ahi ma pensando sasso; sasso: [pensando] ritorna ahi, ma
An P An
67bis Che
di lui non si cura anima viva,
68
Riede
al ferreo sopor, chè la più
[Riede] Tosto 69
An =P [chè] [la] [più] [bella] An ˆ ch’è fatto estrano ˆ sopor; ch’è B26
Parte di questa vita il ciel negommi. [Parte di questa vita il ciel negommi] Ogni moto soave al petto mio.
67bis And (di me) 67bis An
verso soppresso a partire da An b
b
B26 An =P An
[Che di lui non si cura anima viva]
a
bella
An =P An
a b a b
a b
70 71 72 73 74
70
O cara luna, al cui tranquillo raggio Danzan le lepri nelle selve; e duolsi Alla mattina il cacciator, che trova L’orme intricate e false, e dai covili Error vario lo svia; salve, o benigna
O cara luna al cui tranquillo raggio
An =P An
[l]una Luna Luna, luna,
a b g
F
71
Danzan le lepri ne le selve; e duolsi selve, selve; nelle selve: selve; selve[:] selve;
An P Av N N Err Nc
72
A la mattina il cacciator che trova
An =P An N
a
An =P An N
a
An P An
a
cacciator, Alla 73
L’orme intricate e false, e da covili da i covili dai
74
Error vario lo svia, salve o svia, salve, svia[,] salve svia;
benigna
[begn] benigna salve, salve salve, 70 72 73 74
An An An An
g b b b
b
b
b
Av Nr B26 F
virgola di penna diversa da quella di b virgola di penna diversa da quella di a virgola di a ripassata con la penna di b (cf. v. 74 An b app. crit.) con penna diversa da quella di a ha ripassato la virgola e le ha sovrapposto il punto
75 76 77 78 79 80 81
Delle notti reina. Infesto scende Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro A deserti edifici, in su l’acciaro Del pallido ladron ch’a teso orecchio Il fragor delle rote e de’ cavalli Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi Su la tacita via; poscia improvviso
75
De le notti reina. Infesto scende Delle
An N
76
Il raggio tuo fra macchie e balze, o dentro
An =P An
a
An P An
a
balze[,] 77
A’ deserti A deserti A[’]
edifizi, in su[l] l’acciaro edifizi, edifi[z]i, edifici, [abitu] edifici, in su[l] l’acciaro
Del pallido ladron che a teso orecchio ch’ a
An B26
79
Il fragor de[l] le rote e de’ cavalli delle
An N
80
Da lungi osserva, o ’l calpestio de’ piedi osserva, e ’l osserva[,] o [’]l il
An P An
Sul
An P Av F
tacito sentier[o]; poscia improvviso sentier; sentier; Su la tacita via;
81 And
(poi d’impr.)
81
ed. Ranieri Sulla
b
Av
78
81
b
a b
82 83 84 85 86 87 88
Col suon dell’armi e con la rauca voce E col funereo ceffo il core agghiaccia Al passegger, cui semivivo e nudo Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre Per le contrade cittadine il bianco Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi Va radendo le mura e la secreta
82
Col suon de l’armi e con la rauca voce dell’armi, de l’armi dell’
An P Av N
83
E col funereo ceffo il core agghiacchia cesto agghiaccia ceffo agghiacc[h]ia agghiaccia
An P An Av
84
Al passegger, cui semivivo e nudo
An
85
Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
An
86
Per le contrade cittadine il bianco
An
87
Tuo lume al drudo vil che de gli alberghi degli de gli degli vil, vil,
An P Av N N Err Nc
88
Va radendo le mura e la secreta segreta se[g]reta secreta
An Av
a b
a b
84 And
(peregrin. viator.)
83 P
cesto è palese fraintendimento di un nesso ff tracciato con forma quasi identica a st, proprio come si presenta in ceffo di questo verso in An, e prova che P è una copia diplomatica, evidentemente stesa in assenza di Giacomo, che riproduce esattamente l’originale; ne è conferma la croce apposta al v. 91 P (vd. app. crit.), che è indice della scrupolosa cura di Paolina
89 90 91 92 93 94 95
Ombra seguendo, e resta, e si spaura Delle ardenti lucerne e degli aperti Balconi. Infesto alle malvage menti, A me sempre benigno il tuo cospetto Sarà per queste piagge, ove non altro Che lieti colli e spaziosi campi M’apri alla vista. Ed ancor io soleva,
89
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
An
90
De le ardenti lucerne e de gli aperti degli [a] aperti de gli aperti Delle degli
An P Av N
91
Balconi. Infesto a le malvage menti, malvagix menti, malvage menti, alle
An P Av N
92
A me sempre benigno il tuo cospetto
An
93
Sarà per queste piagge, ove non altro
An
94
Che lieti colli e spaziosi campi
An
95
M’apri a la vista. Ed ancor io soleva, soleva [ancor] [io soleva] [,] io soleva ancora, alla Ed ancor io soleva, Ed io soleva [ancora,] Ed ancor io soleva,
An P An
89 And 95 And 91 P 95 And Nc
a b
N N Err Nc
(e ne[l]l’andar, e nel suo cor, e ad ora ad or s’attrista. e seco si rattrista) (E già, ben, soleva anch’io.) con una croce decussata, posta in alto dopo malvagi, Paolina, come gli antichi copisti, indica la lezione erronea dell’autografo, che ella fedelmente rispetta (cf. v. 83 P app. crit.) di penna diversa da quella delle altre annotazioni marginali e, a differenza di quelle, scritto dal basso in alto la virgola e ancor a margine, con segni di inserzione ripetuti nel testo
96 97 98 99 100
96
Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso Raggio accusar negli abitati lochi, Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando Scopriva umani aspetti al guardo mio. Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
Ben che innocente io fossi, il tuo vezzoso Ben [che] Bench’
97
98
Raggio accusar ne gli abitati lochi lochi lochi, lochi lochi, negli Quando Quand[o] Quand’ei Quando ei Quand[o] ei Quand’ei
99
An =P An
a
An P An Av B26 N
a
m’offriva al guardo umano, e quando An =P An umano
Av
umano,
N
Umani volti al mio guardo scopriva. scopri[v]a. scopria. Scopriva umani aspetti al guardo mio.
100 Or sempre loderollo o ch’io ti miri loderollo, loderollo,
100 An b virgola di penna diversa da quella di a
b
b
a b a b
An =P An Av F
a
An P An
a
b
b
101 102 103 104 105 106 107
Veleggiar tra le nubi, o che serena Dominatrice dell’etereo campo, Questa flebil riguardi umana sede. Me spesso rivedrai solingo e muto Errar pe’ boschi e per le verdi rive, O seder sovra l’erbe, assai contento Se core e lena a sospirar m’avanza.
101 Veleggiar fra
le nubi, o che serena
[fra] tra
An =P An
102 Dominatrice de l’etereo campo campo, dell’
An F N
103 Questa flebil riguardi umana sede.
An
104 Me spesso rivedrai solingo e muto
An
105 Errar pe’ boschi e per le verdi rive,
An =P An
pe[’] pei pe’
An P Av
107 Se core e lena
An P An Av N
101 P
107 P
[core] [e] lena ˆ lena core
b
a b
B26
106 O seder [sop] sovra l’erbe, assai contento sovra sovra
Se
a
a sospirar m’avanza. m’avanza — e core m’avanza. e core e lena a sospirar m’avanza.
a b
verso disavvedutamente omesso nel trascrivere il testo; Paolina se ne è sùbito accorta, ha posto i segni di richiamo +++ a sinistra (cioè prima) del v. 102 Dominatrice ecc. e in calce, dopo il v. 105, ha tracciato una lunga linea orizzontale, sotto cui ha scritto: +++ Veleggiar fra le nubi, o che serena. Pare meno probabile che Paolina abbia scrupolosamente riprodotto, anche in questo, il manoscritto da cui copiava (per l’aggiunta di un verso omesso da Giacomo cf. qui vv. 26-27 Av app. crit.) sul rigo sotto a quello del v. 107: Di G. Leopardi
XVII. CONSALVO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
Presso alla fin di sua dimora in terra, Giacea Consalvo; disdegnoso un tempo Del suo destino; or già non più, che a mezzo Il quinto lustro, gli pendea sul capo Il sospirato obblio. Qual da gran tempo, Così giacea nel funeral suo giorno Dai più diletti amici abbandonato: Ch’amico in terra al lungo andar nessuno Resta a colui che della terra è schivo. Pur gli era al fianco, da pietà condotta A consolare il suo deserto stato, Quella che sola e sempre eragli a mente, Per divina beltà famosa Elvira; Conscia del suo poter, conscia che un guardo Suo lieto, un detto d’alcun dolce asperso, Ben mille volte ripetuto e mille Nel costante pensier, sostegno e cibo Esser solea dell’infelice amante: Benchè nulla d’amor parola udita Avess’ella da lui. Sempre in quell’alma Era del gran desio stato più forte Un sovrano timor. Così l’avea Fatto schiavo e fanciullo il troppo amore.
24 25 26 27 28 29 30 31 32
Ma ruppe alfin la morte il nodo antico Alla sua lingua. Poichè certi i segni Sentendo di quel dì che l’uom discioglie, Lei, già mossa a partir, presa per mano, E quella man bianchissima stringendo, Disse: tu parti, e l’ora omai ti sforza: Elvira, addio. Non ti vedrò, ch’io creda, Un’altra volta. Or dunque addio. Ti rendo Qual maggior grazia mai delle tue cure
33 34
Dar possa il labbro mio. Premio daratti Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende.
35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58
Impallidia la bella, e il petto anelo Udendo le si fea: che sempre stringe All’uomo il cor dogliosamente, ancora Ch’estranio sia, chi si diparte e dice, Addio per sempre. E contraddir voleva, Dissimulando l’appressar del fato, Al moribondo. Ma il suo dir prevenne Quegli, e soggiunse: desiata, e molto, Come sai, ripregata a me discende, Non temuta, la morte; e lieto apparmi Questo feral mio dì. Pesami, è vero, Che te perdo per sempre. Oimè per sempre Parto da te. Mi si divide il core In questo dir. Più non vedrò quegli occhi, Nè la tua voce udrò! Dimmi: ma pria Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio Non vorrai tu donarmi? un bacio solo In tutto il viver mio? Grazia ch’ei chiegga Non si nega a chi muor. Nè già vantarmi Potrò del dono, io semispento, a cui Straniera man le labbra oggi fra poco Eternamente chiuderà. Ciò detto Con un sospiro, all’adorata destra Le fredde labbra supplicando affisse.
59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
Stette sospesa e pensierosa in atto La bellissima donna; e fiso il guardo, Di mille vezzi sfavillante, in quello Tenea dell’infelice, ove l’estrema Lacrima rilucea. Nè dielle il core Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio Rinacerbir col niego; anzi la vinse Misericordia dei ben noti ardori. E quel volto celeste, e quella bocca, Già tanto desiata, e per molt’anni Argomento di sogno e di sospiro, Dolcemente appressando al volto afflitto E scolorato dal mortale affanno,
72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111
Più baci e più, tutta benigna e in vista D’alta pietà, su le convulse labbra Del trepido, rapito amante impresse. Che divenisti allor? quali appariro Vita, morte, sventura agli occhi tuoi, Fuggitivo Consalvo? Egli la mano, Ch’ancor tenea, della diletta Elvira Postasi al cor, che gli ultimi battea Palpiti della morte e dell’amore, Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono In su la terra ancor; ben quelle labbra Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo! Ahi vision d’estinto, o sogno, o cosa Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira, Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi Non ti fu l’amor mio per alcun tempo; Non a te, non altrui; che non si cela Vero amore alla terra. Assai palese Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi, Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre Muto sarebbe l’infinito affetto Che governa il cor mio, se non l’avesse Fatto ardito il morir. Morrò contento Del mio destino omai, nè più mi dolgo Ch’aprii le luci al dì. Non vissi indarno, Poscia che quella bocca alla mia bocca Premer fu dato. Anzi felice estimo La sorte mia. Due cose belle ha il mondo: Amore e morte. All’una il ciel mi guida In sul fior dell’età; nell’altro, assai Fortunato mi tengo. Ah, se una volta, Solo una volta il lungo amor quieto E pago avessi tu, fora la terra Fatta quindi per sempre un paradiso Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza, L’abborrita vecchiezza, avrei sofferto Con riposato cor: che a sostentarla Bastato sempre il rimembrar sarebbe D’un solo istante, e il dir: felice io fui Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto
112 113 114 115 116 117 118
Esser beato non consente il cielo A natura terrena. Amar tant’oltre Non è dato con gioia. E ben per patto In poter del carnefice ai flagelli, Alle ruote, alle faci ito volando Sarei dalle tue braccia; e ben disceso Nel paventato sempiterno scempio.
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O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra Gl’immortali beato, a cui tu schiuda Il sorriso d’amor! felice appresso Chi per te sparga con la vita il sangue! Lice, lice al mortal, non è già sogno Come stimai gran tempo, ahi lice in terra Provar felicità. Ciò seppi il giorno Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte Questo m’accadde. E non però quel giorno Con certo cor giammai, fra tante ambasce, Quel fiero giorno biasimar sostenni.
130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148
Or tu vivi beata, e il mondo abbella, Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno Non l’amerà quant’io l’amai. Non nasce Un altrettale amor. Quanto, deh quanto Dal misero Consalvo in sì gran tempo Chiamata fosti, e lamentata, e pianta! Come al nome d’Elvira, in cor gelando, Impallidir; come tremar son uso All’amaro calcar della tua soglia, A quella voce angelica, all’aspetto Di quella fronte, io ch’al morir non tremo! Ma la lena e la vita or vengon meno Agli accenti d’amor. Passato è il tempo, Nè questo dì rimemorar m’è dato. Elvira, addio. Con la vital favilla La tua diletta immagine si parte Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave Non ti fu quest’affetto, al mio feretro Dimani all’annottar manda un sospiro.
149 Tacque: nè molto andò, che a lui col suono 150 Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo 151 Suo dì felice gli fuggia dal guardo.
An
N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5): unico dei «canti fiorentini» di cui si conosca l’autografo, il Consalvo è contenuto in cinque pagine sciolte, di carta comprata a Firenze (perché identica a quella su cui Leopardi stese nel maggio 1832 il manifesto del progettato periodico Lo spettatore fiorenti no); è scritto in entrambe le facce delle pagine, numerate sul recto da 14 a 18 (con cifre di mano che non si direbbe quella di Leopardi), e dunque faceva parte di un fascicolo autonomo in cui lo precedevano tredici pagine eguali per un totale di ventisei facciate (F. Ceragioli, I canti fio rentini di G. Leopardi, Firenze, Olschki, 1981, p. 173 segg., nota che in quello spazio entrano con sufficiente approssimazione alcuni componimenti di cui non possediamo l’autografo, e cioè XI. Il passero solitario e i «canti fiorentini» XXVI. Il pensiero dominante, XXVII. Amore e Mor te, XXVIII. A se stesso) pp. 75-80
tit.
x. | Consalvo. [x.] | Consalvo. XVII. | Consalvo.
An
XVII. | CONSALVO.
N
a b
tit. An b il numero d’ordine XVII, che corrisponde alla collocazione del canto in N, è scritto con inchiostro più nero di quello del testo; il numero romano X modifica una precedente cifra araba di a: 3, 5 o 9
1 2 3 4 5 6
Presso alla fin di sua dimora in terra, Giacea Consalvo; disdegnoso un tempo Del suo destino; or già non più, che a mezzo Il quinto lustro, gli pendea sul capo Il sospirato obblio. Qual da gran tempo, Così giacea nel funeral suo giorno
1
Presso alla fin di sua dimora in terra,
An
2
Giacea Consalvo; disdegnoso un tempo
An
3
Del suo destino; or già non più, che innanzi [innanzi] avanti [avanti] a mezzo
An
4
Al
mezzo di sua vita,
a b g
avea sul An Lcapo
[Al] Del
a b g
[mezzo] [di] [sua] [vita,] quinto lustro appena, [Del] [appena,] [avea] [sul] L[capo] Il quinto lustro, gli pendea sul capo
d
5
Il sospirato obblio. Qual da gran tempo,
An
6
Giacea negletto, e nel funereo giorno [G] [negletto] [, e] funer[eo] Così giacea nel funeral suo giorno ˆ
An
a b
3 An g avanti «quasi illeggibile» (Moroncini), cancellato con la stessa meticolosa cura mostrata al v. 4 An g; non escluso avante, cf. in questi anni avante alla fine del verso (anche se in rima): 1830 segg. Paralipomeni VI. 36, 8 ed. Ranieri destino, 4 An g parole cancellate con una linea orizzontale, su cui Leopardi ha poi insistito con una fitta linea avvolgentesi (per rendere illeggibile una notazione autobiografica che datava l’episodio al 1833) quando ha cancellato allo stesso modo Del (che non reca traccia di linea orizzontale) quinto lustro appena, di mano del Ranieri 6 An b C scritta sulla voluta superiore della G (che è stata trasformata in minuscola)
7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
Dai più diletti amici abbandonato: Ch’amico in terra al lungo andar nessuno Resta a colui che della terra è schivo. Pur gli era al fianco, da pietà condotta A consolare il suo deserto stato, Quella che sola e sempre eragli a mente, Per divina beltà famosa Elvira; Conscia del suo poter, conscia che un guardo Suo lieto, un detto d’alcun dolce asperso, Ben mille volte ripetuto e mille Nel costante pensier, sostegno e cibo
7
Abbandonato dai diletti amici: An [Abbandonato] [d]ai amici[:] ˆ Dai più diletti amici ˆ Labbandonato:
a b
8
Ch’amico in terra lungamente altrui [lungamente altrui] al lungo andar nessuno
An
a b
9
Aver non può chi della terra è schivo. [Aver non può] ch[i] Resta a colui che
An
a b
10
Pur gli era al fianco, da pietà condotta
An
11
A consolare il suo deserto stato,
An
12
Quella che sola e sempre eragli a mente,
An
13
Per divina beltà famosa Elvira: Elvira;
An N
14
Conscia del suo poter, conscia che un guardo
An
15
Suo lieto, un detto d’alcun dolce asperso,
An
16
Ben mille volte ripetuto e mille
An
17
Nel costante pensier, solea più giorni [solea più] [giorni] sostegno e cibo
An
7 An b maiuscola scritta su d segno di inserzione scritto sulla riga di base e ripetuto a sinistra di più; la a iniziale di abbandonato copre i due punti di An a 9 An b e ottenuta modificando i e dissimulandone il punto con uno svolazzo
a b
18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
Esser solea dell’infelice amante: Benchè nulla d’amor parola udita Avess’ella da lui. Sempre in quell’alma Era del gran desio stato più forte Un sovrano timor. Così l’avea Fatto schiavo e fanciullo il troppo amore. Ma ruppe alfin la morte il nodo antico Alla sua lingua. Poichè certi i segni Sentendo di quel dì che l’uom discioglie, Lei, già mossa a partir, presa per mano, E quella man bianchissima stringendo, Disse: tu parti, e l’ora omai ti sforza: Elvira, addio. Non ti vedrò, ch’io creda, Un’altra volta. Or dunque addio. Ti rendo
18
Esser sostegno all’ infelice amante: [sostegno] [a]ll’ ˆ solea dell’
An
19
Benchè nulla d’amor parola udita
An
20
Avess’ella da lui. Sempre in quell’alma
An
21
Era del gran desio stato più forte
An
22
Un sovrano timor. Così l’avea
An
23
Fatto schiavo e fanciullo il troppo amore.
An
24
Ma ruppe alfin la morte il nodo antico
An
25
Alla sua lingua. Poichè certi i segni
An
26
Sentendo di quel dì che l’uom discioglie,
An
27
Lei, già mossa a partir, presa per mano,
An
28
E quella man bianchissima stringendo,
An
29
Disse: tu parti, e l’ora omai ti sforza:
An
30
Elvira, addio. Non ti vedrò, ch’io creda,
An
31
Un’altra volta. Or dunque addio. Ti rendo
An
18 An b inserisce d e modifica in e l’iniziale di all’
a b
32 33 34 35
Qual maggior grazia mai delle tue cure Dar possa il labbro mio. Premio daratti Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende. Impallidia la bella, e il petto anelo
32
Grazie d’ogni tua cura eterne, immense, [Grazie d’ogni tua cura eterne,] [immense,] Qual maggior grazia mai delle tue cure
An
a b
33
Quante render si può. Se mai ti rieda [si può] ˆ poss’io. [Quante render poss’io. Se mai ti rieda] Dar possa il labbro mio. Premio daratti
An
a b g
33bis Pensier di me, nol discacciar, sostieni [Pensier di me, nol discacciar, sostieni]
An
a b
34
La ricordanza dell’estinto amico. [La ricordanza dell’estinto amico.] Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende. [pii dal ciel si] pii dal ciel si
An
a b
Impallidia la bella, e il cor sentia senti[a] sentiva [cor] [sentiva] petto anelo
An
35
g a b g
32 An b la virgola dopo immense è cancellata sovrapponendole g di grazia 34 An g non è chiaro se abbia voluto ripristinare parole cancellate, «quasi pentito più del concetto che della forma» (Moroncini), o abbia riscritto parole confuse da troppo inchiostro (pii) e dalla prossimità alla virgola dopo discacciar del verso precedente (virgola che pareva un apostrofo inserito in dal) 35 An verso rientrato come gli altri iniziali di strofa; qui dunque cominciava una nuova strofa (divisione non rispettata in N presumibilmente per errore nella copia destinata alla tipografia, e inavvertitamente non corretta in Nc)
36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46
36
Udendo le si fea: che sempre stringe All’uomo il cor dogliosamente, ancora Ch’estranio sia, chi si diparte e dice, Addio per sempre. E contraddir voleva, Dissimulando l’appressar del fato, Al moribondo. Ma il suo dir prevenne Quegli, e soggiunse: desiata, e molto, Come sai, ripregata a me discende, Non temuta, la morte; e lieto apparmi Questo feral mio dì. Pesami, è vero, Che te perdo per sempre. Oimè per sempre
Stringer dalla pietà: che sempre stringe [Stringer dalla pietà] Dal dolor le si fea: [Dal] [dolor] Udendo
An
37
All’uomo il cor dogliosamente, ancora
An
38
Ch’estranio sia, chi si diparte e dice,
An
39
Addio per sempre. E contraddir volea, vole va, ˆ Dissimulando l’appressar del fato,
An
41
Al moribondo, ma il suo dir prevenne moribondo[, m]a moribondo. Ma
An
42
Quegli, e soggiunse: desiata, e molto,
An
43
Come sai, ripregata a me discende,
An
44
Non temuta, la morte; e lieto apparmi
An
45
Questo feral mio dì. Pesami, è vero,
An
46
Che te perdo per sempre. Oimè per sempre
An
40
38 40 An
a b g
a b
An a b
ed. Ranieri diparte, improbabile un precedente de’ fati perché in fato le ultime due lettere sono separate, come Leopardi usa scrivere to, mentre suole scrivere legato il gruppo ti 41 An b la maiuscola è scritta su m minuscola e copre la virgola precedente; il punto è inserito
47 48 49 50 51 52 53 54 55
Parto da te. Mi si divide il core In questo dir. Più non vedrò quegli occhi, Nè la tua voce udrò! Dimmi: ma pria Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio Non vorrai tu donarmi? un bacio solo In tutto il viver mio? Grazia ch’ei chiegga Non si nega a chi muor. Nè già vantarmi Potrò del dono, io semispento, a cui Straniera man le labbra oggi fra poco
47
Parto da te. Mi si divide il core
An
48
In questo dir. Più non vedrò quegli occhi,
An
49
Nè la tua voce udrò. Dimmi: ma pria udrò!
An N
50
Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio
An
51
Non vorrai tu donarmi? Un bacio solo [U]n un donarmi! un donarmi? donarmi[!] donarmi?
An
52
In tutto il viver mio? Grazia ch’ei chiegga
An
53
Non si nega a chi muor. Nè già vantarmi
An
54
Potrei del dono, io semivivo, a cui Potr[ei] [semivivo,] Potrò semispento,
An
55
Straniera man le labbra oggi fra poco
An
53 An
a b
N N Err Nc
a b
forse ne su m scritta per errore; non verosimile ni. (cf. v. 65 niego; Leopardi ha sempre nega pres. III sing., solo niego pres. I sing. hapax 1816 Eneide II v. 191) 54 An b virgola di altra penna
56 57 58 59 60 61 62 63 64 65
56
Eternamente chiuderà. Ciò detto Con un sospiro, all’adorata destra Le fredde labbra supplicando affisse. Stette sospesa e pensierosa in atto La bellissima donna; e fiso il guardo, Di mille vezzi sfavillante, in quello Tenea dell’infelice, ove l’estrema Lacrima rilucea. Nè dielle il core Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio Rinacerbir col niego; anzi la vinse
Eternamente chiuderà. Ciò detto [Eternamente] In sempiterno [In sempiterno] Eternamente
An
57
Con un sospiro, all’adorata destra
An
58
Le fredde labbra supplicando affisse.
An
59
Stette sospesa e pensierosa in atto
An
60
La bellissima donna; e fiso il guardo,
An
61
Di mille vezzi sfavillante, in quello
An
62
Tenea dell’infelice, ove l’estrema
An
63
Lagrima rilucea. Nè dielle il core La[g]rima Lacrima
An
64
Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio
An
65
Rinacerbir col niego; anzi la vinse
An
a b g
a b
66 67 68 69 70 71 72 73
66
Misericordia dei ben noti ardori. E quel volto celeste, e quella bocca, Già tanto desiata, e per molt’anni Argomento di sogno e di sospiro, Dolcemente appressando al volto afflitto E scolorato dal mortale affanno, Più baci e più, tutta benigna e in vista D’alta pietà, su le convulse labbra
Misericordia del cadente amico Misericordia [del] [cadente] a[mico] ˆ de’ ben noti ardori. ˆ [ de’] ˆ dei
An
67
E quel volto celeste, e quella bocca bocca,
An N
68
Cagion di tanto sospirare, e tanto [Cagion di tanto sospirare, e tanto] Con tanto amor desiderata innanzi, [Con tanto amor desiderata innanzi] Già tanto desiata, e per molt’anni
An
69
Argomento di sogno e di desio, [desio,] sospiro,
An
70
Dolcemente appressando al volto afflitto
An
71
E scolorato dal mortale affanno,
An
72
Più baci e più, tutta benigna e in vista
An
73
D’alta pietà, su le convulse labbra
An
66 An
a b g
a b g a b
verso di difficile lettura anche per tre lacerazioni del foglio a cadente “morente” (cf. per es. cadente luna 1822 IX. Ultimo canto di Saffo 2, cadente luce ca. 1836 XXXIII. Il tramonto della luna 17 An a, ecc.) piuttosto che celeste (Moroncini), che è al v. 67 amico piuttosto che amore (Moroncini), su linea leggermente ascendente (cf. afflitto v. 70, bacio v. 50) e seguito forse da un’interpunzione b segno di inserzione sulla linea di base dopo Misericordia, ripetuto a sinistra di de’ 68 An g verso aggiunto nel margine sinistro 69 An b la s iniziale di sospiro ha forma allungata che serve a dissimulare la virgola
74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85
Del trepido, rapito amante impresse. Che divenisti allor? quali appariro Vita, morte, sventura agli occhi tuoi, Fuggitivo Consalvo? Egli la mano, Ch’ancor tenea, della diletta Elvira Postasi al cor, che gli ultimi battea Palpiti della morte e dell’amore, Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono In su la terra ancor; ben quelle labbra Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo! Ahi vision d’estinto, o sogno, o cosa Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira,
74
Del trepido, rapito amante impresse.
An
75
Che divenisti allor? quali appariro
An
76
Vita, morte, sventura agli occhi tuoi,
An
77
Fuggitivo Consalvo? Egli la mano,
An
78
Ch’ancor tenea, della diletta Elvira
An
79
Postasi al cor, che gli ultimi battea
An
80
Palpiti della morte e dell’amore,
An
81
Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono
An
82
In su la terra ancor; ben quelle labbra
An
83
Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo!
An
84
Morrò contento omai. Non vissi indarno, [Morrò contento omai. Non vissi indarno,] Ahi vision d’estinto, o sogno, o cosa
An
a b
An
a b
Premer fu dato. Oh quanto, Elvira, oh quanto An [Premer fu dato. Oh quanto, Elvira, oh] [quanto] Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira,
a b
84bis Poscia che quella bocca alla mia bocca [Poscia che quella bocca alla mia] [bocca] 85
84 An b i versi Morrò contento omai. Non vissi indarno, | Poscia che quella bocca alla mia bocca | Premer fu dato sono stati spostati ai vv. 94 e 96-98
86 87 88 89 90 91 92 93 94
Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi Non ti fu l’amor mio per alcun tempo; Non a te, non altrui; che non si cela Vero amore alla terra. Assai palese Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi, Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre Muto sarebbe l’infinito affetto Che governa il cor mio, se non l’avesse Fatto ardito il morir. Morrò contento
a b
86
Debbo alla morte! Sconosciuto innanzi [Debbo] [Sconosciuto] ˆ Quanto debbo Ascoso
An
87
Non ti fu l’amor mio per alcun tempo;
An
88
Non a te, non altrui; che non si cela
An
89
Vero amore alla terra. Assai negli occhi [negli occhi] palese
An
a b
90
Sbigottiti fu chiaro; al volto, ai moti, An [Sbigottiti fu chiaro;] volto[, ai moti,] ˆ Agli atti, volto sbigottito, agli Locchi,
a b
91
Assai, ma non ai detti. Ancora e sempre [Assai,] ˆ Ti [xx] fu:
An
a b
92
Muto sarebbe l’infinito affetto
An
93
Che governa il cor mio, se non l’avesse
An
94
Fatto ardito il morir. Già non mi dolgo [Già non mi dolgo] Morrò contento
An
a b
91 An b trasforma la virgola in segno di inserzione sulla riga di base dopo Ti una o due lettere sùbito cancellate; forse fu confuso per troppo inchiostro 94 An b vd. v. 84 An b app. crit.
95 96 97 98 99 100 101 102
Del mio destino omai, nè più mi dolgo Ch’aprii le luci al dì. Non vissi indarno, Poscia che quella bocca alla mia bocca Premer fu dato. Anzi felice estimo La sorte mia. Due cose belle ha il mondo: Amore e morte. All’una il ciel mi guida In sul fior dell’età; nell’altro, assai Fortunato mi tengo. Ah, se una volta,
95
Che gli occhi al giorno aprii; già della sorte [Che gli occhi al giorno aprii; già] [della sorte] Del mio destino omai, nè più mi dolgo
An
a b
96
Più non mi lagno. Anzi felice io chiamo [Più non mi lagno.] Ch’aprii le luci al dì. Non vissi indarno,
An
a b
97
Poscia che quella bocca alla mia bocca
An
98
Premer fu dato. Anzi felice io chiamo Anzi felice estimo
An N
99
Il mio destin. Due cose belle ha il mondo: [Il mio destin.] La sorte mia.
An
100 Amore e morte. All’una il ciel mi guida
An
101 In sul fior dell’età; nell’altro, assai
An
102 Fortunato mi tengo. Ah, se mai pago [mai pago] una volta,
An
97 An
a b
a b
aggiunto nel margine sinistro per mancanza di spazio; mantenuto il secondo emistichio di 96 An a, con l’inserzione di questo verso la prima stesura Già non mi dolgo | Che gli occhi al giorno aprii; già della sorte | Più non mi lagno. Anzi felice io chiamo recuperando i vv. 84-85 di An a diventa Morrò contento | Del mio destino omai, nè più mi dolgo | Ch’a prii le luci al dì. Non vissi indarno, | Poscia che quella bocca alla mia boc ca | Premer fu dato. Anzi felice io chiamo 99 An b aggiunto nel margine sinistro
103 104 105 106 107 108 109 110
Solo una volta il lungo amor quieto E pago avessi tu, fora la terra Fatta quindi per sempre un paradiso Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza, L’abborrita vecchiezza, avrei sofferto Con riposato cor: che a sostentarla Bastato sempre il rimembrar sarebbe D’un solo istante, e il dir: felice io fui
103 Tu, sola a me di respirar cagione, [Tu, sola a me di respirar cagione] Solo una volta il lungo amor quieto
An
a b
104 Renduto avessi il tanto amor, se un giorno [Renduto avessi il tanto amor, se un] [giorno] E pago avessi tu, fora la terra
An
a b
104bis Sì fortunato a’ miei dolenti giorni [Sì fortunato a’ miei dolenti giorni]
An
a b
104ter Prescritto avesse il mio destin, sarebbe [Prescritto avesse il mio destin, sarebbe]
An
a b
105 Divenuta la terra un paradiso [Divenuta la terra] Fatta quindi per sempre
An
a b
106 Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza,
An
107 L’abborrita vecchiezza, avrei sofferto
An
108 Con riposato cor: che a sostentarla sostenerla a sostentarla sosten[e]rla sostentarla
An N N Err Nc
109 Bastato sempre il sovvenir
An
saria [saria] sarebbe
rimembrar 110 D’un solo istante, e il dir: felice io fui
N An
a b
111 112 113 114 115 116 117 118 119 120
Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto Esser beato non consente il cielo A natura terrena. Amar tant’oltre Non è dato con gioia. E ben per patto In poter del carnefice ai flagelli, Alle ruote, alle faci ito volando Sarei dalle tue braccia; e ben disceso Nel paventato sempiterno scempio. O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra Gl’immortali beato, a cui tu schiuda
111 Sovra tutti i felici. Ahi, ma [tan] cotanto tutt’ i tutti i felici tutt[’]i tutti i
An N N Err Nc
112 Esser beato non consente il cielo
An
113 A natura terrena. Amar tant’oltre
An
114 Non è dato con gioia. E ben per patto
An
115 In poter del carnefice ai flagelli,
An
116 Alle ruote, alle faci ito volando
An
117 Sarei dalle tue braccia; e ben disceso
An
118 Nel paventato sempiterno scempio.
An
119 Oh Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra O[h]
An
120 Gl’immortali beato, a cui tu schiuda
An
111 An
a b
[tan] forse lapsus di memoria, causato dalla clausola finale tant’oltre del v. 113
121 122 123 124 125 126 127 128 129 130
Il sorriso d’amor! felice appresso Chi per te sparga con la vita il sangue! Lice, lice al mortal, non è già sogno Come stimai gran tempo, ahi lice in terra Provar felicità. Ciò seppi il giorno Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte Questo m’accadde. E non però quel giorno Con certo cor giammai, fra tante ambasce, Quel fiero giorno biasimar sostenni. Or tu vivi beata, e il mondo abbella,
a b
121 Il sorriso d’amore! a cui la fronte amor[e]! [a cui la fronte] felice appresso [f]elice Felice [Felice appresso] felice appresso
An
122 Chi per te sparga con la vita il sangue!
An
123 Lice, lice al mortal, non è già sogno
An
124 Come stimai gran tempo, in su la terra [in su la] ahi lice in
An
a b
125 Trovar felicità. Ciò seppi il giorno [T]rovar Provar
An
a b
126 Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte
An
127 Questo m’accadde. E non però quel giorno
An
128 Con certo cor giammai, fra tante ambasce,
An
129 Quel fiero giorno biasimar sostenni.
An
130 Or tu vivi beata, e il mondo abbella,
An
121 An
g d
scritto a cui la fronte, che avviava un’espressione diversa, ha sùbito cancellato, continuando il v. 121 nella riga seguente con l’emistichio felice appresso, dove ha poi mutato f in maiuscola; più tardi, quando ha deciso di ripristinare f minuscola, ha riscritto per chiarezza tutto l’emistichio sopra [a cui la fronte]
131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143
Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno Non l’amerà quant’io l’amai. Non nasce Un altrettale amor. Quanto, deh quanto Dal misero Consalvo in sì gran tempo Chiamata fosti, e lamentata, e pianta! Come al nome d’Elvira, in cor gelando, Impallidir; come tremar son uso All’amaro calcar della tua soglia, A quella voce angelica, all’aspetto Di quella fronte, io ch’al morir non tremo! Ma la lena e la vita or vengon meno Agli accenti d’amor. Passato è il tempo, Nè questo dì rimemorar m’è dato.
131 Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno
An
132 Ahi non l’amò quant’io, non arse in terra An [n]on Non [Ahi non l’amò] [,] [Non arse in] [terra] Non l’amerà l’amai. Non nasce ˆ 133 Un altrettale amor. Quanto, deh quanto An 134 Dal misero Consalvo in sì gran tempo
An
135 Chiamata fosti, e lamentata, e pianta!
An
136 Come al nome d’Elvira, in cor gelando,
An
137 Impallidir; come tremar son uso
An
138 All’amaro calcar della tua soglia,
An
139 A quella voce angelica, all’aspetto
An
140 Di quella fronte, io ch’al morir non tremo!
An
141 Ma la lena e la vita or vengon meno
An
142 Agli accenti d’amor. Passato è il tempo,
An
143 Nè questo dì rimemorar m’è dato.
An
a b g
132 An b non ha sostituito con un punto la virgola, che in g viene trasformata in segno di inserzione 135 An il punto esclamativo può risultare dalla modificazione di un precedente punto fermo
144 145 146 147 148
Elvira, addio. Con la vital favilla La tua diletta immagine si parte Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave Non ti fu quest’affetto, al mio feretro Dimani all’annottar manda un sospiro.
144 Addio, celeste Elvira. A me si parte An [Addio, celeste] Elvira[.] [A me si parte] Elvira, addio. Con la vital ˆ Lfavilla
a b
145 Con la vit.al An [Con la vit.al] L’ immagin tua con la vital favilla [L’] immagin [tua con la vital] [favilla] La tua diletta immagine si parte [immagine] immagine
a b
146 Dal Dal
a b
cor la prima volta. Addio. Se grave An [la prima volta] [grave] ˆ mio finalmente. penso grave N
147 Non ti fu quest’affetto, al mio feretro [Non ti fu quest’affetto, al mio feretro] Che mova al mio feretro un tuo sospiro Non ti fu quest’affetto, al mio feretro 148 Dimani all’annottar manda un sospiro. [Dimani all’annottar manda un sospiro.] Sopravvivere assai mi credo in terra. Dimani all’annottar manda un sospiro.
An
g d
a b
N An
a b
N
144 An b trasforma il punto in virgola e aggiunge un segno di inserzione 145 An b cominciato a scrivere Con la vital, ha cancellato prima ancora di tagliare la t con il tratto orizzontale inavvertitamente non cancellato tua d dopo avere modificato immagin in immagine sulla riga di base (g) , ha cancellato e riscritto la parola al di sopra 146 An b segno di inserzione sulla riga di base i vv. 146-148 cancellati in An b tornano in N
149 Tacque: nè molto andò, che a lui col suono 150 Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo 151 Suo dì felice gli fuggia dal guardo.
149 Tacque: nè guari andò, che a lui col suono [guari] molto
An
150 Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo
An
151 Suo dì felice gli fuggia dal guardo.
An
a b
XVIII. ALLA SUA DONNA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Cara beltà che amore Lunge m’inspiri o nascondendo il viso, Fuor se nel sonno il core Ombra diva mi scuoti, O ne’ campi ove splenda Più vago il giorno e di natura il riso; Forse tu l’innocente Secol beasti che dall’oro ha nome, Or leve intra la gente Anima voli? o te la sorte avara Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?
12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22
Viva mirarti omai Nulla spene m’avanza; S’allor non fosse, allor che ignudo e solo Per novo calle a peregrina stanza Verrà lo spirto mio. Già sul novello Aprir di mia giornata incerta e bruna, Te viatrice in questo arido suolo Io mi pensai. Ma non è cosa in terra Che ti somigli; e s’anco pari alcuna Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella.
23 24 25 26 27 28 29 30 31
Fra cotanto dolore Quanto all’umana età propose il fato, Se vera e quale il mio pensier ti pinge, Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora Questo viver beato: E ben chiaro vegg’io siccome ancora Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
32 33
E teco la mortal vita saria Simile a quella che nel cielo india.
34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44
Per le valli, ove suona Del faticoso agricoltore il canto, Ed io seggo e mi lagno Del giovanile error che m’abbandona; E per li poggi, ov’io rimembro e piagno I perduti desiri, e la perduta Speme de’ giorni miei; di te pensando, A palpitar mi sveglio. E potess’io, Nel secol tetro e in questo aer nefando, L’alta specie serbar; che dell’imago, Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.
45 46
Se dell’eterne idee L’una sei tu, cui di sensibil forma
An
B24
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5) occupa le quattro facciate di un unico foglio piegato; le strofe sono scritte nella metà destra o sinistra della facciata, incorniciate su tre lati da una linea, e recano a fianco le rispettive varianti e annotazioni, che continuano al di sotto della strofa per tutta la larghezza della facciata (ma nella presente edizione non sono distinte da quelle a fianco perché ciò non offre indizi di cronologia relativa, in quanto che tutto l’apparato è stato scritto in un medesimo tempo); con un’apposita sigla Anp distinguiamo le notazioni di due schede separate (vd. tav. 178) con il titolo «Giunta alle Varianti della Canz. X. Strofa 1.» e con in fine due citazioni per «strofa 2. v. 7.-8.» (= 17 Anp). L’ordine delle strofe sulle quattro facciate è diverso da quello delle stampe e secondo il Moroncini corrisponde al procedere dell’elaborazione del canto, che dapprima sarebbe consistito di tre sole strofe (2, 3 e 5); ma dalla penna e dalla calligrafia dell’autografo risulta evidente che testo e annotazioni marginali furono stesi tutti in un medesimo tempo. Leopardi appose a ciascuna strofa un numero d’ordine che corrisponde alla loro successione nelle stampe; la distribuzione delle strofe (con il rispettivo numero d’ordine) in An è la seguente: facciata 1 data titolo 2. Viva mirarti omai 3. Fra cotanto dolore 2 5. Se de l’eterne idee 3 4. Per le valli, ove suona 4 1. Cara beltà che amore pp. 121-125; ristampato in Cp
47 48 49 50 51 52 53 54 55
Cp
Bc Nr
F N
Sdegni l’eterno senno esser vestita, E fra caduche spoglie Provar gli affanni di funerea vita; O s’altra terra ne’ superni giri Fra’ mondi innumerabili t’accoglie, E più vaga del Sol prossima stella T’irraggia, e più benigno etere spiri; Di qua dove son gli anni infausti e brevi, Questo d’ignoto amante inno ricevi.
Notizie Teatrali, Bibliografiche e Urbane | ossia | Il Caffè di Petronio, N° 14, Bologna, Sabbato 2 Aprile 1825, p. 54; in un articolo non firmato il Brighenti, annunciando la pubblicazione di B24, riporta questa canzone (con il titolo Il Sogno); si notano alcune particolarità tipografiche: 26 fô ra, 29 lôda, 33 india. anno I, parte II, N° 9, Settembre 1825, pp. 660-661 (a p. 659 segg., nella sezione Critica, le annotazioni a B24 [vd. Tutte le opere di G. Leopardi, ed. Flora, Le poesie e le prose, I, p. 151 segg.]; alle pp. 660-661 vi si riporta, «per saggio delle altre, la Canzone che s’intitola Alla sua donna») pp. 111-113 pp. 81-83
data Opera di 6. giorni. Settembre 1823.
An
tit.
All’Amor suo. Canzone decima. [All’Amor suo] Alla sua Donna
An
ALLA SUA DONNA
B24
XVI.
| ALLA SUA DONNA.
F
XVIII. | ALLA SUA DONNA.
N
data tit. B24
Nr F
N
a b
solo in An p. 121; a p. 119 l’occhiello: ALLA SUA DONNA | CANZONE DECIMA; nel titolo e nell’occhiello in maiuscolo (come nei titoli delle raccolte successive F e N) non si differenzia l’iniziale di D o n n a, maiuscola nell’indice a p. 196: Alla sua Donna | CANZONE DECIMA canto riprodotto senza titolo; p. 660: «Recheremo qui, per saggio delle altre, la Canzone che s’intitola Alla sua donna» ALLA SUA DONNA (1)., con numero di rinvio alla nota (1) di F p. 115 («La donna, cioè l’innamorata, dell’autore» ecc.) riportata dal «Nuovo Ricoglitore di Milano, anno I, p. 160» (per errore invece di 660); nell’indice di F p. 165: Alla sua Donna nell’indice di N p. 3: Alla sua donna; non modificato in Nc
1 2 3 4
Cara beltà che amore Lunge m’inspiri o nascondendo il viso, Fuor se nel sonno il core Ombra diva mi scuoti,
1
Cara beltà che amore
An
2
Sola m’insegni, e mi nascondi il viso, [Sola] m’insegni[,] [e] [mi] nascond[i] ˆ Lunge o nascond endo ˆ viso viso, m’inspiri
An
3
Fuor se nel [sog] sonno il core
An
4
Ombra diva mi scuoti scuoti,
An Nr
1 An 2 An Anp
3 An
4 An
Anp
a b
B24 Bc N
Diva beltà. e pur celato il viso. e tien celato, riposto ec. NASCONDENDO. e neghi a le mie luci il viso. Sola m’induci, m’apprendi. M’ardi, e la voce mi contendi e ’l viso, M’insegni, e i detti, e neghi la favella, le parole, il suon d.... Muta m’insegni e nascondendo. Sola m’insegni, anco celato, celando, il viso. ancorchè [il viso] celi, tolto, il viso, toglia il viso. M’insegni e le parole ascondi e ’l viso. e ’l favellar sottraggi e ’l viso. e ’l favellar mi [m]neghi e ’l viso. e ’l ragionar. M’ardi tacendo e nascondendo. nel sogno. IL RIGIDO MIO CORE. Se non quando il mio core, il cor mio, Beato sogno a trepidar commove, O ne’ campi laddove —. Fuor se talvolta IL MIO RIGIDO CORE. BEATA OMBRA. Ombra vaga. Vaga larva. Dolce imago. Leggiadra, vezzosa, gentile, f u g a c e, beata larva scuoti. Aurata larva. CANDIDA LARVA. MI STRINGI, PUNGI, TENTI, sproni, fiedi. Ombra vana commovi. Beato sogno scuoti. inciti, accendi. Ombra vana percoti. Serena ombra. Felice ombra. Divina larva, ombra, Celeste. Diva larva, imago.
2 An b modifica e in o e aggiunge endo sopra nascondi trasformandone i in segno di inserzione 4 An in diva le lettere iv sono ripassate su diversa scrittura
5 6 7 8
O ne’ campi ove splenda Più vago il giorno e di natura il riso; Forse tu l’innocente Secol beasti che dall’oro ha nome,
5
O ne’ campi o ne’ poggi ove più dolce [o ne’] [poggi] ove [più] [dolce] splenda
An
a b
6
S’ apre del giorno e di natura il riso; [S’] [apre] [de]l [n]atura Più vago il Natura riso: natura riso;
An
a b
Nr F
7
Forse tu l’innocente
An
8
Secol beasti che da l’oro ha nome, dall’
An N
5 An
Anp 6 An
7 An 8 An
o ne’ colli. O NE’ CAMPI O NE’ POGGI OV’È PIÙ DOLCE DI NATURA IL RISO. ove più vago, lieto, molle. O NE’ CA M P I L A D D OV E APPAR , SPLENDE PIÙ DOLCE ; APRE NATURA, LA TERRA, E ’L DÌ, E ’L CIEL, E ’L SOL, PIÙ DOLCE, VAGO, MOLLE, L I E TO RISO, IL RISO; AP RO N, S PIEGA, SCHIUDE , SCIOGLIE, Move. ove a’ mortali Appar, S’apre, Splende più dolce. ove più bello. S’apre a’ mortali di natura. Spunta più dolce. Ove del giorno Spunta più vago, Splende, ec. O NE’ CAMPI O NE’ POGGI OVE PIÙ SPLENDA. ove il giorno Splenda più vago. ove del giorno Splend[e]a più vago, Più vago spunta. E più soave, SERENO, giocondo, benigno è di natura il riso. Regna del giorno, Brilla, SPUNTA APRE NATURA IL RISO. e de la terra. del cielo, del sole, di febo. Erra, Vaga del giorno. E di natura è più sereno. Siede .. il riso. SERENO IL GIORNO. FORSE TE — PRODUSSE. STAGION BEASTI. vedesti, vivesti.
5 An a o ne’ oppure e ne’ Anp Splend[e]a: modifica e in a
9 Or leve intra la gente 10 Anima voli? o te la sorte avara
9
10
Or leve infra la gente in[f ]ra intra
An
a b
Anima voli? o te ragion divina [ragion] [divina] la sorte avara avara, avara
An
a b
9 An 10 An
Anp
Bc N
OR PURA, vaga, nuda, LIETA, DIVA. O TE S O RT E DIVINA PREGIO DE LA VENTURA . cura divina Conforto a le seguaci, a la seguace. o te forza, possa, legge, la man, pietà, mente divina. L’URNA DIVINA. cura divina — a più felice, a meno indegna, impura, corrotta, perversa, proterva ec. prole divina Il cielo a la. grazia divina. acerba — età riserba. O che la sorte acerba, O te, A noi celando, a gli avvenir ti serba? (superba) (serva riserva[)] proterva) O verso noi superba La dura sorte[,] a gli avvenir ti serba? o te prole divina, La sorte a la futura. mercè [dis] divina Conforto.
11 12 13 14
11
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara? Viva mirarti omai Nulla spene m’avanza; S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
Conforto a la ventura età destina? [ven]tura futura [Conforto] [a] [la] [futura] [età] [destina] Ch’a noi t’asconde, a gli avvenir prepara? agli
An
12
Te veder viva omai [Te] [veder] [v]iva ˆ Viva mirarti
An
13
Nulla spene m’avanza; avanza, avanza;
An Nr F
14
S’allor non fosse, allor ch’ignudo e solo che
An B24
11 An
Anp
12 An Anp 14 An
a b g
N a b
[ONOR] Onor, Amor de la. VANTO DE LA FUTURA. Diletto a l a , S o c c o r s o. Speme de la. Po r t e n t o, P r o d i g i o. Bel dono. Esempio. Dovizia. Retaggio. Tesauro. Restauro. Gioia. Vo lgendo, Movendo, Pensando, Librando. Pietosa a la, Benigna. A miglior de la nostra. A [futura] beata ventura, più degna, età, più lieta. Felice a la. Contento a la. Gloria de la. età promette, prepara, dispone. età prescrive, appresta. Fascino a la. Cura de la seguace. Alunna a la, parto, germoglio. CORTESE A LA FUTURA. A noi celando, togliendo, negando, vietando, celata, disdetta, contesa, agli avvenir. CH’A NOI CONTENDE. S’a noi contende, ti chiude, t’asconde. Fatta cortese. MIRACOL NOVO AGLI AVVENIR. Novo portento, stupore. A noi sottratta, agli avvenir. Viva trovarti, scontrarti. Te veder viva ec. errante e solo. che disciolto e solo, dubbioso e solo.
11 An var. [ONOR]: cancellata la sottolineatura
15 16 17 18 19
Per novo calle a peregrina stanza Verrà lo spirto mio. Già sul novello Aprir di mia giornata incerta e bruna, Te viatrice in questo arido suolo Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
15
Per novo calle a peregrina stanza
An
16
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
An
17
Albòr di mia giornata incerta e bruna, [Albòr] Aprir
An
18
Te viatrice in questo arido suolo
An
19
I’ mi pensai. Ma non è cosa in terra Io
An F
15 An
16 An
17 An
18 An Anp
a b
Per calle ignoto. a non usata, disusata, sconosciuta. Per dubbio calle. (SCONOSCIUTA stanza. Petr. Son. Ben sapev’io.) stanza Spirto verrò. BEN TE SUL PRIMO. primiero. [TE] Te sul novello. Il mio spirto verrà. BEN TE NEL PRIMO. Già, Ben su l’albóre, sugli albóri Di mia giornata nubilosa. Già su la prima Luce, Età, Soglia, Mattin, Stagion (Petr. Ne la stagion che ’l ciel), Ora, Ore, Su, ne l’incerto, amico, più dolce Mattin, ne le dolci Ore, APRIR. su l’aurato, quieto Mattin. Ben a più dolci Ore. Fior di mia prima età diserta e. infesta e bruna. infausta e bruna. Aprir de l’età mia diserta. Spuntar di mia, Crescer, montar, SALIR. Te passeggera, peregrina. strofa 2. v. 7.-8. V. Tasso Gerus. 20. st. [x]20. e 80. con quelli amici che pensava più fedeli e più savi. Machiav. ist. l. 8. opp. 1550. par. 1. p. 298.
16 Nr spirito per errore di stampa An var. [TE]: cancellata la doppia sottolineatura
20 21 22 23 24
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella. Fra cotanto dolore Quanto all’umana età propose il fato,
20
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna
An
21
Ti fosse al volto, agli atti, a la favella, [a]gli a gli agli alla
An
22
Saria, così conforme, assai men bella.
An
23
Fra cotanto dolore
An
24
Ch’ al misero mortal propose il fato, [Ch’] [al] [misero] [mortal] Quanto a l’umana età fato fato, all’
An
20 An 21 An 22 An
23 An 24 An
a b
N
a b
B24 Bc N
E SE BEN PÁRE ALCUNA. Quando pari alcuna. QUAGGIÙ TI FOSSE AL VOLTO. Sarebbe, ancor che tale. Pur fora al paragone. QUESTA DI TE PUR FORA. conforme ancora. Di te sarebbe ancora. Anco di ˆ te sarebbe. Al paragon di te fora, saria. Tale ancor, fora appo di te men bella. verso te. Ben fra tanto. QUA N TO A L’U M A NA ETÀ. CH ’A LA MORTALE ETÀ. a l’egro mortal. prescrisse. dispensa il fato.
22 An var. te omesso inavvertitamente e aggiunto in alto con segno di inserzione dopo di
25 Se vera e quale il mio pensier ti pinge, 26 Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora 27 Questo viver beato:
25
Se vera e tal qual io pensando esprimo, e quale il mio pensier ti pinge,
An F
26
Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora f [o]ra fóra fôra fora fòra fora
An
Questo viver beato: beato; beato:
An Nr F
27
25 An
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a b
Cp Nr F N
e tal quale invocata indarno. quale il pensier[e] figura. e quale io nel pensier figuro. e tal qual io pensando esprimo. immaginando io formo fingo. appo mia mente io. nel petto albergo, educo. e quale io nuda specie ed ombra. simulacro ed ombra. io simulando esprimo. adombro, informo. concetta. espressa. e quale immaginata invano. io nel concetto. in mio concetto. ne la mente sculta, accolta. io pingo. IMMAGINANDO IO SCORGO, scerno. qual io ti miro indarno. Se tale. in ver, quale e tal quai sospirate, desiate indarno Le tue sembianze, alcun t’amasse, a lui Fora il viver. qual io bramata invano. richiesta. qual io nud’ombra e forma. imago. io la tua nuda imago. io nel pensier t’adombro. imito. assembro, rassembro assempro. IO NEL PENSIER divíso, disegno, DIPINGO. pensando estimo. immaginando io colo. T’amasse alcuno. ALTRI T’AMASSE.
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E ben chiaro vegg’io siccome ancora Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
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E ben chiaro vegg’io siccome ancora
An
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Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni l[o]da lóda lôda lòda loda
An
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L’amor tuo mi farebbe. Ahi, ma non diede [Ahi, ma] [diede] Or aggiunse
An
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Il ciel nullo conforto a i nostri affanni; [c]iel Ciel ciel ai
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Cp F N
F N
E PER CERTO VEGG’IO. E BEN CERTO. [E PALESE] E palese, ed aperto, e sicuro. E certo m’avvegg’io. E ben certo son io. (molT’Anni. Petr. Can. 1.) E ben piano. [(ancora p. e[ti. Gerusal. 3. 3[6]8 Inf.] E per fermo. SEGUIR FAMA. (prim’anni. Petr. Sestina 2.) Or già non diede Il ciel. OR NON AGGIUNSE, ASPERSE, offerse, ascrisse appose. ma concesso Non fu nullo. Or fu disdetto Dal cielo ogni. Ahi ma disdisse Il cielo ogni. disgiunse Il ciel d’ogni. Or non fu dato, posto Dal ciel nullo. Or non propose, prescrisse. non porse. TANTO CONFORTO IL CIELO A I.
28 An var. [E PALESE]: cancellata la sottolineatura 30 An b aggiunse scritto a fianco di [diede]
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E teco la mortal vita saria Simile a quella che nel cielo india. Per le valli, ove suona Del faticoso agricoltore il canto, Ed io seggo e mi lagno Del giovanile error che m’abbandona;
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E teco la mortal [via] vita saria
An
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Simile a quella che gli Eterni india. [gli] [Eterni] ind[i]a. ˆ nel cielo indía. ˆ india. Cielo indía. cielo indìa. india.
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Per le valli, ove suona
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Del faticoso agricoltore il canto,
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Ed io seggo e mi lagno
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Del giovanile error[e] che m’abbandona;
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Cp Nr F N
la mortal sede ec. Sembiante a quella. E teco il viver nostro anco saria. Nè teco — [a]Altra da quella — Da quel diverso, discorde. A, Di quella ugual, Simile a quel che gl’immortali india. la mortal gioia. E ’l viver nostro appo di te saria. E ’l gioir nostro. la mortal sorte. CHE I CELESTI, CHE I DIVINI, CHE ’L [D]DIVINO, CHE ’L CELESTE, CHE NEL CIELO, che fra gli astri, a quel che fra le stelle, india. ond’altri in ciel s’india. che i Saturnî. che ’l tonante. (Divino per Dio. Così in lat. Divus, Divi p. Deus, Dii.) che i Beati, che i Superni. (Simile a quella che nel ciel eterna. P e t r. Canz. Poi che p. mio destino). E sedendo, seggendo io. Quand’, Mentr’io seggo. DEL PRIMITIVO ERROR. pare che, scritto per errore via, abbia inserito t, cancellando poi tutto e riscrivendo, di séguito, più chiaramente
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E per li poggi, ov’io rimembro e piagno I perduti desiri, e la perduta Speme de’ giorni miei; di te pensando, A palpitar mi sveglio. E potess’io, Nel secol tetro e in questo aer nefando, L’alta specie serbar; che dell’imago,
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E per li poggi, ov’io rimembro e piagno
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I perduti desiri, e la perduta
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Speme de gli anni miei; di te pensando, [gli] [anni] de’ giorni
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A palpitar mi [spe] sveglio. E potess’io,
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Nel secol tetro e in questo aer nefando, nefando[,] nefando,
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L’alta specie serbar; chè de l’imago, serbar: serbar; che dell’
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a b g
PER LI BOSCHI. OV’IO RAMMENTO, RICORDO, ripenso, rivolgo. E PER LI COLLI. ov’io deliro, lamento. SPEME DE’ GIORNI MIEI. E ben potessi, e pur, e tal. NEL SECOL PRAVO, VANO, VILE, DURO, FERO, TRUCE. Mentre io viva serbar la dolce imago. io vivo. Serbar. quanto [i.o.] i’ vivrò. mentre morrò. mentr’io mora. Viva serbar la moribonda. CHIARA SERBAR LA FUGGITIVA, SEMPRE, Pura, Ferma, Salda, Salva. Meco serbar la ... Incorrotta, illibata, ec, serbar. Chè de l’imago, Chè de la dolce, bella, santa imago, Poi che del ver non lice, Se te chiamar bramar non val, Poi ch’è disdetto il ver, assai m’appago, sola m’appago, io pur m’appago. la dolce imago Onde ec. Di che ’l ver disperando, assai. la dilettosa imago. Serbare immota, perenne, la fugace. La dolce ombra, L’alma specie serbar, che. Serbar intatta, illesa, non tocca. Serbar così la fuggitiva. L’ALTA IMAGO SERBAR, CHÈ DE L’IMAGO.
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Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago. Se dell’eterne idee L’una sei tu, cui di sensibil forma Sdegni l’eterno senno esser vestita,
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Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.
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L’una se’ tu, cui di sensibil forma sei
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Sdegni l’eterno senno esser vestita, vestita vestita,
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CH’OVE M’È LUNGE IL VER[o]. m’è tolto ec. Ch’ov’è conteso, negato, disdetto. Che se del ver non ho, non so, ec. [CH’OVE LUNGE] Ch’ove lunge se’ tu, Ch’ove il bramarti è van, di lei m’appago. ov’io ti bramo invan. Chè disperando il ver. Che ’l ver dispero, e già di lei. CH’OV’ELLA PUR MI RESTI ASSAI, ANCO M’APPAGO. (assai mi chiamo pagato.) Chè di lei, se ..., Chè pur di lei, se ..., m’appago. Chè se di più non ho. [Ch] Chè s’altro i’ chieggio invan. Ch’ove. Chè quando. Poi che di te non lice. S’altro quaggiù non lice. Poi che d’altro, di più non lice. Poscia che più non lice. POI CH[’]E ’L VER MI SI TOGLIE, CHIUDE, cela. Ov’è conteso, disdetto il vero. POI CHE M’È LUNGE IL VERO. Poi che tu mi se’ lunge. POSCIA, PERÒ CHE ’L VER M’È TOLTO, chiuso. Quando il ver mi si toglie. Poi che, Quando il ver m’è celato, conteso, precluso, disdetto, negato, vietato. m’è preciso. di corporea, visibil, terrestre, terrena forma, manto, vesta, velo, frale, salma, membra. Neghi, Vieti. il consiglio eterno. l’eterna mente, nume, Spiro, fato, il fatale impero, decreto. Sdegni, Neghi eterna pietade, volere, l’alto consiglio, l’autor de gli astri, il fattor, l’eterno Sire, rege ec.
44 An var. [CH’OVE LUNGE]: cancellata la sottolineatura 47 An var. Spiro: forse S su precedente s Sire: forse S su precedente s
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E fra caduche spoglie Provar gli affanni di funerea vita; O s’altra terra ne’ superni giri Fra’ mondi innumerabili t’accoglie, E più vaga del Sol prossima stella
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E fra caduche spoglie
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Provar gli affanni di funerea vita; vita, vita;
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O s’altra terra ne’ superni giri
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Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
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E più [del] [sol] vaga del sol prossima stella [s]ol Sol
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Sentir gli affanni, l’angosce, le doglie, cure. di funebre, l u g ubre, funesta, angosciosa, perversa, infelice vita. i casi, i pianti. d’inamabil vita. .... provar di moribonda vita. (moribundaque membra. Virg.). DI MALIGNA, nefanda, terrestre VITA. ne’ celesti giri. ne gli eterei giri. De’ mondi. O s’altro mondo. O s’alcun altro — De’. O miglior terra. benigna, vezzosa, gioconda, lucente, serena, amena, venusta, ridente e chiara stella. e vaga stella. leggiadra, ardente. E del Sol più serena ec. E PIÙ VAGA DEL SOL VICINA STELLA, PROSSIMA. propizia stella. più formosa. E PIÙ DEL [S]SOL CORRUSCA E VAGA STELLA, e pura.
53 T’irraggia, e più benigno etere spiri; 54 Di qua dove son gli anni infausti e brevi, 55 Questo d’ignoto amante inno ricevi.
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T’irraggia, e più benigno etere spiri; spiri, spiri;
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Di qua ’ve sono i giorni opachi e brevi, [’ve] [sono] [i] [giorni] [opachi] dove son gli anni infausti Di qua, Di qua
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Questo d’ignoto amante inno ricevi.
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T’illustra. E più soave aura tu spiri. molle, dolce[.], leve. e ˆ più benigno, tranquillo, giocondo, sottile, [e]soave etere, etera. e più benigne aure. più puro ec. etere, aura. e più gentile. miti aure. E PIÙ SERENO ETERE . DI QUA DOVE SON GLI ANNI ingrati, OSCURI, amari. DI QUA ’VE SONO I GIORNI OPACHI, oscuri. DI QUA ’VE SONO I DÌ PALLIDI, TORBIDI, SQUALLIDI, LURIDI, MISERI . nubili e brevi. Di qua ’ve ’l ciel fa i giorni, gli anni. Di qua ’ve gli anni son. maligni e brevi. GLI ANNI INFAUSTI, AVVERSI, AFFLITTI E BREVI. DI QUA ’VE GLI ANNI USIAM DEFORMI, DOGLIOSI, GRAVOSI, penosi, noiosi, turbati, letali, ferali, usiamo, abbiamo, andiamo iniqui e brevi. ˆ DI QUA ’VE CORRON GLI ANNI OPACHI. nebbiosi, nembosi. impuri, immiti, infermi. mendichi, cocenti, RITROSI, DANNOSI. ’ve segna, reca il ciel dì foschi e brevi. anni corriam, viviam, meniam, tragghiam, volghiam. ’ve son le [n]luci, le notti. dove son l’ore. infesti. crudeli, gelati, VERNALI
53 An var. leve. aggiunto in alto con segno di inserzione a destra di dolce dopo il punto trasformato in virgola 54 An var. letali, ferali, aggiunto in alto e preceduto da un segno di inserzione ripetuto dopo turbati,
XIX. AL CONTE CARLO PEPOLI.
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Questo affannoso e travagliato sonno Che noi vita nomiam, come sopporti, Pepoli mio? di che speranze il core Vai sostentando? in che pensieri, in quanto O gioconde o moleste opre dispensi L’ozio che ti lasciàr gli avi remoti, Grave retaggio e faticoso? È tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. La schiera industre Cui franger glebe o curar piante e greggi Vede l’alba tranquilla e vede il vespro, Se oziosa dirai, da che sua vita È per campar la vita, e per se sola La vita all’uom non ha pregio nessuno, Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne Sudar nelle officine, ozio le vegghie Son de’ guerrieri e il perigliar nell’armi; E il mercatante avaro in ozio vive: Che non a se, non ad altrui, la bella Felicità, cui solo agogna e cerca La natura mortal, veruno acquista Per cura o per sudor, vegghia o periglio. Pure all’aspro desire onde i mortali Già sempre infin dal dì che il mondo nacque D’esser beati sospiraro indarno, Di medicina in loco apparecchiate Nella vita infelice avea natura Necessità diverse, a cui non senza Opra e pensier si provvedesse, e pieno,
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Poi che lieto non può, corresse il giorno All’umana famiglia; onde agitato E confuso il desio, men loco avesse Al travagliarne il cor. Così de’ bruti La progenie infinita, a cui pur solo, Nè men vano che a noi, vive nel petto Desio d’esser beati; a quello intenta Che a lor vita è mestier, di noi men tristo Condur si scopre e men gravoso il tempo, Nè la lentezza accagionar dell’ore. Ma noi, che il viver nostro all’altrui mano Provveder commettiamo, una più grave Necessità, cui provveder non puote Altri che noi, già senza tedio e pena Non adempiam: necessitate, io dico, Di consumar la vita: improba, invitta Necessità, cui non tesoro accolto, Non di greggi dovizia, o pingui campi, Non aula puote e non purpureo manto Sottrar l’umana prole. Or s’altri, a sdegno I vóti anni prendendo, e la superna Luce odiando, l’omicida mano, I tardi fati a prevenir condotto, In se stesso non torce; al duro morso Della brama insanabile che invano Felicità richiede, esso da tutti Lati cercando, mille inefficaci Medicine procaccia, onde quell’una Cui natura apprestò, mal si compensa.
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Lui delle vesti e delle chiome il culto E degli atti e dei passi, e i vani studi Di cocchi e di cavalli, e le frequenti Sale, e le piazze romorose, e gli orti, Lui giochi e cene e invidiate danze Tengon la notte e il giorno; a lui dal labbro Mai non si parte il riso; ahi, ma nel petto, Nell’imo petto, grave, salda, immota Come colonna adamantina, siede Noia immortale, incontro a cui non puote Vigor di giovanezza, e non la crolla
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Dolce parola di rosato labbro, E non lo sguardo tenero, tremante, Di due nere pupille, il caro sguardo, La più degna del ciel cosa mortale.
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Altri, quasi a fuggir volto la trista Umana sorte, in cangiar terre e climi L’età spendendo, e mari e poggi errando, Tutto l’orbe trascorre, ogni confine Degli spazi che all’uom negl’infiniti Campi del tutto la natura aperse, Peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s’asside Su l’alte prue la negra cura, e sotto Ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno Felicità, vive tristezza e regna.
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Havvi chi le crudeli opre di marte Si elegge a passar l’ore, e nel fraterno Sangue la man tinge per ozio; ed havvi Chi d’altrui danni si conforta, e pensa Con far misero altrui far se men tristo, Sì che nocendo usar procaccia il tempo. E chi virtute o sapienza ed arti Perseguitando; e chi la propria gente Conculcando e l’estrane, o di remoti Lidi turbando la quiete antica Col mercatar, con l’armi, e con le frodi, La destinata sua vita consuma.
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Te più mite desio, cura più dolce Regge nel fior di gioventù, nel bello April degli anni, altrui giocondo e primo Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto A chi patria non ha. Te punge e move Studio de’ carmi e di ritrar parlando Il bel che raro e scarso e fuggitivo Appar nel mondo, e quel che più benigna Di natura e del ciel, fecondamente A noi la vaga fantasia produce E il nostro proprio error. Ben mille volte Fortunato colui che la caduca
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Virtù del caro immaginar non perde Per volger d’anni; a cui serbare eterna La gioventù del cor diedero i fati; Che nella ferma e nella stanca etade, Così come solea nell’età verde, In suo chiuso pensier natura abbella, Morte, deserto avviva. A te conceda Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo La favilla che il petto oggi ti scalda, Di poesia canuto amante. Io tutti Della prima stagione i dolci inganni Mancar già sento, e dileguar dagli occhi Le dilettose immagini, che tanto Amai, che sempre infino all’ora estrema Mi fieno, a ricordar, bramate e piante. Or quando al tutto irrigidito e freddo Questo petto sarà, nè degli aprichi Campi il sereno e solitario riso, Nè degli augelli mattutini il canto Di primavera, nè per colli e piagge Sotto limpido ciel tacita luna Commoverammi il cor; quando mi fia Ogni beltate o di natura o d’arte, Fatta inanime e muta; ogni alto senso, Ogni tenero affetto, ignoto e strano; Del mio solo conforto allor mendico, Altri studi men dolci, in ch’io riponga L’ingrato avanzo della ferrea vita, Eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi Destini investigar delle mortali E dell’eterne cose; a che prodotta, A che d’affanni e di miserie carca L’umana stirpe; a quale ultimo intento Lei spinga il fato e la natura; a cui Tanto nostro dolor diletti o giovi: Con quali ordini e leggi a che si volva Questo arcano universo; il qual di lode Colmano i saggi, io d’ammirar son pago.
150 In questo specolar gli ozi traendo 151 Verrò: che conosciuto, ancor che tristo,
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Av
Ak
B26 F N Nc
Ha suoi diletti il vero. E se del vero Ragionando talor, fieno alle genti O mal grati i miei detti o non intesi, Non mi dorrò, che già del tutto il vago Desio di gloria antico in me fia spento: Vana Diva non pur, ma di fortuna E del fato e d’amor, Diva più cieca.
autografo dell’Epistola recitata da Leopardi nel 1826 a Bologna «la sera del Lunedì di Pasqua ... al Casino nell’accademia dei Felsinei, in presenza del Legato e del fiore della nobiltà bolognese, maschi e femmine» (al fratello Carlo, 4 aprile 1826, Episto. ed. Moroncini, IV, p. 82 = LF 436, BL 884). Consta di tre pagine scritte su entrambe le facciate e di una quarta che porta sul recto gli ultimi due versi, quindi le firme del revisore ecclesiastico e di quello governativo (apposte «die 24. Iulii 1826») e l’imprimatur (v. tav. 190); perciò è l’autografo che servì per la stampa bolognese, e infatti il Viani lo ebbe in dono dal Brighenti, editore di B26 (Di Giacomo Leopardi volume terzo, Studi filologici2, a c. di P. Pellegrini e P. Giordani, Firenze 1853, p. 345 segg.). Le varianti sono sempre nel margine sinistro della facciata, a fianco del verso a cui si riferiscono. In origine ai vv. 63 e 150 non cominciava una nuova strofa, che fu notata per il tipografo di B26 aggiungendo a margine (Da capo) fascicolo di tre fogli (6 pagine, 12 facciate) staccato da un quaderno; l’autografo occupa i fogli 2-5, sul foglio 1r il timbro v. Radowitz e (non di mano di Leopardi) Epistola del Conte | W Giacomo Leopardi W; fogli 1v e 6rv bianchi. È una bella copia del testo di Av usata da Leopardi per la lettura pubblica e «immediatamente dopo ch’Ei la recitò all’Accademia Felsinea» donata al Pepoli, vicepresidente dell’Accademia (C. Pepoli, Ricordanze biografiche, I, Bologna 1881, p. 18 segg.), come fa fede, accanto al titolo, l’annotazione Autografo | regalatomi dal | mio buon amico | Giacomo Leopardi | C[arlo] P[epoli] (v. tav. 191; oltre mezzo secolo più tardi, il Pepoli ritenne erroneamente che l’autografo regalatogli fosse Av). Sottratto al Pepoli nel 1831, il manoscritto finì nella raccolta di J.M. von Radowitz, ministro degli esteri di Prussia, e fu poi acquistato all’asta (1864) dalla Preussische Staatsbibliothek di Berlino; si trova ora nella biblioteca dell’Università Jagellonica di Cracovia pp. 45-51 pp. 117-123 pp. 84-90
tit.
Epistola | al conte Carlo Pepoli
Av
EPISTOLA | AL CONTE CARLO PEPOLI | B26 LMDCCCXXVI XVII. | AL CONTE | CARLO PEPOLI.
F
XIX. | AL CONTE | CARLO PEPOLI.
N
tit. B26 F N
a p. 43 l’occhiello: EPISTOLA a p. 165 nell’indice: Al Conte Carlo Pepoli a p. 1 nell’indice: Al conte Carlo Pepoli
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Questo affannoso e travagliato sonno Che noi vita nomiam, come sopporti, Pepoli mio? di che speranze il core Vai sostentando? in che pensieri, in quanto O gioconde o moleste opre dispensi L’ozio che ti lasciàr gli avi remoti, Grave retaggio e faticoso? È tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento
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Questo affannoso e travagliato sonno
Av
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Che noi vita nomiam, come sopporti,
Av
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Pepoli mio? di che speranze il core
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Vai sostentando? in che pensieri, in quanto
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O gioconde o noiose opre dispensi [noiose] moleste
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L’ozio che ti lasciar gli avi remoti,
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Grave retaggio e faticoso? È tutta,
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In ogni umano stato, ozio la vita,
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Se quell’oprar, quel proccurar che a degno procurar
Av N
Obbietto non intende o che a l’intento intende, o all’intento, all’intento all’intento[,]
Av F N N Err Nc
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Fastidiose o grate. discare. moleste. a te gli antichi avi lasciaro. lontani.
lasciar «così anche nelle stampe, compresa N. Ma si deve attribuire a un’omissione involontaria, avendo sempre l’A. deliberatamente voluto segnare d’accento simili forme verbali» (Moroncini); cf. le correzioni Mancàr XX. Il risorgimento 13 e annullàr ibid. 20 in N Err e Nc ed. Ranieri lasciàr 10 N Err «p. 84. l. 13 e 14. all’intento Giunger»
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Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. La schiera industre Cui franger glebe o curar piante e greggi Vede l’alba tranquilla e vede il vespro, Se oziosa dirai, da che sua vita È per campar la vita, e per se sola La vita all’uom non ha pregio nessuno, Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne Sudar nelle officine, ozio le vegghie Son de’ guerrieri e il perigliar nell’armi; E il mercatante avaro in ozio vive:
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Giunger mai non potria, ben si conviene
Av
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Ozioso nomar. La schiera industre
Av
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Cui franger glebe o curar piante ed erbe e greggi
Av F
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Vede l’alba tranquilla e vede il vespro,
Av
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S’oziosa dirai, da che sua vita Se
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È per campar la vita, e per se sola
Av
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Non ha la
vita a l’uom
[Non ha] [l]a La all’
ˆ
non ha
pregio Av Lnessuno, pregio ˆ N
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Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni
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Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne
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Sudar ne le officine; ozio le vegghie nelle officine,
Av N
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Son de’ guerrieri e ’l perigliar ne l’armi; il nell’
Av N
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E ’l mercatante avaro in ozio vive: il
Av N
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curar d’erbe e rami.
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Che non a se, non ad altrui, la bella Felicità, cui solo agogna e cerca La natura mortal, veruno acquista Per cura o per sudor, vegghia o periglio. Pure all’aspro desire onde i mortali Già sempre infin dal dì che il mondo nacque D’esser beati sospiraro indarno, Di medicina in loco apparecchiate Nella vita infelice avea natura
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Chè non a se, non ad altrui, la bella Che
Av N
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Felicità, cui solo agogna e cerca sol[o] agogna [e cerca] solamente [sol][amente] ˆ solo e cerca
Av Nc
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La natura mortal, veruno acquista
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Per cura o per sudor, vegghia o periglio.
Av
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Pure a l’aspro desire onde i mortali all’
Av N
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Già sempre infin dal dì che ’l mondo nacque, nacque il
Av F N
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D’esser beati sospiraro indarno,
Av
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Di medicina in loco apparecchiate
Av
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Ne la vita infelice avea natura [n]atura Natura natura Nella
Av
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in Felicità l’accento è scritto su un apostrofo a ha posto sull’o finale di solo una sbarra verticale come segno di richiamo per la correzione a margine: |amente b cancella sol| e |amente di a, riscrivendo solo sopra la linea con un segno di inserzione dopo [sol|], e ripristina e cerca accanto alle medesime parole a stampa cancellate in a
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Necessità diverse, a cui non senza Opra e pensier si provvedesse, e pieno, Poi che lieto non può, corresse il giorno All’umana famiglia; onde agitato E confuso il desio, men loco avesse Al travagliarne il cor. Così de’ bruti La progenie infinita, a cui pur solo, Nè men vano che a noi, vive nel petto Desio d’esser beati; a quello intenta Che a lor vita è mestier, di noi men tristo
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Necessità diverse, a cui non senza
Av
33
Opra e pensier si provvedesse, e [pieno] pieno,
Av
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Poi che lieto non può, corresse il giorno
Av
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A l’umana famiglia; onde agitato All’
Av N
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E confuso il desio, men loco avesse
Av
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Al travagliarne il cor. Così de’ bruti
Av
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La progenie infinita, a cui pur solo,
Av
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Nè men vano che a noi, vive nel petto
Av
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Desio d’esser beati; a quello intenta
Av
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Che a lor vita è mestier, di noi men tristo
Av
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Condur si scopre e men gravoso il tempo, Nè la lentezza accagionar dell’ore. Ma noi, che il viver nostro all’altrui mano Provveder commettiamo, una più grave Necessità, cui provveder non puote Altri che noi, già senza tedio e pena Non adempiam: necessitate, io dico, Di consumar la vita: improba, invitta
Condur sappiamo e malgradito il tempo, si scopre e men gravoso il tempo, Nè la lentezza accagionar de l’ore. dell’
Av F Av N
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Ma noi, che ’l viver nostro a l’altrui mano il all’
Av N
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Provveder commettiamo, una maggiore [maggiore] più grave
Av
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Necessità, cui provveder non puote
Av
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Altri che noi, già senza tedio e pena
Av
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Non adempiam: necessitate, io dico,
Av
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Di consumar la vita: improba, invitta
Av
43
42 B26
F
a b
lettera al Sinner da Firenze, 17 febbraio 1831: «Voici comment doit s’entendre le passage de mon Épitre que vous m’indiquez: Ainsi NOUS SAVONS (SAPPIAMO, prés. indicatif) que les brutes etc. passent leurs jours moins tristement et (moins) ennuyeusement que nous, et ne se plaignent pas de la lenteur du tems» (Epist. ed. Moroncini, VI, p. 45 = LF 740, BL 1594); identica traduzione di mano di Leopardi in un foglietto rilegato dopo l’Indice (p. 88) nell’esemplare di B26 donato dal Rosini al Sinner (Bibl. Naz. Centrale Firenze, Palat. 25.1.3.8II): «Epistola al Conte C. Pepoli, p. 46. in ima pagina. | ... Ainsi NOUS SAVONS (sappiamo. prés. indicatif) que les brutes etc.» ecc. lettera al Sinner da Firenze, del maggio 1831: «Il luogo dell’Epistola al Pepoli che a voi parve difficile a intendere, era veramente oscuro, tanto che già prima che voi me ne aveste scritto, io l’aveva corretto e cangiato nel modo che potrete vedere nella nuova edizione» (ed. Moroncini, VI, p. 64 = LF 748, BL 1610); ma la lettera del Sinner a cui allude è del 24 gennaio 1831 (ed. Moroncini, VI, p. 40 = BL 1592) e il tono della citata risposta del 17 febbraio 1831 non fa presumere che allora Leopardi avesse già corretto il testo di B26
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Necessità, cui non tesoro accolto, Non di greggi dovizia, o pingui campi, Non aula puote e non purpureo manto Sottrar l’umana prole. Or s’altri, a sdegno I vóti anni prendendo, e la superna Luce odiando, l’omicida mano, I tardi fati a prevenir condotto, In se stesso non torce; al duro morso Della brama insanabile che invano Felicità richiede, esso da tutti Lati cercando, mille inefficaci
50
Necessità, cui non tesoro accolto,
Av
51
Non di greggi divizia, o pingui campi, dovizia,
Av N
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Non aula puote e non purpureo manto
Av
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Sottrar l’umana prole. Or s’altri, a sdegno
Av
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I vóti anni prendendo, e la superna vòti voti vóti v[o]ti vóti
Av F N N Err Nc
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Luce odiando, l’omicida mano,
Av
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I tardi fati a prevenir condotto,
Av
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In se stesso non torce; al duro morso
Av
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De la brama [impl.] insanabile che invano Della
Av N
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Felicità richiede, esso da tutti
Av
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Lati cercando, mille inefficaci
Av
54 Av 55 Av 58 Av 60 Av
diurna. inamena. molesta. oziosa. odiosa. accusando. implacabile. immortal che accesamente. che sempre. inefficaci inerti. scarse inefficaci. varie inefficaci. inefficaci e scarse.
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Medicine procaccia, onde quell’una Cui natura apprestò, mal si compensa. Lui delle vesti e delle chiome il culto E degli atti e dei passi, e i vani studi Di cocchi e di cavalli, e le frequenti Sale, e le piazze romorose, e gli orti, Lui giochi e cene e invidiate danze Tengon la notte e il giorno; a lui dal labbro Mai non si parte il riso; ahi, ma nel petto,
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Medicine procaccia, onde quell’una
Av
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Che Natura apprestò, mal si compensa. Cui natura
Av F
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Lui de le vesti e de le chiome [xx] il culto delle delle
Av N
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E [deg.] de gli atti e de i passi, e i vani studi degli dei
Av N
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Di Di cocchi e di
cavalli, e di cocchi, e le Av Lfrequenti cavalli, [e] [di] [cocchi][,] ˆ
ˆ Sale, e le piazze romorose, e gli orti, orti[,] orti,
N
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E le ville e i teatri, e giochi e feste Lui giochi e cene e invidiate danze
Av N
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Tengon la notte e ’l giorno; a lui non parte il dal labbro
Av N
69
Mai da le labbra il riso; ahi, ma nel petto, non si parte
Av N
66
Av
a b a b
68 Av
dal labbro Mai non si parte.
63 Av
a sinistra l’avvertenza per il compositore di B26: (Da capo) con inchiostro e penna diversi
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Nell’imo petto, grave, salda, immota Come colonna adamantina, siede Noia immortale, incontro a cui non puote Vigor di giovanezza, e non la crolla Dolce parola di rosato labbro, E non lo sguardo tenero, tremante, Di due nere pupille, il caro sguardo, La più degna del ciel cosa mortale. Altri, quasi a fuggir volto la trista Umana sorte, in cangiar terre e climi L’età spendendo, e mari e poggi errando,
Ne l’imo petto, grave, salda, immota, immota[,] immota, immota Nell’
Av
71
Come colonna adamantina, siede
Av
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Noia immortale, incontro a cui non puote
Av
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Vigor di giovanezza, e non la crolla
Av
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Dolce parola di rosato labbro,
Av
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Nè pur lo sguardo tenero, tremante, [Nè] [pur] E non
Av
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Di due nere pupille, il caro sguardo,
Av
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La più degna del Ciel cosa mortale. ciel
Av F
78
Altri, quasi a fuggir volto la trista [fo] volto
Av Ak
79
Umana sorte, in cangiar terre e climi
Av
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La età spendendo, e mari e poggi errando, L’età
Av N
73 Av 75 Av 77 Av 80 Av
e cui non crolla. e lei. furtivo. tremulo. terrena. La più celeste de le umane cose. dispensa. L’ozio. Gli anni.
a b
Ak B26 N
a b
81 82 83 84 85 86 87 88 89 90
Tutto l’orbe trascorre, ogni confine Degli spazi che all’uom negl’infiniti Campi del tutto la natura aperse, Peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s’asside Su l’alte prue la negra cura, e sotto Ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno Felicità, vive tristezza e regna. Havvi chi le crudeli opre di marte Si elegge a passar l’ore, e nel fraterno Sangue la man tinge per ozio; ed havvi
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Tutto l’orbe trascorre, ogni confine
Av
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De gli spazi che a l’uom ne gl’infiniti Degli all’ negl’
Av N
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Campi del Tutto la Natura aperse, natura tutto
Av F N
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Peregrinando aggiunge. Ahi ahi, [ah.]s’asside
Av
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Su l’alte prue la negra cura, e sotto Sull’alte Su l’alte Su[l]l’
Av N N Err Nc
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Ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno
Av
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Felicità, vive tristezza e regna.
Av
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Avvi chi le crudeli opre di marte Havvi
Av F
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Si elegge a passar l’ore, e nel fraterno
Av
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Sangue la man tinge per ozio; ed avvi havvi
Av F
81 Av 83 Av 86 Av 87 Av
percorre. Regni. Spazio. aprio. apriva. felicitate Si chiama invan. nido ha. loco ha. tristezza ha nido. alberga.
91 92 93 94 95 96 97 98 99 100
91
Chi d’altrui danni si conforta, e pensa Con far misero altrui far se men tristo, Sì che nocendo usar procaccia il tempo. E chi virtute o sapienza ed arti Perseguitando; e chi la propria gente Conculcando e l’estrane, o di remoti Lidi turbando la quiete antica Col mercatar, con l’armi, e con le frodi, La destinata sua vita consuma. Te più mite desio, cura più dolce
Chi d’altrui pianti si conforta, e pensa altrui [pianti] ˆ danni [d’] d’
Av
92
Con far misero altrui far se men tristo,
Av
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Sì che nocendo usar procaccia il tempo; tempo[;] tempo.
Av
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E chi virtute o sapienza ed arti
Av
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Perseguitando, e chi la propria gente Perseguitando; e
Av N
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Conculcando e l’estrane, o di remoti
Av
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Lidi turbando la quiete antica
Av
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Col mercantar, con l’armi e con le frodi, merca[n]tar, armi, e
Av
La destinata sua vita consuma.
Av
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100 Te più mite disio, cura più dolce desio, 91 Av 93 Av 98 Av 99 Av 100 Av
a b
Ak a b
a b
N Av F
danni. mal si riconforta. si diletta. gli anni procaccia. studia empiere il tempo. cerca. virtute, sapienza. [c]Con le merci. I prescritti dal fato anni. proposti. degna.
101 102 103 104 105 106 107
Regge nel fior di gioventù, nel bello April degli anni, altrui giocondo e primo Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto A chi patria non ha. Te punge e move Studio de’ carmi e di ritrar parlando Il bel che raro e scarso e fuggitivo Appar nel mondo, e quel che più benigna
101 Regge nel fior di gioventù, nel bello
Av
102 April de gli anni, altrui giocondo e primo degli
Av N
103 Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto [c]iel, Ciel, ciel,
Av
a b
F
104 A chi patria non ha. Te punge e muove m[u]ove muove move m[u]ove
Av
105 Studio del vero, e di ritrarre in carte de’ carmi e di ritrar parlando
Av N
106 Il bel che raro e scarso e fuggitivo
Av
107 Appar nel mondo, e quel che più cortese [cortese] benigna
Av
a b
N N Err Nc
102 Av 103 Av 104 Av 106 Av
caro. prezioso. ad altri. pregiato. pungente. ingrato. spinoso. muove e guida. sprona. scalda. molce. alletta. tragge. rado.
107 Av
benigna aggiunto di séguito a [cortese] ed. Ranieri quel che, più benigna
a b
108 109 110 111 112 113 114 115 116
Di natura e del ciel, fecondamente A noi la vaga fantasia produce E il nostro proprio error. Ben mille volte Fortunato colui che la caduca Virtù del caro immaginar non perde Per volger d’anni; a cui serbare eterna La gioventù del cor diedero i fati; Che nella ferma e nella stanca etade, Così come solea nell’età verde,
108 Di Natura e del Ciel, fecondamente natura ciel,
Av F
109 A noi la vaga fantasia produce
Av
110 E ’l nostro proprio error. Ben mille volte il
Av N
111 Fortunato colui che la caduca
Av
112 Virtù del caro immaginar non perde
Av
113 Per volger d’anni; a cui serbare eterna
Av
114 La gioventù del cor diedero i fati;
Av
115 Che ne la ferma e ne la stanca etade, nella nella
Av N
116 Così come solea ne l’età verde, nell’
Av N
108 Av 109 Av 110 Av 111 Av 113 Av 114 Av 115 Av 116 Av
del fato. con varie forme. in. mille. più largamente. copiosamente. figura. La vaga fantasia finge e produce. crea. dipinge. E ’l dilettoso. stupenda. celeste. divina. soave. vivace eterna Giovanezza. Giovanezza nel. piena. ne’ verdi anni soleva. primi.
109
ed. Ranieri produce,
117 118 119 120 121 122 123 124
In suo chiuso pensier natura abbella, Morte, deserto avviva. A te conceda Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo La favilla che il petto oggi ti scalda, Di poesia canuto amante. Io tutti Della prima stagione i dolci inganni Mancar già sento, e dileguar dagli occhi Le dilettose immagini, che tanto
117 In suo chiuso pensier natura abbella,
Av
118 Morte, deserto avviva. A te conceda
Av
119 Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo [c]iel; Ciel; ciel;
Av
120 La favilla che ’l petto oggi ti scalda, il
Av N
121 Di poesia canuto amante. Io tutti
Av
122 I dolci inganni de la prima etate [I dolci] [inganni] [d]e [etate] De stagione i Ldolci inganni Della
Av
N
123 Mancar già sento, e dileguar da gli occhi dagli
Av N
124 Le dilettose immagini, che tanto imagini, immagini,
Av F N
117 Av 118 Av 119 Av 120 Av 122 Av 124 Av
A se con suo pensier. Solingo in suo. Solitudine avviva. silenzio. Questa. t’arde oggi nel petto. seno. De la primiera etate. novella. fiorita. Veggo le belle.
122 Av
b le nuove parole aggiunte di séguito a [etate]
a b
F
a b
125 126 127 128 129 130 131 132 133 134
Amai, che sempre infino all’ora estrema Mi fieno, a ricordar, bramate e piante. Or quando al tutto irrigidito e freddo Questo petto sarà, nè degli aprichi Campi il sereno e solitario riso, Nè degli augelli mattutini il canto Di primavera, nè per colli e piagge Sotto limpido ciel tacita luna Commoverammi il cor; quando mi fia Ogni beltate o di natura o d’arte,
125 Amai, che sempre infino a l’ora estrema all’
Av N
126 Mi fieno, a ricordar, bramate e piante.
Av
127 Or quando al tutto irrigidito e freddo
Av
128 Fia
Av
questo petto e
non de’ [cap.] Lcampi il riso, [Fia] [q]uesto petto [e] [non] [de’] ˆ L[campi] [il] [riso,] Questo sarà, nè de gli aprichi degli
b N
129 Campi il sereno e solitario riso,
Av
130 Nè de gli augelli mattutini il canto degli
Av N
131 Di primavera, e non per colli e piagge [e] [non] ˆ nè
Av
132 Sotto limpido ciel tacita luna
Av
133 Commoverammi il cor; quando mi fia
Av
134 Ogni beltate o di natura o d’arte,
Av
125 Av 127 Av 129 Av 131 Av
a
a b
che mi fien sempre infin ch’io viva — desiderate. inaridito. e ’l solit. Sereni campi. Distesi. Piagge. Floridi. Erbosi. tranquillo. o selve.
135 136 137 138 139 140 141 142 143 144
Fatta inanime e muta; ogni alto senso, Ogni tenero affetto, ignoto e strano; Del mio solo conforto allor mendico, Altri studi men dolci, in ch’io riponga L’ingrato avanzo della ferrea vita, Eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi Destini investigar delle mortali E dell’eterne cose; a che prodotta, A che d’affanni e di miserie carca L’umana stirpe; a quale ultimo intento
135 Fatta inanime e muta, e ogni alto senso, muta[,] [e] muta;
Av
136 Ogni tenero affetto, ignoto e strano; affetto affetto,
Av Ak B26
137 Del mio solo conforto allor mendico,
Av
138 Altri studi men dolci, in ch’io riponga
Av
139 L’ingrato avanzo de la ferrea vita, vita vita, della
Av Ak B26 N
140 Eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi
Av
141 Destini investigar de[l.] le mortali delle
Av N
142 E de l’eterne cose; a che prodotta, dell’
Av N
143 A che d’affanni e di miserie carca
Av
144 L’umana stirpe; a quale ultimo intento
Av
136 Av 138 Av 139 Av
O generoso. gentile. alieno. peregrino. dispensi. ov’io consumi. lieti. di mia. pigra. fosca.
138
ed. Ranieri studj
a b
145 146 147 148 149 150 151
Lei spinga il fato e la natura; a cui Tanto nostro dolor diletti o giovi: Con quali ordini e leggi a che si volva Questo arcano universo; il qual di lode Colmano i saggi, io d’ammirar son pago. In questo specolar gli ozi traendo Verrò: che conosciuto, ancor che tristo,
145 Lei spinga il Fato e la Natura; a cui fato natura;
Av F
146 [Nos] Tanto nostro dolor diletti o giovi; giovi[;] giovi: giovi; giovi:
Av
147 Con quali ordini e leggi a che si volva
Av
148 Questo arcano universo; il qual di lode [u]niverso; Universo; universo;
Av
a b
Fc N a b
F
149 Colmano i [saggio], saggi, io d’ammirar son pago. Av i saggi, io d’ammirar B26 150 In questo specolar gli ozi traendo
Av
151 Verrò; chè conosciuto, ancor che tristo, Verrò: che
Av N
145 Av 147 Av 149 Av 150 Av 146 Fc
149 Av 150 Av
tragga. modi. Questo Universo, il qual di laude il vulgo Colmano e i saggi. cui lodar son usi E ’l vulgo e i saggi. Il mondo cui di laude ornar son usi. m’appago. Questa del Tutto immensa mole. gli anni traendo. lettera al Sinner da Firenze, 1831, dopo la pubblicazione di F: «Alla pag. 123, v. 5, correggi giovi;» (Epist. ed. Moroncini, VI, p. 66 = LF 748, BL 1610) ed. Ranieri giovi; inavvertitamente non cancellata la prima virgola a sinistra l’avvertenza per il compositore di B26: (Da capo.) con l’inchiostro e la penna del testo
152 153 154 155 156 157 158
Ha suoi diletti il vero. E se del vero Ragionando talor, fieno alle genti O mal grati i miei detti o non intesi, Non mi dorrò, che già del tutto il vago Desio di gloria antico in me fia spento: Vana Diva non pur, ma di fortuna E del fato e d’amor, Diva più cieca.
152 Ha suoi diletti il vero. E se del vero
Av
153 Ragionando talor, fieno a le genti alle
Av N
154 O mal grati i miei detti o non intesi,
Av
155 Non mi dorrò, chè già del tutto il dolce [dolce] vago che
Av
156 Desio di gloria antico in me fia spento; [g]loria spento[;] Gloria spento: gloria Gloria gloria
Av Ak B26 N
157 Vana Diva non pur, ma di Fortuna fortuna
Av N
158 [e]E del Fato e d’Amor, Diva più cieca. fato amor,
Av N
153 Av 155 Av
157 Av
155 Av
a b
N a b
Favellando o scrivendo, altrui saranno. male alle genti Fien graditi. male intesi. chè l’ingannoso e dolce. Nulla di questo io mi dorrò, chè l’alto. Non io di questo mi dorrò. per tanto. Di ciò non mi dorrà. Non dorrommi perciò. Agevolmente il porterò. Ciò mi fia leve a comportar. ma de la stolta Fortuna anco. E del temuto. incauto. larva. [o]Ombra. vago aggiunto di séguito a [dolce]
XX. IL RISORGIMENTO
1 2 3 4 5 6 7 8
Credei ch’al tutto fossero In me, sul fior degli anni, Mancati i dolci affanni Della mia prima età: I dolci affanni, i teneri Moti del cor profondo, Qualunque cosa al mondo Grato il sentir ci fa.
9 10 11 12 13 14 15 16
Quante querele e lacrime Sparsi nel novo stato, Quando al mio cor gelato Prima il dolor mancò! Mancàr gli usati palpiti, L’amor mi venne meno, E irrigidito il seno Di sospirar cessò!
17 18 19 20 21 22 23 24
Piansi spogliata, esanime Fatta per me la vita; La terra inaridita, Chiusa in eterno gel; Deserto il dì; la tacita Notte più sola e bruna; Spenta per me la luna, Spente le stelle in ciel.
25 26 27 28 29 30
Pur di quel pianto origine Era l’antico affetto: Nell’intimo del petto Ancor viveva il cor. Chiedea l’usate immagini La stanca fantasia;
31 32
E la tristezza mia Era dolore ancor.
33 34 35 36 37 38 39 40
Fra poco in me quell’ultimo Dolore anco fu spento, E di più far lamento Valor non mi restò. Giacqui: insensato, attonito, Non dimandai conforto: Quasi perduto e morto, Il cor s’abbandonò.
41 42 43 44 45 46 47 48
Qual fui! quanto dissimile Da quel che tanto ardore, Che sì beato errore Nutrii nell’alma un dì! La rondinella vigile, Alle finestre intorno Cantando al novo giorno, Il cor non mi ferì:
49 50 51 52 53 54 55 56
Non all’autunno pallido In solitaria villa, La vespertina squilla, Il fuggitivo Sol. Invan brillare il vespero Vidi per muto calle, Invan sonò la valle Del flebile usignol.
57 58 59 60 61 62 63 64
E voi, pupille tenere, Sguardi furtivi, erranti, Voi de’ gentili amanti Primo, immortale amor, Ed alla mano offertami Candida ignuda mano, Foste voi pure invano Al duro mio sopor.
65 66
D’ogni dolcezza vedovo, Tristo; ma non turbato,
67 68 69 70 71 72
Ma placido il mio stato, Il volto era seren. Desiderato il termine Avrei del viver mio; Ma spento era il desio Nello spossato sen.
73 74 75 76 77 78 79 80
Qual dell’età decrepita L’avanzo ignudo e vile, Io conducea l’aprile Degli anni miei così: Così quegl’ineffabili Giorni, o mio cor, traevi, Che sì fugaci e brevi Il cielo a noi sortì.
81 82 83 84 85 86 87 88
Chi dalla grave, immemore Quiete or mi ridesta? Che virtù nova è questa, Questa che sento in me? Moti soavi, immagini, Palpiti, error beato, Per sempre a voi negato Questo mio cor non è?
89 90 91 92 93 94 95 96
Siete pur voi quell’unica Luce de’ giorni miei? Gli affetti ch’io perdei Nella novella età? Se al ciel, s’ai verdi margini, Ovunque il guardo mira, Tutto un dolor mi spira, Tutto un piacer mi dà.
97 98 99 100 101 102
Meco ritorna a vivere La piaggia, il bosco, il monte; Parla al mio core il fonte, Meco favella il mar. Chi mi ridona il piangere Dopo cotanto obblio?
103 E come al guardo mio 104 Cangiato il mondo appar? 105 106 107 108 109 110 111 112
Forse la speme, o povero Mio cor, ti volse un riso? Ahi della speme il viso Io non vedrò mai più. Proprii mi diede i palpiti, Natura, e i dolci inganni. Sopiro in me gli affanni L’ingenita virtù;
113 114 115 116 117 118 119 120
Non l’annullàr: non vinsela Il fato e la sventura; Non con la vista impura L’infausta verità. Dalle mie vaghe immagini So ben ch’ella discorda: So che natura è sorda, Che miserar non sa.
121 122 123 124 125 126 127 128
Che non del ben sollecita Fu, ma dell’esser solo: Purchè ci serbi al duolo, Or d’altro a lei non cal. So che pietà fra gli uomini Il misero non trova; Che lui, fuggendo, a prova Schernisce ogni mortal.
129 130 131 132 133 134 135 136
Che ignora il tristo secolo Gl’ingegni e le virtudi; Che manca ai degni studi L’ignuda gloria ancor. E voi, pupille tremule, Voi, raggio sovrumano, So che splendete invano, Che in voi non brilla amor.
137 Nessuno ignoto ed intimo 138 Affetto in voi non brilla:
139 140 141 142 143 144
Non chiude una favilla Quel bianco petto in se. Anzi d’altrui le tenere Cure suol porre in gioco; E d’un celeste foco Disprezzo è la mercè.
145 146 147 148 149 150 151 152
Pur sento in me rivivere Gl’inganni aperti e noti; E de’ suoi proprii moti Si maraviglia il sen. Da te, mio cor, quest’ultimo Spirto, e l’ardor natio, Ogni conforto mio Solo da te mi vien.
153 154 155 156 157 158 159 160
Mancano, il sento, all’anima Alta, gentile e pura, La sorte, la natura, Il mondo e la beltà. Ma se tu vivi, o misero, Se non concedi al fato, Non chiamerò spietato Chi lo spirar mi dà.
An
F N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, XXI. 7b) quattro fogli sciolti (numerati al recto da 1. a 4.) piegati verticalmente a metà per riservare la parte sinistra a varianti e annotazioni, e scritti con una medesima penna e lo stesso inchiostro su entrambe le facciate pp. 125-131 pp. 91-97
data Pisa, 7 (Lunedì di | Pasqua) – 13 A=|prile, 1828. tit.
data tit. An
Risorgimento. [R] isorgimento. ˆ Il risorgimento.
An
XVIII. | IL RISORGIMENTO.
F
XX.
N
| IL RISORGIMENTO.
solo in An b r in alto con segno di inserzione fra [R] e i
a b
1 2 3 4 5
Credei ch’al tutto fossero In me, sul fior degli anni, Mancati i dolci affanni Della mia prima età: I dolci affanni, i teneri
1
Credei ch’al tutto fossero
An
2
In me, sul fior de gli anni, degli
An N
3
Mancati i dolci affanni
An
4
De la mia prima età: Della
An N
5
I dolci affanni, i teneri
An
5-8 Anp
a =b
I dolci affanni, i teneri Moti, il sentir profondo, Ciò che la vita, il mondo Amabili ci fa. Ciò che noi stessi, il mondo Ciò che la luce, il mondo, Noi stessi amar ci fa. La vita Ciò che fa bello il mondo, La luce amar ci fa. Qualunque cosa il mondo Amabile ci fa. Grato..... ci fa. Bello parer ————— al mondo Amato il dì
5-8 An b i vv. 5-8 An a sono stati sostituiti da una nuova stesura (b) scritta su un foglietto di carta diversa, più leggera e non rigata, che è stato ritagliato con le forbici da un altro manoscritto (come mostra la G di Grato mutila in basso) e incollato sopra a con un’ostia (che copre la scrittura qui ri-
6 7 8 9 10 11 12 13
Moti del cor profondo, Qualunque cosa al mondo Grato il sentir ci fa. Quante querele e lacrime Sparsi nel novo stato, Quando al mio cor gelato Prima il dolor mancò! Mancàr gli usati palpiti,
6
Moti, il fondo, Moti del cor profondo,
An
a b
7
Qualunqu mondo Qualunque cosa al mondo
An
a =b
8
La luce amar ci fa. Grato il sentir ci fa.
An
a b
9
Quante querele e lagrime lacrime
An N
10
Sparsi nel novo stato,
An
11
Quando al mio cor gelato
An
12
Prima il dolor mancò!
An
13
Mancar gli usati palpiti, Mancàr Manc[a]r Mancàr
An N Err Nc
7 An 13 An
5-8 Anp
Tutto ch’abbella il. Ciò che, Quant[i]o n’abbella. E tutto quanto. il mondo Amabile. Quando gli ... Sentì venirsi, Sentiami venir, M’avvidi, Conobbi, venir meno. costruita fra parentesi uncinate); per l’esistenza di almeno un altro manoscritto vd. 108 An app. crit. varianti ordinatamente disposte in bella copia su un foglietto sciolto lasciato fra le pagine dell’autografo (vd. tav. 199); si distinguono tre inchiostri, diversi da quello di An: uno per I dolci affanni ecc., un altro per Qualunque cosa ecc., un terzo per le ultime tre righe, che sono «di aliena scrittura e quasi certamente di mano di Carlo Leopardi» (Moroncini)
14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26
L’amor mi venne meno, E irrigidito il seno Di sospirar cessò! Piansi spogliata, esanime Fatta per me la vita; La terra inaridita, Chiusa in eterno gel; Deserto il dì; la tacita Notte più sola e bruna; Spenta per me la luna, Spente le stelle in ciel. Pur di quel pianto origine Era l’antico affetto:
14
L’amor mi venne meno,
An
15
E irrigidito il seno
An
16
Di sospirar cessò!
An
17
Piansi spogliata, esanime
An
18
Fatta per me la vita;
An
19
La terra inaridita,
An
20
Chiusa in eterno gel;
An
21
Deserto il dì; la tacita
An
22
Notte più sola e bruna;
An
23
Spenta per me la luna,
An
24
Spente le stelle in ciel.
An
25
Ma pur movea quel piangere [Ma pur movea quel piangere] Pur di quel pianto origine
An
a b
26
Da un indistinto affetto: [Da un indistinto] Era l’antico
An
a b
20 An 25 An 26 An
Qual per, in, eterno. venia. Pur provenia, dipendea. un interno, secreto.
27 28 29 30 31 32 33 34 35
Nell’intimo del petto Ancor viveva il cor. Chiedea l’usate immagini La stanca fantasia; E la tristezza mia Era dolore ancor. Fra poco in me quell’ultimo Dolore anco fu spento, E di più far lamento
27
Ne l’intimo del petto Nell’
An N
28
Ancor viveva il cor.
An
29
Chiedea l’usate immagini
An
30
[C]L’oppressa fantasia: L[’][oppressa] La stanca fantasia;
An
31
E la tristezza mia
An
32
Era dolore ancor.
An
33
Poi nel mio sen quell’ultimo [Poi] [nel] [mio] [sen] ˆ Fra breve in me poco
An F
34
Dolore anco fu spento; spento,
An N
35
E di più far lamento
An
27 An 29 An 33 An
a b
N
a b
Pur, E, nel secreto, profondo, Quasi ne l’imo petto. Nel più riposto, secreto. Le consuete, Pur le passate, p e r d u t e, immagini Chiedea la mente mia; E quello ch’io, i’, in me, quel ch’io mi, sentia. Quel ch’io fra me. La stanca fantas. Poscia, Di poi, Indi, nel sen. Poscia altresì .. in me [.] fu. non men.
30 An a L scritta su C
36 37 38 39 40 41 42 43 44
Valor non mi restò. Giacqui: insensato, attonito, Non dimandai conforto: Quasi perduto e morto, Il cor s’abbandonò. Qual fui! quanto dissimile Da quel che tanto ardore, Che sì beato errore Nutrii nell’alma un dì!
36
Valor non mi restò.
An
37
Giacqui: insensato, attonito,
An
38
Non dimandai conforto:
An
39
Sè, qual
An
40
perduto e morto, [perduto] ˆ oppresso
qua[l] quasi [Sè] [q]uasi [oppresso] Quasi perduto ˆ Il cor dimenticò. [dimenticò.] s’abbandonò.
g d An
41
Qual fui! quanto dissimile
An
42
Da quel che tanto ardore,
An
43
Che sì beato errore
An
44
Nutrì ne l’alma un dì! Nutrii nell’
An N
43 An
a b
a b
Sì generoso. leggiadro. Ne l’anima nutrì. Nutrii, Nutria. Cui... [v]Visse ne l’alma.
39 An b segno di inserzione a destra di [perduto] d segno di inserzione a sinistra di perduto, mantenendo anche quello di b 40 An var. nell’angolo sinistro in basso già si trovava sul foglio I capovolta, di altra mano; cf. 120 An var. e 160 An var. app. crit.
45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
La rondinella vigile, Alle finestre intorno Cantando al novo giorno, Il cor non mi ferì: Non all’autunno pallido In solitaria villa, La vespertina squilla, Il fuggitivo Sol. Invan brillare il vespero Vidi per muto calle,
45
La rondinella vigile,
An
46
A le fenestre intorno Alle finestre
An N
47
Cantando al novo giorno,
An
48
Il cor non mi ferì:
An
49
Non a l’autunno pallido, pallido all’
An F N
50
In solitaria villa,
An
51
La vespertina squilla,
An
52
Il fuggitivo Sol.
An
53
Invan brillare il Vespero vespero
An F
54
Vidi per muto calle. calle[.] calle: calle[:] calle; calle,
An
46 An 49 An 52 An 54 An
Al tetto mio d’int. A le mie stanze. languido. moribondo. Gli ultimi rai del. ermo. in remoto.
a b g
N
55 56 57 58 59 60 61 62 63 64
Invan sonò la valle Del flebile usignol. E voi, pupille tenere, Sguardi furtivi, erranti, Voi de’ gentili amanti Primo, immortale amor, Ed alla mano offertami Candida ignuda mano, Foste voi pure invano Al duro mio sopor.
55
Invan sonò la valle
An
56
Del flebile usignol.
An
57
E voi, pupille tenere,
An
58
Sguardi furtivi, erranti; erranti,
An F
59
Voi, de’ gentili amanti Voi de’
An F
60
Primo, immortale amor; amor,
An F
61
Ed a la mano offertami alla
An N
62
Candida, ignuda mano; Candida[,] mano,
An N
63
Foste voi pure invano
An
64
Al duro mio sopor.
An
56 An 57 An 60 An 61 An 64 An
De’ lai de l’. fulgide. vivide. Insaziato amor. E ne la man ripostami. ferreo.
a b
65 66 67 68 69 70 71 72 73 74
D’ogni dolcezza vedovo, Tristo; ma non turbato, Ma placido il mio stato, Il volto era seren. Desiderato il termine Avrei del viver mio; Ma spento era il desio Nello spossato sen. Qual dell’età decrepita L’avanzo ignudo e vile,
65
D’ogni speranza povero, [speranza] [po]ve[r]o[,] dolcezza vedovo,
An
66
Tristo; ma non turbato,
An
67
Ma placido il mio stato,
An
68
Il volto era seren.
An
69
Desiderato il termine
An
70
Avrei del viver mio;
An
71
Ma spento era il desio
An
72
Ne lo spossato sen. Nello
An N
73
Qual de l’età decrepita dell’
An N
74
L’avanzo ignudo e vile,
An
65 An 66 An 72 An 74 An 65 An
a b
D’ogni piacer dimentico, povero. vacuo. diletto immemore. D’ogni piacer nudato, orbato. dolente, Tranquilla era la mente. Tranquillo era. agghiacciato. inerte. ingrato.
i vv. 73-80 precedono i vv. 65-72 e l’ordine in cui devono succedersi è indicato dai numeri 1. premesso al v. 65 (D’ogni ecc.), 2. premesso al v. 73 (Qual de l’età ecc.) e 3. premesso al v. 81 (Chi da la grave ecc.) An var. povero. vacuo. aggiunti dopo dimentico, sopra la riga, evidentemente dopo la cancellazione del v. 65 An b
75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85
Io conducea l’aprile Degli anni miei così: Così quegl’ineffabili Giorni, o mio cor, traevi, Che sì fugaci e brevi Il cielo a noi sortì. Chi dalla grave, immemore Quiete or mi ridesta? Che virtù nova è questa, Questa che sento in me? Moti soavi, immagini,
75
Io conducea l’aprile
An
76
De gli anni miei così: Degli
An N
77
Così quegl’ineffabili
An
78
Giorni, o mio cor, traevi,
An
79
Che sì fugaci e brevi
An
80
Il Cielo a noi sortì. cielo
An F
81
Chi da la grave, immemore dalla
An N
82
Quiete or mi ridesta?
An
83
Che virtù nova è questa,
An
84
Questa che sento in me?
An
85
Moti soavi, immagini,
An
81 An 83 An 84 An 85 An
Chi mai chi da la ferrea. Chi mai da la funerea. Chi da la miserabile. nova fiamma. Ch’oggi conosco. Che si commove. Dolci pensieri
86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96
86
Palpiti, error beato, Per sempre a voi negato Questo mio cor non è? Siete pur voi quell’unica Luce de’ giorni miei? Gli affetti ch’io perdei Nella novella età? Se al ciel, s’ai verdi margini, Ovunque il guardo mira, Tutto un dolor mi spira, Tutto un piacer mi dà.
Palpiti, error beato, [Palpiti,] Affanni, [Affanni,] Palpiti,
An
87
Per sempre a voi negato
An
88
Questo mio cor non è?
An
89
Siete pur voi quell’unica
An
90
Luce de’ giorni miei?
An
91
Gli affetti ch’io perdei
An
92
Ne la novella età? Nella
An N
93
S’al ciel, s’a i verdi margini, Se al s’ai
An N
94
Ovunque il guardo mira,
An
95
Tutto un dolor mi spira,
An
96
Tutto un piacer mi dà.
An
86 An 91 An 92 An
Fremiti. La vita. più verde. mia nova, prima. più bella.
88 N 93 F
Qnesto per errore tipografico, corretto in Questo in Nc s’ai verdi con ai qui per errore tipografico
a b g
97 98 99 100 101 102 103 104 105 106
Meco ritorna a vivere La piaggia, il bosco, il monte; Parla al mio core il fonte, Meco favella il mar. Chi mi ridona il piangere Dopo cotanto obblio? E come al guardo mio Cangiato il mondo appar? Forse la speme, o povero Mio cor, ti volse un riso?
97
Meco ritorna a vivere
An
98
La piaggia, il bosco, il monte;
An
99
Parla al mio core il fonte,
An
100 Meco favella il mar.
An
101 Stupisco a i novi palpiti, [Stupisco a i novi palpiti,] Chi mi ridona il piangere, piangere
An
a b
F
102 Dopo cotanto obblio; obblio[;] obblio?
An
a b
103 Il mondo al guardo mio [Il mondo] E come
An
a b
104 Rinnovellato appar. [Rinnovellato] appar[.] ˆ Cangiato il mondo appar?
An
a b
105 Che fu? Speranza volsemi [Che fu? Speranza volsemi] Forse la speme, o povero
An
a b
106 Forse da l’alto un riso? [Forse da l’alto] Mio cor, ti volse
An
a b
103 An 105 An
al pensier. Come a lo sguardo. aprivami, apersemi, schiusemi. la spene o misero.
107 108 109 110 111 112
Ahi della speme il viso Io non vedrò mai più. Proprii mi diede i palpiti, Natura, e i dolci inganni. Sopiro in me gli affanni L’ingenita virtù;
a b
107 Ahi, di speranza il viso [di speranza] de la speme Ahi de la della
An
108 Mai più non rivedrò, [Mai più] [ri]vedrò[,] Io mai più.
An
a b
a i palpiti, An a ˆ veggo, [a]
a b
110 A i generosi inganni: [A] [i] [generosi] [n]Natura, e i dolci inganni.
An
a b
111 Sopiro in me gli affanni
An
112 L’ingenita virtù. virtù;
An F
109 Sento ch’io nacqui [Sento] [ch’io] [n]acqui Nacqui, ben ˆ [Nacqui] [ben veggo] Proprii mi diede
109 An 111 An 112 An
F N
g
N
m’avveggo. Natura i palp. Diemmi e i leggiadri. Mi fe, Mi diè, Diemmi, Natura i, ai .. Natura i dolci ec. Natii mi furo. Che in me sopir. L’innata mia.
108 An a poiché il componimento è in quartine doppie legate dalla rima dell’ultimo verso (qui attuata con 108 An b: mai più W 112 virtù), questa prima stesura è reminiscenza di una redazione diversa; cf. 5-8 An a app. crit. 109 An b segno di inserzione prima di ben e ripetuto prima di a ed. Ranieri palpiti | Natura, 111 F Sospiro per errore tipografico; cf. lettera al Sinner da Firenze, 1831, dopo la pubblicazione di F: «Alla pag. 129, v. penult. leggi Sopiro (cioè So pirono)» (Epist. ed. Moroncini, VI, p. 66 = LF 748, BL 1610)
113 114 115 116 117 118 119
Non l’annullàr: non vinsela Il fato e la sventura; Non con la vista impura L’infausta verità. Dalle mie vaghe immagini So ben ch’ella discorda: So che natura è sorda,
113 Non l’estirpar. estirpar: annullar: annullàr annull[a]r: annullàr:
Non vinsela non
An F N N Err Nc
114 Il fato e la sventura: sventura;
An N
115 Non la domò la dura con la vista impura
An N
116 Tua forza, o verità. L’infausta verità.
An N
117 Da le mie vaghe immagini Dalle
An N
118 Ben so che il ver discorda: So ben ch’ella
An N
119 So che natura è sorda, [n]atura Natura natura
An
113 An 117 An
a b
F
abolir, sbandir, annullar, involar, rapir, ammorzar, ammortir. Da’ miei pensieri amabili
120 121 122 123 124 125 126 127 128
Che miserar non sa. Che non del ben sollecita Fu, ma dell’esser solo: Purchè ci serbi al duolo, Or d’altro a lei non cal. So che pietà fra gli uomini Il misero non trova; Che lui, fuggendo, a prova Schernisce ogni mortal.
120 Che impietosir non sa. [impietosir] miserar
An
121 Del nostro ben sollecita Che non del ben
An N
122 Non fu; de l’esser solo: Fu, ma dell’
An N
123 Fuor che serbarci al duolo, Purchè ci serbi al
An N
124 Or d’altro a lei non cal.
An
125 So che pietà fra gli uomini
An
126 Il misero non trova;
An
127 Che lui, fuggendo, a prova
An
128 Schernisce ogni mortal. [Schernisce] Deride [Deride] Schernisce
An
120 An 122 An 124 An
a b
a b g
miserar. Che ignara è di pietà. A i preghi, a la pietà. Ignota a la pietà. Al pianto a la pietà. (PIETÀ p. DOLORE ec.) del nascer, viver. Mai.
120 An var. nella terza riga, dopo a la cancella L capovolta (di altra mano) che già si trovava sul foglio; cf. 40 An var. e 160 An var. app. crit.
129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139
Che ignora il tristo secolo Gl’ingegni e le virtudi; Che manca ai degni studi L’ignuda gloria ancor. E voi, pupille tremule, Voi, raggio sovrumano, So che splendete invano, Che in voi non brilla amor. Nessuno ignoto ed intimo Affetto in voi non brilla: Non chiude una favilla
129 Che ignora il tristo secolo
An
130 Gl’ingegni e le virtudi;
An
131 Che manca a i degni studi ai
An N
132 L’ignuda gloria ancor.
An
133 E voi, pupille tremule,
An
134 Voi, raggio sovrumano,
An
135 So che splendete invano,
An
136 Che in voi non brilla amor.
An
137 Che nullo arcano ed intimo [Che nullo] [arcano] Nessuno ignoto
An
138 Affetto in voi non brilla:
An
139 Di vita una scintilla [Di vita una scintilla] Non chiude una favilla
An
a b
a b
130 An 133 An 134 An 137 An 139 An
E l’arti. fulgide. Diletto sovr. Splendor, Sguardo... arcano. Nessuno, Alcuno, Veruno. ascoso. riposto, secreto. Chè pure una. Non chiude una favilla Quel bianco petto in se.
130 An
e ripassato
140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150
Quel bianco petto in se. Anzi d’altrui le tenere Cure suol porre in gioco; E d’un celeste foco Disprezzo è la mercè. Pur sento in me rivivere Gl’inganni aperti e noti; E de’ suoi proprii moti Si maraviglia il sen. Da te, mio cor, quest’ultimo Spirto, e l’ardor natio,
140 Quel cor non chiude in se. [Quel cor non chiude in se] Quel bianco petto in se.
An
141 Anzi d’altrui le tenere
An
142 Cure suol porre in gioco;
An
143 E d’un celeste foco
An
144 Disprezzo è la mercè.
An
145 Pur sento in me rivivere
An
146 Gl’inganni aperti e noti;
An
147 E de’ suoi proprii moti
An
148 Si maraviglia il sen.
An
149 Da te, mio cor, quest’ultimo
An
150 Spirto, e l’ardor natio; natio,
An N
141 An 143 An 144 An 145 An 146 An 150 An
suol prendere ... in gioco. leggiadro. Il riso, Lo scherno risorgere, rinascere. I conosciuti inganni ... novi affanni. errori .. ardori. il vigor, valor.
a b
151 152 153 154 155 156 157 158
Ogni conforto mio Solo da te mi vien. Mancano, il sento, all’anima Alta, gentile e pura, La sorte, la natura, Il mondo e la beltà. Ma se tu vivi, o misero, Se non concedi al fato,
151 Ogni conforto mio, mio
An N
152 Tutto da te mi vien. Solo
An N
153 Mancano, il sento, a l’anima all’
An N
154 Nata a gli affetti, e pura, [Nata] [a gli] [affetti][,] Alta, gentile
An
155 La sorte, la natura,
An
156 Il mondo e la beltà.
An
157 Ma se tu vivi, o misero,
An
158 Se mi t’assente il fato, [mi t’assente] [il] non concedi al
An
152 An 153 An 154 An 157 An 158 An
a b
a b
Solo. il veggo. a gran sensi. Alta, Grande, gentile. Devota a la sciagura. Prodotta. Mancano a la sciagura. Affettuosa. amorosa. e gentile. resti, duri. rende. Se non concedi al.
159 Non chiamerò spietato 160 Chi lo spirar mi dà.
159 Nol chiamerò spietato No[l] Non
An
a b
160 Perchè spirar mi dà. [Perchè] Chi lo
An
a b
159 An 160 An
Lui non dirò. Che lo spirar, Se lo. il respirar. Chi lo spirar. (Ma perir mi DÀ il Ciel per questa luce. Petr.)
160 An var. nell’ultima riga, dopo sta cancella D capovolta (di altra mano) che già si trovava sul foglio; cf. 40 An var. e 120 An var. app. crit.
XXI. A SILVIA.
1 2 3 4 5 6
Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Quando beltà splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e pensosa, il limitare Di gioventù salivi?
7 8 9 10 11 12 13 14
Sonavan le quiete Stanze, e le vie dintorno, Al tuo perpetuo canto, Allor che all’opre femminili intenta Sedevi, assai contenta Di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi Così menare il giorno.
15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Io gli studi leggiadri Talor lasciando e le sudate carte, Ove il tempo mio primo E di me si spendea la miglior parte, D’in su i veroni del paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla man veloce Che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, Le vie dorate e gli orti, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice Quel ch’io sentiva in seno.
28 29 30
Che pensieri soavi, Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia
31 32 33 34 35 36 37 38 39
La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato, E tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, Perchè non rendi poi Quel che prometti allor? perchè di tanto Inganni i figli tuoi?
40 41 42 43 44 45 46 47 48
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, Da chiuso morbo combattuta e vinta, Perivi, o tenerella. E non vedevi Il fior degli anni tuoi; Non ti molceva il core La dolce lode or delle negre chiome, Or degli sguardi innamorati e schivi; Nè teco le compagne ai dì festivi Ragionavan d’amore.
49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63
Anche peria fra poco La speranza mia dolce: agli anni miei Anche negaro i fati La giovanezza. Ahi come, Come passata sei, Cara compagna dell’età mia nova, Mia lacrimata speme! Questo è quel mondo? questi I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi Onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero Tu, misera, cadesti: e con la mano La fredda morte ed una tomba ignuda Mostravi di lontano.
An
(Bibl. Naz. Napoli, XXI. 7a) scritto con una stessa penna e il medesimo inchiostro su un foglio piegato in quattro facciate non numerate, e ulteriormente piegato in senso verticale per delimitare su ciascuna facciata lo spazio riservato al testo e per separarne una colonna laterale più stretta destinata alle varianti; i versi sono scritti su una colonna a destra nella prima e terza facciata, a sinistra nella seconda; le annotazioni oc-
data Pisa. 19. 20. Aprile. | 1828.
An
tit.
A Silvia.
An
XIX. | A SILVIA.
F
XXI. | A SILVIA.
N
F N Nc data
cupano il margine a fianco dei versi, e quelle per i vv. 61-62 girano in calce alla poesia stendendosi su tutta lalarghezza della pagina; la quarta facciata (distinta con la sigla Anf) contiene solo ulteriori annotazioni, scritte distesamente per tutta la larghezza della pagina pp. 133-135 pp. 98-100
solo in An
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Silvia, rimembri ancora Quel tempo della tua vita mortale, Quando beltà splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e pensosa, il limitare Di gioventù salivi? Sonavan le quiete Stanze, e le vie dintorno, Al tuo perpetuo canto,
1
Silvia, sovvienti ancora rammenti [rammenti] rimembri
An N Nc
2
Quel tempo de la tua vita mortale, della
An N
3
Quando beltà splendeva splende[v]a
An
a b
3bis
Ne la fronte e nel sen tuo verginale, [Ne la fronte e nel sen tuo verginale]
An
a b
4
E ne gli sguardi incerti e fuggitivi, [E] [n]e [sguardi incerti] Ne occhi tuoi ridenti Negli
An
a b
An
6
E tu, lieta e pudica, il limitare [pudica,] ˆ pensosa, ˆ Di gioventù salivi?
An
7
Sonavan le quiete
An
8
Stanze, e le vie dintorno,
An
9
Al tuo perpetuo canto,
An
5
3bis An
5
N a b
Nel volto verginale E ne gli occhi tuoi molli e[.] fuggitivi. dolci, vaghi.
An b cancella pudica e trasforma la virgola in segno di inserzione, che ripete a sinistra di pensosa
10 11 12 13 14 15 16 17
Allor che all’opre femminili intenta Sedevi, assai contenta Di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi Così menare il giorno. Io gli studi leggiadri Talor lasciando e le sudate carte, Ove il tempo mio primo
10
Allor che a l’opre femminili intenta all’
An N
11
Sedevi, assai contenta
An
12
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
An
13
Era il maggio odoroso: e tu solevi
An
14
Così menare il giorno.
An
15
Io, gli studi miei dolci [miei dolci] leggiadri Io
An
16
Talor lasciando e le sudate carte, ✠
An
17
✠ Ove il tempo mio primo
An
12 An 15 An 16 An 17 Anf
a b
F
dolce. lunghi. dilette. Ov’io di me spendea, Ov’io ponea di me la miglior parte. Ove de gli anni primi, acerbi, verdi Trapassando, Dispensando, i[o]’ venia la miglior parte. l’età più verde. E de gli anni io spendea la ec. l’età fiorita. Ove il fior de le forze ec.
15 An b leggiadri aggiunto accanto a [miei dolci] 16 An dopo carte, un segno di richiamo per i vv. 17-18 aggiunti nel margine riservato alle varianti; vd. 17 An app. crit. 17 An il segno di richiamo è stato posto per la stesura del verso, non aggiunto successivamente (e dunque i vv. 17-18 non sono una variante accolta poi nel testo, ma furono omessi nel corso della trascrizione)
18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28
E di me si spendea la miglior parte, D’in su i veroni del paterno ostello Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla man veloce Che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, Le vie dorate e gli orti, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice Quel ch’io sentiva in seno. Che pensieri soavi,
18
E di me si spendea la miglior parte; parte[;] parte,
An
a b
19
D’in su i balconi del paterno ostello [balconi] ˆ veroni
An
a b
20
Porgea l’ orecchio al suon de la tua voce, l[’]orecchi[o] gli della
An
a b
21
Ed a la man veloce alla
An N
22
Che percotea la faticosa tela. [percotea] percorrea
An
23
Mirava il ciel sereno,
An
24
Le vie dorate e gli orti,
An
25
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
An
26
Lingua mortal non dice
An
27
Quel ch’io sentiva in seno.
An
28
Che pensieri soavi,
An
N
18 An a possibile anche parte: b cancella il punto del punto e virgola prolungando la e di parte
a b
29 30 31 32 33 34 35 36
Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato, E tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura,
29
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
An
30
Quale allor ci apparia
An
31
La vita umana e il fato!
An
32
Quando sovviemmi di cotanta speme,
An
33
Un cordoglio mi preme [cordoglio] ˆ affetto
An
a b
34
Acerbo e sconsolato. sconsolato[.] sconsolato,
An
a b
35
E tornami a doler di mia sventura.
An
36
O Natura, o Natura, natura, o natura,
An F
29 An 30 An 32 An 33 An 35 An
cori Furo i nostri a quel tempo, o S. mia! Quale, qual ci ap. Qual ci appariva allora. quale apparia Ne l’alme nostre allora. Qualor. Sempre un dolor. Ritornami. E fammi ancor pietà la. E tornami pietà. E sento ancor.
29 An forse la seconda virgola è aggiunta successivamente 34 An b correzione dipendente dall’inserzione del v. 35 35 An verso inserito fra i vv. 34 e 36 in caratteri più piccoli per mancanza di spazio, e dunque omesso durante la trascrizione (cf. v. 17 An app. crit.) 36 An forse la prima virgola è aggiunta successivamente
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46
Perchè non rendi poi Quel che prometti allor? perchè di tanto Inganni i figli tuoi? Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, Da chiuso morbo combattuta e vinta, Perivi, o tenerella. E non vedevi Il fior degli anni tuoi; Non ti molceva il core La dolce lode or delle negre chiome, Or degli sguardi innamorati e schivi;
37
Perchè non rendi poi
An
38
Quel che prometti allor? perchè di tanto
An
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Inganni i figli tuoi?
An
40
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
An
41
Da chiuso morbo consumata e vinta, combattuta
An N
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Perivi, o tenerella. E non vedevi
An
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Il fior de gli anni tuoi; degli
An N
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Non ti molceva il core
An
45
La dolce lode or de le negre chiome, delle
An N
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Or de gli sguardi innamorati e schivi; degli
An N
37 An 40 An 41 An 44 An 45 An 46 An
serbi. i poggi scolorisse. autunno. dopo il trapassar, l’aggirar, di poche lune. occulto. sonava in. scendeva al. chiome brune. verecondi.
37 An 42 An
lo svolazzo della d copre un tratto di altro inchiostro in Perivi la i finale è tracciata su un’altra lettera (a?) scritta per errore
47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57
Nè teco le compagne ai dì festivi Ragionavan d’amore. Anche peria fra poco La speranza mia dolce: agli anni miei Anche negaro i fati La giovanezza. Ahi come, Come passata sei, Cara compagna dell’età mia nova, Mia lacrimata speme! Questo è quel mondo? questi I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
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Nè teco le compagne a i dì festivi ai
An N
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Ragionavan d’amore.
An
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Anco peria fra poco Anche
An N
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La speranza [l] mia dolce: [ag.] a gli anni miei agli
An N
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Anco negaro i fati Anche
An N
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La giovanezza. Ahi come,
An
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Come passata sei,
An
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Cara compagna de l’età mia nova, dell’
An N
55
Mia lagrimata speme! lacrimata
An N
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Questo è quel mondo? questi
An
57
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
An
49 An 50 An 51 An 55 An
fra breve. ben tosto. Così. vaga. negar la giovanezza i fati. Come ec. Negar così ec. s[ven]fortunata.
55 An var. modifica ven in for
58 59 60 61 62 63
Onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero Tu, misera, cadesti: e con la mano La fredda morte ed una tomba ignuda Mostravi di lontano.
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Onde cotanto ragionammo insieme?
An
59
Questa la sorte de l’umane genti? dell’
An N
60
A l’apparir del vero, All’ vero[,]
An N Nc
61
Tu misera cadesti: e con la mano Tu, misera,
An
a b
62
Un sepolcro deserto, inonorato, [Un sepolcro deserto, inonorato,] La fredda morte ed una tomba ignuda
An
a b
63
Mostravi di lontano.
An
58 An 59 An 61 An 62 An
59
sì spesso. umana vita? Ne la stagion fiorita. cadesti. Sol, porgendo la mano. La misera cadea[,]. Sol ec. cadeva: e ec. La fredda, scura, morte ed una tomba ignuda, avello. Un sepolcro deserto e l’[o]Ombre ignude. A me la tomba inonorata e nuda. Il giorno estremo.
ed. Ranieri delle umane
XXII. LE RICORDANZE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea Tornare ancor per uso a contemplarvi Sul paterno giardino scintillanti, E ragionar con voi dalle finestre Di questo albergo ove abitai fanciullo, E delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole Creommi nel pensier l’aspetto vostro E delle luci a voi compagne! allora Che, tacito, seduto in verde zolla, Delle sere io solea passar gran parte Mirando il cielo, ed ascoltando il canto Della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi E in su l’aiuole, susurrando al vento I viali odorati, ed i cipressi Là nella selva; e sotto al patrio tetto Sonavan voci alterne, e le tranquille Opre de’ servi. E che pensieri immensi, Che dolci sogni mi spirò la vista Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro, e che varcare un giorno Io mi pensava, arcani mondi, arcana Felicità fingendo al viver mio! Ignaro del mio fato, e quante volte Questa mia vita dolorosa e nuda Volentier con la morte avrei cangiato.
28 29 30 31 32
Nè mi diceva il cor che l’età verde Sarei dannato a consumare in questo Natio borgo selvaggio, intra una gente Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso Argomento di riso e di trastullo,
33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49
Son dottrina e saper; che m’odia e fugge, Per invidia non già, che non mi tiene Maggior di se, ma perchè tale estima Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori A persona giammai non ne fo segno. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza Tra lo stuol de’ malevoli divengo: Qui di pietà mi spoglio e di virtudi, E sprezzator degli uomini mi rendo, Per la greggia c’ho appresso: e intanto vola Il caro tempo giovanil; più caro Che la fama e l’allor, più che la pura Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo Senza un diletto, inutilmente, in questo Soggiorno disumano, intra gli affanni, O dell’arida vita unico fiore.
50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72
Viene il vento recando il suon dell’ora Dalla torre del borgo. Era conforto Questo suon, mi rimembra, alle mie notti, Quando fanciullo, nella buia stanza, Per assidui terrori io vigilava, Sospirando il mattin. Qui non è cosa Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro Non torni, e un dolce rimembrar non sorga. Dolce per se; ma con dolor sottentra Il pensier del presente, un van desio Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui. Quella loggia colà, volta agli estremi Raggi del dì; queste dipinte mura, Quei figurati armenti, e il Sol che nasce Su romita campagna, agli ozi miei Porser mille diletti allor che al fianco M’era, parlando, il mio possente errore Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche, Al chiaror delle nevi, intorno a queste Ampie finestre sibilando il vento, Rimbombaro i sollazzi e le festose Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno Mistero delle cose a noi si mostra
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Pien di dolcezza; indelibata, intera Il garzoncel, come inesperto amante, La sua vita ingannevole vagheggia, E celeste beltà fingendo ammira.
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O speranze, speranze; ameni inganni Della mia prima età! sempre, parlando, Ritorno a voi; che per andar di tempo, Per variar d’affetti e di pensieri, Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Son la gloria e l’onor; diletti e beni Mero desio; non ha la vita un frutto, Inutile miseria. E sebben vóti Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro Il mio stato mortal, poco mi toglie La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta A voi ripenso, o mie speranze antiche, Ed a quel caro immaginar mio primo; Indi riguardo il viver mio sì vile E sì dolente, e che la morte è quello Che di cotanta speme oggi m’avanza; Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto Consolarmi non so del mio destino. E quando pur questa invocata morte Sarammi allato, e sarà giunto il fine Della sventura mia; quando la terra Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Fuggirà l’avvenir; di voi per certo Risovverrammi; e quell’imago ancora Sospirar mi farà, farammi acerbo L’esser vissuto indarno, e la dolcezza Del dì fatal tempererà d’affanno.
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E già nel primo giovanil tumulto Di contenti, d’angosce e di desio, Morte chiamai più volte, e lungamente Mi sedetti colà su la fontana Pensoso di cessar dentro quell’acque La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco Malor, condotto della vita in forse, Piansi la bella giovanezza, e il fiore
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De’ miei poveri dì, che sì per tempo Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso Sul conscio letto, dolorosamente Alla fioca lucerna poetando, Lamentai co’ silenzi e con la notte Il fuggitivo spirto, ed a me stesso In sul languir cantai funereo canto.
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Chi rimembrar vi può senza sospiri, O primo entrar di giovinezza, o giorni Vezzosi, inenarrabili, allor quando Al rapito mortal primieramente Sorridon le donzelle; a gara intorno Ogni cosa sorride; invidia tace, Non desta ancora ovver benigna; e quasi (Inusitata maraviglia!) il mondo La destra soccorrevole gli porge, Scusa gli errori suoi, festeggia il novo Suo venir nella vita, ed inchinando Mostra che per signor l’accolga e chiami? Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo Son dileguati. E qual mortale ignaro Di sventura esser può, se a lui già scorsa Quella vaga stagion, se il suo buon tempo, Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
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O Nerina! e di te forse non odo Questi luoghi parlar? caduta forse Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Che qui sola di te la ricordanza Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede Questa Terra natal: quella finestra, Ond’eri usata favellarmi, ed onde Mesto riluce delle stelle il raggio, È deserta. Ove sei, che più non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, Quando soleva ogni lontano accento Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri Il passar per la terra oggi è sortito,
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E l’abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte La gioia ti splendea, splendea negli occhi Quel confidente immaginar, quel lume Di gioventù, quando spegneali il fato, E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna L’antico amor. Se a feste anco talvolta, Se a radunanze io movo, infra me stesso Dico: o Nerina, a radunanze, a feste Tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Van gli amanti recando alle fanciulle, Dico: Nerina mia, per te non torna Primavera giammai, non torna amore. Ogni giorno sereno, ogni fiorita Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento, Dico: Nerina or più non gode; i campi, L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Sospiro mio: passasti: e fia compagna D’ogni mio vago immaginar, di tutti I miei teneri sensi, i tristi e cari Moti del cor, la rimembranza acerba. (Bibl. Naz. Napoli, XIII. 21) fascicolo di quattro fogli inseriti l’uno nell’altro in modo da formare un unico quaderno di sedici facciate, numerate a lapis non dall’autore; contiene, nell’ordine: XXII. Le ricordanze (facciate 1-9 e 16, vd. v. 144 An app. crit.), XXIV. La quiete dopo la tem pesta (facciate 10-12), XXV. Il sabato del villaggio (facciate 13-15). Si tenga presente che, come ha osservato il Moroncini, p. XLVI, a partire da Le ricordanze Leopardi «non solo ha abbandonato del tutto l’abitudine delle note illustrative e citazioni giustificative, ma d’ora in poi, se non ha rinunziato a trascrivere le varianti, non le scrive più nei margini, ma le inserisce e quasi incorpora nel testo istesso, accanto o sotto alle forme che preferiva e che in generale risultarono definitive ... Ne Le ri cordanze le varianti sono chiuse tra parentesi quadrate o curve; ma le quadrate si vedono solo nella prima metà del canto (fino al v. 70), e ad esse sono intercalate solo tre o quattro parentesi curve; laddove dal v. 70 in poi non si hanno se non parentesi curve, e non più quadrate. Da ciò si può supporre che, in principio, l’A. avesse voluto distinguere le varianti che più gli garbavano da quelle che gli garbavano meno, chiudendo le prime tra parentesi curve e le seconde tra parentesi quadre; ma poi, accorgendosi forse che tra esse varianti non c’era da far troppa distinzione (e di fatti riuscirebbe spesso difficile dimostrare quali tra esse siano le preferibili), smise le parentesi quadre, e continuò solo con le curve, come praticò anche negli altri due canti di questo fascicolo e nel
data 26 Agos. - 12 Sett. 1829.
An
tit.
Le ricordanze.
An
XX.
| LE RICORDANZE.
F
XXII. | LE RICORDANZE.
N
F N Nc data
successivo canto del Pastore. Con dette parentesi l’A. volle ricordare a se stesso che le varianti in esse comprese dovevan ritenersi come forme secondarie, almeno finch’egli non si fosse deciso ad accoglierne qualcuna come forma preferita; nel qual caso cancellava le parentesi curve e le poneva alle corrispondenti parole prima prescelte, se pure non cancellava addirittura dette parole; ma ciò gli càpita assai di rado». Qui le varianti, sia fra parentesi tonde ( ) sia fra parentesi quadre OP (e le loro eventuali cancellazioni, indicate come negli altri casi con [ ]), si riproducono separatamente nell’apposita sezione, ma si lasciano inserite nei versi quando ne hanno fatto parte in qualche fase dell’elaborazione, perché ciò serve a rendere perspicuo lo sviluppo dell’elaborazione stessa. Il medesimo criterio sarà seguito nell’edizione dei canti successivi. pp. 137-144 pp. 101-107
solo in An
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea Tornare ancor per uso a contemplarvi Sul paterno giardino scintillanti, E ragionar con voi dalle finestre Di questo albergo ove abitai fanciullo, E delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole Creommi nel pensier l’aspetto vostro E delle luci a voi compagne! allora
1
Vaghe stelle de l’Orsa, io non credea dell’
An N
2
Tornare ancor per uso a contemplarvi
An
3
Sul paterno giardino scintillanti,
An
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E ragionar con voi da le fenestre dalle finestre
An N
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Di questo albergo, ove abitai fanciullo albergo ove fanciullo,
An F
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E de la speme poi venni a la fine. [la speme poi] le gioie mie vidi la fine. delle
An F N
7
Quante [fav] immagini un tempo, e quante fole
An
8
Creommi nel pensier l’aspetto vostro [Creommi] Mi creò Creommi
An F
E de le luci a voi compagne! allora delle
An N
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6 An 1 An
OE poi de lo sperar. E dove il mio sperar poi venne al.P virgola forse aggiunta successivamente
a b
a b
10 11 12 13 14 15 16 17 18
10
Che, tacito, seduto in verde zolla, Delle sere io solea passar gran parte Mirando il cielo, ed ascoltando il canto Della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi E in su l’aiuole, susurrando al vento I viali odorati, ed i cipressi Là nella selva; e sotto al patrio tetto Sonavan voci alterne, e le tranquille
a b
Che tacito seduto in verde zolla, tacito, Che, tacito,
An
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De la sera io solea passar gran parte Delle sere
An N
12
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
An
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De la rana rimota a la campagna. campagna! Della alla
An F N
14
E la lucciola errava appo le fratte [fratte] siepi
An
a b
15
E in su l’aiuole, ✠ e sotto al patrio tetto aiuole, ✠ susurrando al vento
An
a b
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Que’ viali odorati, e que’ cipressi [Que’] e [que’] I ed i
An
a b
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Là ne la selva; e sotto al patrio tetto nella
An N
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Sonavan voci alterne, e le tranquille
An
10 An 12 An
F
Oseggio[)]P [(]Overso[)]P
14 An b siepi aggiunto dopo [fratte] sulla stessa riga 15 An b ha posto un segno di richiamo, ripetuto nel margine destro davanti all’aggiunta susurrando al vento | Que’ viali odorati, e que’ cipressi | Là ne la selva;
19 20 21 22 23 24 25 26 27 28
Opre de’ servi. E che pensieri immensi, Che dolci sogni mi spirò la vista Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro, e che varcare un giorno Io mi pensava, arcani mondi, arcana Felicità fingendo al viver mio! Ignaro del mio fato, e quante volte Questa mia vita dolorosa e nuda Volentier con la morte avrei cangiato. Nè mi diceva il cor che l’età verde
19
Opre de’ servi. E che pensieri immensi,
An
20
Che dolci sogni mi spirò la vista
An
21
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
An
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Che di qua scopro, e che varcare un giorno
An
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Io mi pensava, arcani mondi, arcana
An
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Felicità fingendo al viver mio!
An
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Ignaro del mio fato, e quante volte
An
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Questa mia vita dolorosa e nuda
An
27
Volentier con la morte avrei cangiato.
An
28
Nè mi diceva il cor ch’anco sarei [ch’anco sarei] che l’età verde
An
a b
19 An Oopere usateP. 20 An OlietiP[(]Om’arrecòP 28 An a [(] ONè men diceami il cor, l a s s o, ch’io fora. il pensier. com’io sareiP b Nè prediceva il mio pensier, ˆ 28 An che ecc. aggiunto dopo sarei] sulla stessa riga An var. b: parole aggiunte con un segno di inserzione ripetuto fra Nè e men di a
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38
29
Sarei dannato a consumare in questo Natio borgo selvaggio, intra una gente Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso Argomento di riso e di trastullo, Son dottrina e saper; che m’odia e fugge, Per invidia non già, che non mi tiene Maggior di se, ma perchè tale estima Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori A persona giammai non ne fo segno. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Dannato a consumar Dannato ˆ Sarei ˆ Sarei dannato
l’etade in An Lquesto consumare [l’etade]
a b
F
30
Natio borgo selvaggio, intra una gente
An
31
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
An
32
Argomento di riso e di trastullo,
An
33
Son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
An
34
Per invidia non già, che non mi tiene chè che
An F N
35
Maggior di se, ma perchè tale estima
An
36
Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
An
37
A persona giammai non ne fo segno.
An
38
Qui passo gli anni, solitario, ascoso, anni, (solitario,) ˆ abbandonato, ˆ [)]ascoso[,]) occulto,
An
a b g
29 An b in Dannato dimentica di mutare D in d 38 An b inserisce parentesi tonde prima e dopo solitario, per trasformarlo in variante, e al di sopra scrive abbandonato, con un segno di inserzione ripetuto dopo anni, g cancellata la parentesi dopo solitario, la scrive sulla virgola dopo ascoso trasformando anche questa parola in variante, ed aggiunge al di sopra occulto,
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48
Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza Tra lo stuol de’ malevoli divengo: Qui di pietà mi spoglio e di virtudi, E sprezzator degli uomini mi rendo, Per la greggia c’ho appresso: e intanto vola Il caro tempo giovanil; più caro Che la fama e l’allor, più che la pura Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo Senza un diletto, inutilmente, in questo Soggiorno disumano, intra gli affanni,
39
Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
An
40
Tra lo stuol de’ malevoli divengo:
An
41
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
An
42
E sprezzator de gli uomini mi rendo, degli
An N
43
Per la greggia ch’ che ch’ ch[e] ch’
An N N Err Nc
44
Il caro tempo giovanil; più caro
An
45
Che la fama e l’[allór] allòr, più che la pura allor,
An N
46
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
An
47
Senza un diletto, inutilmente, in questo
An
48
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
An
45 An 48 An 45 An
ho appresso: e intanto vola ho appresso: ho appresso ho appresso:
Oche la serenaP [(]OregionP modifica allór durante la stesura stessa del verso
49 50 51 52 53 54 55 56
49
O dell’arida vita unico fiore. Viene il vento recando il suon dell’ora Dalla torre del borgo. Era conforto Questo suon, mi rimembra, alle mie notti, Quando fanciullo, nella buia stanza, Per assidui terrori io vigilava, Sospirando il mattin. Qui non è cosa Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
De la vita deserta unico fiore. (De la vita deserta) ˆ O de l’arida vita ˆ dell’ fiore fiore.
An
50
Viene il vento recando il suon de l’ora dell’
An N
51
Da la torre del borgo. Era conforto Dalla
An N
52
Questo suon, mi rimembra, a le mie notti, alle
An N
53
Quando fanciullo, ne la buia stanza, nella
An N
54
Per assidui terrori io vigilava,
An
55
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
An
56
Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
An
49 An 53 An 54 An
a b
N Nc
OO de l’arida, umana, vita.P [(]OQuand’ioP Oterrori vigilandoP
49 An b chiude De la vita deserta fra parentesi tonde, trasformandolo in variante, e pone a destra un segno di inserzione ripetuto a sinistra dell’aggiunta, che accoglie una stesura già annotata come variante (49 An var.) N fiore senza punto, che sarà aggiunto in Nc
57 58 59 60 61 62 63 64
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga. Dolce per se; ma con dolor sottentra Il pensier del presente, un van desio Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui. Quella loggia colà, volta agli estremi Raggi del dì; queste dipinte mura, Quei figurati armenti, e il Sol che nasce Su romita campagna, agli ozi miei
57
Non torni, e un dolce sovvenir non sorga. [sovvenir] rimembrar
An Nc
58
Dolce per se;
An
pur di dolor mi colma [di] [mi colma] m’addolora insieme (pur m’addolora insieme) ma con dolor sottentra
a b g
59
Il pensier del presente, un desir cieco (un desir cieco) un van desio
An
a b
60
Del passato, ancor tristo, e il dire, io fui. dire[,] dire:
An
a b
61
Quella loggia colà, volta a gli estremi agli
An N
62
Raggi del dì; queste dipinte mura,
An
63
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
An
64
Su romita campagna, a gli ozi miei agli
An N
59 An 62 An
Oun van desio [)]P (volteP,
58 An g chiude la precedente stesura fra parentesi tonde, trasformandola in variante, e scrive l’aggiunta di séguito sullo stesso rigo del verso 59 An b chiude un desir cieco fra parentesi tonde, trasformandolo in variante, e cancella le parentesi quadre che racchiudevano un van desio come variante scritta di séguito sullo stesso rigo del verso
65 66 67 68 69 70 71 72 73
Porser mille diletti allor che al fianco M’era, parlando, il mio possente errore Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche, Al chiaror delle nevi, intorno a queste Ampie finestre sibilando il vento, Rimbombaro i sollazzi e le festose Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno Mistero delle cose a noi si mostra Pien di dolcezza; indelibata, intera
65
Porser mille diletti allor che al fianco
An
66
M’era, parlando, il mio possente errore
An
67
Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche,
An
68
Al chiaror de le nevi, intorno a queste delle
An N
69
Ampie fenestre sibilando il vento, finestre
An N
70
Rimbombaro i sollazzi e le festose
An
71
Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno
An
72
Mistero de le cose a noi si mostra delle
An N
73
D’ogni dolcezza, e non ha pur sospetto (D’ogni) ˆ Pien di ˆ dolcezza; indelibata, intera
An
70 An 72 An
a b
F
OeccheggiaroP (par colmo)
73 An a è la prima stesura, anche se dipende da 72 An var. b lo svolazzo della d sembra dissimulare una virgola F a partire da F i vv. 73bis-septies di An sono stati ridotti a un solo endecasillabo, formato dal primo emistichio del v. 73 An e dal secondo emistichio del v. 73septies An
74 Il garzoncel, come inesperto amante, 75 La sua vita ingannevole vagheggia, 76 E celeste beltà fingendo ammira.
73bis L’innocente mortal quanto crudele 73
ter
In lui ben (ben fra [fra [(]ben [ben ˆ fra
tosto la materna mano tosto) ˆ poco poco] tosto[) ] ˆ tosto] poco
An An
g d
73quat De la natura diverrà, di quella
An
73quin Che per uccider partorisce. Ei fiso,
An
73sex
La notte e il dì, come novello amante,
An
Ancor non tocca, indelibata, intera
An
74
Il garzoncel, come inesperto amante,
F
75
La sua vita ingannevole vagheggia,
An
76
E celeste beltà fingendo ammira.
An
73
sept
75 An
a b
([L] Sua vita lusinghevole. contempla.)
73ter An b chiude ben tosto fra parentesi tonde, trasformandolo in variante, e aggiunge fra poco in alto, con segno di inserzione sulla riga g cancella fra poco e ripristina la stesura di a eliminando le parentesi e il segno di inserzione d cancella ben tosto e riscrive fra poco con un nuovo segno di inserzione dopo lui 74 manca in An (vd. v. 73 F app. crit.)
77 78 79 80 81 82 83
77
O speranze, speranze; ameni inganni Della mia prima età! sempre, parlando, Ritorno a voi; che per andar di tempo, Per variar d’affetti e di pensieri, Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Son la gloria e l’onor; diletti e beni Mero desio; non ha la vita un frutto,
O speranze, speranze! ameni inganni speranze[!] speranze, speranze[,] speranze;
An
78
De la mia prima età! sempre, parlando, Della
An N
79
Ritorno a voi; che per andar di tempo, chè che
An F N
80
Per variar d’affetti e di pensieri,
An
81
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
An
82
Son la gloria e l’onor: diletti e beni, beni onor;
An F N
83
Mero desio: non ha la vita un frutto; desio; frutto,
An N
80 An
a b g
(di voglie)
77 An b cancella la linea verticale del punto esclamativo (che concordava con quello di 78 An) e trasforma il punto in virgola g cancella la virgola (che dopo la precedente cancellazione non poteva essere trasformata in punto e virgola) e le pone accanto un punto e virgola
84 85 86 87 88 89
84
85
Inutile miseria. E sebben vóti Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro Il mio stato mortal, poco mi toglie La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta A voi ripenso, o mie speranze antiche, Ed a quel caro immaginar mio primo;
Inutile miseria. E se ben vóti sebben vòti vóti v[ò]ti vóti
An F N Err Nc
Son gli anni miei, se se
86
abbandonato, oscuro An abbandonato, ˆ (ben deserto,) ˆ (abbandonato[,]) ˆ [(]ben deserto,[)] seb (abbandonato) ˆ ben deserto, ˆ Il mio stato mortal, poco mi toglie An
87
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
An
88
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
An
89
Ed a quel dolce immaginar mio primo; [dolce] ˆ caro
An
88 An 89 An
a b
a b g d
a b
(Di) (vaneggiar)
84 An b inserisce b in concordanza con sebben del v. 85 An d e ripassa la b di ben 85 An b aggiunge sopra la riga la variante (ben deserto,) con segno di inserzione ripetuto dopo se g trasforma abbandonato in variante inserendo parentesi tonde (una delle quali copre la virgola di a e b), aggiunge b a se e accetta ben deserto cancellando le parentesi d accetta la forma sebben come al v. 84 An b
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101
Indi riguardo il viver mio sì vile E sì dolente, e che la morte è quello Che di cotanta speme oggi m’avanza; Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto Consolarmi non so del mio destino. E quando pur questa invocata morte Sarammi allato, e sarà giunto il fine Della sventura mia; quando la terra Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Fuggirà l’avvenir; di voi per certo Risovverrammi; e quell’imago ancora Sospirar mi farà, farammi acerbo
90
Indi riguardo il viver mio sì vile
An
91
E sì dolente, e che la morte è quello
An
92
Che di cotanta speme oggi m’avanza;
An
93
Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto
An
94
Consolarmi non so del mio destino.
An
95
E quando pur questa invocata morte
An
96
Sarammi accanto, e fia venuto il fine a[cc]a[n]to, [fia venuto] allato, sarà giunto
An Nc
97
De la sventura mia; quando la terra Della
An N
98
Mi fia straniera valle, ed al mio sguardo e[d] dal
An
99
Fuggirà l’avvenir; di voi per certo
An
100 Risovverrammi; e quella imago ancora quell’
An N
101 Sospirar mi farà, farammi acerbo
An
90 An 101 An
(E poi) (Allor mirando) (Il cor mi stringerà)
a b
102 103 104 105 106 107 108 109
L’esser vissuto indarno, e la dolcezza Del dì fatal tempererà d’affanno. E già nel primo giovanil tumulto Di contenti, d’angosce e di desio, Morte chiamai più volte, e lungamente Mi sedetti colà su la fontana Pensoso di cessar dentro quell’acque La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
102 L’avere i giorni miei vissuto indarno. An [avere] [i giorni] [miei] indarno[.] esser indarno, Le la dolcezza
a b
103 Del dì fatal tempererà d’affanno.
An
104 E già nel primo giovanil tumulto
An
105 Di contenti, d’affanni e di desio, [affanni] angosce
An
a b
106 Morte chiamai più volte, e fiso il guardo, [fiso il guardo,] lungamente
An
a b
107 Mi sedetti colà su la fontana, fontana
An F
108 Pensoso di cessar dentro quell’acque
An
109 La speme e il dolor mio. Poscia, per lungo [lungo] lento [lento] cieco
An
108 An
a b g
(fuggir)
102 An b trasforma il punto in una virgola e inserisce il v. 103 Del dì e c c. nello spazio fra questo verso e il seguente E già ecc. 103 An inserito in caratteri più piccoli contemporaneamente alla correzione di 102 An b 105 An b della stessa penna di 103 An
110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121
Malor, condotto della vita in forse, Piansi la bella giovanezza, e il fiore De’ miei poveri dì, che sì per tempo Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso Sul conscio letto, dolorosamente Alla fioca lucerna poetando, Lamentai co’ silenzi e con la notte Il fuggitivo spirto, ed a me stesso In sul languir cantai funereo canto. Chi rimembrar vi può senza sospiri, O primo entrar di giovinezza, o giorni Vezzosi, inenarrabili, allor quando
110 Malor, condotto de la vita in forse, della
An N
111 Piansi la bella giovanezza, e il fiore
An
112 De’ miei poveri dì, che sì per tempo
An
113 Cadeva: e spesso, a l’ore tarde, assiso spesso all’
An F N
114 Sul conscio letto, dolorosamente
An
115 A la fioca lucerna poetando, Alla
An N
116 Lamentai co’ silenzi e con la notte
An
117 Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
An
118 In sul languir cantai funereo canto.
An
119 Chi rimembrar vi può senza sospiri,
An
120 O primo tempo giovanile, o giorni entrar di giovinezza,
An N
121 Vezzosi, inenarrabili, allor quando
An
117 An 118 An 120 An
(la mia sorte infelice) (carme) (fior di giovanezza)
122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132
Al rapito mortal primieramente Sorridon le donzelle; a gara intorno Ogni cosa sorride; invidia tace, Non desta ancora ovver benigna; e quasi (Inusitata maraviglia!) il mondo La destra soccorrevole gli porge, Scusa gli errori suoi, festeggia il novo Suo venir nella vita, ed inchinando Mostra che per signor l’accolga e chiami? Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo Son dileguati. E qual mortale ignaro
122 Al rapito mortal primieramente
An
123 Sorridon le donzelle, a gara intorno donzelle;
An F
124 Ogni cosa sorride, invidia tace, sorride;
An F
125 Non desta ancora o pur benigna, e quasi [o pur] ˆ ovver ˆ benigna;
An F
126 (Inusitata maraviglia!) il mondo meraviglia!) maraviglia!)
An F N
127 La destra soccorrevole gli porge,
An
128 Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
An
129 Suo venir ne la vita, ed inchinando nella
An N
130 Mostra che per signor l’accolga e chiami?
An
131 Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo
An
132 Son dileguati. E qual mortale ignaro
An
125 An 132 An
([b]talor) (o non ardita) (scorsi gli vedi)
125 An var. (talor) con t su b (cf. benigna 125 An a)
a b
133 134 135 136 137
Di sventura esser può, se a lui già scorsa Quella vaga stagion, se il suo buon tempo, Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta? O Nerina! e di te forse non odo Questi luoghi parlar? caduta forse
133 Di sventura dirai, s’egli ha trascorsa esser può, se a lui già scorsa
An F
134 Quella dolce stagion, se pensa e sente [dolce] vaga se il suo buon tempo,
An
134bis Quel
quat
134
F
ch’ei perdè, quel ch’altro bene al mondo An (al mondo) in terra
134ter Compensar non potria? poscia, mirando, Sempre men lieti dì, sempre più vota
134quinD’ogni
An An
134sexLa sua futura età si vede innanzi?
An
135 Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
F
136 O Nerina! e di te forse non odo
An
137 Questi luoghi parlar? caduta forse
An
134
134bis 135
a b
An
piacer, più faticosa e trista
133 An 134 An 134quat An 134quin An
a b
(fornita) (vaga) (peggiori) (fastidiosa) (grave)
An i vv. 134-134sexies di An sono stati ridotti a un unico distico 134-135 in F An var. a (vaga) b [(]vaga[)] accolto nel verso in luogo di dolce cancellando le parentesi tonde An b trasforma al mondo in variante inserendo parentesi tonde e aggiungendo a fianco in terra F vd. 134 An app. crit.
138 139 140 141 142 143 144 145 146
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Che qui sola di te la ricordanza Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede Questa Terra natal: quella finestra, Ond’eri usata favellarmi, ed onde Mesto riluce delle stelle il raggio, È deserta. Ove sei, che più non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, Quando soleva ogni lontano accento
138 Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
An
139 Che qui sola di te la ricordanza
An
140 Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
An
141 Questa Terra natal: quella finestra,
An
142 Ond’eri usata favellarmi, e dove ed onde
An N
143 Mesto riluce de[l]le stelle il raggio, delle
An N
144 È deserta. Altro tempo. I giorni tuoi È deserta.✠ ✠Ove sei, che più non odo sei sei,
An
145 La tua voce sonar, siccome un giorno,
An
146 Quando soleva ogni lontano accento
An
140 An 142 An 143 An
a b
F N
(Nerina) (ed onde) (ritorna) (Riluce or)
140 An var. cioè Trovo, Nerina mia? 144 An ✠ nel verso richiama la nota a margine + V. in fine. che rinvia alla fine del quaderno, dove (nella facciata successiva a quella in cui termina XXV. Il sabato del villaggio) si trovano il testo dei vv. 144-148 da Ove sei a Scolorarmi? e, con diverso segno di richiamo, quello dei vv. 162-165
147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157
Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri Il passar per la terra oggi è sortito, E l’abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte La gioia ti splendea, splendea negli occhi Quel confidente immaginar, quel lume Di gioventù, quando spegneali il fato, E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
147 Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
An
148 Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
An
149 Furo, mio dolce amor. Passasti[:]. Ad altri
An
150 Il passar per la terra oggi è sortito,
An
151 E l’abitar questi odorati colli.
An
152 Ma rapida passasti; e come un sogno
An
153 Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte
An
154 La gioia ti splendea, splendea ne gli occhi negli
An N
155 Quel confidente immaginar, quel lume
An
156 Di gioventù, quando spegneali il fato,
An
156bis [(]Spegnea quegli occhi desiati e pianti[)],
An
157 E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna, regna
An F
157bis Pur come ier da noi fossi partita,
An
147 An 152 An
(De le tue labbra, a me giungendo) (fuggendo, Fuggitiva)
148 An 156bis An
vd. 144 An app. crit.; Altro tempo ecc. in 144 An a verso dapprima posto come variante e poi accolto nel testo cancellando le parentesi tonde e aggiungendo la virgola, ma non accettato in F e N non accolto in F e N
157bis An
158 159 160 161 162 163 164 165
L’antico amor. Se a feste anco talvolta, Se a radunanze io movo, infra me stesso Dico: o Nerina, a radunanze, a feste Tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Van gli amanti recando alle fanciulle, Dico: Nerina mia, per te non torna Primavera giammai, non torna amore.
158 L’immagin tua (l’antico amor.). S’ a feste An Lanco talvolta, (L’immagin tua) [(l]’antico amor.[).] S[’] a L Se a 159 Se a radunanze io movo, infra me stesso
An
160 Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
An
161 Tu non ti acconci più, tu più non movi. ✃
An
162 ✃ Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
An
163 Van gli amanti recando a le fanciulle, alle
An N
164 Dico: Nerina mia, per te non torna
An
165 Primavera giammai, non torna amore.
An
162 An 164 An
165 An
a b
(e recan suoni, serti, e rami Gli amanti, come è l’uso) (riede) (per te non sono Canti o serti. fronde, serti nè canti, o conˆ centi, canti o ghirlande Nessun più reca a te, nessun t’onora.[)] già non si fanno Di questi doni, onori, a te; p. te non torna ec.) (mai più)
158 An b trasforma L’immagin tua in variante chiudendola fra parentesi tonde e accoglie la variante che seguiva, cancellando le parentesi tonde e modificando l in L 161 An dopo movi la nota marginale ✃ V. in fine. che rinvia alla fine del quaderno (vd. 144 An app. crit.) dove si trovano i vv. 162-165 164 An var. fronde, aggiunto con segno di inserzione ripetuto prima di serti nè ˆ
166 167 168 169 170 171 172 173
Ogni giorno sereno, ogni fiorita Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento, Dico: Nerina or più non gode; i campi, L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Sospiro mio: passasti: e fia compagna D’ogni mio vago immaginar, di tutti I miei teneri sensi, i tristi e cari Moti del cor, la rimembranza acerba.
166 Ogni giorno sereno, ogni fiorita
An
167 Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
An
168 Dico: Nerina or più non gode; i campi,
An
169 L’aria non mira. Ahi, tu passasti, eterno Ahi tu
An F
170 Sospiro mio: passasti: e fia compagna
An
171 D’ogni mio vago immaginar, di tutti
An
172 I miei teneri sensi, i tristi e cari
An
173 Moti del cor, la rimembranza acerba.
An
166 An 169 An
(leggiadra vista, notte serena) (serena) (acque, astri)
166 An var. il secondo (serena) è variante per fiorita
XXIII. CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore Move la greggia oltre pel campo, e vede Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale?
21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32
Vecchierel bianco, infermo, Mezzo vestito e scalzo, Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle, Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa L’ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, Varca torrenti e stagni, Cade, risorge, e più e più s’affretta, Senza posa o ristoro, Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
33 34 35 36 37 38
Colà dove la via E dove il tanto affaticar fu volto: Abisso orrido, immenso, Ov’ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale È la vita mortale.
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60
Nasce l’uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso La madre e il genitore Il prende a consolar dell’esser nato. Poi che crescendo viene, L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre Con atti e con parole Studiasi fargli core, E consolarlo dell’umano stato: Altro ufficio più grato Non si fa da parenti alla lor prole. Ma perchè dare al sole, Perchè reggere in vita Chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura, Perchè da noi si dura? Intatta luna, tale È lo stato mortale. Ma tu mortal non sei, E forse del mio dir poco ti cale.
61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che sì pensosa sei, tu forse intendi, Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante, E perir dalla terra, e venir meno Ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi Il perchè delle cose, e vedi il frutto Del mattin, della sera,
72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104
Del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Rida la primavera, A chi giovi l’ardore, e che procacci Il verno co’ suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, Che son celate al semplice pastore. Spesso quand’io ti miro Star così muta in sul deserto piano, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Ovver con la mia greggia Seguirmi viaggiando a mano a mano; E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? Così meco ragiono: e della stanza Smisurata e superba, E dell’innumerabile famiglia; Poi di tanto adoprar, di tanti moti D’ogni celeste, ogni terrena cosa, Girando senza posa, Per tornar sempre là donde son mosse; Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri, Che dell’esser mio frale, Qualche bene o contento Avrà fors’altri; a me la vita è male.
105 106 107 108 109 110 111
O greggia mia che posi, oh te beata, Che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perchè d’affanno Quasi libera vai; Ch’ogni stento, ogni danno, Ogni estremo timor subito scordi;
112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132
Ma più perchè giammai tedio non provi. Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, Tu se’ queta e contenta; E gran parte dell’anno Senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, E un fastidio m’ingombra La mente, ed uno spron quasi mi punge Sì che, sedendo, più che mai son lunge Da trovar pace o loco. E pur nulla non bramo, E non ho fino a qui cagion di pianto. Quel che tu goda o quanto, Non so già dir; ma fortunata sei. Ed io godo ancor poco, O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno. Se tu parlar sapessi, io chiederei: Dimmi: perchè giacendo A bell’agio, ozioso, S’appaga ogni animale; Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
133 134 135 136 137 138 139
Forse s’avess’io l’ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, dolce mia greggia, Più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero,
An
(Bibl. Naz. Napoli, XXIII. 25) tre fogli inseriti l’uno dentro l’altro in modo da formare un unico quaderno di dodici facciate, di cui le ultime quattro sono rimaste in bianco; la successione delle sei strofe nel manoscritto non corrisponde a quella che esse hanno nelle stampe e che è indicata da Leopardi con un numero d’ordine posto prima del verso iniziale di ciascuna strofa, secondo questa disposizione:
140 141 142 143
F N Nc
Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: Forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, È funesto a chi nasce il dì natale.
facciata 1-2 strofa 1. vv. 1-20 2-3 2. 21-38 3-4 5. 105-132 4-5 3. 39-60 6-8 4. 61-104 8 6. 133-143 Sulla collocazione delle varianti fra parentesi nel testo vd. XXII. Le ri cordanze p. 471-472 An pp. 145-151 pp. 108-113
data 1829. 22 Ottob. – 1830. 9 Aprile.
An
tit.
An
Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia (I). XXI. | CANTO NOTTURNO | DI UN PASTORE VAGANTE DELL’ASIA (1).
F
XXIII. | CANTO NOTTURNO | DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA (9).
N
nota (I) PLUSIEURS D’ENTRE EUX (parla dei KIRKI, An [dei KIRKI,] ˆ di una delle ˆ nazione errante, che vive a settentrione dell’Asia An Lcentrale) nazion[e] errant[e,] [che vive a settentrione] L[centrale]) nazioni erranti PASSENT LA NUIT ASSIS SUR UNE PIERRE À REGARDER An LLA LUNE, ET À IMPROVISER DES PAROLES ASSEZ TRISTES SUR An LDES AIRS QUI An NE LE SONT PAS MOINS. Il barone di Meyendorff, LVOYAGE Barone di Meyendorff N D’ORENBOURG À BOUKHARA, FAIT EN 1820; An Lappresso il Giornale 1820: giornale N An dei dotti, 1826, SEPTEMBRE, P. 518. 1826, 518. F N des Savans 1826. septembre p. 518. data tit. F N nota An
a b a b
solo in An numero di rinvio a p. 153: NOTA. | (1) Plusieurs ecc. numero di rinvio a p. 175: Pag. 108. (9) Plusieurs ecc. (nota interamente in carattere tondo) fra il titolo e l’inizio del canto, separata da due lunghe linee orizzontali, di cui quella inferiore è stata poi cancellata
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore Move la greggia oltre pel campo, e vede
1
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi; che fai, dimmi[;] dimmi,
An
2
Silenziosa luna?
An
3
Sorgi la sera, e vai,
An
4
Contemplando i deserti; indi ti posi.
An
5
Ancor non sei tu paga
An
6
Di riandare i sempiterni calli?
An
7
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
An
8
Di mirar queste valli?
An
9
Somiglia a la tua vita alla
An N
10
La vita del pastore.
An
11
Sorge in sul primo albore; albore
An F
12
Move la greggia oltre pel campo, e vede
An
1 An
a b
il verso è preceduto dal numero di strofa 1. (vd. qui pp. 496-497 An) b prolunga i fino a raggiungere il punto del punto e virgola, cancella la virgola sotto tale prolungamento e la riscrive nello spazio rimasto prima di che; oppure, meno probabilmente, in a si avevano i due punti (cf. v. 16, 18 e 129) ed ora, dopo avere trasformato il punto in basso in una virgola, lo ha cancellato e riscritto
13 14 15 16 17 18 19
Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Questo vagar mio breve,
13
Greggi, fontane ed erbe;
An
14
Poi stanco si riposa in su la sera: sera. sera[.] sera:
An N Nc
15
E mai
null’altro
spera.
(a la Ldomane).
An
E [mai] [null’]altro ˆ Ed non ispera [Ed] [altro] [non] [ispera] [. (a la Ldomane).] Altro mai non ispera. [mai] pur mai N
a b g d
16
Dimmi, o luna: a che vale
An
17
A te quella tua vita, [A te quella tua] Al pastor la sua
An
a b
18
La sua vita al pastor? dimmi: ove tende [su]a [al pastor?] vostra a voi?
An
a b
19
Questo vagar mio breve,
An
18 An
(ove è rivolto)
15 An g Altro ecc. aggiunto sulla stessa riga del v. 14 (a la domane). è cancellato con una sola linea che parte dal punto dopo ispera e dunque dovrebbe essere stato eliminato in questa fase
20 21 22 23 24 25 26
Il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo, Mezzo vestito e scalzo, Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle, Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
20
Il tuo corso immortale?
An
21
Vecchierel bianco, mezzo ignudo e scalzo, bianco, [mezzo ignudo] ˆ infermo, ˆ Mezzo vestito e scalzo,
An
23
Carco di soma asprissima le spalle, [Carco di soma asprissima] Con gravissimo fascio in su
An
24
Per montagna e per valle,
An
25
Per sassi acuti, ed alte arene, e fratte, alt[e] [a]ren[e], alta rena,
An
a b
26
A la p An Al [la] [p] vento, a la procella, e quando Lavvampa [procella,] ˆ tempesta, alla N
a b
22
a b
An a b
g
23 An a (di grave fascio in su ) b (di [grave] [fascio in su]) (dispietato ) 21 An il verso è preceduto dal numero di strofa 2. (vd. qui pp. 496-497 An) 22 An b Mezzo vestito è contemporaneo della fase b del v. 21 An e si trova aggiunto sopra il v. 21 An a (che così viene sdoppiato in due versi) a destra di infermo, 25 An b [a]ren può anche essere successivo ad aren[e] 26 An a ha interrotto la stesura, invertendo in b la successione dei sostantivi g trasforma la virgola dopo procella in segno di inserzione
27 28 29 30 31 32 33 34
L’ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, Varca torrenti e stagni, Cade, risorge, e più e più s’affretta, Senza posa o ristoro, Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva Colà dove la via E dove il tanto affaticar fu volto:
27
L’ora, e quando poi gela,
An
28
Corre via, corre, anela,
An
29
Varca torrenti e fosse, foss[e], fossi, [fossi,] stagni,
An
30
Cade spesso,
g
e risorge, e più
An Ls’affretta,
Cade, [spesso][,] [e] risorge, e più ˆ
a b
e più
31
Senza posa o ristoro,
An
32
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
An
33
Colà dove la via
An
34
E dove il tanto affaticar fu volto; volto[;] volto:
An
29 An 32 An
a b
a b
(fossi, gorghi, frane, chiane) (e mezzo spento)
29 An g inserita dopo e una parentesi che trasforma fossi in variante, gli ha preferito stagni ed ha aggiunto altre varianti
35 36 37 38 39 40 41 42 43
35
Abisso orrido, immenso, Ov’ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale È la vita mortale. Nasce l’uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso La madre e il genitore
Abisso orrido, immenso, [Abisso orrido, immenso] Fossa capace, oscura, [Fossa] [capace] [oscura] Abisso orrido, immenso,
An
36
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
An
37
Vergine luna, tale
An
38
È la vita mortale.
An
39
Nasce l’uomo a fatica,
An
40
Ed è rischio di morte il nascimento.
An
41
Prova pena e tormento
An
42
Per prima cosa; e in su l’entrar suo primo L(principio stesso) sul[l’entrar suo primo] L[(]principio stesso[)]
An
La madre e il genitore
An
43
a b g
a b
42 An a (e infin sul primo istante,) b [)] e in su quell’ora istessa) 35 An b correzione aggiunta sulla stessa riga, a destra della cancellazione g di mano del Ranieri 39 An è preceduto dal numero di strofa 3. e sull’autografo si trova dopo il v. 132 e relative varianti (vd. qui pp. 496-497 An) 42 An var. b: trasforma la seconda parentesi in e
44 45 46 47 48 49 50
Il prende a consolar dell’esser nato. Poi che crescendo viene, L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre Con atti e con parole Studiasi fargli core, E consolarlo dell’umano stato: Altro ufficio più grato
44
Il prende a consolar de l’esser nato. dell’
An N
45
Poi che crescendo viene, viene viene,
An F N
46
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
An
47
Con atti e con parole
An
48
Consolarlo procura. [Consolarlo procura] [.]S’ingegna fargli core [S’ingegna] Studiasi core,
An
49
50
Del suo misero stato: [Del suo misero stato:] E consolarlo de l’umano stato: dell’ Altro officio più grato [o]fficio ufficio
48 An a (S’INGEGNA) b [(S’INGEGNA)] 49 An (E l’incuora a patir l’umano stato)
a b g
N An N An Nc
a b
51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62
51
Non si fa da parenti alla lor prole. Ma perchè dare al sole, Perchè reggere in vita Chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura, Perchè da noi si dura? Intatta luna, tale È lo stato mortale. Ma tu mortal non sei, E forse del mio dir poco ti cale. Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Non si fa da’ parenti a la lor prole. da[’] da’ parenti alla da parenti da[’]
An
52
Ma perchè dare al sole,
An
53
Perchè reggere in vita
An
54
Chi poi di quella consolar convenga?
An
55
Se la vita è sventura,
An
56
Perchè da noi si dura?
An
57
Intatta luna, tale
An
58
È lo stato mortale.
An
59
Ma tu mortal non sei,
An
60
E forse del mio dir poco ti cale.
An
61
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
An
62
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
An
51 An
a b
N N Err Nc
54 An
(s’usa) (Non han proprio i p., color, verso, inver la prole. Non s’aspetta a i parenti inver. Non debbono.) (CONVEGNA)
61 An 62 F
il verso è preceduto dal numero di strofa 4. (vd. qui pp. 496-497 An) Che si pensosa per errore tipografico
63 64 65 66 67 68 69 70 71 72
Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante, E perir dalla terra, e venir meno Ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi Il perchè delle cose, e vedi il frutto Del mattin, della sera, Del tacito, infinito andar del tempo.
63
[Che sia q]Questo viver terreno,
An
64
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
An
65
Che sia questo morir, questo supremo
An
66
Scolorar del sembiante,
An
67
E perir da la terra, e venir meno dalla
An N
68
Ad ogni usata, amante compagnia.
An
69
E tu certo comprendi
An
70
Il perchè [delle] de le cose, e vedi il frutto delle
An N
71
Del mattin, de la sera, della
An N
72
Del taciturno, antico, [andar] An L(tacito, infinito) andar del tempo. (taciturno, antico[,] muto, sempiterno) ˆ L[(]tacito, infinito[)] andar del tempo.
64 An 72 An 63 An
a b
(dolorar, lagrimar) (mondo, ore, anni.)
ha cancellato (e trasformato q in Q) durante la stesura del verso, in cui forse aveva cominciato a copiare per errore il v. 65 72 An b inserisce una parentesi tonda prima di taciturno, trasforma la virgola dopo antico in segno di inserzione, aggiunge muto, sempiterno) sopra [andar] e toglie le successive parentesi accogliendo nel verso le varianti che esse racchiudevano
73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Rida la primavera, A chi giovi l’ardore, e che procacci Il verno co’ suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, Che son celate al semplice pastore. Spesso quand’io ti miro Star così muta in sul deserto piano, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Ovver con la mia greggia Seguirmi viaggiando a mano a mano;
73
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
An
74
Rida la primavera,
An
75
A chi giovi l’ardore, e che procacci
An
76
Il verno co’ suoi ghiacci.
An
77
Mille cose sai tu, mille discopri,
An
78
Che son celate al semplice pastore.
An
79
Spesso, quand’io ti miro Spesso[,]
An
80
Star così muta in sul deserto piano,
An
81
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
An
82
Ovver con la mia greggia
An
83
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
An
73 An 78 An 80 An 81 An 82 An 83 An
a b
(secreto) (umile) (Che indovinar non può rozzo pastore. Che saper non conviensi ad un. Che ignoranza nasconde a noi pastori) (queta) (in giro da lont.) (dinanzi a me) (torma) (Preceder)
80 An var. aggiunta sopra il verso, con segno di inserzione dopo muta
84 85 86 87 88 89 90 91
84
E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? Così meco ragiono: e della stanza Smisurata e superba,
E quando miro in cielo arder le stelle; ciel cielo
An F N
84bis Questi pensieri in mente
An
85
Vo rivolgendo, assai gran tempo, e dico: Dico fra me pensando:
An N
86
A che tante facelle?
An
87
Che fan l’aure infinite, e quel profondo fa[n] l’[aure] infinit[e], aria infinita,
An
88
Infinito seren? che vuol dir questa
An
89
Solitudin[i] immens[e]? ed io che sono? Solitudine immensa?
An
a b
90
Così meco ragiono; e de la stanza ragiono[;] ragiono: della
An
a b
Smisurata e superba,
An
91
87 An
84bis An 87 89
a b
N
(A che) (Che fan quelle profonde Regioni del ciel? che [v]montan, vaglion, queste ec.) (aere)
eliminato dopo F insieme con la stesura del v. 85 e sostituito dall’unico v. 85 N An var. (A che) variante nel verso; (aere) aggiunto sopra il verso a destra di aria; (Che fan ecc. sotto il v. 88 An a per il plurale cf. le varianti di 87 An
92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102
E dell’innumerabile famiglia; Poi di tanto adoprar, di tanti moti D’ogni celeste, ogni terrena cosa, Girando senza posa, Per tornar sempre là donde son mosse; Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri, Che dell’esser mio frale,
92
E de l’innumerabile famiglia; dell’
An N
93
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
An
94
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
An
95
Girando senza posa,
An
96
Per tornar sempre là donde son mosse;
An
97
Uso alcuno, alcun frutto
An
98
Indovinar non so. Ma tu per certo,
An
99
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
An
100 Questo io conosco e sento: sento[:] sento,
An
101 Che de gli eterni giri, degli
An N
102 Che de l’esser mio frale, dell’
An N
95 An 98 An 99 An 100 An
a b
(E girar) (immaginar) (Malinconica luna, intendi) (o cara luna)
100 An var. propriamente non una variante, ma una possibile inserzione: io conosco, o cara luna, e sento:
103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114
Qualche bene o contento Avrà fors’altri; a me la vita è male. O greggia mia che posi, oh te beata, Che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perchè d’affanno Quasi libera vai; Ch’ogni stento, ogni danno, Ogni estremo timor subito scordi; Ma più perchè giammai tedio non provi. Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, Tu se’ queta e contenta;
103 Qualche bene o contento
An
104 Avrà fors’altri; a me la vita è male.
An
105 O greggia mia che posi, o te beata, oh
An
106 Che l[e]a miseria tua, credo, non sai!
An
107 Quanta invidia ti porto!
An
108 Non sol perchè d’affanno
An
109 Quasi libera vai, vai;
An N
110 Ch’ogni tuo rischio o danno, [tuo] [rischio] [o] stento, ogni
An
111 Ogni estremo timor subito scordi;
An
112 Ma più perchè giammai tedio non provi.
An
113 Quando tu siedi a l’ombra, sovra l’erbe, all’
An N
114 Tu se’ queta e contenta;
An
a b
a b
110 An
(Che so ben ch’ogni danno)
105 An
è preceduto dal numero di strofa 5. e sull’autografo si trova dopo il v. 38 (vd. qui pp. 496-497 An)
115 116 117 118 119 120 121 122
E gran parte dell’anno Senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, E un fastidio m’ingombra La mente, ed uno spron quasi mi punge Sì che, sedendo, più che mai son lunge Da trovar pace o loco. E pur nulla non bramo,
115 E gran parte de l’anno dell’
An N
116 Dolcemente consumi in quello stato. (Dolcemente) ˆ Senza noia
An
117 Ed io pur seggo sovra l’erbe, a l’ombra, all’
An N
118 E un fastidio m’ingombra
An
119 La mente, ed uno spron quasi mi punge, punge[,]
An
a b
120 Sì che sedendo, più che mai son lunge S[ì] ch[e] Sicchè, Si[c]ch[è], S ì che, [Sì] che, Sì
An
a b
121 Da trovar pace e loco. [e] o
An
122 E pur nulla non bramo,
An
a b
g d a b
120 An b la virgola prima di sedendo pare inserita dopo a, forse in corrispondenza con la sua cancellazione in 119 An b g pone l’accento grave su i, cancella c e l’accento grave di è d per maggiore chiarezza cancella Sì e lo riscrive al di sopra 122 F E per nulla per errore tipografico
123 124 125 126 127 128 129 130 131 132
E non ho fino a qui cagion di pianto. Quel che tu goda o quanto, Non so già dir; ma fortunata sei. Ed io godo ancor poco, O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno. Se tu parlar sapessi, io chiederei: Dimmi: perchè giacendo A bell’agio, ozioso, S’appaga ogni animale; Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
123 E non ho fino a qui cagion di pianto.
An
124 Quel che tu goda o quanto,
An
125 Non so già dir; ma fortunata sei.
An
126 Ed io godo ancor poco,
An
127 O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
An
128 Se tu parlar sapessi, io chiederei:
An
129 Dimmi: perchè giacendo
An
130 A bell’agio, ozioso,
An
131 S’appaga ogni animale;
An
132 Me, se in ozio mi poso, il tedio assale? [se in ozio mi poso] s’io giaccio in riposo,
An
a b
132 An
(ne l’ozio e il riposo; su, fra l’. o riposo. s’io giaccio in, e, riposo) (Me tosto ov’io mi poso, in sul riposo, allor ch’io poso, compagno al riposo. A me l’ozio e ’l. A l’uomo ozio.)
132 N
assale (10)? con numero di rinvio alla nota delle pp. 175-176 qui riprodotta a p. 514
133 134 135 136 137 138 139 140 141
Forse s’avess’io l’ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, dolce mia greggia, Più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero, Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: Forse in qual forma, in quale
133 Forse s’avessi io l’ale avess’io
An F
134 Da volar su le nubi,
An
135 E noverar le stelle ad una ad una,
An
136 O come il tuono errar di giogo in giogo,
An
137 Più felice sarei, dolce mia greggia,
An
138 Più felice sarei, candida luna.
An
139 O forse erra dal vero,
An
140 Mirando a l’altrui sorte, il mio pensiero: all’
An N
141 Forse in qual forma, in quale
An
136 An
(monte, balza)
133 An
è preceduto dal numero di strofa 6. e sull’autografo si trova dopo il v. 104 (vd. qui pp. 496-497 An)
142 Stato che sia, dentro covile o cuna, 143 È funesto a chi nasce il dì natale.
142 Stato che sia, qual s’è covile o cuna, [qual s’è] dentro
An
143 È funesto a chi nasce il dì natale.
An
142 An
143 An
a b
(terreno, foresta ec.) (dentro qual nido) (paese) (in cuna. (È misero)
N pp. 175-176 reca la nota seguente, che si riferisce al v. 132:
P a g. 113. (10) Il signor Bothe, traducendo in bei versi tedeschi questo componimento accusa, gli ultimi sette versi della presente componimento, accusa[,] Nc stanza di tautologia, cioè di ripetizione delle cose dette avanti. Segue il pastore: ancor io provo pochi piaceri (godo ancor poco); nè mi lagno di questo solo, cioè che il piacere mi manchi; mi lagno dei patimenti che provo, cioè della noia. Questo non era detto avanti. Poi, conchiudendo, riduce in termini brevi la quistione trattata in tutta la stanza; perchè gli animali non s’annoino, e l’uomo sì: la quale se fosse tautologia, tutte quelle conchiusioni dove per evidenza si riepiloga il discorso, sarebbero tautologie. 142 An var. (paese) aggiunto sopra il verso, con segno di inserzione dopo covile
XXIV. LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24
Passata è la tempesta: Odo augelli far festa, e la gallina, Tornata in su la via, Che ripete il suo verso. Ecco il sereno Rompe là da ponente, alla montagna; Sgombrasi la campagna, E chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Risorge il romorio Torna il lavoro usato. L’artigiano a mirar l’umido cielo, Con l’opra in man, cantando, Fassi in su l’uscio; a prova Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua Della novella piova; E l’erbaiuol rinnova Di sentiero in sentiero Il grido giornaliero. Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride Per li poggi e le ville. Apre i balconi, Apre terrazzi e logge la famiglia: E, dalla via corrente, odi lontano Tintinnio di sonagli; il carro stride Del passegger che il suo cammin ripiglia.
25 26 27 28 29 30 31 32
Si rallegra ogni core. Sì dolce, sì gradita Quand’è, com’or, la vita? Quando con tanto amore L’uomo a’ suoi studi intende? O torna all’opre? o cosa nova imprende? Quando de’ mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d’affanno;
33 34 35 36 37 38 39 40 41
Gioia vana, ch’è frutto Del passato timore, onde si scosse E paventò la morte Chi la vita abborria; Onde in lungo tormento, Fredde, tacite, smorte, Sudàr le genti e palpitàr, vedendo Mossi alle nostre offese Folgori, nembi e vento.
42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
O natura cortese, Son questi i doni tuoi, Questi i diletti sono Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena È diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana Prole cara agli eterni! assai felice Se respirar ti lice D’alcun dolor: beata Se te d’ogni dolor morte risana.
An F N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, XIII. 21) vd. XXII. Le ricordanze p. 471-472 An (alcune delle varianti fra parentesi si lasciano inserite nel verso secondo il criterio lì esposto) pp. 155-157 pp. 114-116
data 17-20 Sett. 1829.
An
tit.
La quiete dopo la tempesta.
An
XXII. | LA QUIETE | DOPO LA TEMPESTA.
F
XXIV. | LA QUIETE | DOPO LA TEMPESTA. N
data
solo in An
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Passata è la tempesta: Odo augelli far festa, e la gallina, Tornata in su la via, Che ripete il suo verso. Ecco il sereno Rompe là da ponente, alla montagna; Sgombrasi la campagna, E chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Risorge il romorio Torna il lavoro usato.
1
Passata è la tempesta:
An
2
Odo augelli far festa, e la gallina,
An
3
Tornata in su la via,
An
4
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
An
5
Spunta là da ponente, a la montagna; [Spunta] Rompe alla
An
6
Sgombrasi la campagna,
An
7
E chiaro ne la valle il fiume splende (appare). An [splende][(]appare[)]. An nella N
8
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
An
9
Risorge il romorio
An
Riede il garrire usato. [Riede il garrire usato.] Torna il lavoro usato.
An
10
2 An 6 An
(cantare) (spacciasi)
9 An aggiunto a destra del v. 8 dopo aver cancellato il v. 10 An a 10 An b la nuova stesura è aggiunta di séguito al v. 10 An a cancellato
a b
N a b
a b
11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
L’artigiano a mirar l’umido cielo, Con l’opra in man, cantando, Fassi in su l’uscio; a prova Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua Della novella piova; E l’erbaiuol rinnova Di sentiero in sentiero Il grido giornaliero. Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride Per li poggi e le ville. Apre i balconi, Apre terrazzi e logge la famiglia:
11
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
An
12
Con l’opra in man, cantando,
An
13
Fassi in su l’uscio; a prova
An
14
Vien fuor la femminetta a cor de l’acqua còr dell’
An F N
15
De la novella piova; Della
An N
16
E l’erbaiuol rinnova
An
17
Di sentiero in sentiero
An
18
Il grido giornaliero.
An
19
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride Ecco [Ecco]
An
20
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
An
21
Apre terrazzi e logge la famiglia:
An
21 An
a b
(Terrazzi — tutta la —)
19 An a verso rientrato (come i vv. 1, 25 e 42) per segnare l’inizio di una nuova strofa b elimina il verso rientrato cancellando Ecco di a e riscrivendo la parola, allineata con le parole iniziali degli altri versi
22 23 24 25 26 27 28 29 30
22
E, dalla via corrente, odi lontano Tintinnio di sonagli; il carro stride Del passegger che il suo cammin ripiglia. Si rallegra ogni core. Sì dolce, sì gradita Quand’è, com’or, la vita? Quando con tanto amore L’uomo a’ suoi studi intende? O torna all’opre? o cosa nova imprende?
E, da la via maestra, odi lontano via (maestra[,]) ˆ corrente, dalla
N
23
Tintinnio di sonagli; il carro stride
An
24
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
An
25
Si rallegra ogni core.
An
26
Sì dolce sì gradita dolce,
An N
27
Quand’è, com’or, la vita?
An
28
Quando con tanto amore
An
29
L’uomo a’ suoi studi intende?
An
30
O torna a l’opre? o cose nove imprende? cosa nova all’
An F N
22 An 28 An
An
a b
(via maggiore) (tal diletto)
22 An b trasforma maestra in variante racchiudendo la parola fra parentesi tonde e aggiungendo corrente, al di sopra, con segno di inserzione dopo via; è dubbio se la seconda parentesi copra una virgola o se piuttosto la virgola dopo E sia stata inserita in b contemporaneamente a quella dopo corrente 24 ed. Ranieri passeggier
31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41
31 31
Quando de’ mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d’affanno; Gioia vana, ch’è frutto Del passato timore, onde si scosse E paventò la morte Chi la vita abborria; Onde in lungo tormento, Fredde, tacite, smorte, Sudàr le genti e palpitàr, vedendo Mossi alle nostre offese Folgori, nembi e vento.
Quando de’ mali suoi men si ricorda? bis
An
Pur nulla più gentil, (Pur di) nulla migliore An (Pur nulla più gentil[,]) [(]Pur di[)] nulla
31ter È lo stato mortal, ch’ei fosse pria.
An
32
Piacer figlio d’affanno;
An
33
Gioia vana, ch’è frutto
An
34
Del passato timore, onde fu vinto (si scosse) An [fu vinto] [(]si scosse[)]
35
E paventò la morte
An
36
Chi la vita abborria;
An
37
Onde in lungo tormento,
An
38
Fredde, tacite, smorte,
An
39
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
An
40
Mossi a le nostre offese alle
An N
41
Folgori, nembi e vento.
An
a b
a b
31ter An (che dianzi ei fosse.) 41 An (Il foco, i nembi ec.) 31bis
An i vv. 31bis-ter dicono in a Pur nulla più gentil, nulla migliore | È lo stato mortal, ch’ei fosse pria e in b Pur di nulla migliore | È ecc.; non compaiono in F e N
42 43 44 45 46 47 48 49 50 51
O natura cortese, Son questi i doni tuoi, Questi i diletti sono Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena È diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana Prole cara agli eterni! assai felice
42
O natura cortese,
An
43
Son questi i doni tuoi,
An
44
Questi i diletti sono
An
45
Che tu porgi a i mortali. Uscir di pena ai
An N
46
È diletto fra noi.
An
47
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
An
48
Spontaneo
nasce: e di piacer, quel tanto [nasce:] ˆ sorge:
An
a b
49
Che, pur
quasi (per mostro e)
An
a
miracolo, Ltalvolta (, pur quasi) [(]per mostro e[)] miracolo[,]
b
50
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
An
51
Prole degna di pianto! assai felice [degna di pianto!] cara agli eterni!
An Nc
51 An 46 F 49 An
(Progenie miseranda!)
E diletto per errore tipografico il verso dice in a Che, pur quasi miracolo, talvolta e in b Che per mostro e miracolo talvolta 51 An var. in calce al v. 53 dopo una riga di intervallo; forse il punto esclamativo era dapprima un punto fermo
52 Se respirar ti lice 53 D’alcun dolor: beata 54 Se te d’ogni dolor morte risana.
52
Se respirar ti lice
An
53
Da i mali tuoi, beata D’alcun dolor, dolor[,] dolor:
An F Nc
54
Se te d’ogni dolor morte risana. [d’ogni] del tuo d’ogni
An
53 An
(da’ tuoi dolori ad ora ad or)
53
ed. Ranieri dolor;
F
a b
XXV. IL SABATO DEL VILLAGGIO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
La donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell’erba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine Su la scala a filar la vecchierella, Incontro là dove si perde il giorno; E novellando vien del suo buon tempo, Quando ai dì della festa ella si ornava, Ed ancor sana e snella Solea danzar la sera intra di quei Ch’ebbe compagni dell’età più bella. Già tutta l’aria imbruna, Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre Giù da’ colli e da’ tetti, Al biancheggiar della recente luna. Or la squilla dà segno Della festa che viene; Ed a quel suon diresti Che il cor si riconforta. I fanciulli gridando Su la piazzuola in frotta, E qua e là saltando, Fanno un lieto romore: E intanto riede alla sua parca mensa, Fischiando, il zappatore, E seco pensa al dì del suo riposo.
31 32
Poi quando intorno è spenta ogni altra face, E tutto l’altro tace,
33 34 35 36 37
Odi il martel picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa bottega alla lucerna, E s’affretta, e s’adopra Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
38 39 40 41 42
Questo di sette è il più gradito giorno, Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran l’ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
43 44 45 46 47 48 49 50 51
Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita È come un giorno d’allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
An F N Nc
(Bibl. Naz. Napoli, XIII. 21) vd. XXII. Le ricordanze pp. 471-472 An (alcune delle varianti fra parentesi si lasciano inserite nel verso secondo il criterio lì esposto) pp. 159-161 pp. 117-119
data ... – 29 Settem. 1829.
An
tit.
Il sabato del villaggio.
An
XXIII. | IL SABATO | DEL VILLAGGIO.
F
XXV. | IL SABATO | DEL VILLAGGIO.
N
data
solo in An
1 2 3 4 5 6 7 8
La donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell’erba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine
1
La donzelletta vien da la campagna, dalla
An N
2
In sul calar del sole,
An
3
Col suo fascio de l’erba; e reca in mano dell’
An N
4
Un mazzolin di rose e di viole,
An
5-7 5 6 7
i vv. 5-7 presentano questa prima stesura
Onde, siccome suole, (ella si appresta) An Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, (Ornare) il petto e il crine.
a
successivamente così modificata
5 6-7
Onde, siccome suole, [(]ella si appresta[)] An (Ornare ella si appresta) Dimani, al dì di festa, [(]Ornare[)] il petto Le il crine.
b
per ritornare infine alla prima redazione (An a)
5 6 7
Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
F
8
Siede con le vicine
An
5 An a le parole fra parentesi danno come variante una stesura dei vv. 5-7 On de, siccome suole, ella si appresta | Dimani, al dì di festa, | Ornare il petto e il crine. b la trasformazione di Ornare ella si appresta in variante e l’accettazione delle varianti di a nel testo danno per i vv. 5-7 la stesura che era variante di a
9 10 11 12 13 14 15 16 17
9
Su la scala a filar la vecchierella, Incontro là dove si perde il giorno; E novellando vien del suo buon tempo, Quando ai dì della festa ella si ornava, Ed ancor sana e snella Solea danzar la sera intra di quei Ch’ebbe compagni dell’età più bella. Già tutta l’aria imbruna, Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
Su la scala a filar la vecchierella,
An
10
Incontro là dove si perde il giorno;
An
11
E novellando vien del suo buon tempo,
An
12
Quando a i dì de la festa ella si ornava, ai della
An N
13
Ed ancor sana e snella
An
14
Solea danzar la sera intra di quei
An
15
Ch’ebbe compagni de l’età più bella. dell’
An N
16
Già tutta l’aria imbruna; imbruna[;] imbruna,
An
17
Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
An
9 An 14 An 15 An
a b
(soglia. Fuor de l’uscio) (danzar con quei) (ne l’)
16 An b la a di imbruna è prolungata fino a dissimulare il punto del punto e virgola
18 Giù da’ colli e da’ tetti, 19 Al biancheggiar della recente luna. 20 Or la squilla dà segno
18
19
20
Giù
da i
colli e da i L(P. le (Giù da i colli e da i L[(]P. le [(]Giù da [i] colli e da [i] da’ da’ L(P. [le]
tetti, valli e i tetti[,]) valli e i tetti,[)]
An sentieri)
b
sentieri[)],
g
valli e [i] sentieri[,]) p.
A la luce del vespro e de la luna. l[a] [luce] lo splendor l[o] [splendor] la luce ˆ Al biancheggiar della recente luna.
An
Or la squilla dà segno
An
19 An
a
a b g
N
(di)
18 An a scrive Giù da i colli e da i tetti, e accanto, fra parentesi, la variante (P. le valli e i sentieri) b trasforma Giù da i colli e da i tetti in variante ponendola fra parentesi (di cui la seconda cancella la virgola) e accetta nel testo la variante togliendo le parentesi impossibile accertare in quale fase abbia cancellato le e mutato i in p., che si direbbero modificazioni contemporanee al mutamento di da i in da’ 19 An g a sinistra di luce un segno di inserzione (che però viene a trovarsi sotto r di splendor); altro segno di inserzione a destra di la, segno che però potrebbe anche appartenere alla fase b
21 22 23 24 25 26 27
21
Della festa che viene; Ed a quel suon diresti Che il cor si riconforta. I fanciulli gridando Su la piazzuola in frotta, E qua e là saltando, Fanno un lieto romore:
De la festa che viene; ed Della
22 23
[e]d Ed Par
ch’a
a quel suono suon[o]
An N
a b
ˆ diresti ˆ
ciascun
24
[si.] si riconforti An Lil core. [Par] [c]h’a ciasc[un][si.] si riconforti Ch’a ciaschedun [Ch’a ciaschedun] si riconfort[i] ˆ L[il core] Che il cor si riconforta. ˆ I fanciulli gridando An
25
Su la piazzuola in frotta,
An
26
E qua e là saltando,
An
27
Fanno un lieto romore:
An
a b g
21 An a (Ed a — il core) b (Ed a quel suon diresti Che il cor. che a ciaschedun. e par ˆ che, udendo, Il cor. [)] che a tutti Si. [)] [E] e par che il core A ciaschedun si riconforti e rida.) 23 An (a le genti il cor) 25 An (a gara) 27 An (frastuono) 21 An var. a: di séguito al v. 21 An a, di cui è variante contemporanea b: in calce al v. 51 dopo un rigo di intervallo; suon omesso inavvertitamente e aggiunto al di sopra con segno di inserzione dopo quel 22 An è sviluppo di 21 An a, che viene così sdoppiato in due settenari in corrispondenza con il v. 23 An b 23 An a ha cancellato [si.] e ha proseguito (a le genti il cor) si riconforti il core.
28 29 30 31 32 33 34 35 36 37
E intanto riede alla sua parca mensa, Fischiando, il zappatore, E seco pensa al dì del suo riposo. Poi quando intorno è spenta ogni altra face, E tutto l’altro tace, Odi il martel picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa bottega alla lucerna, E s’affretta, e s’adopra Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
28
E intanto riede a la sua parca mensa, alla
An N
29
Fischiando, il zappatore,
An
30
E seco pensa al dì del suo riposo.
An
31
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
An
32
E tutto l’altro tace,
An
33
Odi il martel picchiare, odi la sega
An
34
Del legnaiuol, che veglia
An
35
Ne la chiusa bottega a la lucerna, Nella alla
An N
36
E s’affretta, e s’adopra
An
37
Di fornir l’opra innanzi al suon (far, Lanzi il chiarir) de l’alba. (innanzi al suon, [(]far.[,]) Lanzi il chiarir[)] de l’alba. dell’
An
28 An 30 An 31 An 33 An 35 An
b N
(E intanto il cammin fuma, e desioso A la — Ritorna —) (pensando) (pace) (foco) (fabbro) (officina)
28 An var. Ritorna forse su Rie inserendo i e trasformando ie in to 31 ed. Ranieri face senza virgola
a
38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48
Questo di sette è il più gradito giorno, Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran l’ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno. Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita È come un giorno d’allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave,
38
Questo di sette è il più gradito giorno,
An
39
Pien di speme e di gioia:
An
40
Diman tristezza e noia
An
41
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
An
42
Ciascuno, in suo pensier, farà ritorno. Ciascuno in suo pensier farà Ciascun Ciascuno Ciascu[n] Ciascuno
An F N N Err Nc
43
Garzoncello scherzoso,
An
44
Cotesta età fiorita
An
45
È come un giorno d’allegrezza pieno,
An
46
Giorno chiaro, sereno,
An
47
Che precorre a la festa di tua vita. alla
An N
48
Godi, fanciullo mio; stato soave,
An
43 An 46 An 47 An 48 An
(gentile) (un bel g.) (precede) (tempo)
49 Stagion lieta è cotesta. 50 Altro dirti non vo’; ma la tua festa 51 Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
49
Stagion lieta è cotesta.
An
50
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
An
51
Ch’anco tardi a venir, non ti sia grave. venir non
An F
49 An 50 An 51 An
(sorte) (Or non vo’ dirti più) (Che pur)
XXVI. IL PENSIERO DOMINANTE.
1 2 3 4 5 6
Dolcissimo, possente Dominator di mia profonda mente; Terribile, ma caro Dono del ciel; consorte Ai lúgubri miei giorni, Pensier che innanzi a me si spesso torni. sì spesso [si] sì
7 8 9 10 11 12
Di tua natura arcana Chi non favella? il suo poter fra noi Chi non sentì? Pur sempre Che in dir gli effetti suoi Le umane lingue il sentir propio sprona, Par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona.
13 14 15 16 17 18 19 20
Come solinga è fatta La mente mia d’allora Che tu quivi prendesti a far dimora! Ratto d’intorno intorno al par del lampo Gli altri pensieri miei Tutti si dileguàr. Siccome torre In solitario campo, Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.
21 22
Che divenute son, fuor di te solo, Tutte l’opre terrene,
11
N N Err Nc
ed. Ranieri proprio (certamente errato; non rilevante 1830 segg. Parali pomeni V. 25, 4 Veduto, si può dir, con gli occhi propi perché in rima con Etiopi, ma decisivo XXXV. Imitazione 1)
23 24 25 26 27 28
Tutta intera la vita al guardo mio! Che intollerabil noia Gli ozi, i commerci usati, E di vano piacer la vana spene, Allato a quella gioia, Gioia celeste che da te mi viene!
29 30 31 32 33 34 35 36
Come da’ nudi sassi Dello scabro Apennino A un campo verde che lontan sorrida Volge gli occhi bramoso il pellegrino; Tal io dal secco ed aspro Mondano conversar vogliosamente, Quasi in lieto giardino, a te ritorno, E ristora i miei sensi il tuo soggiorno.
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Quasi incredibil parmi Che la vita infelice e il mondo sciocco Già per gran tempo assai Senza te sopportai; Quasi intender non posso Come d’altri desiri, Fuor ch’a te somiglianti, altri sospiri.
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Giammai d’allor che in pria Questa vita che sia per prova intesi, Timor di morte non mi strinse il petto. Oggi mi pare un gioco Quella che il mondo inetto, Talor lodando, ognora abborre e trema, Necessitade estrema; E se periglio appar, con un sorriso Le sue minacce a contemplar m’affiso.
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Sempre i codardi e l’alme codardi,
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Ingenerose abbiette Ingenerose,
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Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
N Nc N Nc
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Subito i sensi miei; Move l’alma ogni esempio Dell’umana viltà subito a sdegno. Di questa età superba, Che di vote speranze si nutrica, Vaga di ciance, e di virtù nemica; Stolta, che l’util chiede, E inutile la vita Quindi più sempre divenir non vede; Maggior mi sento. A scherno Ho gli umani giudizi; e il vario volgo A’ bei pensieri infesto, E degno tuo disprezzator, calpesto.
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A quello onde tu movi, Quale affetto non cede? Anzi qual altro affetto Se non quell’uno intra i mortali ha sede? Avarizia, superbia, odio, disdegno, Studio d’onor, di regno, Che sono altro che voglie Al paragon di lui? Solo un affetto Vive tra noi: quest’uno, Prepotente signore, Dieder l’eterne leggi all’uman core.
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Pregio non ha, non ha ragion la vita Se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto; Sola discolpa al fato, Che noi mortali in terra Pose a tanto patir senz’altro frutto; Solo per cui talvolta, Non alla gente stolta, al cor non vile La vita della morte è più gentile.
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Per còr le gioie tue, dolce pensiero, Provar gli umani affanni, E sostener molt’anni Questa vita mortal, fu non indegno; Ed ancor tornerei, Così qual son de’ nostri mali esperto,
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Verso un tal segno a incominciare il corso: Che tra le sabbie e tra il vipereo morso, Giammai finor sì stanco Per lo mortal deserto Non venni a te, che queste nostre pene Vincer non mi paresse un tanto bene.
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Che mondo mai, che nova Immensità, che paradiso è quello Là dove spesso il tuo stupendo incanto Parmi innalzar! dov’io, Sott’altra luce che l’usata errando, Il mio terreno stato E tutto quanto il ver pongo in obblio! Tali son, credo, i sogni Degl’immortali. Ahi finalmente un sogno In molta parte onde s’abbella il vero Sei tu, dolce pensiero; Sogno e palese error. Ma di natura, Infra i leggiadri errori, Divina sei; perchè sì viva e forte, Che incontro al ver tenacemente dura, E spesso al ver s’adegua, Nè si dilegua pria, che in grembo a morte.
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E tu per certo, o mio pensier, tu solo Vitale ai giorni miei, Cagion diletta d’infiniti affanni, Meco sarai per morte a un tempo spento: Ch’a vivi segni dentro l’alma io sento Che in perpetuo signor dato mi sei. Altri gentili inganni Soleami il vero aspetto Più sempre infievolir. Quanto più torno A riveder colei Della qual teco ragionando io vivo, Cresce quel gran diletto, Cresce quel gran delirio, ond’io respiro. Angelica beltade! Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro, Quasi una finta imago
133 Il tuo volto imitar. Tu sola fonte 134 D’ogni altra leggiadria, 135 Sola vera beltà parmi che sia. 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147
Da che ti vidi pria, Di qual mia seria cura ultimo obbietto Non fosti tu? quanto del giorno è scorso, Ch’io di te non pensassi? ai sogni miei La tua sovrana imago Quante volte mancò? Bella qual sogno, Angelica sembianza, Nella terrena stanza, Nell’alte vie dell’universo intero, Che chiedo io mai, che spero Altro che gli occhi tuoi veder più vago? Altro più dolce aver che il tuo pensiero?
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 120-126, che qui si riproduce aggiungendovi le correzioni di Nc
XXVII. AMORE E MORTE. }On oiJ jeoi; vilou`s in, ajpojnhvskei nevoı. Muor giovane colui ch’al cielo è caro. MENANDRO.
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Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte Ingenerò la sorte. Cose quaggiù sì belle Altre il mondo non ha, non han le stelle. Nasce dall’uno il bene, Nasce il piacer maggiore Che per lo mar dell’essere si trova; L’altra ogni gran dolore, Ogni gran male annulla. Bellissima fanciulla, Dolce a veder, non quale La si dipinge la codarda gente, Gode il fanciullo Amore Accompagnar sovente; E sorvolano insiem la via mortale, Primi conforti d’ogni saggio core. Nè cor fu mai più saggio Che percosso d’amor, nè mai più forte Sprezzò l’infausta vita, Nè per altro signore Come per questo a perigliar fu pronto: Ch’ove tu porgi aita, Amor, nasce il coraggio, O si ridesta, e sapiente in opre, ridesta; ridesta[,] ridesta;
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Non in pensiero invan, siccome suole, Divien l’umana prole.
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Quando novellamente Nasce nel cor profondo
N N Err Nc
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Un amoroso affetto, Languido e stanco insiem con esso in petto Un desiderio di morir si sente: Come, non so: ma tale D’amor vero e possente è il primo effetto. Forse gli occhi spaura Allor questo deserto: a se la terra Forse il mortale inabitabil fatta Vede omai senza quella Nova, sola, infinita Felicità che il suo pensier figura: Ma per cagion di lei grave procella Presentendo in suo cor, brama quiete, Brama raccorsi in porto Dinanzi al fier disio, Che già, rugghiando, intorno intorno oscura.
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Poi, quando tutto avvolge La formidabil possa, E fulmina nel cor l’invitta cura, Quante volte implorata Con desiderio intenso, Morte, sei tu dall’affannoso amante! Quante la sera, e quante Abbandonando all’alba il corpo stanco, Se beato chiamò s’indi giammai Non rilevasse il fianco, Nè tornasse a veder l’amara luce! E spesso al suon della funebre squilla, Al canto che conduce La gente morta al sempiterno obblio, Con più sospiri ardenti Dall’imo petto invidiò colui Che tra gli spenti ad abitar sen giva. Fin la negletta plebe, L’uom della villa, ignaro D’ogni virtù che da saper deriva, Fin la donzella timidetta e schiva, Che già di morte al nome Sentì rizzar le chiome, Osa alla tomba, alle funeree bende
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Fermar lo sguardo di costanza pieno, Osa ferro e veleno Meditar lungamente, E nell’indotta mente La gentilezza del morir comprende. Tanto alla morte inclina D’amor la disciplina. Anco sovente, A tal venuto il gran travaglio interno Che sostener nol può forza mortale, O cede il corpo frale Ai terribili moti, e in questa forma Pel fraterno poter Morte prevale; O così sprona Amor là nel profondo, Che da se stessi il villanello ignaro, La tenera donzella Con la man violenta Pongon le membra giovanili in terra. Ride ai lor casi il mondo, A cui pace e vecchiezza il ciel consenta.
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Ai fervidi, ai felici, Agli animosi ingegni L’uno o l’altro di voi conceda il fato, Dolci signori, amici All’umana famiglia, Al cui poter nessun poter somiglia Nell’immenso universo, e non l’avanza, Se non quella del fato, altra possanza. E tu, cui già dal cominciar degli anni Sempre onorata invoco invoco, invoco,
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Bella Morte, pietosa Tu sola al mondo dei terreni affanni, Se celebrata mai Fosti da me, s’al tuo divino stato L’onte del volgo ingrato Ricompensar tentai, Non tardar più, t’inchina A disusati preghi,
N N Err Nc
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tit.
Chiudi alla luce omai Questi occhi tristi, o dell’età reina. Me certo troverai, qual si sia l’ora Che tu le penne al mio pregar dispieghi, Erta la fronte, armato, E renitente al fato, La man che flagellando si colora Nel mio sangue innocente Non ricolmar di lode, Non benedir, com’usa Per antica viltà l’umana gente; Ogni vana speranza onde consola Se coi fanciulli il mondo, Ogni conforto stolto Gittar da me; null’altro in alcun tempo Sperar, se non te sola; Solo aspettar sereno Quel dì ch’io pieghi addormentato il volto Nel tuo virgineo seno.
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 127-132, che qui si riproduce aggiungendovi le correzioni di N Err e Nc N a p. 2 nell’indice: Amore e morte
XXVIII. A SE STESSO.
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Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, In noi di cari inganni, Non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, nè di sospiri è degna La terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T’acqueta omai. Dispera L’ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, E l’infinita vanità del tutto.
tit. N 10 Nc
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N p. 133, che qui si riproduce XXIII. sfuggito alla correzione di Leopardi (ma XXVIII. nell’indice) dopo mondo manca il punto e c’è un segno di richiamo per il punto segnato nel margine (tutta la correzione è scritta a lapis)
XXIX. ASPASIA.
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Torna dinanzi al mio pensier talora Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo Per abitati lochi a me lampeggia In altri volti; o per deserti campi, Al dì sereno, alle tacenti stelle, Da soave armonia quasi ridesta, ridesta ridesta, Nell’alma a sgomentarsi ancor vicina Quella superba vision risorge. Quanto adorata, o numi, e quale un giorno Mia delizia ed erinni! E mai non sento Mover profumo di fiorita piaggia, Nè di fiori olezzar vie cittadine, Ch’io non ti vegga ancor qual eri il giorno Che ne’ vezzosi appartamenti accolta, Tutti odorati de’ novelli fiori Di primavera, del color vestita Della bruna viola, a me si offerse L’angelica tua forma, inchino il fianco Sovra nitide pelli, e circonfusa D’arcana voluttà; quando tu, dotta Allettatrice, fervidi, sonanti fervidi sonanti Baci scoccavi nelle curve labbra De’ tuoi bambini, il niveo collo intanto Porgendo, e lor di tue cagioni ignari Con la man leggiadrissima stringevi Al seno ascoso e desiato. Apparve Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio Divino al pensier mio. Così nel fianco Non punto inerme a viva forza impresse Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto
N Nb Nc
N Nb
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Ululando portai finch’a quel giorno Si fu due volte ricondotto il sole.
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Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà. Simile effetto Fan la bellezza e i musicali accordi, Ch’alto mistero d’ignorati Elisi Paion sovente rivelar. Vagheggia Il piagato mortal quindi la figlia Della sua mente, l’amorosa idea, Che gran parte d’Olimpo in se racchiude, Tutta al volto, ai costumi, alla favella, volto ai costumi alla favella
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Pari alla donna che il rapito amante Vagheggiare ed amar confuso estima. Or questa egli non già, ma quella, ancora Nei corporali amplessi, inchina ed ama. Alfin l’errore e gli scambiati oggetti Conoscendo, s’adira; e spesso incolpa La donna a torto. A quella eccelsa imago Sorge di rado il femminile ingegno; E ciò che inspira ai generosi amanti La sua stessa beltà, donna non pensa, Nè comprender potria. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. E male Al vivo sfolgorar di quegli sguardi Spera l’uomo ingannato, e mal richiede Sensi profondi, sconosciuti, e molto Più che virili, in chi dell’uomo al tutto Da natura è minor. Che se più molli E più tenui le membra, essa la mente Men capace e men forte anco riceve.
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Nè tu finor giammai quel che tu stessa Inspirasti alcun tempo al mio pensiero, Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai Che smisurato amor, che affanni intensi, Che indicibili moti e che deliri Movesti in me; nè verrà tempo alcuno Che tu l’intenda. In simil guisa ignora
N Nb
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Esecutor di musici concenti Quel ch’ei con mano o con la voce adopra In chi l’ascolta. Or quell’Aspasia è morta Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto Della mia vita un dì: se non se quanto, quando quan[d]o quanto,
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Pur come cara larva ad ora ad ora larva, larva,
N N Err Nc
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Tornar costuma e disparir. Tu vivi, Bella non solo ancor, ma bella tanto, sola sol[a] solo
N Nb Nc
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Al parer mio, che tutte l’altre avanzi. Pur quell’ardor che da te nacque è spento: Perch’io te non amai, ma quella Diva Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core. Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque Sua celeste beltà, ch’io, per insino Già dal principio conoscente e chiaro Dell’esser tuo, dell’arti e delle frodi, Pur nei tuoi contemplando i suoi begli occhi, N ne’ tuoi N Err n[ei] Nc ne’
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Cupido ti seguii finch’ella visse, Ingannato non già, ma dal piacere Di quella dolce somiglianza, un lungo somiglianza un somiglianza[,] un
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Servaggio ed aspro a tollerar condotto.
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Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola
N Nb Nc
N N Err Nc
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Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni L’altero capo, a cui spontaneo porsi L’indomito mio cor. Narra che prima, E spero ultima certo, il ciglio mio Supplichevol vedesti, a te dinanzi Me timido, tremante (ardo in ridirlo Di sdegno e di rossor), me di me privo, Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto Spiar sommessamente, a’ tuoi superbi Fastidi impallidir, brillare in volto Ad un segno cortese, ad ogni sguardo Mutar forma e color. Cadde l’incanto, E spezzato con esso, a terra sparso Il giogo: onde m’allegro. E sebben pieni Di tedio, alfin dopo il servire e dopo Un lungo vaneggiar, contento abbraccio Senno con libertà. Che se d’affetti Orba la vita, e di gentili errori, È notte senza stelle a mezzo il verno, Già del fato mortale a me bastante E conforto e vendetta è che su l’erba Qui neghittoso immobile giacendo, Il mar la terra e il ciel miro e sorrido.
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 134138. Si riproduce il testo di N aggiungendovi le modifiche successivamente apportate da Leopardi (Nc). Questi però si valse di un esemplare sciolto di N costituito da fogli di stampa che contengono qualche difformità rispetto alla redazione «sola approvata dall’autore», cioè che in sostanza sono un’ultima bozza non ancora corretta (vd. p. 10). In caso di difformità da N, il testo a stampa di quella bozza napoletana viene indicato con la sigla Nb.
21 41 69 72 84 87
Sono state scritte a lapis (e sono di incerta attribuzione) le modifiche apportate ai vv. 75, 84 e 87; al v. 72 la virgola è aggiunta a penna, la d è corretta in t a lapis; al v. 20 quando è stato corretto a lapis in quanto e poi la correzione è stata cancellata ed. Ranieri fervidi sonanti ed. Ranieri volto ai costumi alla favella ed. Ranieri con mano e con la voce ed. Ranieri quanto, ed. Ranieri ne’ tuoi ed. Ranieri somiglianza un
XXX. SOPRA UN BASSO RILIEVO ANTICO SEPOLCRALE, DOVE UNA GIOVANE MORTA È RAPPRESENTATA IN ATTO DI PARTIRE, ACCOMMIATANDOSI DAI SUOI.
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Dove vai? chi ti chiama Lunge dai cari tuoi, Bellissima donzella? Sola, peregrinando, il patrio tetto Sì per tempo abbandoni? a queste soglie Tornerai tu? farai tu lieti un giorno Questi ch’oggi ti son piangendo intorno?
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Asciutto il ciglio ed animosa in atto, Ma pur mesta sei tu. Grata la via O dispiacevol sia, tristo il ricetto A cui movi o giocondo, Da quel tuo grave aspetto Mal s’indovina. Ahi ahi, nè già potria Fermare io stesso in me, nè forse al mondo S’intese ancor, se in disfavore al cielo Se cara esser nomata, Se misera tu debbi o fortunata.
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Morte ti chiama; al cominciar del giorno L’ultimo istante. Al nido onde ti parti parti,
N Nc
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Non tornerai. L’aspetto De’ tuoi dolci parenti Lasci per sempre. Il loco A cui movi è sotterra: movi,
N Nc
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Ivi fia d’ogni tempo il tuo soggiorno. Forse beata sei; ma pur chi mira,
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Seco pensando, al tuo destin sospira. destin, destin,
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Mai non veder la luce Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo Che reina bellezza si dispiega Nelle membra e nel volto, Ed incomincia il mondo Verso lei di lontano ad atterrarsi; In sul fiorir d’ogni speranza, e molto Prima che incontro alla festosa fronte I lúgubri suoi lampi il ver baleni; Come vapore in nuvoletta accolto Sotto forme fugaci all’orizzonte, Dileguarsi così quasi non sorta, E cangiar con gli oscuri Silenzi della tomba i dì futuri, Questo se all’intelletto Appar felice, invade D’alta pietade ai più costanti il petto.
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Madre temuta e pianta Dal nascer già dell’animal famiglia, Natura, illaudabil maraviglia, Che per uccider partorisci e nutri, Se danno è del mortale Immaturo perir, come il consenti In quei capi innocenti? Se ben, perchè funesta, Perchè sovra ogni male, A chi si parte, a chi rimane in vita, Inconsolabil fai tal dipartita?
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Misera ovunque miri, Misera onde si volga, ove ricorra, Questa sensibil prole! Piacqueti che delusa Fosse ancor dalla vita La speme giovanil; piena d’affanni L’onda degli anni; ai mali unico schermo
N N Err Nc
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La morte; e questa inevitabil segno, Questa, immutata legge Ponesti all’uman corso. Ahi perchè dopo Le travagliose strade, almen la meta Non ci prescriver lieta? Anzi colei anzi [A]nzi anzi
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Che per certo futura Portiam sempre, vivendo, innanzi all’alma, Colei che i nostri danni Ebber solo conforto, Velar di neri panni, Cinger d’ombra sì trista, E spaventoso in vista Più d’ogni flutto dimostrarci il porto?
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Già se sventura è questo Morir che tu destini A tutti noi che senza colpa, ignari, Nè volontari al vivere abbandoni, Certo ha chi more invidiabil sorte A colui che la morte Sente de’ cari suoi. Che se nel vero, Com’io per fermo estimo, Il vivere è sventura, Grazia il morir, chi però mai potrebbe, Quel che pur si dovrebbe, Desiar de’ suoi cari il giorno estremo, Per dover egli scemo Rimaner di se stesso, Veder d’in su la soglia levar via La diletta persona Con chi passato avrà molt’anni insieme, E dire a quella addio senz’altra speme Di riscontrarla ancora Per la mondana via; Poi solitario abbandonato in terra, Guardando attorno, all’ore ai lochi usati Rimemorar la scorsa compagnia?
N N Err Nc
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tit. N
Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre Di strappar dalle braccia All’amico l’amico, Al fratello il fratello, La prole al genitore, All’amante l’amore: e l’uno estinto, L’altro in vita serbar? Come potesti Far necessario in noi Tanto dolor, che sopravviva amando Al mortale il mortal? Ma da natura Altro negli atti suoi Che nostro male o nostro ben si cura.
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 139-143, che qui si riproduce aggiungendovi le correzioni di Nc nell’indice accommiatandosi da’; in Nc: [da’] dai
XXXI. SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA.
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Tal fosti: or qui sotterra Polve e scheletro sei. Su l’ossa e il fango Immobilmente collocato invano, Muto, mirando dell’etadi il volo, Sta, di memoria solo E di dolor custode, il simulacro Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, Che tremar fe, se, come or sembra, immoto In altrui s’affisò; quel labbro, ond’alto Par, come d’urna piena, Traboccare il piacer; quel collo, cinto Già di desio; quell’amorosa mano, Che spesso, ove fu porta, Sentì gelida far la man che strinse; E il seno, onde la gente Visibilmente di pallor si tinse, Furo alcun tempo: or fango Ed ossa sei: la vista Vituperosa e trista un sasso asconde.
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Così riduce il fato Qual sembianza fra noi parve più viva Immagine del ciel. Misterio eterno Dell’esser nostro. Oggi d’eccelsi, immensi Pensieri e sensi inenarrabil fonte, Beltà grandeggia, e pare, Quale splendor vibrato Da natura immortal su queste arene, Di sovrumani fati, Di fortunati regni e d’aurei mondi Segno e sicura spene Dare al mortale stato: Diman, per lieve forza,
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Sozzo a vedere, abominoso, abbietto Divien quel che fu dianzi Quasi angelico aspetto, E dalle menti insieme Quel che da lui moveva Ammirabil concetto, si dilegua.
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Desiderii infiniti E visioni altere Crea nel vago pensiere, Per natural virtù, dotto concento; Onde per mar delizioso, arcano Erra lo spirto umano, Quasi come a diporto Ardito notator per l’Oceano: Ma se un discorde accento Fere l’orecchio, in nulla Torna quel paradiso in un momento.
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Natura umana, or come, Se frale in tutto e vile, tutti tutt[i] tutto Se polve ed ombra sei, tant’alto senti? Se in parte anco gentile, Come i più degni tuoi moti e pensieri Son così di leggeri Da sì basse cagioni e desti e spenti?
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tit. 51 N Nb
N Nb Nc
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 144-146, che qui si riproduce nell’indice di N e Nc donna, in tutto la o è impressa su una raschiatura della carta e risulta spostata rispetto alle altre lettere tutti evidente errore tipografico sfuggito alla correzione (cf. 51 N) e modificato a lapis in Nc ed. Ranieri tutto
XXXII. PALINODIA AL MARCHESE GINO CAPPONI. Il sempre sospirar nulla rileva. PETRARCA.
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Errai, candido Gino; assai gran tempo, E di gran lunga errai. Misera e vana Stimai la vita, e sovra l’altre insulsa L’età ch’or si rivolge. Intolleranda [L’età] [ri]volge. La stagion
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Parve, e fu, la mia lingua alla beata Prole mortal, se dir si dee mortale L’uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno, Dall’Eden odorato in cui soggiorna, Rise l’alta progenie, e me negletto Disse, o mal venturoso, e di piaceri O incapace o inesperto, il proprio fato Creder comune, e del mio mal consorte L’umana specie. Alfin per entro il fumo De’ sígari onorato, al romorio De’ crepitanti pasticcini, al grido Militar, di gelati e di bevande Ordinator, fra le percosse tazze E i branditi cucchiai, viva rifulse Agli occhi miei la giornaliera luce Delle gazzette. Riconobbi e vidi La pubblica letizia, e le dolcezze Del destino mortal. Vidi l’eccelso Stato e il valor delle terrene cose, E tutto fiori il corso umano, e vidi Come nulla quaggiù dispiace e dura. Nè men conobbi ancor gli studi e l’opre Stupende, e il senno, e le virtudi, e l’alto Saver del secol mio. Nè vidi meno
N Nc
29
Da Marrocco al Catai, dal Nilo all’ Orse, N [Nilo] [all’] Orse[,] Nc dall’ Orse Lal Nilo,
30 E da Boston a Goa, correr dell’alma 30bis Perfezion, della comune e vera [Perfezion, della comune e vera] 31 32 33 34 35 36 37
Felicità su l’orme a gara ansando Regni, imperi e ducati; e già tenerla O per le chiome fluttuanti, o certo Per l’estremo del boa. Così vedendo, E meditando sovra i larghi fogli Profondamente, del mio grave, antico Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.
38 39 40 41 42 43 44 45 46
Aureo secolo omai volgono, o Gino, I fusi delle Parche. Ogni giornale, Gener vario di lingue e di colonne, Da tutti i lidi lo promette al mondo Concordemente. Universale amore, Ferrate vie, moltiplici commerci, Vapor, tipi e choléra i più divisi Popoli e climi stringeranno insieme: Nè maraviglia fia s’anco le querce [Nè maraviglia fia s’anco le querce] Nè maraviglia fia se pino o quercia
N Nc
N Nc
Nota al v. 34
34 N 44 N 46 Nc
Pelliccia in figura di serpente, detta dal tremendo rettile di questo N nome, nota alle donne gentili de’ tempi nostri. Ma come la cosa Nc è uscita di moda, potrebbe anche il senso della parola andare fra poco in dimenticanza. Però non sarà superflua questa noterella. boa (11). Così (= ed. Ranieri) con numero di rinvio alla nota di N p. 176 (= ed. Ranieri p. 141), riprodotta qui sopra choléra stampato in corsivo i vv. 46-48 sono stati sostituiti da una nuova stesura (di mano del Ranieri) a piè di pagina, preceduta da un segno di richiamo che è ripetuto a sinistra del v. 46 N nel testo ed. Ranieri meraviglia
47
48
Suderan latte e mele, e danzeranno o danzeranno [e] o [Suderan latte e mele, o danzeranno] Suderà latte e mele, o s’anco al suono
N N Err Nc
D’un valse all’armonia. Tanto la possa [valse] valze [D’un valze all’armonia.] D’un walser danzerà.
N Nc
49 50 51 52 53 54
Infin qui de’ lambicchi e delle storte, E le macchine al cielo emulatrici Crebbero, e tanto cresceranno al tempo Che seguirà; poichè di meglio in meglio Senza fin vola e volerà mai sempre Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.
55 56 57 58 59 60 61
Ghiande non ciberà certo la terra Però, se fame non la sforza: il duro Ferro non deporrà. Ben molte volte Argento ed or disprezzerà, contenta A polizze di cambio. E già dal caro Sangue de’ suoi non asterrà la mano La generosa stirpe: anzi coverta covert[a] coverte
47 Nc 48 N Nc
a b
a b
N Nc
a correzione a margine b sostituisce l’intero verso con la stesura a piè di pagina (vd. 46 Nc app. crit.) valse stampato in corsivo a valze e b walser sottolineati a correzione a margine b sostituisce l’emistichio con la stesura a piè di pagina (vd. 46 Nc app. crit.)
62
Fia di stragi l’Europa e fien le parti fie[n le parti] fien i lidi [Fia di stragi l’Europa e fien i lidi] Fien di stragi l’Europa e l’altra riva
63-64Che immacolata civiltade illustra Di là del mar d’Atlante, ove sospinga dal mar d[e]l dal [Che immacolata civiltade illustra] [Di là dal mar d’Atlante, ove sospinga] Dell’atlantico mar, fresca nutrice Di pura civiltà, sempre che spinga 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81
N Nc
a b
N N N Err Nc
a b
Contrarie in campo le fraterne schiere Di pepe o di cannella o d’altro aroma Fatal cagione, o di melate canne, O cagion qual si sia ch’ad auro torni. Valor vero e virtù, modestia e fede E di giustizia amor, sempre in qualunque Pubblico stato, alieni in tutto e lungi Da’ comuni negozi, ovvero in tutto Sfortunati saranno, afflitti e vinti; Perchè diè lor natura, in ogni tempo Starsene in fondo. Ardir protervo e frode, Con mediocrità, regneran sempre, A galleggiar sortiti. Imperio e forze, Quanto più vogli o cumulate o sparse, Abuserà chiunque avralle, e sotto Qualunque nome. Questa legge in pria Scrisser natura e il fato in adamante;
62 Nc
63-64 N
a correzione a margine b sostituisce i vv. 62-64 con una nuova stesura (di mano del Ranieri) a piè di pagina, preceduta da un segno di richiamo che è ripetuto a sinistra del v. 62 N nel testo i due versi sono sostituiti da una nuova stesura in Nc b (vd. 62 Nc b app. crit.)
82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121
E co’ fulmini suoi Volta nè Davy Lei non cancellerà, non Anglia tutta Con le macchine sue, nè con un Gange Di politici scritti il secol novo. Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse In arme tutti congiurati i mondi Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci Calunnia, odio e livor: cibo de’ forti Il debole, cultor de’ ricchi e servo Il digiuno mendico, in ogni forma Di comun reggimento, o presso o lungi Sien l’eclittica o i poli, eternamente Sarà, se al gener nostro il proprio albergo E la face del dì non vengon meno. Queste lievi reliquie e questi segni Delle passate età, forza è che impressi Porti quella che sorge età dell’oro: Perchè mille discordi e repugnanti L’umana compagnia principii e parti Ha per natura; e por quegli odii in pace Non valser gl’intelletti e le possanze Degli uomini giammai, dal dì che nacque L’inclita schiatta, e non varrà, quantunque Saggio sia nè possente, al secol nostro Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose Più gravi, intera, e non veduta innanzi, Fia la mortal felicità. Più molli Di giorno in giorno diverran le vesti O di lana o di seta. I rozzi panni Lasciando a prova agricoltori e fabbri, Chiuderanno in coton la scabra pelle, E di castoro copriran le schiene. Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri Certamente a veder, tappeti e coltri, Seggiole, canapè, sgabelli e mense, Letti, ed ogni altro arnese, adorneranno Di lor menstrua beltà gli appartamenti; E nove forme di paiuoli, e nove Pentole ammirerà l’arsa cucina.
122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134
Da Parigi a Calais, di quivi a Londra, Da Londra a Liverpool, rapido tanto Sarà, quant’altri immaginar non osa, Il cammino, anzi il volo: e sotto l’ampie Vie del Tamigi fia dischiuso il varco, Opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso Dovea, già son molt’anni. Illuminate Meglio ch’or son, benchè sicure al pari, Nottetempo saran le vie men trite Delle città sovrane, e talor forse Di suddita città le vie maggiori. Tali dolcezze e sì beata sorte Alla prole vegnente il ciel destina.
135 Fortunati color che mentre io scrivo 136 Miagolanti nelle braccia accoglie [nelle] in su le 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153
151
La levatrice! a cui veder s’aspetta Quei sospirati dì, quando per lunghi Studi fia noto, e imprenderà col latte Dalla cara nutrice ogni fanciullo, Quanto peso di sal, quanto di carni, E quante moggia di farina inghiotta Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti In ciascun anno partoriti e morti Scriva il vecchio prior: quando, per opra Di possente vapore, a milioni Impresse in un secondo, il piano e il poggio, E credo anco del mar gl’immensi tratti, Come d’aeree gru stuol che repente Alle late campagne il giorno involi, Copriran le gazzette, anima e vita Dell’universo, e di savere a questa Ed alle età venture unica fonte!
ed. Ranieri animo
N Nc
154 Quale un fanciullo, con assidua cura, 155 Di sassolini e di fuscelli, in forma [sassolini] foglioline fogliolin[e] fogliolini 156 157 158 159
O di tempio o di torre o di palazzo, Un edificio innalza; e come prima Fornito il mira, ad atterrarlo è volto, Perchè gli stessi a lui fuscelli e sassi [sassi] fogli
160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183
Per novo lavorio son di mestieri; Così natura ogni opra sua, quantunque D’alto artificio a contemplar, non prima Vede perfetta, ch’a disfarla imprende, Le parti sciolte dispensando altrove. E indarno a preservar se stesso ed altro Dal gioco reo, la cui ragion gli è chiusa Eternamente, il mortal seme accorre Mille virtudi oprando in mille guise Con dotta man: che, d’ogni sforzo in onta, La natura crudel, fanciullo invitto, Il suo capriccio adempie, e senza posa Distruggendo e formando si trastulla. Indi varia, infinita una famiglia Di mali immedicabili e di pene Preme il fragil mortale, a perir fatto Irreparabilmente: indi una forza Ostil, distruggitrice, e dentro il fere E di fuor da ogni lato, assidua, intenta Dal dì che nasce; e l’affatica e stanca, Essa indefatigata; insin ch’ei giace Alfin dall’empia madre oppresso e spento. Queste, o spirto gentil, miserie estreme Dello stato mortal; vecchiezza e morte,
155 e 159
correzioni di mano del Ranieri
N Nc
a b
N Nc
184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196
Ch’han principio d’allor che il labbro infante Preme il tenero sen che vita instilla; Emendar, mi cred’io, non può la lieta Nonadecima età più che potesse La decima o la nona, e non potranno Più di questa giammai l’età future. Però, se nominar lice talvolta Con proprio nome il ver, non altro in somma Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo, E non pur ne’ civili ordini e modi, Ma della vita in tutte l’altre parti, Per essenza insanabile, e per legge Universal che terra e cielo abbraccia, Universal,
197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207
Ogni nato sarà. Ma novo e quasi Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi Spirti del secol mio: che, non potendo Felice in terra far persona alcuna, L’uomo obbliando, a ricercar si diero Una comun felicitade; e quella Trovata agevolmente, essi di molti Tristi e miseri tutti, un popol fanno Lieto e felice: e tal portento, ancora Da pamphlets, da riviste e da gazzette Non dichiarato, il civil gregge ammira.
208 209 210 211 212 213
Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume Dell’età ch’or si volge! E che sicuro Filosofar, che sapienza, o Gino, In più sublimi ancora e più riposti Subbietti insegna ai secoli futuri Il mio secolo e tuo! Con che costanza
193 Nc 196 205 206 N
Nc Nc N Nc
a destra del v. 192 un segno di rinvio ai vv. 193-194, aggiunti a piè di pagina e preceduti da identico segno ed. Ranieri Universal che ed. Ranieri felice; pamphlets stampato in corsivo
214 Quel che ier deridea, prosteso adora [deridea], ieri schernì, 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226
Oggi, e domani abbatterà, per girne Raccozzando i rottami, e per riporlo Tra il fumo degl’incensi il dì vegnente! Quanto estimar si dee, che fede inspira Del secol che si volge, anzi dell’anno, Il concorde sentir! con quanta cura Convienci a quel dell’anno, al qual difforme Fia quel dell’altro appresso, il sentir nostro Comparando, fuggir che mai d’un punto Non sien diversi! E di che tratto innanzi, Se al moderno si opponga il tempo antico, Filosofando il saper nostro è scorso!
227 228 229 230 231 232 233 234 235 236 237 238 239
Un già de’ tuoi, lodato Gino; un franco Di poetar maestro, anzi di tutte Scienze ed arti e facoltadi umane, E menti che fur mai, sono e saranno, Dottore, emendator, lascia, mi disse, I propri affetti tuoi. Di lor non cura Questa virile età, volta ai severi Economici studi, e intenta il ciglio Nelle pubbliche cose. Il proprio petto Esplorar che ti val? Materia al canto Non cercar dentro te. Canta i bisogni Del secol nostro, e la matura speme. Memoranda sentenza! ond’io solenni Memorand[a] sentenz[a]! Memorande sentenze!
240 Le risa alzai quando sonava il nome 241 Della speranza al mio profano orecchio 242 Quasi comica voce, o come un suono
214
Nc correzione di mano del Ranieri ed. Ranieri scherní
N Nc
N Nc
243 244 245 246 247 248 249 250 251
Di lingua che dal latte si scompagni. Or torno addietro, ed al passato un corso Contrario imprendo, per non dubbi esempi Chiaro oggimai ch’al secol proprio vuolsi, Non contraddir, non repugnar, se lode Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente Adulando ubbidir: così per breve Ed agiato cammin vassi alle stelle. Ond’io degli astri desioso, al canto io,
252 I pubblici bisogni omai non penso [I pubblic]i Del secolo i 253 254 255 256 257 258 259
Materia far; che a quelli, ognor crescendo, Provveggono i mercati e le officine Già largamente; ma la speme io certo Dirò, la speme, onde visibil pegno Già concedon gli Dei; già, della nova Felicità principio, ostenta il labbro De’ giovani, e la guancia, enorme il pelo.
260 261 262 263 264 265 266 267 268 269 270 271
O salve, o segno salutare, o prima Luce della famosa età che sorge. Mira dinanzi a te come s’allegra La terra e il ciel, come sfavilla il guardo Delle donzelle, e per conviti e feste Qual de’ barbati eroi fama già vola. Cresci, cresci alla patria, o maschia certo Moderna prole. All’ombra de’ tuoi velli Italia crescerà, crescerà tutta Dalle foci del Tago all’Ellesponto Europa, e il mondo poserà sicuro. E tu comincia a salutar col riso
252 Nc 254
N Nc N Nc
correzione di mano del Ranieri; la linea orizzontale di cancellazione tocca inavvertitamente anche la i finale di pubblici ed. Ranieri mercanti
272 273 274 275 276 277 278 279
Gl’ispidi genitori, o prole infante, Eletta agli aurei dì: nè ti spauri L’innocuo nereggiar de’ cari aspetti. Ridi, o tenera prole: a te serbato È di cotanto favellare il frutto; Veder gioia regnar, cittadi e ville, Vecchiezza e gioventù del par contente, E le barbe ondeggiar lunghe due spanne.
278
ed. Ranieri Vecchiezza gioventù
tit. N
Non si conoscono autografi. Pubblicato per la prima volta in N pp. 147-157, che qui si riproduce aggiungendovi le correzioni di Nc a p. 2 nell’indice: Palinodia al marchese Gino Capponi
XXXIII. IL TRAMONTO DELLA LUNA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Quale in notte solinga, Sovra campagne inargentate ed acque, Là ’ve zefiro aleggia, E mille vaghi aspetti E ingannevoli obbietti Fingon l’ombre lontane Infra l’onde tranquille E rami e siepi e collinette e ville; Giunta al confin del cielo, Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno Nell’infinito seno Scende la luna; e si scolora il mondo; Spariscon l’ombre, ed una Oscurità la valle e il monte imbruna; Orba la notte resta, E cantando, con mesta melodia, L’estremo albor della fuggente luce, Che dianzi gli fu duce, Saluta il carrettier dalla sua via;
20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33
Tal si dilegua, e tale Lascia l’età mortale La giovinezza. In fuga Van l’ombre e le sembianze Dei dilettosi inganni; e vengon meno Le lontane speranze, Ove s’appoggia la mortal natura. Abbandonata, oscura Resta la vita. In lei porgendo il guardo, Cerca il confuso viatore invano Del cammin lungo che avanzar si sente Meta o ragione; e vede Che a se l’umana sede, Esso a lei veramente è fatto estrano.
34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50
Troppo felice e lieta Nostra misera sorte Parve lassù, se il giovanile stato, Dove ogni ben di mille pene è frutto, Durasse tutto della vita il corso. Troppo mite decreto Quel che sentenzia ogni animale a morte, S’anco mezza la via Lor non si desse in pria Della terribil morte assai più dura. D’intelletti immortali Degno trovato, estremo Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni La vecchiezza, ove fosse Incolume il desio, la speme estinta, Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene.
51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68
Voi, collinette e piagge, Caduto lo splendor che all’occidente Inargentava della notte il velo, Orfane ancor gran tempo Non resterete; che dall’altra parte Tosto vedrete il cielo Imbiancar novamente, e sorger l’alba: Alla qual poscia seguitando il sole, E folgorando intorno Con sue fiamme possenti, Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi. Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora D’altra luce giammai, nè d’altra aurora. Vedova è insino al fine; ed alla notte Che l’altre etadi oscura, Segno poser gli Dei la sepoltura.
An
(Bibl. Naz. Napoli, XX. 3) autografo di Leopardi, tranne i vv. 63-68 di mano del Ranieri; è una bella copia (con due soli ritocchi ai vv. 17 e 56) destinata alla tipografia: infatti, tra i vv. 19-20, 33-34 e 50-51, racchiusa in una linea ovale, è inserita la parola spazio, che il Moroncini dice «non di
tit.
R1 R2
XXXIII. | Il tramonto della luna.
An
mano del Leopardi e forse neanche del Ranieri, per norma del tipografo compositore», ma che non esito ad attribuire al Ranieri e che introduce in questo autografo lo spazio che divide una strofa dall’altra in tutti i canti stampati di Nc (spazio che il Ranieri pose ampiamente nella sua copia di XXXIV. La ginestra in Nc). Perché gli ultimi versi siano di mano del Ranieri è questione dibattuta (vd. per es. ed. Moroncini, p. LII segg.) e non essenziale alla costituzione del testo definitivo, che, in assenza di altri autografi, non può essere che questo di An. Dopo il v. 62 che completava la quarta facciata del foglio, Il tramonto della luna doveva continuare nella prima facciata di un altro foglio, e in questo nuovo foglio (in bella copia per il tipografo della progettata edizione parigina) doveva seguire La ginestra. «È quasi assurdo» avverte con ragione il Moroncini «pensare che il Leopardi abbia potuto dettare per intero al Ranieri, così come ce lo dànno le tre copie fattene da questo, un canto sì lungo» come La ginestra (317 versi), «di sì ampia concezione e di sì vasto respiro, senza averne prima gettato giù alcuno schema o abbozzo e senza averlo anche versificato. Eppure di esso non ci rimane la minima traccia di mano dell’A., ma solo tre copie scritte dal Ranieri, che non son certo modelli di esattezza e non in tutto eguali tra loro». È verosimile che il Ranieri abbia dovuto sostituire La ginestra perché Leopardi vi aveva apportato numerosi ritocchi e il suo autografo non era più una bella copia per il compositore a cui era destinato Nc. A questo scopo, il Ranieri deve avere utilizzato una trascrizione della Ginestra da lui eseguita in un fascicolo a parte, su facciate originariamente numerate da 2 a 22 (la prima non recava numero). Egli ha piegato le ultime pagine bianche del fascicolo in modo che diventassero le prime, ha riscritto i vv. 63-68 del Tramonto sulla prima, a cui ha dato il numero 5 (di séguito a 1-4 dell’autografo leopardiano), ha tagliato le due pagine bianche che erano venute a frapporsi tra quella e La ginestra, ha posto il numero 6 alla prima facciata della Ginestra e ha cambiato la numerazione delle seguenti (da 2 a 7, e così via), infine ha copiato sulla facciata 23 il canto XXXV. Imitazione cancellandone interamente il testo stampato a p. 158 di Nc (Bibl. Naz. Napoli, XX. 5) copia del Ranieri in un fascicolo a sé, di séguito a una sua copia di XXXIV. La ginestra (Biblioteca Comunale, Recanati) copia del Ranieri tratta da Nc e inserita in un esemplare di N da lui corretto e inviato al Le Monnier per l’edizione fiorentina del 1845 (reca il timbro Censura di Firenze)
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Quale in notte solinga, Sovra campagne inargentate ed acque, Là ’ve zefiro aleggia, E mille vaghi aspetti E ingannevoli obbietti Fingon l’ombre lontane Infra l’onde tranquille E rami e siepi e collinette e ville; Giunta al confin del cielo, Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno Nell’infinito seno Scende la luna; e si scolora il mondo; Spariscon l’ombre, ed una Oscurità la valle e il monte imbruna;
1
Quale in notte solinga,
An
2
Sovra campagne inargentate ed acque,
An
3
Là ’ve zefiro aleggia,
An
4
E mille vaghi aspetti
An
5
E ingannevoli obbietti
An
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Fingon l’ombre lontane
An
7
Infra l’onde tranquille
An
8
E rami e siepi e collinette e ville;
An
9
Giunta al confin del cielo,
An
10
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
An
11
Nell’infinito seno
An
12
Scende la luna; e si scolora il mondo;
An
13
Spariscon l’ombre, ed una
An
14
Oscurità la valle e il monte imbruna;
An
3 6 8 10
R2 Zefiro R1 e R2 lontane[,] R1 ville, R1 o Alpe,
15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28
Orba la notte resta, E cantando, con mesta melodia, L’estremo albor della fuggente luce, Che dianzi gli fu duce, Saluta il carrettier dalla sua via; Tal si dilegua, e tale Lascia l’età mortale La giovinezza. In fuga Van l’ombre e le sembianze Dei dilettosi inganni; e vengon meno Le lontane speranze, Ove s’appoggia la mortal natura. Abbandonata, oscura Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
15
Orba la notte resta,
An
16
E cantando, con mesta melodia,
An
17
L’estremo albor della cadente luce, [cadente] fuggente
An
18
Che dianzi gli fu duce,
An
19
Saluta il carrettier dalla sua via;
An
20
Tal si dilegua, e tale
An
21
Lascia l’età mortale
An
22
La giovinezza. In fuga
An
23
Van l’ombre e le sembianze
An
24
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
An
25
Le lontane speranze,
An
26
Ove s’appoggia la mortal natura.
An
27
Abbandonata, oscura
An
28
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
An
19 An 26 28
a b
fra i vv. 19-20 è inserita (dal Ranieri) l’indicazione spazio per il tipografo R2 [Ove] Ove R1 guardo senza virgola
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42
Cerca il confuso viatore invano Del cammin lungo che avanzar si sente Meta o ragione; e vede Che a se l’umana sede, Esso a lei veramente è fatto estrano. Troppo felice e lieta Nostra misera sorte Parve lassù, se il giovanile stato, Dove ogni ben di mille pene è frutto, Durasse tutto della vita il corso. Troppo mite decreto Quel che sentenzia ogni animale a morte, S’anco mezza la via Lor non si desse in pria
29
Cerca il confuso viatore invano
An
30
Del cammin lungo che avanzar si sente
An
31
Meta o ragione; e vede
An
32
Che a se l’umana sede,
An
33
Esso a lei veramente è fatto estrano.
An
34
Troppo felice e lieta
An
35
Nostra misera sorte
An
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Parve lassù, se il giovanile stato,
An
37
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
An
38
Durasse tutto della vita il corso.
An
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Troppo mite decreto
An
40
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
An
41
S’anco mezza la via
An
42
Lor non si desse in pria
An
32 33 An 34 41
R1 e R2 = ed. Ranieri Ch’a se fra i vv. 33-34 è inserita (dal Ranieri) l’indicazione spazio per il tipografo R2 non ha riga rientrata ma reca a margine, con segno di richiamo, l’indicazione da capo R1 la vita
43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56
Della terribil morte assai più dura. D’intelletti immortali Degno trovato, estremo Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni La vecchiezza, ove fosse Incolume il desio, la speme estinta, Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene. Voi, collinette e piagge, Caduto lo splendor che all’occidente Inargentava della notte il velo, Orfane ancor gran tempo Non resterete; che dall’altra parte Tosto vedrete il cielo
43
Della terribil morte assai più dura.
An
44
D’intelletti immortali
An
45
Degno trovato, estremo
An
46
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
An
47
La vecchiezza, ove fosse
An
48
Incolume il desio, la speme estinta,
An
49
Secche le fonti del piacer, le pene
An
50
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
An
51
Voi, collinette e piagge,
An
52
Caduto lo splendor che all’occidente
An
53
Inargentava della notte il velo,
An
54
Orfane ancor gran tempo
An
55
Non resterete; che dall’altra parte
An
56
Presto vedrete il cielo [Presto] Tosto
An
48 R1 50 An 55
a b
[desio,] desio, fra i vv. 50-51 è inserita (dal Ranieri) l’indicazione spazio per il tipografo R1 e R2 = ed. Ranieri resterete, che
57 58 59 60 61 62 63 64
Imbiancar novamente, e sorger l’alba: Alla qual poscia seguitando il sole, E folgorando intorno Con sue fiamme possenti, Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi. Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora
57
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
An
58
Alla qual poscia seguitando il sole,
An
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E folgorando intorno
An
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Con sue fiamme possenti,
An
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Di lucidi torrenti
An
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Inonderà con voi gli eterei campi.
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Ma la vita mortal, poi che la bella
An
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Giovinezza sparì, non si colora
An
57 An 59 63 An 64
la virgola è forse aggiunta successivamente R1 l’alba[,]: R2 intorno [con. ] cancella una parola scritta di séguito erroneamente per anticipazione mnemonica del verso successivo (o per malinteso nel copiare sotto dettatura) i vv. 63-68 sono di mano del Ranieri il 14 giugno 1837, due ore prima di morire, Leopardi, richiesto di un autografo dallo storico tedesco Heinrich Wilhelm Schulz, scrisse per il suo visitatore gli ultimi sei versi del Tramonto della luna (non li compose allora; per la corretta interpretazione dell’episodio vd. Canti ed. G i n zburg, Bari, Laterza, 1938, pp. 272-273). Lo riferisce lo Schulz (il quale non specifica che i versi furono scritti «sul suo albo», come dice B. Croce, Critica, XXX, 1932, p. 69), e riporta quei versi, allora inediti, dandone una traduzione letterale, nell’annuario Italia («Mit Beiträgen von Ida Gräfin Hahn-Hahn, ... H.W. Schulz. Herausgegeben von Alfred Reumont»), II. Jhg., Berlin, Duncker, 1840, pp. 266-267. Un esemplare dell’annuario si conserva nella Biblioteca Croce (VI* F 17) con la seguente schedina manoscritta: «Esemplare proveniente dai libri di Antonio Ranieri, al quale dovè donarlo lo Schulz, che vi fece alcune correzioni a lapis nel suo scritto sul Leopardi. B. Croce.». In quell’esemplare, dopo au rora del v. 65 c’è una virgola (e identica è la punteggiatura della traduzione «Mit keinem Lichte mehr und keiner Morgenröthe, | Verwais’t ist es bis zum Ende»); nella stampa del v. 66 (Vedova è insino al fine; e dalla notte) lo Schulz ha corretto e dalla in ed alla. Non ha però modificato Giovanezza del v. 64 in luogo di Giovinezza del Ranieri. In An il v. 22 ha
65 66 67 68
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora. Vedova è insino al fine; ed alla notte Che l’altre etadi oscura, Segno poser gli Dei la sepoltura.
65
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
An
66
Vedova è insino al fine; ed alla notte
An
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Che l’altre etadi oscura,
An
68
Segno poser gli Dei la sepoltura.
An
67
giovinezza, di mano di Leopardi, ma per l’alternanza di giovinezza e giovanezza in un medesimo canto vd. XXII. Le ricord a n ze 111, 120 e 135. La rettifica del v. 66 e varie altre correzioni manoscritte sul testo tedesco attestano lo scrupolo dello Schulz, e perciò assicurano che nell’autografo donatogli, o di proposito o forse (come suggerisce la virgola dopo aurora) per il declinare dell’attenzione insieme con le forze, Leopardi aveva scritto giovanezza, forma difficilior, e più frequente di giovi nezza nei Canti; ed è questa la sua ultima variante R1 oscura senza virgola
XXXIV. LA GINESTRA, O IL FIORE DEL DESERTO
per il titolo e l’epigrafe vd. p. 592
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Qui su l’arida schiena sull’ Del formidabil monte Sterminator Vesevo, La qual null’altro allegra arbor nè fiore, Tuoi cespi solitari intorno spargi, Odorata ginestra, Contenta dei deserti. Anco ti vidi De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade De[i.]’ Che cingon la cittade La qual fu donna de’ mortali un tempo, E del perduto impero Par che col grave e taciturno aspetto Faccian fede e ricordo al passeggero. Or ti riveggo in questo suol, di tristi Lochi e dal mondo abbandonati amante, E d’afflitte fortune ognor compagna. afflitte [af] fortune Questi campi cosparsi Di ceneri infeconde, e ricoperti Dell’impietrata lava, Che sotto i passi al peregrin risona; Dove s’annida e si contorce al sole La serpe, e dove al noto Cavernoso covil torna il coniglio; Fur liete ville e colti, E biondeggiàr di spiche, e risonaro Di muggito d’armenti; Fur giardini e palagi,
1 2 Ran 3
1 2 Ran 3
1 2 Ran 3
28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51
38 47 51
Agli ozi de’ potenti Gradito ospizio, e fur città famose, ospizio; famose ospizio; famose, Che coi torrenti suoi l’altero monte Dall’ignea bocca fulminando oppresse Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno Una ruina involve; involve, Ove tu siedi, o fior gentile, e quasi Dove I danni altrui commiserando, al cielo Di dolcissimo odor mandi un profumo, Che il deserto consola. A queste piagge Venga colui che d’innalzar con lode d’innalzar con lode /esaltar [d’innalzar] [/esaltar] d’esaltar d’esaltar con lode Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto È il gener nostro in cura nostro [è] in cura All’amante natura. E la possanza Qui con giusta misura Anco estimar potrà dell’uman seme, Cui la dura nutrice, ov’ei men teme, [ove] ov’ Con lieve moto in un momento annulla In parte, e può con moti Poco men lievi ancor subitamente Annichilare in tutto. Dipinte in queste rive Son dell’umana gente gente[,] LE MAGNIFICHE SORTI E PROGRESSIVE (*). PROGRESSIVE [(*)] (12). PROGRESSIVE[.] (12). PROGRESSIVE (12).
12 3 Ran
1 Ran 23 12 3 Ran
1 Ran 2 a b 3 1 3 Ran 2
1 2 Ran 3
1 3 Ran 2 1 2 3 Ran
R2: in a di séguito a lode annota una variante (certo di Leopardi) R3: forse lieve con e su i numeri e segni di richiamo alle note qui riprodotte a p. 593
52 53 54 55 56 57 58 59
Qui mira e qui ti specchia, Secol superbo e sciocco, Che il calle insino allora Dal risorto pensier segnato innanti Abbandonasti, e volti addietro i passi, Del ritornar ti vanti, E procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti tutti, 60 Di cui lor sorte rea padre ti fece 61 Vanno adulando, ancora 62 Ch’a ludibrio talora 63 T’abbian fra se. Non io 64 Con tal vergogna scenderò sotterra: sotterra: sotterra[:] sotterra; sotterra; 64bis E ben facil mi fora [E ben facil mi fora] 64ter Imitar gli altri, e vaneggiando in prova, [Imitar gli altri, e vaneggiando in prova,] 64quat Farmi agli orecchi tuoi cantando accetto: [Farmi agli orecchi tuoi cantando accetto:] 65 Ma il disprezzo piuttosto che si serra più tosto 66 Di te nel petto mio mio, mio, [m .] 67 Mostrato avrò quanto si possa aperto: 68 Bench’io sappia che obblio Ben ch’ 69 Preme chi troppo all’età propria increbbe: increbbe: increbbe[:] increbbe. increbbe. 70 Di questo mal, che teco 64bis-quater
1 Ran 23
1 Ran 2 a b 3 1 Ran 2 1 Ran 2 1 Ran 2 1 2 Ran 3 1 2 Ran 3 1 2 Ran 3 1 2 a b 3 Ran
questi versi di R1 furono copiati in R2, e poi cancellati; non furono trascritti in R3, ma ricompaiono nell’ed. Ranieri
71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82
83 84
85 86 87 88 89
82 84 87
Mi fia comune, assai finor mi rido. Libertà vai sognando, e servo a un tempo [vai] vai Vuoi di nuovo il pensiero, novo Sol per cui risorgemmo Dalla barbarie in parte, e per cui solo Della Si cresce in civiltà, che sola in meglio Guida i pubblici fati. Così ti spiacque il vero Dell’aspra sorte e del depresso loco Che natura ci diè. Per questo il tergo Vigliaccamente rivolgesti al lume Che il fe palese; e, fuggitivo, appelli palese, palese[,] palese: palese; palese[;] palese: Vil chi lui segue, e solo Magnanimo colui, colui[,] colui [che s] colui Che se schernendo o gli altri, astuto o folle, Fin sopra gli astri il mortal grado estolle. Uom di povero stato e membra inferme, inferme Che sia dell’alma generoso ed alto, Non chiama se nè stima
1 3 Ran 2 1 2 3 Ran 1 2 Ran 3
1 Ran 2 a b a b
3
1 2 3 Ran
12 3 Ran
R2: a la virgola dopo e forse aggiunta più tardi R3: [che s] , se non è svista di trascrizione o di scritto sotto dettatura, continuava questo verso come un endecasillabo (e il successivo sarebbe stato un settenario O gli altri, astuto o folle,) R3: e membra inferme non è, come potrebbe parere, aggiunto più tardi; infatti, essendo inferme scritto più in basso per mancanza di spazio nella riga, è stata posta maggiore distanza fra questo verso e il successivo
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108
109 110 111 112 113 114 115 106
Ricco d’or nè gagliardo, E di splendida vita o di valente vita[,] o Persona infra la gente Non fa risibil mostra; Ma se di forza e di tesor mendico Lascia parer senza vergogna, e noma, noma[,] noma Parlando, apertamente, e di sue cose Fa stima al vero uguale. Magnanimo animale Non credo io già, ma stolto stolto, Quel che, nato a perir, nutrito in pene, che[,] che Dice, a goder son fatto, E di fetido orgoglio Empie le carte, eccelsi fati e nove Felicità, quali il ciel tutto ignora, Non pur quest’orbe, promettendo in terra A popoli che un’onda un Di mar commosso, un fiato D’aura marina, un sotterraneo crollo marina, [marina], maligna, maligna, Distrugge sì, ch’avanza sì che A gran pena di lor la rimembranza. Nobil natura è quella Ch’ a sollevar s’ardisce Che Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Nulla al ver detraendo, R3: evidente svista
1 3 Ran 2
1 2 3 Ran
1 Ran 23 1 Ran 2 3
1 2 Ran 3 1 2 3 Ran 1 2 Ran 3 1 2 Ran 3
a b
116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137
138
121 129
Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato e frale; Quella che grande e forte Mostra se nel soffrir, ne gli odi e l’ire nè gli odii e Fraterne, ancor più gravi D’ogni altro danno, accresce danno accresce Alle miserie sue, l’uomo incolpando Del suo dolor, ma dà la colpa a quella Che veramente è rea, che de’ mortali È madre in parto, ed in voler matrigna. parto ed Madre è di parto e di voler matrigna. Costei chiama inimica, e incontro a questa inimica; Congiunta esser pensando, Siccom’ è il vero, ed ordinata in pria Siccome è L’umana compagnia, compagnia Tutti fra se confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e pronta ed aspettando aita pronta[,] ed Negli alterni perigli e nelle angosce Della guerra comune. Ed alle offese Dell’uomo armar la destra, e laccio porre [Porre al] vicino ed inciampo, Al Al vicino inciampo, [stolto] Stolto crede così, qual fora in campo così[,] così
12 3 Ran 1 2 Ran 3
1 2 Ran 3 1 2 3 Ran 1 2 Ran 3 1 2 Ran 3
1 2 Ran 3
1 2 Ran 3 1 Ran 2 3
R3: «deve ritenersi una svista o omissione, essendo assai preferibile, se non addirittura necessaria, la virgola che è in R1 R2» e nell’ed. Ranieri (Moroncini) R3: cf. v. 121 app. crit.
139 Cinto d’oste contraria, in sul più vivo 140 Incalzar degli assalti, 141 Gl’ inimici obbliando, acerbe gare Gl[i]’ 142 Imprender con gli amici, 143 E sparger fuga, e fulminar col brando fuga e 144 Infra i propri guerrieri. 145 Così fatti pensieri pensieri[,] 146 Quando fien, come fur, palesi al volgo, 147 E quell’orror che primo 148 Contra l’empia natura Contro 149 Strinse i mortali in social catena catena, 150 Fia ricondotto in parte 151 Da verace saper, l’onesto e il retto 152 Conversar cittadino, [e] cittadino, 153 E giustizia e piet[à]ade altra radice pietade, altra pietade altra 154 Avranno allor che non superbe fole, 155 Ove fondata probità del volgo In cui [In cui] Ove 156 Così star suole in piede piede[,] 157 Quale star può quel ch’ha in error la sede. 158
Sovente in queste piagge, piagge [piagge] rive, rive, 159 Che, desolate, a bruno 160 Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, 149
R3: pare avesse cominciato a scrivere Spinse
1 2 Ran 3 1 2 3 Ran 1 3 Ran 2 1 2 Ran 3 1 Ran 23 13 2 Ran 1 23 Ran 1 2 Ran 3 a b 1 2 Ran 3 1 Ran 2 a b 3
161 Seggo la notte; e sulla mesta landa su la sulla landa, 162 In purissimo azzurro [azzurro] azzurro 163 Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle, 164 Cui di lontan fa specchio 165 Il mare, e tutto di scintille in giro 166 Per lo vóto seren brillare il mondo. 167 E poi che gli occhi a quelle luci appunto, 168 Ch’a lor sembrano un punto, [allor] a lor 169 E sono immense in guisa immense, 170 Che un punto a petto a lor son terra e mare 171 Veracemente; a cui 172 L’uomo non pur, ma questo 173 Globo ove l’uomo è nulla, [Gl] Globo [non] ove 174 Sconosciuto è del tutto; e quando miro 175 Quegli ancor più senza alcun fin remoti senz’alcun 176 Nodi quasi di stelle, 177 Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo 178 E non la terra sol, ma tutte in uno, 179 Del numero infinite e della mole, 180 Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle stelle[,] 181 O sono ignote, o così paion come 182 Essi alla terra, un punto 183 Di luce nebulosa; al pensier mio 184 Che sembri allora, o prole 185 Dell’uomo? E rimembrando uomo[!]? 186 Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno segno[,] 162 173
1 2 Ran 3 1 2 Ran 3
1 2 Ran 3 1 Ran 2 3
1 2 Ran 3 13 2 Ran
1 2 Ran 3
1 2 Ran 3 1 2 Ran 3
R3: azzurro è scritto di séguito alla parola cancellata, ma pare di altro momento R3: scrive sopra Gl cancellato le parole Globo non, e poi cancella non e prosegue sulla stessa riga
187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201
Il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte, Che te signora e fine Credi tu data al Tutto, e quante volte Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro Granel di sabbia, il qual di terra ha nome, Per tua cagion[e], dell’universe cose cagion, Scender gli autori, e conversar sovente Co’ tuoi piacevolmente; e che i derisi piacevolmente[;], piacevolmente, e Sogni rinnovellando, ai saggi insulta Fin la presente età, che in conoscenza Ed in civil costume[,] costume Sembra tutte avanzar; qual moto allora, Mortal prole infelice, o qual pensiero Verso te finalmente il cor m’assale? Non so se il riso o la pietà prevale.
202 Come d’arbor cadendo un picciol pomo, 203 Cui là nel tardo autunno 204 Maturità senz’altra forza atterra, 205 D’un popol di formiche i dolci alberghi[.] alberghi alberghi, 206 Cavati in molle gleba 207 Con gran lavoro, e l’opre, opre 208 E le ricchezze ch’ adunate a prova che 209 Con lungo affaticar l’assidua gente 210 Avea provvidamente al tempo estivo, 211 Schiaccia, diserta e copre 212 In un punto; così d’alto piombando, 213 Dall’utero tonante 214 Scagliata al ciel, profondo 214
1 2 3 Ran 1 Ran 2 3 1 2 3 Ran
1 2 Ran 3 1 2 Ran 3 1 2 Ran 3
«la virgola dopo ciel è evidentemente errata; o meglio spostata, dovendo trovarsi dopo profondo per la esigenza del senso. Nè ci pare ammissibile la correzione profonda, immaginata dal Giordani» (Moroncini)
215 Di ceneri, di pomici e di sassi ceneri e di 216 Notte e ruina, infus[e]a infusa 217 Di bollenti ruscelli, 218 O pel montano fianco 219 Furiosa tra l’erba 220 Di liquefatti massi 221 E di metalli e d’infocata arena 222 Scendendo immensa piena, 223 Le cittadi che il mar là su l’estremo sull’ 224 Lido aspergea, confuse 225 E infranse e ricoperse 226 In pochi istanti: onde su quelle or pasce 227 La capra, e città nove 228 Sorgon dall’altra banda, a cui sgabello 229 Son le sepolte, e le prostrate mura 230 L’arduo monte al suo piè quasi calpesta. 231 Non ha natura al seme 232 Dell’uom più stima o cura 233 Ch’ alla formica: e se più rari in quello rara Che rara 234 Che nell’altra è la strage, [non] strage, 235 Non avvien ciò d’altronde 236 Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde. 237 Ben mille ed ottocento 238 Anni varcàr poi che spariro, oppressi 239 Dall’ignea forza, i popolati seggi, 240 E il villanello intento, intento 241 Ai vigneti che a stento in questi campi vigneti, 242 Nutre la morta zolla e incenerita, 230 233 241
R2: quasi [’] R1: rari è certo una svista R3: in vigneti la prima i pare su e
1 Ran 23 1 2 3 Ran
1 2 Ran 3
1 2 Ran 3 1 2 3 Ran
12 3 Ran 1 Ran 23
243 Ancor leva lo sguardo 244 Sospettoso alla vetta 245 Fatal, che nulla mai fatta più mite, 1 mite[,] 2 mite 3 Ran 246 Ancor siede tremenda, ancor minaccia 247 A lui strage ed ai figli[,] ed agli averi 1 [agli] agli 2 figli ed agli 3 Ran 248 Lor poverelli. E spesso 249 Il meschino in sul letto 1 letto 2 a [letto] b tetto tetto 3 Ran 250 Dell’ostel villereccio, alla vagante 1 2 Ran [Del villereccio albergo] 3 Dell’ostel villereccio, alla vagante 251 Aura giacendo 1 Ran Ltutta notte insonne, [Aura giacendo] Aura giacendo 2 giacendo[,] 3 252 E balzando più volte, esplora il corso 253 Del temuto bollor, che si riversa 1 3 Ran [temuto] temuto 2 254 Dall’inesausto grembo, 1 grembo 2 3 Ran 255 Sull’arenoso dorso, a cui riluce 256 Di Capri la marina 1 2 Ran marina[,] 3 257 E di Napoli il porto e Mergellina. 258 E se appressar lo vede, o se nel cupo
247 250 251 255
R2: riscrive agli confuso per troppo inchiostro; forse averi su avere R3: cancellata la prima stesura, ha scritto il verso sulla riga R2: riscrive Aura giacendo confuso per troppo inchiostro R3: «forma del tutto contraria all’uso costante dell’A., che volle sempre separata la preposizione su dall’articolo» (Moroncini); queste copie del Ranieri presentano qualche oscillazione in R1 e R2, ma sempre la preposizione articolata in R3: v. 1 su l’ R1 e 2, sull’ 3; 161 sulla R1, su la 2, sulla 3; 223 su l’ R 1 e 2, sull’ 3; 255 sull’ R1-3
259 260 261 262 263 264 265
266 267 268 269 270 271 272 273
274 275 276
277 278
263
Del domestico pozzo ode mai l’acqua Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli, Desta la moglie in fretta, e via, con quanto Di lor cose rapir posson, fuggendo, Vede lontan l’usato lontan, Suo nido, e il picciol campo campo, Che gli fu dalla fame unico schermo, albergo, [albergo,] schermo, Preda al flutto rovente, Che crepitando giunge, e inesorato Durabilmente sopra quei si spiega. [sop] sovra Torna al celeste raggio [celeste] celeste raggio[,] celeste raggio, Dopo l’antica obblivion, l’estinta obblivion[,] obblivion Pompei, come sepolto Scheletro, cui di terra Avarizia e pietà rende all’aperto; [e] [rende] o rende o pietà rende E dal deserto foro Diritto infra le file De’ mozzi colonnati al peregrino [al] il De’ il Dei il Lunge contempla il bipartito giogo E la cresta fumante,
R2: [lonta. ] al di sopra di lontan
1 3 Ran 2 1 Ran 23 1 3 Ran 2 a b
1 2 Ran 3 13 2 Ran 1 Ran 2 3 1
a b
2 3 Ran 1 2 Ran 3
a b
279 Ch’ alla sparsa ruina ancor minaccia. Ch[’]e 280 E nell’orror della secreta notte 281 Per li vacui teatri, per li templi Per li vacui teatri, [per] Per li vacui teatri, [per li templi] Per li vacui teatri, 282 Deformi e per le rotte Per li templi deformi e per le rotte deformi, e 283 Case, ove i parti il pipistrello asconde, ov[’]e 284 Come sinistra face 285 Che per voti palagi atra s’aggiri, 286 Corre il baglior della funerea lava, 287 Che di lontan per l’ombre 288 Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. 289 Così dell’uomo ignara, e dell’etadi Così, ignara[,] e Così, ignara e Così, ignara, e 290 Ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno 291 Dopo gli avi i nepoti, 292 Sta natura ognor verde, anzi procede 293 Per sì lungo cammino, cammino[,] cammino 294 Che sembra star. Caggiono i regni intanto, 295 Passan genti e linguaggi[;]: ella nol vede: linguaggi: vede: linguaggi: vede 296 E l’uom d’eternità s’arroga il vanto. 297 298 299 300 301 302 303 304
E tu, lenta ginestra, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Anche tu presto alla crudel possanza Soccomberai del sotterraneo foco, Che ritornando al loco Già noto, stenderà l’avaro lembo Su tue molli foreste. E piegherai
1 2 Ran 3 1 2 3 Ran 1 2 3 Ran 1 2 Ran 3
1 2 3 Ran
1 Ran 2 3 1 2 Ran 3
305 306 307 308 309 310 311 312 313 314 315 316 317
tit.
Sotto il fascio mortal non renitente Il tuo capo innocente: Ma non piegato insino allora indarno Codardamente supplicando innanzi Al futuro oppressor; ma non eretto Con forsennato orgoglio inver le stelle, Nè sul deserto, dove E la sede e i natali Non per voler ma per fortuna avesti; voler[,] Ma più saggia, ma tanto Men inferma dell’uom, quanto le frali Meno Tue stirpi non credesti [Dal] O dal fato o da te fatte immortali. O dal
1 2 3 Ran 1 2 3 Ran
La ginestra | o | il fiore del deserto. XXXIV. | La ginestra | o | XXXIV. | La ginestra, | o |
1 23
Kai; hjgavphsan oiJ a[nϕrwpoi | ma`llon to a[nϕrwpoi ma`llon | to a[nϕrwpoi ma`llon to |
13 2
skovtoı h} to ϖw`ı. |
1-3 Ran
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che | la luce. | le | tenebre che la le tenebre | che la
tit.
1 2 Ran 3
Ran
Ran
1 2 Ran 1 2 Ran Giovanni, III, 19. 1-3 Ran
la traduzione del passo evangelico manca in R3 ed. Ranieri: nell’epigrafe solo i primi esemplari hanno to; poi l’editore corresse in tov facendo aggiungere a mano l’accento
Al v. 51 si riferisce una nota che si trova in R1 p. 3 in calce al testo della pagina, separata dai versi con una linea a forma di graffa coricata che si estende per tutta la larghezza del foglio:
(*) Parole d’un moderno, al quale è dovuta tutta la loro eleganza. e ritorna identica in R2 p. 3 (p. 165 secondo la numerazione dell’esemplare dell’edizione napoletana inviato al Le Monnier) in calce al testo della pagina, separata dai versi con una linea orizzontale per tutta la larghezza del foglio; in séguito la nota venne cancellata, e si sostituì all’asterisco un numero di richiamo per la nota che venne stampata in fondo al volume dell’ed. Ranieri. In R3, a p. 176 di Nc, di mano del Ranieri:
R1
R2 R3
Non si conoscono autografi di Leopardi, ma solo tre copie di mano del Ranieri che spesso presentano inesattezze, alcune delle quali fanno supporre che almeno in parte egli abbia scritto sotto dettatura, come suggeriscono anche certe cancellazioni che si direbbero ripensamenti dell’autore: (Bibl. Naz. Napoli, XX. 5) fascicolo in cui la prima pagina del foglio esterno, che fa da frontespizio, reca: La ginestra | o il fiore del deserto, | di Giacomo Leopardi; il canto comincia nella terza pagina, che reca il numero 1, e prosegue fino a p. 18, dove, separato da una linea a graffa coricata, comincia il canto XXXIII. Il tramonto della luna (Biblioteca comunale, Recanati) fascicolo, le cui carte recano il timbro Censura di Firenze, inserito fra le pp. 158-159 di un esemplare dell’edizione napoletana inviato al Le Monnier per l’ed. Ranieri (Bibl. Naz. Napoli, XX. 3) autografo inserito fra le pp. 158-159 di Nc Moroncini, p. LVI: «Sia che si preferisca ammettere la dettatura de La gi nestra fatta dall’A. al Ranieri, sia che il Ranieri abbia trascritto il canto da qualche copia autografa più o meno chiara o compiuta, dilucidata e completata da correzioni orali dell’A., resta sempre in noi l’impressione che le tre copie fatte dal Ranieri non poterono rispondere perfettamente ai rigorosi intendimenti e desiderii del Leopardi, quali vediamo applicati a tutte le altre composizioni che ebbero le reiterate e meticolose sue cure dirette. Ciò si deve alle scarse qualità critiche dell’amanuense, e alla materiale impossibilità nell’A. di rivedere e di correggere. Così ci spieghiamo in qualche modo il fatto delle copie ripetute del canto; così le correzioni e i miglioramenti apportati nel testo di esso passando dalla prima alla terza copia. La quale ultima, anche se non possa dirsi in modo assoluto l’espressione genuina della volontà dell’A., specie riguardo alla punteggiatura che non sempre può sembrar logica e coerente, dev’essere tuttavia considerata la base su cui stabilire il testo del canto».
Pag. 8 del MS. (12) Parole di un moderno, al quale è dovuta tutta la [loro] loro eleganza. ed. Ranieri p. 141:
Pag. 120. (12) Parole di ecc.
Questa edizione non ha il cómpito di stabilire un testo definitivo ma di descrivere comparativamente quelli che possediamo, e perciò si riproducono i tre manoscritti del Ranieri e il testo dell’edizione fiorentina del 1845 da lui curata «secondo l’ultimo intendimento dell’autore»; si ritiene opportuno mantenere la numerazione che i versi hanno nelle edizioni correnti e, per semplicità, si indicano le stesure manoscritte R1 R2 R3 solo con i numeri e l’ed. Ranieri con Ran. Le parole cancellate si collocano quasi sempre nel verso a cui appartengono poiché in sostanza non corrispondono a fasi diverse della stesura, ma sono sostituite dalle medesime parole riscritte per maggior chiarezza a fianco o al di sopra.
XXXV. IMITAZIONE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
Lungi dal propio ramo, Povera foglia frale, Dove vai tu? Dal faggio Là dov’io nacqui, mi divise il vento. Esso, tornando, a volo Dal bosco alla campagna, Dalla valle mi porta alla montagna. Seco perpetuamente Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro. Vo dove ogni altra cosa, Dove naturalmente Va la foglia di rosa, E la foglia d’alloro.
Non si conoscono autografi di Leopardi; pubblicato per la prima volta in N p. 158, il cui testo (riprodotto qui sopra) fu completamente cancellato in Nc e sostituito da una copia di mano del Ranieri, della quale si indicano le difformità da N tit. N Nc 1 3
9
XXXIII. | IMITAZIONE. XXXV. Imitazione. ms. Ranieri proprio deve essere una svista come in ed. Ranieri XXVI. Il pensiero dominante 11 (vd. qui p. 535). ms. Ranieri tu? — Dal con una lineetta di altra penna, inserita nell’ampio spazio che il Ranieri aveva lasciato fra il punto interrogativo e Dal per non scrivere sulla parte inferiore della f di frale del v. 2 ed. Ranieri tu? Dal ms. Ranieri a ignoro, - b ignoro[,].
XXXVI. SCHERZO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
An N Nc
Quando fanciullo io venni A pormi con le Muse in disciplina, L’una di quelle mi pigliò per mano; E poi tutto quel giorno La mi condusse intorno A veder l’officina. Mostrommi a parte a parte Gli strumenti dell’arte, E i servigi diversi A che ciascun di loro S’adopra nel lavoro Delle prose e de’ versi. Io mirava, e chiedea: Musa, la lima ov’è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza. Ed io, ma di rifarla Non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca? Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.
(Bibl. Naz. Napoli, X. 5, 2) su un foglio sciolto che reca al verso in due redazioni il Madrigale («Chiedi cosa da me» ecc., vd. Tutte le opere di G. Leopardi ed. Flora, Le poesie e le prose, I, p. 306) p. 159
data (Pisa. 15. Febbraio. ult.Venerdì di Carnevale. 1828.) An tit.
XXXIV
An
XXXIV.
N
XXX[IV] XXXVI
An
[XXXIV.] XXXVI.
Nc
SCHERZO.
An
SCHERZO.
N
data An tit. An Nc
a b
in calce al testo, separata con una lunga linea orizzontale dal v. 18 a XXXIV pare su un precedente XXXV; numero d’ordine e SCHER ZO. di mano del Ranieri nell’indice il Ranieri ha cancellato S ch e r zo dopo il numero d’ordine XXXIV. ed ha aggiunto in calce, con un segno di richiamo, X X X V I. Scherzo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
Quando fanciullo io venni A pormi con le Muse in disciplina, L’una di quelle mi pigliò per mano; E poi tutto quel giorno La mi condusse intorno A veder l’officina. Mostrommi a parte a parte Gli strumenti dell’arte, E i servigi diversi A che ciascun di loro S’adopra nel lavoro Delle prose e de’ versi. Io mirava, e chiedea:
1
Quando fanciullo io venni
An
2
A pormi con le Muse in disciplina,
An
3
L’una di quelle mi pigliò per mano;
An
4
E poi tutto quel giorno
An
5
La mi condusse intorno
An
6
A veder l’officina.
An
7
Mostrommi a parte a parte
An
8
Gli strumenti de l’arte, dell’
An
9
E i servigi diversi
An
10
A che ciascun di loro
An
11
S’adopra nel lavoro
An
12
De le prose e de i versi. Delle [le] de’ [i]
An
a b
13
Io guardava, e chiedea: [guardava] mirava,
An
a b
a b
12 An b inserisce lle nell’ampio spazio che era stato lasciato fra De e le per non intaccare la parte inferiore della p di adopra del v. 11
14 15 16 17 18
Musa, la lima ov’è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza. Ed io, ma di rifarla Non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca? Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.
14
Musa, la lima ov’è? Disse la Dea:
An
15
La lima è consumata, or facciam senza. consumata;
An
16
Ed io, ma di rifarla
An
a b
16bis Quando si guasta o spezza, o quando è stanca, An [Quando si guasta o spezza, o quando è stanca,]
a b
17
Non vi cale? aggiungea. An cal[e?] [a]ggiungea[.] cal , soggiungea, quand’ella è stanca?
a b
18
Rispose: hassi a rifar; ma ’l tempo manca. i[’]l rifar, il
a b
An N
15 An b il punto sembra aggiunto successivamente, ripassando anche la virgola; a meno che dapprima in luogo della virgola avesse scritto per errore un punto, o che la virgola sia più grossa delle altre per troppo inchiostro 18 An in hassi forse h è aggiunta; cf. per es. XIX. Al conte Carlo Pepoli 88 Avvi Av, poi Havvi F, 90 avvi Av, poi havvi F
FRAMMENTI. XXXVII.
ALCETA.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno Di questa notte, che mi torna a mente In riveder la luna. Io me ne stava Alla finestra che risponde al prato, Guardando in alto: ed ecco all’improvviso Distaccasi la luna; e mi parea Che quanto nel cader s’approssimava, Tanto crescesse al guardo; infin che venne A dar di colpo in mezzo al prato; ed era Grande quanto una secchia, e di scintille Vomitava una nebbia, che stridea Sì forte come quando un carbon vivo Nell’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo La luna, come ho detto, in mezzo al prato Si spegneva annerando a poco a poco, E ne fumavan l’erbe intorno intorno. Allor mirando in ciel, vidi rimaso Come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia, Ond’ella fosse svelta; in cotal guisa, Ch’io n’agghiacciava; e ancor non m’assicuro. MELISSO.
21 22
E ben hai che temer, che agevol cosa Fora cader la luna in sul tuo campo. ALCETA.
23 24
Chi sa? non veggiam noi spesso di state Cader le stelle?
MELISSO.
25 26 27 28
An Av P Nr B26 N Nc
Egli ci ha tante stelle, Che picciol danno è cader l’una o l’altra Di loro, e mille rimaner. Ma sola Ha questa luna in ciel, che da nessuno Cader fu vista mai se non in sogno.
(vd. XII. L’infinito qui p. 303 An), pp. 3-4 (vd. XII. L’infinito qui p. 303 Av), pp. 14-15 VIII (1824-25), pp. 126-127 anno II, parte I, N° 1, Gennaio 1826, p. 48 pp. 16-17 pp. 161-162, primo dei Frammenti
tit.
Idillio, Il Sogno
An
a b
Idillio[,] Il Sogno – Il Sogno – Idillio
P
Idillio [Il] [Sogno] Lo spavento notturno
An
Lo spavento notturno
| Idillio V
Av
Lo SPAVENTO NOTTURNO.
| Idillio V.
Nr
LO SPAVENTO NOTTURNO | IDILLIO V
B26
FRAMMENTI. | – | XXXV.
N
XXXV[.] XXXVII.
g
Nc
tit. An b qui, e dopo Alceta v. 1 e Melisso v. 21, la virgola è stata cancellata con due trattini orizzontali durante la prima stesura, perché essa manca già ad Alceta v. 22 An e Melisso v. 24 An; sul valore della virgola vd. v. 1 An b app. crit. g il mutamento si deve all’esistenza fra questi idilli (vd. XII. L’infinito qui p. 303) di un’altra poesia intitolata anch’essa Il Sogno (XV, qui p. 325 segg.), ma sarà successivo alla partenza di Leopardi per Milano nel luglio 1825, poiché non figura in P, né su una copia che egli lasciò a Recanati (lettera di Carlo, 14 novembre 1825, Epist. ed. Moroncini, III, p. 253 = BL 771: «2° Il sogno ... 5° Il sogno, altro Idillio a dialogo») le t di spavento notturno hanno come trattino orizzontale una linea uncinata che non è caratteristica della calligrafia del testo e delle successive correzioni in questo autografo e in quello dell’Infinito, ma è comune nella stesura An degli altri idilli; cf. v. 1 An a app. crit.
ALCETA.
1 Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno
pers.
1
a b
Alceta, Alceta[,] ALCETA ALCETA.
An
Senti, Melisso, io vo’ contarti un sogno Alceta – Senti, Melisso, io vo’ contarti un sogno [Senti], Melisso[,] io Odi, Melisso: io Odi, Melisso; io Melisso[;] io Melisso: io Alceta. Odi, Melisso: io Odi, Melisso: io
An P An
a
Av
a b
pers. B26
B26 N
b
Nr B26
manca il punto che segue il nome proprio negli altri casi (v. 21, 23, 24) in B26 1 An a questo verso iniziale comincia più a sinistra di tutti gli altri in An, come ne L’infinito (e a differenza del verso iniziale, scritto su una linea rientrata, negli altri idilli raccolti in quel fascicolo, per cui vd. XII. L’infinito qui p. 303 An app. crit.) per la r di contarti (confusa per troppo inchiostro) cf. orma 18 An a b i due punti sono correzione contemporanea a quella di 1 Av b; se dopo Idillio tit. e Melisso v. 1 il valore della virgola potrebbe essere discutibile, la virgola scritta primamente dopo Alceta pers. 1 e Melisso pers. 21 non può che equivalere ai due punti, secondo un uso antico, e dei primi canti: I. All’Italia R18 v. 11, 27 e 58, II. Sopra il monumento di Dante R18 v. 148 e 181-183, XV. Il sogno Cp v. 19 e 61 (uso che torna in XVII. Consalvo v. 38 e XXXIV. La ginestra v. 101) Av b ha trasformato il punto e virgola in due punti cancellando la virgola con un tratto trasversale insistito e aggiungendo un punto in basso, che perciò risulta più a destra di quello superiore; in An ha cancellato la virgola allo stesso modo (e non con due trattini orizzontali come dopo Idillio tit., Alceta pers. 1 e Melisso pers. 21, e come dopo venia v. 8 e fa v. 26) ed ha aggiunto i due punti, che, sebbene vi fosse spazio sufficiente per disporli in modo presso che perpendicolare come nella correzione del v. 5, sono asimmetrici come in Av: dato che Av è copia tratta da An (con qualche ritocco non riportato su An: v. 7, 8 e 10), la correzione è evidentemente contemporanea in An e Av, e la posizione obliqua dei due punti in An può far pensare a priorità della correzione in Av (di cui An ripete senza necessità, automaticamente, la disposizione dei due punti) Nr Alceta. in carattere corsivo
2 3 4 5 6 7
Di questa notte, che mi torna a mente In riveder la luna. Io me ne stava Alla finestra che risponde al prato, Guardando in alto: ed ecco all’improvviso Distaccasi la luna; e mi parea Che quanto nel cader s’approssimava,
2
Di questa notte, che mi [r]torna a mente
An
3
In riveder la luna. Io me ne stava
An
4
A la finestra che risponde al prato fenestra finestra prato, Alla
An P Av B26 N
5
Guardando in alto.
An =P An
Ed
ecco a l’improvviso
alto[.] [E]d alto: ed all’ 6
Distaccasi la luna, e mi parea luna;
7
Che quanto nel cader più da vicino [più] [da] [vicino] s’approssimava s’approssimava,
2 An
a b
N An =P An
a
An
a b
b
=P Av
la t di torna è scritta su r (svista, o scelta di torna su riede durante la stesura? cf. in questi idilli riede XIII. La sera del dì di festa 26 e XVI. La vi ta solitaria 68) la m di mente pare scritta su a: senza dubbio la preposizione precedente, ripetuta per una svista P q.ta 5 An b trasforma E in e, e dopo alto aggiunge un secondo punto al di sopra di quello già esistente
8 9 10 11 12 13
8
9
Tanto crescesse al guardo; infin che venne A dar di colpo in mezzo al prato; ed era Grande quanto una secchia, e di scintille Vomitava una nebbia, che stridea Sì forte come quando un carbon vivo Nell’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
Facendo si venia, crescesse al guardo, [Facendo] [si] [venia][,] Tanto crescesse al guardo, in fin Lche venne guardo, in fin guardo[,] guardo; guardo; infin Finchè di colpo diè nel [Finchè] [diè nel] A dar in mezzo
An
a b
P An
g
Av
prato, ed era
An
a b
prato, prato[,] prato;
P An
g
al
in mezzo [p] al
Av
10
Grande quant’una secchia, e di scintille quanto
An, P Av
11
Vomitava una nebbia che stridea nebbia,
An B26
12
Sì forte come quando un carbon vivo Si Sì
An P Av
13
Ne[l] l’acqua è spento, e ne fumavan l’erbe. Ne l’ [è spento, e ne] [fumavan] [l’erbe] immergi e spegni. Anzi a quel modo Nell’
An P An
8 An b in fin che venne aggiunto di séguito a guardo;
N
a b
14 15 16 17
La luna, come ho detto, in mezzo al prato Si spegneva annerando a poco a poco, E ne fumavan l’erbe intorno intorno. Allor mirando in ciel, vidi rimaso
14
La luna, come ho detto, in mezzo al prato
An
15
Si spegneva annerando a poco a poco; poco[;] poco, poco, Si spegneva, annerando, poco; Si spegneva annerando a poco a poco,
An
16
E ne fumavan l’erbe intorno intorno.
An
17
Allor mirando in ciel vidi rimasto [rimasto] un barlume vidi un barlume [un barlume] rimasto rima[sto] rimaso ciel, vidi rimaso
An
a b
P An
g
14 An
15 An b 17 An b g d
a b
Av B26 N
d Av
i vv. 14-16 mancano nella prima stesura di An e in P; sono stati aggiunti verticalmente lungo il margine destro: dapprima, con la penna della correzione del v. 13 An b, furono scritti i vv. 15-16, collegati con il v. 13 mediante due linee che formano un angolo retto, e successivamente, con altra penna, fu aggiunto sopra di essi il v. 14 cancella il punto del punto e virgola un barlume aggiunto di séguito a [rimasto] ha riscritto rimasto con la stessa penna di Quasi un barlume o al v. 18 quando al v. 18 Come ha evitato l’assonanza che si sarebbe creata fra ri maso e Quasi, qui ha trasformato to in o, allungando la s precedente per dissimulare il tratto orizzontale della t cancellata
18 Come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia, 19 Ond’ella fosse svelta; in cotal guisa, 20 Ch’io n’agghiacciava; e ancor non m’assicuro.
18
Come
un barlume e un’orma,
anzi una Lnicchia
orma[,] [Come] [un barlume e] un’orma Rimasto, come un’orma, Rimasto, come un’orma, anzi una Lnicchia [Rimasto] [, come] un’orma, Quasi un barlume o un’orma, [Quasi] Come Come un barlume o un’orma, anzi una Lnicchia nicchia, barlume, o 19
Ond’ella fosse svelta,
in guisa ch’io
svelta[,] svelta; svelta: svelta; in cotal guisa, 20
N’ accapricciava,
e ancor non m’assicuro.
accapricciava[,] accapricciava; Ch’io n’agghiacciava; e
19 An a potrebbe già esservi il punto e virgola dopo svelta 20 An a potrebbe già esservi il punto e virgola dopo accapricciava
An
a b g
P An
d e
Av B26 N An =P An
a b
B26 N An =P An N
a b
MELISSO.
21 E ben hai che temer, che agevol cosa 22 Fora cader la luna in sul tuo campo.
pers.
21
22
Melisso, Melisso[,] Melisso MELISSO. MELISSO.
An
a b
Av B26 N
Av Nr B26 N
Cader
An
a b
P An
g
proprio
la luna in sul tuo campo. [campo] prato. prato. [C]ader [proprio] [prato] Fora cader campo.
An P An
a
E bene hai da temer, ch’è facil cosa – Melisso – E ben hai da temer, ch’è facil cosa E bene hai [da] temer, [ch’è] [facil] cosa che chè agevol E bene hai che temer, chè agevol cosa Melisso. E bene hai E bene hai E ben hai che
b
21 An a dato il pochissimo intervallo fa bene e hai, potrebbe avere scritto dapprima ben (cf. 21 N) Nr Melisso. in carattere corsivo 22 An g cader con c minuscola sulla maiuscola precedente; campo riscritto accanto a [campo] di An b in modo che la c copra il punto che seguiva quella parola cancellata
ALCETA.
23 Chi sa? non veggiam noi spesso di state 24 Cader le stelle?
pers.
23
24
Alceta ALCETA. ALCETA.
An, Av B26 N
forse che visto hai poche notti [che] [visto] di state Al. – Chi sa? forse di state hai poche notti Ch[i] sa? forse di state hai poche notti Che sai? [Che sai?] [forse] [di state] [hai poche notti] Chi sa? Non veggiam noi spesso di state [n]Non Alceta. Chi sa? Non Chi sa? Non Chi sa? non
An
a b
P An
g
Cader le stelle? [Cader] Visto cader Visto cader [Visto] [c]ader Cader
An
Chi
sa?
d Av Nr B26 N
P An
a b g
23 An g trasforma la i di Chi in e, e inserisce una i fra sa e il punto interrogativo Av N scritta su n Nr Alceta. in carattere corsivo 24 An b la c di cader (che può parere maiuscola) è una minuscola che poi in g sarà allungata nella parte superiore cancellato con una linea Eh pazzo e con due linee il punto esclamativo (di cui ha unito l’asta verticale al punto in basso), ha trasformato l’iniziale di egli in maiuscola g c trasformata in C Nr Melisso. in carattere corsivo
MELISSO.
Egli ci ha tante stelle, 25 Che picciol danno è cader l’una o l’altra 26 Di loro, e mille rimaner. Ma sola
pers.
Melisso MELISSO. MELISSO. Eh pazzo! egli n’ha tante [Eh pazzo!] [e]gli Egli Mel. – Egli n’ha tante Egli [n’]ha tante ci Egli ci ha tante Melisso. Egli ci ha tante Egli ci ha tante
25-26
An, Av B26 N An
a b
P An
g
stelle, stelle, Av stelle, Nr stelle, B26
In An i vv. 25-26 presentano un groviglio di correzioni che suggerisce come possibile sviluppo la seguente trafila: I. partendo da 24 An b = P
Visto cader le stelle? Egli n’ha tante Lassù che ne potria ben senza danno Precipitar più che non fa[,]. Ma sola (=P) (con virgola scritta per errore nel corso della stesura, perché vi è ampio spazio prima e dopo il punto che la sostituisce, e Ma è stato scritto fin da principio con iniziale maiuscola) Leopardi ha cancellato n con due tratti obliqui e ha scritto ci in alto, sopra l’apostrofo, ponendo sulla riga del foglio un segno di inserzione fra n e ha, e con la stessa penna ha aggiunto stelle alla fine del verso (impossibile dire con sicurezza a quale fase dell’elaborazione appartenga la virgola dopo s t e l l e, che evidentemente non è anteriore a quella che segue Lassù del v. 25):
Cader le stelle? Egli ci ha tante stelle Lassù che ne potria ben senza danno Precipitar più che non fa. Ma sola II. Poi ha cancellato ne potria ben senza danno ed ha aggiunto con una stessa penna la virgola dopo Lassù e, sopra la linea, le parole che danno
Egli ci ha tante stelle Lassù, che non fa danno e assai gran parte Precipitar più che non fa. Ma sola
27 Ha questa luna in ciel, che da nessuno 28 Cader fu vista mai se non in sogno.
con e “anche” (se fra danno e assai non vi fosse stata da scrivere un’altra parola, non avrebbe posto assai sopra il prolungamento inferiore della g di Egli, cf. v. 26 Av); vale a dire: e gran parte precipitar assai più che non fa; per la sintassi cf. Petr. 37. 60-61 che l’alma sconsolata assai non mostri | più chiari i pensier nostri “che le anime sconsolate non mostrino assai più manifestamente i pensieri umani” (Leopardi). III. Successivamente, con la penna della fase II, ha cancellato e assai e ha aggiunto se dopo danno, e cader potria al verso seguente:
Egli ci ha tante stelle Lassù, che non fa danno se gran parte Cader potria più che non fa. Ma sola IV. Poi (la seriorità risulta dalla collocazione che l’aggiunta ha nel manoscritto) cancella che non fa e per mancanza di spazio inserisce più in alto ch’ei non è, chiaramente di diversa penna, preceduto da un segno di richiamo che è ripetuto sotto l’iniziale di che
Egli ci ha tante stelle Lassù, ch’ei non è danno se gran parte Cader potria più che non fa. Ma sola V. Con aggiunte e cancellazioni di altra penna, ottiene
Egli ci ha tante stelle Lassù, ch’ei non è danno o cader l’una O l’altra, e mille rimaner. Ma sola (possibile anche danno a cader l’una). VI. Infine, con una medesima penna (e la virgola dopo stelle potrebbe appartenere a questa fase), giunge a
Egli ci ha tante stelle, Che picciol danno è cader l’una o l’altra Di loro, e mille rimaner. Ma sola (=Av) 27
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
An, P
28
Cader fu vista mai se non in sogno. in sogno — (G. L.) in sogno.
An P Av
27 P
cf. le iniziali in XIII. La sera del dì di festa 46 P e XIV. Alla luna 16 P, e l’indicazione dell’autore in XV. Il sogno 100 P e XVI. La vita solitaria 107 P
XXXVIII. IO QUI VAGANDO.
1 2 3
Io qui vagando al limitare intorno, Invan la pioggia invoco e la tempesta, Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
4 5 6
Pure il vento muggia nella foresta, E muggia tra le nubi il tuono errante, Pria che l’aurora in ciel fosse ridesta.
7 8 9
O care nubi, o cielo, o terra, o piante, Parte la donna mia: pietà, se trova Pietà nel mondo un infelice amante.
10 11 12
O turbine, or ti sveglia, or fate prova Di sommergermi o nembi, insino a tanto Che il sole ad altre terre il dì rinnova.
An
(Bibl. Naz. Napoli, XV. 2) reca su tre pagine e mezza il testo dei 91 versi di un componimento intitolato Elegia quarta, che corrisponde a uno degli argomenti di elegie conservati fra le carte napoletane (XV. 20, vd. Tut te le opere di G. Leopardi ed. Flora, Le poesie e le prose, I, pp. 381-383): «Elegia di un innamorato in mezzo a una tempesta» ecc. (del primo argomento «Io giuro al cielo. ec.» si ha in quei medesimi appunti la versificazione dell’inizio nelle due terzine «Io giuro al ciel che rivedrò la mia | Donna lontana» ecc. e del secondo argomento «Oggi finisco il ventesim’anno» si trova la versificazione dell’inizio nelle due terzine «Ecco da poi che le pupille ignude» ecc. dopo l’autografo del canto X. Il primo a m o r e, Bibl. Naz. Napoli XV. 1, vd. qui pp. 283-284) Moroncini, p. 664: «dal v. 40 in poi nell’autografo i versi cominciano un po’ più a sinistra dei precedenti, fino al termine dell’Elegia; il che denota che l’A. li volesse anche materialmente distinguere e separare dai primi; e forse intendesse approvare tutto il resto dell’Elegia fino alla fine; ma invece da ultimo non ritenne e approvò che fino al v. 54» in N
13 14 15
B26 N Nc
S’apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Posan l’erbe e le frondi, e m’abbarbaglia Le luci il crudo Sol pregne di pianto.
pp. 30-33 reca i vv. 1-82 con il titolo Elegia II, dopo X. Il primo amore pubblicato alle pp. 25-29 con il titolo Elegia I; del componimento, omesso in F, furono ripresi in pp. 163 solo i vv. 40-45, tra i Frammenti con il numero d’ordine XXXVI, e vennero conservati in senza modificazioni, con il numero d’ordine XXXVIII
tit.
Elegia quarta.
An
ELEGIA II
B26
1
[M] Dove son? dove fui? che m’addolora?
An
2
Ahimè ch’io l[’]a rividi e che giammai rividi,
An B26
3
Non avrò pace al mondo infin ch’io mora. insin
An B26
4
Che vidi, o ciel, che vidi, e che bramai! Ciel,
An B26
5
Perchè vacillo? e che spavento è questo?
An
6
Io non so quel ch’io fo nè quel ch’oprai.
An
7
Fugge la luce, e il suolo ch’i’ calpesto ’l
An B26
8
Ondeggia e balza in guisa tal ch’io spero balza,
An B26
9
Ch’egli
e ch’ io non sia Lben desto. [io] i’ [Ch’egli] [sia] [sogno] [e ch’] [i’] [nonsia] L[ben desto] Ch’egli sia sogno e ch’ i’ non sia Lben desto. [i’] io [io] i’
An
Ahimè ch’io veglio e quel che sento è il vero; veglio,
An B26
10
1 An 2 An 4 An
sia sogno
a b g
d e
improbabile [Al] sopra a di la vi è la cancellazione di un segno che non pare un apostrofo la virgola dopo ciel potrebbe essere stata aggiunta in un secondo tempo; cf. v. 59 An
11
a b
Vero è ch’anzi morrò ch’ al veder mio ch[’] [veder] che guardo ch’
An
12
Sorga sereno un dì su l’emispero.
An
13
Meglio era ch’i’ morissi [inna.] avanti ch’io
An
14
Rivedessi colei che in cor m’ha posto
An
15
Di morire un asprissimo desio. desio:
An B26
16
Che almen le membra in pace avrei composto: Ch[e] [almen] Ch’ allor composto;
An
17
Or dolente uscirò di questa vita, [dolente] [uscirò] [di] [questa] fia con pianto il fin de la mia
An
a b
18
E lagrimando al [p.] mio passar m’accosto. [E] [lagrimando] Or con affanno
An
a b
19
O cielo o cielo, io ti domando aita. Cielo Cielo,
An B26
20
Che far degg’io? Conforto altro non vedo [Che] [far degg’io] Io che farò? [Io che farò?] Che far debb’io? conforto
An
Al mio dolor che la funesta uscita. l[a] [funesta] [uscita] l’ ultima partita. dolor,
An
21
B26
a b
B26
a b g
B26 a b
B26
18 An E trasformata in O di Or 20 An g nuova stesura scritta accanto alle parole cancellate, con C che dissimula il punto interrogativo di a, che era rimasto intatto (così che g potrebbe essere stesura decisa prima ancora di aver portato a compimento β con la cancellazione del punto interrogativo di a)
22
Ahi [A] ahi, chi l’avria detto? appena il credo:
An
23
Quello che notte e dì pregar soleva Quel[lo] che notte eˆ dì Quel la il [Quel]ˆ [che la] Quel che la Quel ch’io la notte e ’l
An
24
E sospirar, m’è dato, e morte chiedo.
An
25
Qu[e]anto sperar quan[d]to goder mi leva [goder] gioir sperar,
An
E sperde un punto [sperde] scioglie spegne
An
26
solo; solo[;] solo! sol!
oh come è scuro com[e] com’ com’egli è
a b g
B26 a b
B26 a b
B26
27
Questo dì che sì vago io mi fingeva!
An
28
Amore, io ti credetti assai men duro
An
29
Allor che desiai quel che m’ha fatto
An
30
Miser fra quanti mai saranno o furo. [quanti] [mai] quanti mai
An
31
Già t’ebbi in seno, ed in error m’ha tratt[a]o seno;
An B26
32
La rimembranza: indarno ora mi pento oggi mi pento,
An B26
33
E meco indarno e teco, amor, combatto.
An
a b
23 An g riscrive sopra il verso originario per maggiore chiarezza 26 An b impossibile dire se le correzioni siano contemporanee 30 An b doveva aver pensato a una stesura ben diversa, perché ha tracciato una linea di cancellazione anche su fra ed ha sùbito ripristinato la parola ritoccando r e a 31 An tratta (forse per attrazione del femminile rimembranza v. 32) sùbito corretto modificando a in o
34
Ma lieve a comportar quello ch’io sento
An
35
Saria purchè tuttora io di quel volto [Saria] [purchè] Fora sol che Fora, sol ch’anco un poco io
An
36
Dissetar mi potessi a mio talento.
An
37
Ora il più rivederla oggi m’è tolto tolto,
An B26
38
[Ed] Ed ella parte, e m’ha per sempre un giorno Ella si parte;
An B26
39
In miseria [a[xx]tr] atrocissima sepolto. amarissima
An B26
XXXVI.
N
XXXVI[.] XXXVIII.
Nc
tit.
34 An 39 An
a b
B26
in Ma forse a corregge una e precedente a seguito da una o due lettere (m?, cf. 39 B26) corrette in tr; poi tutto cancellato e riscritto di séguito
1 2 3 4 5 6 40
1
Io qui vagando al limitare intorno, Invan la pioggia invoco e la tempesta, Acciò che la ritenga al mio soggiorno. Pure il vento muggia nella foresta, E muggia tra le nubi il tuono errante, Pria che l’aurora in ciel fosse ridesta.
Intanto io fuggo e qui [e]vagando intorno [fuggo] grido grido, intorno, Io qui vagando al limitare intorno,
An
a b
B26 N
41
2
Invan la pioggia invoco e la tempesta tempesta,
An N
42
3
Che la ritenga al mio soggiorno. [Che] Acciò che
An
a b
43
4
Pure il vento muggia ne
An
a b
nella ne la nella 44
45
5
6
40 41 43
1 An 2 4 An
44
5 An
la foresta [la] foresta,
B26 N
E muggia tra le nubi il tuono errante [t]ra fra [fra] tra errante,
An
Prima che l’[Alba] alba in ciel si fosse desta. In sul dì, poi che l’alba erasi desta. Pria che l’aurora in ciel fosse ridesta.
An B26 N
a b g
B26
v scritto su e ed. Ranieri tempesta senza virgola scritto ne e la ai due lati del prolungamento inferiore delle due g di sog giorno nel verso precedente, ha poi cancellato la e aggiunto lla a ne prolunga t in f
7 8 9 10 11 12 13 14 46
47
7
8
48
9
49
10
O care nubi, o cielo, o terra, o piante, Parte la donna mia: pietà, se trova Pietà nel mondo un infelice amante. O turbine, or ti sveglia, or fate prova Di sommergermi o nembi, insino a tanto Che il sole ad altre terre il dì rinnova. S’apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Posan l’erbe e le frondi, e m’abbarbaglia
O care nubi o cielo o terra o piante; piante[;] piante, nubi, o cielo, o terra,
An
Parte la donna mia, pietà, se trova mia[,] mia: mia; mia:
An
Pietade al mondo un infelice amante. Pietate Pietà nel
An B26 N
O turbine ti sveglia, o fate prova oh Or prorompi o procella, or O turbine, or ti sveglia, or
An
B26 a b
B26 N
a b
B26 N
50
11
Di sommergermi o nembi infinattanto nembi, insino a tanto
An B26
51
12
Ch’ il sole ad altre terre il dì rinnova. Che ’l il
An B26 N
52
13
S’apre il ciel, cade il soffio, e in ogni canto [e]
An
53
14
Posan l’erbe e le [fogl] fronde e m’abbarbaglia An frondi, B26
50
a b
a b
11 An Moroncini: «quantunque manchi la virgola così nell’autogr. come nelle stampe, è evidente la svista dell’A. che da ultimo volle sempre il vocativo tra due virgole» ed. Ranieri sommergermi,
15 Le luci il crudo Sol pregne di pianto. 54
15
Le luci il crudo sol pregne di pianto. Sol
An B26
55
Io veggio ben che quel che mi travaglia ch’a quel
An B26
56
A nullo preme; io veggio che negletto Nessuno ha cura; negletto,
An B26
57
E solo il mio dolor mi fiede e taglia. Ignoto, il
An B26
58
Segui m’ardi mi strazia, a tuo diletto Segui, m’ardi,
An B26
59
Spegnimi o ciel, se già non prima il core Ciel;
An B26
60
Di propria mano io sterpomi d[i]al petto.
An
61
O donna e tu mi lasci, e questo amore donna, lasci;
An B26
62
Ch’io ti porto non sai, nè te n’avvis [nè] [avvis] nè avvisa porto,
An
63
L’angoscia di mia fronte e lo stupore.
An
64
Così pur sempre; e non sia mai divisa
An
65
Teco mia doglia e [du] tu d’[u’]amor lontana doglia;
An B26
66
Vivi beata sempre ad una guisa.
An
59 An 60 An 62 An 65 An
a b
B26
la virgola dopo ciel potrebbe essere stata aggiunta in un secondo tempo; cf. p. 617 v. 4 An app. crit. in dal forse a su e Leopardi ha interrotto la stesura di a per un secondo emistichio diverso, ma sùbito rifiutato ripristinando con la stessa penna avvisa di séguito ad [avvis] e nè al di sopra della linea per esigenze di spazio scritto u’ (avverbio di luogo) ha cancellato l’apostrofo e trasformato u in a
67
O cielo, o mai sì cruda e sì villana oh Deh giammai questa cruda e questa insana
An
68
Angoscia non la tocchi; a me si dia tocchi:
An B26
69
Sempre doglia infinita e soprumana.
An
70
Intanto io per te piango o donna mia, piango,
An B26
71
Che m’abbandoni, ed io solo rimagno
An
72
Del mio spietato affetto in compagnia.
An
73
Che penso? che farò? di chi mi lagno?
An
74
Poi che seguir nè ritener ti posso posso,
An B26
75
Io disperatamente anelo e piango [piango] piagno? piagno[?] piagno.
An
76
E piangerò quando lucente e rosso
An
77
Apparrà l’[Ori] oriente e quando bruno,
An
78
Finch’ il peso carnal non abbia scosso. Fin che ’l avrò
An B26
79
Nè tu saprai ch’io piango e che digiuno piango,
An B26
80
De la tua vista io [mio] mi disfaccio e morto vista, disfaccio; e morto,
An B26
81
Da te non avrò mai pianto nessuno.
An
82
Così vivo e morrò senza conforto.
An
83
O sol, [che] vedesti in tutto il mondo mai
An
80 An 82 An
a b
B26
a b g
la o dopo mi è stata cancellata per prima con un tratto verticale (cf. l’identica cancellazione di o in quanto al v. 84); poi ha cancellato anche mi con una linea orizzontale ed ha riscritto di séguito con questo verso finisce il testo pubblicato in B26 (vd. p. 614)
84
Tanto immenso dolor quanto io sopporto? quant[o] quant’
An
a b
85
Ed ella m’abbandona: e tu che fai, abbandona[:] fai[,] abbandona; fai? fai[?] fai,
An
a b
Misero? come l’alma anco ti resta? Misero[?] Misero, Misero[,] Misero?
An
87
Membrarla e non veder come potrai? [Membrarla] [e non veder come potrai?] Solo, in tanto desir come vivrai?
An
88
Gelo in mirar l’orribile tempesta
An
89
Che m’aspetta, e gli affanni e i pianti e l’ire.
An
90
O sventurato! ei non può far che questa [e]i Ei
An
a b
91
Fera vita io sostenga: io vo’ morire. [Fera] Fera
An
a b
86
g a b g a b
XXXIX. SPENTO IL DIURNO RAGGIO.
1 2 3
Spento il diurno raggio in occidente, E queto il fumo delle ville, e queta De’ cani era la voce e della gente;
4 5 6
Quand’ella, volta all’amorosa meta, Si ritrovò nel mezzo ad una landa Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.
7 8 9
Spandeva il suo chiaror per ogni banda La sorella del sole, e fea d’argento Gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.
10 11 12
I ramuscelli ivan cantando al vento, E in un con l’usignol che sempre piagne Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento.
13 14 15
Limpido il mar da lungi, e le campagne E le foreste, e tutte ad una ad una Le cime si scoprian delle montagne.
16 17 18
In queta ombra giacea la valle bruna, E i collicelli intorno rivestia Del suo candor la rugiadosa luna.
19 20 21
Sola tenea la taciturna via La donna, e il vento che gli odori spande, Molle passar sul volto si sentia.
22 23 24
Se lieta fosse, è van che tu dimande: Piacer prendea di quella vista, e il bene Che il cor le prometteva era più grande.
25 26 27
Come fuggiste, o belle ore serene! Dilettevol quaggiù null’altro dura, Nè si ferma giammai, se non la spene.
28 29 30
Ecco turbar la notte, e farsi oscura La sembianza del ciel, ch’era sì bella, E il piacere in colei farsi paura.
31 32 33
Un nugol torbo, padre di procella, Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto, Che più non si scopria luna nè stella.
34 35 36
Spiegarsi ella il vedea per ogni canto, E salir su per l’aria a poco a poco, E far sovra il suo capo a quella ammanto.
37 38 39
Veniva il poco lume ognor più fioco; E intanto al bosco si destava il vento, Al bosco là del dilettoso loco.
40 41 42
E si fea più gagliardo ogni momento, Tal che a forza era desto e svolazzava Tra le frondi ogni augel per lo spavento.
43 44 45
E la nube, crescendo, in giù calava Ver la marina sì, che l’un suo lembo Toccava i monti, e l’altro il mar toccava.
46 47 48
Già tutto a cieca oscuritade in grembo, S’incominciava udir fremer la pioggia, E il suon cresceva all’appressar del nembo.
49 50 51
Dentro le nubi in paurosa foggia Guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi; E n’era il terren tristo, e l’aria roggia.
52 53 54
Discior sentia la misera i ginocchi; E già muggiva il tuon simile al metro Di torrente che d’alto in giù trabocchi.
55 56 57
Talvolta ella ristava, e l’aer tetro Guardava sbigottita, e poi correa, Sì che i panni e le chiome ivano addietro.
58 59 60
E il duro vento col petto rompea, Che gocce fredde giù per l’aria nera In sul volto soffiando le spingea.
61 62 63
E il tuon veniale incontro come fera, Rugghiando orribilmente e senza posa; E cresceva la pioggia e la bufera.
64 65 66
E d’ogn’intorno era terribil cosa Il volar polve e frondi e rami e sassi, E il suon che immaginar l’alma non osa.
67 68 69
Ella dal lampo affaticati e lassi Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno, Gia pur tra il nembo accelerando i passi.
È il principio della cantica giovanile Appressamento della morte, in cinque canti e in terza rima (per un totale di 878 versi), conosciuta in due autografi: An
V
(Bibl. Naz. Napoli, XV. 1) quaderno con la prima stesura, a cui si riferisce l’osservazione di Leopardi: «La scrissi in undici giorni tutta senza interruzioni e nel giorno in cui la terminai, cominciai a copiarla che feci in due altri giorni. Tutto nel Novembre e Decembre del 1816»; reca molte correzioni e profonde rielaborazioni di diversi momenti (Civico Museo Storico, Como) riproduce in bella copia, e con molta cura nella calligrafia ed anche nell’interpunzione, una fase di An destinata alla stampa; l’autografo fu inviato all’editore Antonio Fortunato Stella di Milano con lettera da Recanati del 21 marzo 1817 perché lo «facesse subito avere al sig. Pietro Giordani» (Epist. ed. Moroncini, I, p. 66 e cf. p. 72 = LF 27 e cf. 29, BL 50 e cf. 55), e il Giordani ne sconsigliò la pubblicazione in una lettera da Milano del 15 aprile 1817 (ed. Moroncini, I, pp. 73-74 = BL 56), con un giudizio generale e una critica particolare del v. 1: «questa cantica non mi pare certamente da bruciare; e nè anche però la stamperei così subito». Il Giordani avvertiva che avrebbe restituito il manoscritto allo Stella, e così fece (lettera dello Stella a Leopardi, 19 aprile 1817, ed. Moroncini, I, p. 79 = BL 59); nel 1862 esso venne ritrovato da Z. Volta in una sua casa di Como e molto più tardi fu da lui pubblicato: Appressamento | della morte | Cantica inedita | di | Giacomo Leopardi | pubblicata con uno studio illustrativo | dall’avvocato | Zanino Volta | Vicebibliotecario regg. nella R. Università di Pavia | Ulrico Hoepli
70 71 72
Ma nella vista ancor l’era il baleno Ardendo sì, ch’alfin dallo spavento Fermò l’andare, e il cor le venne meno.
73 74 75
E si rivolse indietro. E in quel momento Si spense il lampo, e tornò buio l’etra, Ed acchetossi il tuono, e stette il vento.
76
N Nc
Taceva il tutto; ed ella era di pietra.
| Libraio-editore | Milano | Napoli Pisa | 1880 (e la circostanza che il Volta era bibliotecario a Pavia ha fatto sì che il manoscritto si indichi spesso come «autografo pavense» conservato nella biblioteca di quella università) I vv. 1-82 del primo canto dell’Appressamento della morte, rielaborati in modo che Leopardi, invece di se stesso «volto a cercare eccelsa meta» di gloria, rappresentò una donna «volta all’amorosa meta» (vd. v. 4), furono pubblicati tra i Frammenti in pp. 164-166, con ulteriori correzioni in
tit.
Appressamento della morte. Canto I
An
a
[Appressamento della] morte. Avvicinamento della [morte] Cantica Canto I
b
Avvicinamento della morte [Cantica] Canto I
g
Appressamento della morte.
V
Cantica di Giacomo Leopardi. Certi non d’altro mai che di morire. Vittoria Colonna. 1816. Cantica Canto I.
V
XXXVII.
N
[XXXVII.] XXXIX.
Nc
tit. An a dapprima la pagina recava solo l’intestazione Canto I, sopra cui fu aggiunto con altro inchiostro e in caratteri più grandi il titolo Appressa mento della morte b deve avere scritto il nuovo titolo prima di togliere quello di a, poiché ha cancellato morte dell’aggiunta (in cui te toccava lettere sottostanti) lasciando intatta la stessa parola della precedente stesura V Appressamento ... 1816 sulla prima facciata, che costituisce la copertina; Cantica | Canto I nella terza facciata, come intestazione dei versi, che seguono immediatamente
1 2 3 4 5 6 7
1
Spento il diurno raggio in occidente, E queto il fumo delle ville, e queta De’ cani era la voce e della gente; Quand’ella, volta all’amorosa meta, Si ritrovò nel mezzo ad una landa Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta. Spandeva il suo chiaror per ogni banda
Era morta la lampa [Era] [morta la] [lampa]ˆ Spento il diurno raggio
in Occidente Occidente, Occidente occidente,
2
An V An
V N
3
[La] De’ cani era la voce e de la gente; De’ gente: della gente;
An V N
4
Quand’io volto a cercare eccelsa meta i[o] i’ i’ meta, ella, volta all’amorosa meta,
An
An
An V An
6
Bella che vinto è ’ngegno di poeta. Bella, Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.
An V N
7
Spandeva
An =V An
Spandeva
ˆ
suo il
a b
a b
V N
Mi ritrova’ in mezzo a una gran landa ritrova’ in landa, ritrova[’] [in] landa ritrovai nel Si ritrovò nel mezzo ad una landa
suo chiaror per ogni banda
b
N
E languia ’l fumo sopra i tetti e queta [languia] queto queto il delle ville,
5
a
a b
N
a b
8 9 10 11
La sorella del sole, e fea d’argento Gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda. I ramuscelli ivan cantando al vento, E in un con l’usignol che sempre piagne
8
La sorella del sole e fea d’argento sole, sole,
An V N
9
Gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.
An
I rami folti gian cantando al vento vento, [gian] ivan [I rami folti ivan cantando al vento] I ramuscei cantando ivano al vento I ramuscelli ivan cantando al vento,
An V An
E ’l
An
a b
V An
g
10
11
rosignuol che sempre piagne mesto rosign[u]ol mesto rosignol [E ’l mesto rosignol che sempre piagne] E in un con l’usignol che sempre pia[n]gne co[n] l’ coll’ con l’
a b g
N
d N
10 An g i vv. 10-21 della prima stesura di An sono stati cancellati e sostituiti da una nuova stesura che comincia all’altezza del v. 10 e continua per tutto il margine destro della pagina, concludendosi in calce al testo con i vv. 20-21 An b scritti di séguito lungo tutta la larghezza della facciata 11 An b aggiunge al di sopra mesto, omesso inavvertitamente; la cancellazione in rosign[u]ol è della penna di questa prima stesura mesto inavvertitamente non cancellato
12 13 14 15 16
12
Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento. Limpido il mar da lungi, e le campagne E le foreste, e tutte ad una ad una Le cime si scoprian delle montagne. In queta ombra giacea la valle bruna,
Cantava tra le frasche [Cantava] Diceva Diceva frasche ˆ
suo lamento.
An
a b
suo
V An
g
il [Diceva tra le frasche il suo lamento] Fra’ tronchi un rivo fea dolce lamento Fra[’] Fra i lamento. 13
14
N An V An
E ’l suon d’un ruscelletto che correa
An =V An
Empiea ’l ciel di dolcezza e le campagne. [Empiea ’l ciel di dolcezza e le campagne] Le cime si scoprian de le montagne delle montagne.
16
e
Chiaro apparian da lungi le montagne montagne, [Chiaro apparian da lungi le montagne] Limpido il mar da lungi e le [mo]campagne lungi, e
ruscel[l]etto [E ’l suon d’un rusceletto che correa] E le foreste e tutte ad una ad una foreste, e 15
d
Fiorita tutta la piaggia ridea ridea, [Fiorita] Aprica [Aprica tutta la piaggia ridea] In queta ombra giacea la valle bruna bruna,
a b
N a b g
N An =V An
a b
N An V An
a b g
N
17 E i collicelli intorno rivestia 18 Del suo candor la rugiadosa luna. 19 Sola tenea la taciturna via
17
E un’ombra vaga ne la valle bruna [E un’ombra vaga ne la valle] [bruna] E a’ collicelli intorno rivestia i
18
Giù d’una collinetta discendea. [Giù d’una collinetta discendea] De’ raggi il dosso la candida luna. Del suo candor la rugiadosa luna.
18bis
19
a b
N An =V An
a b
N
Sprezzando ira di gente e di[x] fortuna di fortuna, [Sprezzando ira di gente e di fortuna]
An V An
a
Pel muto calle i’ gia da me diviso,
An =V An
a
[Pel muto calle i’ gia da me diviso] Solo i’ tenea la taciturna via Sola tenea
b
b
N a
[Cui vestia ’l lume de la bianca] [luna]
An =V An
Quella vaghezza rimirando fiso fiso, [Quella vaghezza rimirando fiso]
An V An
a
19bis Cui vestia ’l lume de la bianca luna.
19ter
An =V An
19 An
(silenziosa)
18bis V ed. Volta fortuna senza virgola 19 An var. nel testo fra taciturna e via
b
b
20 21 22 23 24
20
21
La donna, e il vento che gli odori spande, Molle passar sul volto si sentia. Se lieta fosse, è van che tu dimande: Piacer prendea di quella vista, e il bene Che il cor le prometteva era più grande.
Sentia l’auretta che gli odori spande spande, [Sentia l’auretta che gli odori spande] E ’l venticello che gli odori spande La donna, e il vento che gli odori spande, Mollissima passarmi sopra ’l viso. [Mollissima passarmi sopra ’l viso.] Molle passar sul viso mi sentia volto si sentia.
22
Se
lieto
i’ fossi è van che tu dimande.
[lieto]ˆ [i’] lieto [Seˆ] Se Se lieta 23
24
An V An
a b
N An =V An
a b
N An =V An
a b g
fosse,
dimande:
N
Grand’era ’l ben ch’aveva ed era ’l bene aveva, ed [’]l aveva ed [’]l il il Piacer prendea di quella vista, e il bene
An V An
Onde speme nutria di quel più grande. nutria, di Che il cor le prometteva era più grande.
An V N
a b
N
20 An S forse su altra lettera (s?) 22 An b cancella i’ e (forse anche per occultarne l’apostrofo) riscrive lieto al di sopra, con segno di inserzione sotto [lieto] di a, poi cancellato anch’esso e riscritto dopo Se g riscrive anche Se sopra la riga, per maggiore chiarezza
25 26 27 28 29
25
26
27
Come fuggiste, o belle ore serene! Dilettevol quaggiù null’altro dura, Nè si ferma giammai, se non la spene. Ecco turbar la notte, e farsi oscura La sembianza del ciel, ch’era sì bella,
Ahi son fumo quaggiù l’ore serene serene! [Ahi son fumo quaggiù l’ore serene] Come fuggiste o belle ore serene! fuggiste, o
An V An
Un momento è letizia e ’l pianto dura letizia, dura. [Un momento è letizia e ’l pianto dura] La gioia al mondo ahi tanto poco dura Dilettevol quaggiù null’altro dura,
An V An
[E]Ahi
An
Ahiˆ
saggezza è la tema, error Lla spene. saggezza [è la tema],
An V N
29
La gran faccia del ciel ch’era sì bella bella, La sembianza del ciel, ch’era sì bella,
An V N
ed. Volta dura, A su E imbrunir reca su u un accento grave cancellato nel margine, di penna diversa
b
a b
Ecco imbrunir la notte e farsi scura notte, e Ecco turbar la notte, e farsi oscura
26 V 27 An a 28 An a var.
a
N
28
(imbruna ... e si fa)
b
N
la tema è Ahi la tema è saggezza, error la spene. V [Ahi la tema è saggezza, error la spene.] An Che del ben non c[e]i stanzia altro che spe[m]ne. Nè si ferma giammai, se non la spene. N
28 An
a
g
30 31 32 33 34 35
30
E il piacere in colei farsi paura. Un nugol torbo, padre di procella, Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto, Che più non si scopria luna nè stella. Spiegarsi ella il vedea per ogni canto, E salir su per l’aria a poco a poco,
E la dolcezza in cor farsi paura. E il piacere in colei
An =V N
31
Un nugol torbo padre di procella torbo, procella, torbo, procella,
An V N
32
Sorgea di dietro ai monti e crescea tanto
An =V N
monti, e 33
Che
tanto,
non si vedea più luna nè stella.
Cheˆ
[più] più Ch[e] [più] [non] [si vedea] Ch’omai non apparia Che più non si scopria
34
35
An =V An
N An V An
E salir su per l’aria e a poco a poco [e] l’aria a poco a poco,
An
(si fa)
30 An var. nel margine, di penna diversa
b g
Io ’l mirava aggrandirsi d’ogni canto canto, [Io] [’]l [mirava] [aggrandirsi] [d’] canto Spiegarsi io lo vedea per Spiegarsi ella il vedea per ogni canto,
30 An
a
a b
N
V
a b
36 37 38 39
36
37
38
39
E far sovra il suo capo a quella ammanto. Veniva il poco lume ognor più fioco; E intanto al bosco si destava il vento, Al bosco là del dilettoso loco.
Al ciel sopra mia testa farsi manto. E Al E al E far sovra il suo capo a quella ammanto.
An
a b
V N
Veniva ’l lume ad ora ad or più fioco fioco, [’]l fioco il Veniva il poco lume ognor più fioco;
An V An
a b
N
E [tra] [le] [frasche] [g] intanto tra le frasche An Lcrescea ’l vento [i]ntanto ’ntanto ’ntanto ’l vento, V ’ntanto [’]l vento An il [’ntanto] [crescea] ingagliardiva [ingagliardiva] si svegliava E intanto al bosco si destava il vento, N
a
E
a
sbatteva le piante
del bel
loco,
le belle sbatte[v]a [le] An [le belle] [sbattea] [piante]ˆ del [bel] gli arbori sbattea dolce Al bosco là del dilettoso loco.
An =V b
b g d e
g
N
36 An b E aggiunto a sinistra in alto prima di A l, la cui maiuscola non è stata modificata
40 41 42 43
40
E si fea più gagliardo ogni momento, Tal che a forza era desto e svolazzava Tra le frondi ogni augel per lo spavento. E la nube, crescendo, in giù calava
E si facea più forte ogni momento [si] [facea] [più] [forte] tanto ingagliardiva a E si fea più gagliardo ogni momento,
41
[S] Con tale uno stridor che
An =V An
a b
N An
a
V An
b
Lsvolazzava Con tale [Con tale uno stridor] [che] Lsvolazzava Che ne strideano i rami [e] e E tal che n’era scosso [E] [t]al che [n’]era Tal a forza era 42
43
e Lsvolazzava [sco]s[s]o desto
N Nc
[Già] [muto] [’l] [rosig] Tra le fronde ogni augel per lo spavento spavento. [Tra] [le fronde] spavento Desto e cheto Tra le frondi spavento.
An
a b
V An
g
E la nube crescendo in giù calava
An =V N
nube, crescendo,
N
41 An a forse volle scrivere stridòr, ma in ogni caso l’accento grave si trovava su r ed è stato cancellato; zz di svolazzava è scritto su va. b riscritto e, confuso per troppo inchiostro e che intaccava Già del v. 42, ha riscritto anche Già, sebbene appartenesse a una stesura abbandonata, e lo ha sùbito cancellato 42 An b scritto di séguito ad a
44 45 46 47 48
Ver la marina sì, che l’un suo lembo Toccava i monti, e l’altro il mar toccava. Già tutto a cieca oscuritade in grembo, S’incominciava udir fremer la pioggia, E il suon cresceva all’appressar del nembo.
44
Ver la marina sì che l’un suo lembo marina, sì marina sì,
An V N
45
Toccava [i] i monti e l’altro il [mondo]. mar Ltoccava. Toccava i monti e l’altro il mar toccava. monti, e
An V N
Pareva ’l loco d’ombra muta
An
a
[Pareva ’l loco d’ombra] muta
V An
b
Lgrembo E tutto a [muta] muta oscuritade ˆ Già tutto a cieca oscuritade in grembo,
N
46
Lin grembo Lgrembo,
47
Di notte senza lampa chiusa
cella,
[Di notte] [chiusa] Qual una riposta S’incominciava udir fremer la pioggia, 48
E crescea
l’ombra
An =V An
45 An non cancellato inavvertitamente il punto dopo [mondo] 46 An b muta ripetuto sopra la riga e sùbito cancellato
a b
N
a lo ’ngrossar An Ldel nembo. V
’l bujo bu[j]o buio [E] [c]resce[a] [l’] [ombra] a l[o] [’]ngrossar Cresceva il buio a l’ ingrossar E il suon cresceva all’appressar
a
An N
a a b b
49 50 51 52
Dentro le nubi in paurosa foggia Guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi; E n’era il terren tristo, e l’aria roggia. Discior sentia la misera i ginocchi;
48bis Già cominciava ’l suon de la procella procella, [’]l procella il
An V An
48ter E di lontan s’udiva urlar la pioggia
An
48quat Come lupi d’intorno a morta agnella.
An
49
Entro le nubi in paurosa foggia [E]ntro Dentro Dentro
An
50
Guizzavan lampi e mi fean batter gli occhi occhi, lampi, e la occhi;
An V N
51
E n’era ’l terren tristo e l’aria roggia.
An =V An
tristo, e
48bis
a b
a b
N
I’ sentia già scrollarmisi
i ginocchi
[I’ sentia] [già] [scrollarmisi]ˆ Tremoli io mi sentia sciorsi [Tremoli] [io mi sentia][sciorsi] I’ sentia già disciormisi I’ sentia [già] ˆ già I’ [già] ˆ sentia già Discior sentia la misera
i ginocchi
la terzina 48bis-quater è stata soppressa in N
b
V
[’]l il 52
a
An =V An
a b g
[i ginocchi] i ginocchi
d e
i ginocchi;
N
53 54 55 56 57
53
E già muggiva il tuon simile al metro Di torrente che d’alto in giù trabocchi. Talvolta ella ristava, e l’aer tetro Guardava sbigottita, e poi correa, Sì che i panni e le chiome ivano addietro.
Ch’e’
tuoni brontolavano a quel metro t[u]oni [Ch’e’] tuoni Ch’i
An
=V Ch[’][i] [tuoni] brontolava[no] [a quel metro] An Che il tuon simile al metro E già muggiva il tuon simile al metro N 54
Che torrente vicin che giù
An
a b g d
a
Ltrabocchi. =V [Che] [torrente] [vicin] [che] [giù] An Di fiume qual da rotta alpe [qual] che Di torrente che d’alto in giù trabocchi. N 55
56
Talotta i’ mi sostava e l’aer tetro Talo[tt]a Talora Talora i[’] io Tavolta ella ristava, e Guardava spaurato e poi correa sbigottita, e correa,
57
Sì ch’ i panni e le chiome ivano addietro. ch[’] che
b g
An
a b
V An
g
N An =V N Nc An =V An
a b
58 59 60 61 62 63
58
E il duro vento col petto rompea, Che gocce fredde giù per l’aria nera In sul volto soffiando le spingea. E il tuon veniale incontro come fera, Rugghiando orribilmente e senza posa; E cresceva la pioggia e la bufera.
E ’l duro vento col petto rompea il
rompea,
An =V N
59
Che gocce fredde giù per l’aria nera
An
60
Soffiando, sopra ’l viso mi spignea. v[is]o volto volto In sul volto soffiando le spingea.
An
61
62
63
E ’l ton veniami ’ncontra come fera tˆ on u tuon [’]ncontr[a] incontro il tuon veniale fera,
a b
V N An b V An
a
g
N
Rugghiando orribilmente senza posa orribilmente e senza orribilmente [e] senza posa, [orribilmente e] [senza posa] senza posa e ad ogni istante orribilmente e senza posa;
An
a b
V An
g
E cresceva la pioggia e la bufera.
An =V An
[E cresceva] Sormontavan E cresceva
N
N
a b
64 65 66 67
64
E d’ogn’intorno era terribil cosa Il volar polve e frondi e rami e sassi, E il suon che immaginar l’alma non osa. Ella dal lampo affaticati e lassi
E ne la selva era terribil cosa [E] [ne la selva era terribil cosa] Crosciare il prato, strepitar le piante E d’ogn’intorno era terribil cosa
65
66
67
An =V An
a b
N
[Volar] Il volar foglie e rami e polve e sassi Il volar sassi, [Il volar] [foglie e rami e polve e sassi] Il turbo aggirar polve e rami e sassi Il volar polve e frondi e rami e sassi,
An V An
E ’l rombar che la lingua dir non osa.
An =V An
a b
N a
[E] [’l rombar che la lingua dir non osa] Spignermi indietro e ricacciarmi [inna] avanti [avanti] avante E il suon che immaginar l’alma non osa. N
b
I’ non sapeva u’ fossi ed u’ m’andassi, [sapeva] vedeva vedeva andassi: [I’ non] [vedeva] [u]’ [ed u’ m’andassi] U’ fossi io non sapea Lnè dove andassi Ella dal lampo affaticati e lassi
An
a b
V An
g
N
64 An b E non cancellata, ma dissimulata da Crosciare scritto al di sopra ed. Ranieri d’ogni intorno
g
68 69 70 71 72
68
Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno, Gia pur tra il nembo accelerando i passi. Ma nella vista ancor l’era il baleno Ardendo sì, ch’alfin dallo spavento Fermò l’andare, e il cor le venne meno.
Tant’era pien di dotta e di terrore [Tant’era pien di dotta e di terrore] Copriami il viso e stretti i panni al seno Coprendo gli occhi, e seno,
69
Che non sapea più star nè mover passi. [Che non sapea più star nè mover passi] Gia pur tra ’l nembo accelerando i passi. il
70
Era ’l balen sì spesso che ’l bagliore [Era ’l balen sì spesso che ’l bagliore] Ma ne gli occhi tuttor m’era il baleno nella vista ancor l’era
71
72
An =V An
a b
N An =V An
a b
N An =V An
a b
N a
S’accendea sempre e mai non era spento spento, [S’accendea sempre e mai non era spento] Ardendo sì ch’alfin da lo spavento sì, dallo
An V An
[F] Sì ch’ [alfin] al fine i’ riste [Sì] [ch’] [al] [fine] [i’] [riste] Perch’ al fine i’ ristetti a quell’orrore. orrore, [Perch’ al fine i’ ristetti a quell’orrore] Ristetti e ’l cor mi cadde e venne meno Fermò l’andare, e il cor le meno.
An
a b
V An
g
68 ed. Ranieri seno senza virgola 71 ed. Ranieri che alfin 72 An a stesura interrotta; continua con b sulla stessa linea
b
N
N
73 74 75 76
73
74
E si rivolse indietro. E in quel momento Si spense il lampo, e tornò buio l’etra, Ed acchetossi il tuono, e stette il vento. Taceva il tutto; ed ella era di pietra.
An V An
Si stinse ’l lampo e tornò buja l’etra
An =V An
a a b
=V An
b g
bu[j]a buia [stinse] [’]l spense il lampo, e tornò buio l’etra, 75
Ed acquetossi ’l tuono e stette ’l vento. [’]l il acchetossi il tuono, e
76
a
E mi rivolsi indietro e ’n quel momento indietro; e indietro e [’]n in si rivolse indietro. E
[’]l il
Taceva ’l tutto ed io era di pietra tutto, ed i’ [’]l tutto ed i[o] il i’ tutto; ed ella pietra.
b
N
N An =V An
a b
N An V An
a b
N
74 An b impossibile dire se la prima correzione sia contemporanea delle altre V ed. Volta buja 76 An non vi è alcuna interpunzione perché è il primo verso di una terzina che nella cantica continua: E sudava e tremava che la mente | Quando (a, Come b = V) ’l rimembra, per l’orror s’arretra. (arretra; V)
XL. DAL GRECO DI SIMONIDE.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
Ogni mondano evento È di Giove in poter, di Giove, o figlio, Che giusta suo talento Ogni cosa dispone. Ma di lunga stagione Nostro cieco pensier s’affanna e cura, Benchè l’umana etate, Come destina il ciel nostra ventura, Di giorno in giorno dura. La bella speme tutti ci nutrica Di sembianze beate, Onde ciascuno indarno s’affatica: Altri l’aurora amica, Altri l’etade aspetta; E nullo in terra vive Cui nell’anno avvenir facili e pii Con Pluto gli altri iddii La mente non prometta. Ecco pria che la speme in porto arrive, Qual da vecchiezza è giunto E qual da morbi al bruno Lete addutto; Questo il rigido Marte, e quello il flutto Del pelago rapisce; altri consunto Da negre cure, o tristo nodo al collo Circondando, sotterra si rifugge. Così di mille mali I miseri mortali Volgo fiero e diverso agita e strugge. Ma per sentenza mia, Uom saggio e sciolto dal comune errore Patir non sosterria,
32 33
An N Nc
Anp
Nè porrebbe al dolore Ed al mal proprio suo cotanto amore.
(Bibl. Naz. Napoli, X. 1) pp. 167-168 nella sezione Frammenti
I vv. 10-18 si trovano anche in una delle Operette morali, il cui autografo (Bibl. Naz. Napoli, IX, pp. 149-198) comincia (p. 149) 6. Luglio - 13. 1 Agosto. 1824 | Il Parini o vero della Gloria e nel cap. X (p. 191) reca la traduzione di Simonide nel seguente contesto: Ma come, secondo il detto di Simonide (29),2 La bella speme tutti ci nutrica3 ..... La mente non prometta; così di mano in mano che altri per prova è fatto certo della vanità della gloria, la speranza quasi cacciata e inseguita di luogo in luogo, in ultimo non avendo più dove riposarsi in tutto lo spazio della vita, non perciò vien meno,4 ma passata di là dalla stessa morte, si ferma nella posterità.5 Anp potrebbe derivare da una redazione anteriore ad An (vd. per es. v. 13), ma qui si colloca dopo An perché, anche se in certi punti presenta una elaborazione parallela (vd. per es. v. 12), ha però avuto vita autonoma, tanto che il testo dei versi citati nell’edizione napoletana dell’operetta morale non coincide con quello pubblicato nell’edizione napoletana dei canti, e la divergenza fu mantenuta in Nc. Per questo motivo, nella presente edizione i versi dell’operetta morale si distinguono per mezzo di un corpo tipografico minore.
tit.
Simonide | (Stobeo)
An
XXXVIII.
N
| DAL GRECO DI SIMONIDE.
[XXXVIII.] | DAL GRECO DI SIMONIDE. XL.
M27 F34 N(op)
Nc
Le edizioni a stampa dell’operetta Il Parini ovvero della gloria si trovano in Operette morali | del conte | Giacomo Leopardi | Milano | presso Ant. Fort. Stella e Figli | MDCCCXXVII. (i versi a p. 154) Operette morali | di Giacomo Leopardi | Seconda edizione | con molte aggiunte e correzioni | dell’autore. | Firenze | presso Guglielmo Piatti | 1834. (i versi a p. 166) Operette morali | di | Giacomo Leopardi. | Terza edizione | corretta, ed accresciuta | di operette non più stampate. | Volume I. | Napoli, | presso Saverio Starita | Strada Quercia n. 14., e Strada Toledo n. 50. | 1835. (i versi a p. 178). I versi di M27 sono apparsi anche nel periodico milanese Corriere delle Dame (10 novembre 1827, p. 358) con l’avvertenza: «Questi versi sono del greco Simonide, e li riferisce in una operetta il conte Giacomo Leopardi»; recano il titolo La Speranza e presentano alcune divergenze da M27 che sono arbitrio della redazione o trascuratezza del tipografo (v. 12 si affatica, – 13 il mese, e quale - 17 altri Idii); al v. 18 prometta seguito da punto fermo perché è la fine del passo
tit. An
1 2
3 4 5
medesima penna (diversa da quella del testo) usata per l’identica intestazione in XLI. Dello stesso
13 con 3 che modifica un precedente 2 (29), aggiunto successivamente sovrapponendo una parentesi su una virgola precedente; a margine la citazione ap. Stob. c. 96 ed. Gesn., contemporanea del testo, e sopra alla quale è stata aggiunta in un secondo momento, con la stessa penna di (29), l’avvertenza per il tipografo: (29) Nota appiè del tomo. il passo è tutto sottolineato per essere stampato in corsivo a margine la variante perisce. M27: «Simonide (30),» – «così, di mano in mano» – «speranza, quasi» – p. 254 nota riferita a p. 154: «Ivi. (30) Appresso a Stobeo, ed. Gesner. Tigur. 1559, serm. 96, p. 529.» F34: «Simonide (34),» – p. 289 nota ripetuta da M27 (per errore, poiché in questa edizione si riferisce a p. 166 mentre la nota che precede si riferisce a p. 165): «Ivi (34) Appresso» ecc. «pag. 529.» N(op): «Simonide (37):» – nota a p. 196: «Pag. 178. (37) Appresso» ecc. N(op)c: «Simonide (37) [:],»
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Ogni mondano evento È di Giove in poter, di Giove, o figlio, Che giusta suo talento Ogni cosa dispone. Ma di lunga stagione Nostro cieco pensier s’affanna e cura, Benchè l’umana etate, Come destina il ciel nostra ventura, Di giorno in giorno dura. La bella speme tutti ci nutrica
1
Ogni mondano evento
An
2
È di Giove in poter, di Giove, o figlio,
An
3
Che giusta suo talento
An
4
Ogni cosa dispone.
An
5
Ma di lunga stagione
An
6
Nostro cieco pensier s’affanna e cura, c[u]ra, cúra, cura,
An
7
Benchè l’umana etate,
An
8
Come destina il Ciel nostra ventura, [C]iel ciel
An Nc
9
Di giorno in giorno dura. d[u]ra. dúra. dura.
An
10
La bella speme tutti ci nutrica
a b
N
a b
N An =Anp
6 An b per l’accento cf. v. 9 An e XLI. Dello stesso v. 1 e 12 9 An b vd. v. 6 An app. crit. 10 è il primo dei versi citati nell’operetta morale Il Parini (vd. qui p. 648 Anp)
11 12 13 14 15
11
Di sembianze beate, Onde ciascuno indarno s’affatica: Altri l’aurora amica, Altri l’etade aspetta; E nullo in terra vive
Di sembianze beate beate,
An
beate, beate;
12
Anp M27
Per che ciascuno indarno s’affatica;
An =Anp
[Per che] Onde s[’]affatica; si affatica; si affatica:
13
14
=Anp Anp
b g
F34
N
si affatica;
N(op)
E quale il mese e quale il dì che amica
An Anp
Altri l’aurora amica,
N
15
aspetta;
An
a
b
=Anp F34
b
N
E nullo in terra vive
An =N
E nullo i passi affretta E nullo in terra il mortal corso affretta,
Anp F34
etate etate,
a
An
Altri l’etade aspetta;
15bis Per questa breve
a b
F34
=Anp
aspetta[,] aspetta;
a
b
s’affatica:
Gli fia la sorte aspetta,
a
An
Ed altri il mese ed altri il dì che amica E[d] [altri] e[d] [altri] E quale e quale Altri l’aurora amica, altri l’etate
O la stagione
a b
Anp M27
12 Anp b [Per] [che] 15 Anp i vv. 15-15bis della citazione nell’operetta morale corrispondono a un unico verso della traduzione nei canti, e furono ridotti a un solo verso anche in N(op)
16 17 18 19 20 21 22 23 24
16
17
Cui nell’anno avvenir facili e pii Con Pluto gli altri iddii La mente non prometta. Ecco pria che la speme in porto arrive, Qual da vecchiezza è giunto E qual da morbi al bruno Lete addutto; Questo il rigido Marte, e quello il flutto Del pelago rapisce; altri consunto Da negre cure, o tristo nodo al collo
Cui ne l’anno avvenir facili e pii
An
nell’
Anp
nell’
N
Con Pluto gli altri iddii
An =Anp
18
La mente non prometta. prometta;
An =N Anp
19
Ecco pria che la speme in porto arrive,
An
20
Tal da vecchiezza è giunto Qual
An N
21
E tal da’ morbi al nero Lete addutto: qual da addutto; [nero] bruno
An N Nc
22
Questo il rigido Marte e quello il flutto Marte, e
An N
23
Del pelago rapisce: altri consunto rapisce;
An N
24
Da l’egre cure, o tristo nodo al collo Dall’ Da[ll’][e]gre negre
An N Nc
16 Anp 18 Anp
a giudicare dalla linea con cui termina e, potrebbe avere scritto ne l’ e poi cambiato in nell’ è il verso finale della citazione nell’operetta morale, ed ha prometta; con punto e virgola perché dopo la citazione il testo continua (vd. qui p. 648 Anp)
25 26 27 28 29
Circondando, sotterra si rifugge. Così di mille mali I miseri mortali Volgo fiero e diverso agita e strugge. Ma per sentenza mia,
25
Circondando, la luce alma rifugge. [la luce alma] sotterra si
An
26
Così di mille mali
An
27
I miseri mortali
An
28
Volgo fiero e diverso agita e strugge.
An
29
Ma
An
se credesse a la sentenza mia, se [credesse] [a] [la sentenza mia,] ˆ d’errore uscisse a dritta via, [Ma] [se] [d’errore uscisse] [a dritta via] Ma se dal vano errore Ma per sentenza mia,
29 An
a b
a b g
N
Ma se dal vano errore Uscisse a dritta via. Ma se men vano errore Seguisse e miglior via. Ma se pensier migliore Tenesse e miglior via. Ma se l’antico errore Cangiasse a [mig] dritta via. MA SE DAL VANO ERRORE MAI SI RECASSE A LA DIRITTA VIA. ritornasse. a men distorta. Ma se la mente da l’antico errore Mai riducesse a la diritta via. a certa via. a giusta. a più saggia via. men falsa. men fallace. bugiarda. Pur si recasse, s’arrecasse, si volgesse.
29 An b vd. 30 An app. crit. g sostituisce il verso di An b con due versi scritti di séguito sotto la cancellazione: Ma se dal vano errore Mai si recasse a men distorta via,
30 31 32 33
Uom saggio e sciolto dal comune errore Patir non sosterria, Nè porrebbe al dolore Ed al mal proprio suo cotanto amore.
30
Mai si recasse a men distorta via, Uom saggio e sciolto dal comune errore
An N
31
Patir non sosterria sosterria,
An N
32
Nè fra tanto dolore porrebbe al
An N
33
L’uomo al suo proprio mal porrebbe amore. Ed al mal proprio suo cotanto amore.
An N
30 An
vd. 29 An g app. crit. la d di distorta dissimula la virgola dopo mia di 29 An a
XLI. DELLO STESSO.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24
Umana cosa picciol tempo dura, E certissimo detto Disse il veglio di Chio, Conforme ebber natura Le foglie e l’uman seme. Ma questa voce in petto Raccolgon pochi. All’inquieta speme, Figlia di giovin core, Tutti prestiam ricetto. Mentre è vermiglio il fiore Di nostra etade acerba, L’alma vota e superba Cento dolci pensieri educa invano, Nè morte aspetta nè vecchiezza; e nulla Cura di morbi ha l’uom gagliardo e sano. Ma stolto è chi non vede La giovanezza come ha ratte l’ale, E siccome alla culla Poco il rogo è lontano. Tu presso a porre il piede In sul varco fatale Della plutonia sede, Ai presenti diletti La breve età commetti.
An I
II
(Bibl. Naz. Napoli, X. 1) in due redazioni: di séguito alla stesura An di XL. Dal greco di Simonide, con molte correzioni e varianti (e seguita immediatamente dalla traduzione poetica con l’intestazione Alessi [T]turio | (Ateneo 463.) «Questa che chiaman vita sollazzevole,» = ed. crit. F. Moroncini, Opere minori approvate di G. Leopardi, I, Bologna 1931, pp. 298-301, e vd. Tutte le opere di G. Leopar di ed. Flora, Le poesie e le prose, I, p. 459) copia di una avanzata elaborazione di An I, con alcuni ritocchi contemporanei a quelli di An I e con ulteriori correzioni
tit.
Simonide | (Stobeo)
An I
II | DELLO STESSO
II
a
[II] XXXIX.
b
[XXXIX.] XL.
g
XXXIX. | DELLO STESSO.
N
[XXXIX.] XLI.
Nc
N Nc
pp. 169-170 nella sezione Frammenti
tit. An I
stessa penna (diversa da quella del testo) usata anche per l’identica intestazione in XL. Dal greco di Simonide i numeri romani non sono di mano di Leopardi
II
1 2 3 4 5 6 7 8
Umana cosa picciol tempo dura, E certissimo detto Disse il veglio di Chio, Conforme ebber natura Le foglie e l’uman seme. Ma questa voce in petto Raccolgon pochi. All’inquieta speme, Figlia di giovin core,
Umana cosa picciol tempo dura; d[u]ra[;] dúra, dúra, d[ú]ra, dura,
An I
a b
II
a b
2
E certissimo detto
An I
3
Disse il vate di Chio; [vate] Chio[;] ˆ veglio Chio,
An I
4
Conforme ebber natura
An I
5
Le foglie e l’uman seme.
An I
6
Ma questa voce in petto
An I
7
Raccolgon pochi: a la beata speme pochi[:] [a] pochi. A [la] [beata] l’inquieta A l’inquieta speme, All’
An I
Figlia di giovin core core,
An I II
1
8
1 An I 3 An I
a b
a b g
II
a
trasforma il punto e virgola in una virgola prolungando a fino a raggiungere il punto, con la stessa penna con cui pone l’accento acuto (per cui vd. v. 12 An I b e cf. XL. Dal greco di Simonide 6 e 9) impossibile dire se la cancellazione del punto sopra la virgola sia contemporanea all’inserzione di veglio
9 10 11 12
9
Tutti prestiam ricetto. Mentre è vermiglio il fiore Di nostra etade acerba, L’alma vota e superba
Ognun dà luogo. Insin che vive il fiore An I [Ognun] [dà] [luogo] [Insin] [che] [vive]
9-10 Nullo nega ricetto.
Mentre verzica v[e]rzica vérzica [Nullo nega ricetto] [Mentre vérzica] [il fiore] Ciascun diamo ricetto. Mentre verdeggia il fiore
a b g d
Ciascun diamo ricetto. [Ciascun] [diamo] Tutti prestiam
10
Mentre verdeggia il fiore [verdeggia] è vermiglio
An II
a b
11
Di nostra etate acerba, eta[t]e etade etate [etate] etade
An I
a b
II
a b
L’alma vota e superb[i]a v[o]ta vóta
An I
a b
12
II
a b
9
9 An I Insin che vive. MENTRE GODIAMO. 12 An I leve. ignara. 9 An I b l’endecasillabo 9 An I a è stato sostituito dai due settenari 9-10 An I b che tanto in questa fase quanto in An I g e d sono scritti di séguito su una medesima linea, e su due linee successive in An II 11 ed. Ranieri acerba senza virgola 12 An I a scritto per errore superbi (forse per anticipazione del plurale nel v. 13), ha trasformato i in a dissimulando il punto con un ampio svolazzo vd. v. 1 An I app. crit.
13 14 15 16 17
Cento dolci pensieri educa invano, Nè morte aspetta nè vecchiezza; e nulla Cura di morbi ha l’uom gagliardo e sano. Ma stolto è chi non vede La giovanezza come ha ratte l’ale,
vota
II
13
Cento dolci pensieri educa invano,
An I
14
Nè morte aspetta nè vecchiezza; e nulla
An I
15
Cura di morbi ha l’uom gagliardo e sano.
An I
16
Stolto
An I
chi non
s’avvede [s’][av]vede Ma chi non vede [Ma chi non vede] Stolto chi non s’avvede Ma stolto è chi non vede [Ma] [s]tolto [vede] Stolto s’avvede [Stolto] [è] [chi non] [s’av]vede Ma stolto è chi non vede [non vede] non vede [S]tolto ˆ stolto è stolto è
17
La giovanezza come ha ratte l’ale
a b g
II
a b g d
An I
13 An I voglie e pensieri. folli desiri. pensieri e cento. agita. sogni beati. 16 An I Ben folle è chi non vede. Ma stolto è chi. [f]Folle chi. Pur folle 16 An II b aggiunge s’avvede di séguito a [vede] d in g aveva posto non al di sopra di [s’av], ma la scrittura doveva essere riuscita poco chiara, anche perché non copriva la parte inferiore della seconda g di gagliardo (v. 15), e perciò ha cancellato tutto, riscrivendo non vede di séguito a [s’av]vede sulla linea di An II g
18 E siccome alla culla 19 Poco il rogo è lontano. 20 Tu presso a porre il piede
ale, 18
II
E come il rogo è presso de la culla. An I [come] [il] [rogo] [è] [presso] [de] [la] [culla] siccome a la culla a la II alla
19
Poco il rogo è lontano. rogo [il] [lo] è lontano.
An I II
20
Tu del fato mortale [del] [fato] [mortale] finchè ponga il piede [finchè] pong[a] fin che ponghi fin [che] finchè [finchè] [ponghi] pria di porre finchè ponghi [finchè] [ponghi] ˆ pria di porre pr[ia] [di] porre
An I
a b a b
a b g d e
II
a b
Nc
20 An I mentre ponga. IN SUL VARCO FATALE. ne lo stagno. in su l’onda. IN SUL VARCO FATALE DE LA TARTAREA SEDE. Tu fin ch’al segno (varco) aggiunga e la fatale Onda (Ora) ti prema e la tartarea sede. plutonia (iam te premet nox fabulaeque manes Et domus exilis plutonia Horat.) 18 An I b l’endecasillabo 18 An I a è stato sostituito dai due settenari 18 An I b e 19 An I scritti di séguito su una medesima linea, e su due linee successive in An II 20 An I i vv. 20-21 dicono nella stesura a Tu del fato mortale | Fatto pensoso e de l’inferna sede e successivamente Tu finchè ponga il piede | Ne la ripa fa tale, ecc.
21 22 23 24
In sul varco fatale Della plutonia sede, Ai presenti diletti La breve età commetti.
presso a 21
22
23
24
a b
Fatto pensoso e de l’inferna sede [Fatto pensoso e de l’inferna sede] Ne la ripa fatale, [Ne] [la ripa] In sul varco fatale[,]
An I
Ond’hai vicino il piede, [Ond’hai vicino il piede] De la tartarea sede, [tartarea] plutonia De la plutonia Della
An I
II
a b
A’ presenti diletti A[’] i A i Ai [i]
An I
a b a b
La dubbia età commetti. [dubbia] breve
An I Nc
23 An I soavi 24 An I breve
g d a b g
II
AUTORI CITATI DA LEOPARDI
Si indicano gli autori citati da Leopardi nelle note ai canti; la cifra romana è il numero d’ordine del canto, quella araba è il numero del verso a cui si riferisce la nota che contiene la citazione. A DRIANI Marcello il Giovine (15331604) VI. 23 ALAMANNI Luigi (1495-1556) V. 50 VI. 7 VII. 3 51 85 VIII. 57 IX. 64 ALBERTI Francesco, Nuovo dizionario francese-italiano e italiano-francese, Bassano-Venezia, Remondini, 1777 IX. 24 ALFIERI Vittorio (1749-1803) III. 155 ALIGHIERI Dante (1265-1321) VI. 40 VII. 68 VIII. 45 IX. 48 ARIOSTO Ludovico (1474-1533) II. 51 IV. 101 V. 48 VII. 9 64 69 IX. 17 68 ARNOBIO di Sicca (m. ca. 327 d.C.) II. 194 BALDI Bernardino (1553-1617) II. 179 V. 48 BARTOLI Daniello (1608-1685) IV. 85 V. 3 60 BEMBO Pietro (1470-1547) II. 95 III. 35 VI. 23 VIII. 23 IX. 24 64 68 BENIVIENI Girolamo (1453-1542) VIII. 51 B U T I Francesco di Bartolo da (ca. 1324-1406) IX. 41 C A L L I M AC O di Cirene (ca. 3 1 0 - 2 4 0 a.C.) VIII. 73
CARO Annibale (1507-1566) II. 92 IV. 21 VIII. 44 103 IX. 49 68 CASA Giovanni della (1503-1556) I. 13 II. 44 187 III. 46 148 IV. 66 V. 3 6 32 50 60 VI. 33 64 VII. 16 48 85 VIII. 10 IX. 27 39 56 CASTELVETRO Lodovico (1505-1571) II. 184 CASTIGLIONE Baldassarre (1478-1529) II. 180 V. 50 VII. 9 VIII. 53 CELLINI Benvenuto (1500-1571) IV. 90 V. 35 VIII. 23 102 IX. 68 CESARE Gaio Giulio (102-44 a.C.) II. 44 CHIABRERA Gabriello (1552-1 6 3 8 ) II. 47 200 IV. 23 V. 60 VII. 3 CICERONE Marco Tullio (106-43 a.C.) I I . 44 194 III. 105 V I . t i t . V I I . 6 9 VIII. 24 CONTI Giusto de’ (ca. 1379-1449) III. 70 IV. 13 44 CRUSCA Vocabolario degli Accademici della —, a cura di A. Cesari, Verona, Ramanzini, 1804-1806 I. 114 II. 47 182 187 194 III. 18 35 114 123 148 149 IV. 45 V. 3 6 22 35 VI. 33 40 54 58 VII. 9 21 37 64 68 69 76 79 VIII. 10 23 61 85 100 102 103 105 115 116 IX. 15 28 36 37 39 41 58 68 DAVANZATI Bernardo (1529-1606) VII. 69 IX. 68
DEMOSTENE (384-322 a.C.) V. 14 D I C O S TA N Z O Angelo (ca. 1 5 0 7 1591?) II. 67 84 190 III. 15 46 V. 6 29 60 VII. 2 10 ESIODO VI. 30 FEDRO (ca. 15 a.C. - 50 d.C.) II. 44 F E R R A R I U S Philippus (e Baudrand Michael Antonius), Lexicon geo graphicum, Parisiis, Muguet, 1670 II. 139 FILICAIA Vincenzo da (1642-1707) II. 67 FIRENZUOLA Agnolo (1493-1543) VII. 3 FORCELLINI, Totius Latinitatis lexicon consilio et cura Jacobi Fa c c i o l a t i opera et studio Aegidii Forcellini ... lucubratum, editio altera locupletior, Patavii, Typis Seminarii, 1805 I. 114 II. 44 194 III. 31 118 IV. 95 V. 4 23 27 VI. 80 90 VII. 69 85 VIII. 3 44 53 68 74 96 102 104 113 116 117 IX. 5 32 36 64 FRONTONE Marco Cornelio (ca. 100 ca. 166 d.C.) II. 194 GENESI VIII. 72 GIORDANI Pietro (1774-1848) III. 163 GIOVANNI Crisostomo (344/7-407) V. 22 50 VI. 33 GIUSTINO Giuniano (forse sec. II d.C.) II 44 GUARINI Battista (1538-1612) I. 18 III. 148 IV. 7 37 VII. 2 53 XV. 41 GUICCIARDINI Francesco (1483-1540) II. 149 VIII. 80 GUIDICCIONI Giovanni (1500-1541) III. 83 VII. 3
ISCRIZ. TRIOP. G. Leopardi, Inscrizioni greche triopee recate in versi italiani con testo e note, 1816 IX. 43 ISOCRATE (sec. V-IV a.C.) V. 23 VI. tit. LOLLIO Alberto (ca. 1508-1568) VII. 47 IX. 68 MACHIAVELLI Niccolò (1469-1527) III. 1 IV. 23 VIII. 51 109 XVIII. 18 MARZIALE Marco Valerio (40?-101? d.C.) VIII. 3 MENZINI Benedetto (1649-1704) II. 95 MOLZA Francesco Maria (1489-1544) II. 95 VII. 1 VIII. 65 MONTI Vincenzo (1754-1828) II. 182 III. 46 IV. 57 VI. 58 VII. 76 85 VIII. 4 53 IX. 16 31 39 41 43 OMERO I. 136 II. 44 VII. 26 VIII. 95 109 IX. 48 ORAZIO Flacco, Quinto (65-8 a.C.) II. 44 194 III. 46 48 163 IV. 29 45 77 VI. 58 VII. 2 42 88 VIII. tit. 15 46 54 56 116 IX. 5 7 12 15 68 XLI. 20 OVIDIO Nasone, Publio (43 a.C. - 17? d.C.) II. 194 IV. 95 VI. 119 IX. 32 58 PA L L AV I C I N O S f o r z a , Pietro (16071667) VI. 54 VII. 69 PARINI Giuseppe (1729-1799) III. 155 VI. 46 VIII. 53 PETRARCA Francesco (1304-1374) II. 84 180 III. 24 123 IV. 85 V. 48 VII. 3 46 VIII. 13 94 IX. 15 24 33 X. 53 XVIII. 15 16 28 29 33 XX. 160 PLINIO Secondo, Gaio (ca. 23-70 d.C.) VI. 35 PLUTARCO V. 23
POLIZIANO, Agnolo Ambrogini detto il (1454-1494) II. 92 III. 83 V. 8 VII. 3 IX. 50 PROPERZIO Sesto (sec. I a.C.) II. 194 PULCI Luigi (1432-1484) II. 182 RABBI Carlo Costanzo, Sinonimi e ag giunti italiani, Bassano, Remondini, 1783 I. 135 VII. 9 36 IX. 47 REGIA PARNASSI seu Palatium musa r u m,Venetiis, Typ. Balleoniana, 1740 VIII. 34 REMIGIO Fiorentino (pseud., Remigio Nannini, ca. 1521-1581) I. 18 81 III. 26 167 V. 50 VI. 18 72 VII. 1 77 RUCELLAI Giovanni (1475-1525) II. 194 IV. 21 V. 4 50 IX. 28 RUSCELLI Girolamo (m. 1566), Rima rio, Venezia, Occhi, 1760 II. 184 IV. 22 SANNAZZARO Iacopo (ca. 1456-1530) I. 135 VII. 36 IX. 32 47 SPERONI Sperone (1500-1588) IV. 22 V. 6 52 TACITO Cornelio (n. ca. 55 d.C.) II. 194 VIII. 113
TASSO Bernardo (1493-1569) V. 30 VII. 3 IX. 68 TASSO Torquato (1544-1595) II. 184 III. 147 163 IV. 22 23 66 81 V. 39 VI. 33 54 VII. 17 22 VIII. 10 117 IX. 19 27 37 XVIII. 18 28 T E R E N Z I O A f r o, Publio (ca. 1 9 5 - 1 5 9 a.C.) IX. 64 VANGELO VIII. 96 VARCHI Benedetto (1502-1565) II. 92 95 195 VI. 18 58 VIII. 24 VASARI Giorgio (1511-1574) VI. 23 VII. 69 VETTORI Pietro (1499-1585) IX. 24 VIRGILIO Marone, Publio (70-19 a.C.) I. 5 38 82 89 136 II. 44 49 60 92 107 108 110 179 194 III. 4 31 48 163 IV. tit. VI. 8 12 46 VII. 9 27 29 46 59 66 85 88 89 V I I I . 33 34 39 44 50 58 68 78 80 89 103 104 105 109 110 117 IX. 4 5 6 13bis 14 15 22 23 27 28 30 43 49 55 66 68 69 XVIII. 49 VITE (Le —) de’ SS. Padri insieme col Prato spirituale, Ve n e t i a , M i l o c o, 1618 VII. 17 47 VIII. 102
EDIZIONE FOTOGRAFICA DEGLI AUTOGRAFI
Si pubblicano, per gentile concessione, le fotografie degli autografi conservati dalla Biblioteca Leopardi in Recanati (Ar, P), dalla Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» in Napoli (An), dal Comune di Visso (Av), dal Civico Museo Storico di Como (V) e dalla Biblioteca dell’Università Jagellonica di Cracovia (Ak); è vietata ogni ulteriore riproduzione non autorizzata dagli aventi diritto. Fotografie: Industrialfoto di Mariano Buschi, Recanati (Ar, P); M.F.I. di Giovanna De Vita, Napoli (An); Elio Aureli, Visso (Av); Luigi Galli, Brunate (V).
1 — I. All’Italia 1-20 An
2 — I. All’Italia 21-40 An
3 — I. All’Italia 41-60 An
4 — I. All’Italia 61-80 An
5 — I. All’Italia 81-100 An
6 — I. All’Italia 101-120 An
7 — I. All’Italia 121-140 An
8 — II. Sopra il monumento di Dante 1-17 Ar
9 — II. Sopra il monumento di Dante 1-17 An
10 — II. Sopra il monumento di Dante 18-34 Ar
11 — II. Sopra il monumento di Dante 18-34 An
12 — II. Sopra il monumento di Dante 35-51 Ar
13 — II. Sopra il monumento di Dante 35-51 An (e vd. tav. 32)
14 — II. Sopra il monumento di Dante 52-68 Ar
15 — II. Sopra il monumento di Dante 52-68 An
16 — II. Sopra il monumento di Dante 69-85 Ar
17 — II. Sopra il monumento di Dante 69-85 An
18 — II. Sopra il monumento di Dante 86-102 Ar
19 — II. Sopra il monumento di Dante 86-102 An
20 — II. Sopra il monumento di Dante 103-119 Ar
21 — II. Sopra il monumento di Dante 103-119 An
22 — II. Sopra il monumento di Dante 120-136 Ar
23 — II. Sopra il monumento di Dante 120-136 An
24 — II. Sopra il monumento di Dante 137-153 Ar
25 — II. Sopra il monumento di Dante 137-153 An
26 — II. Sopra il monumento di Dante 154-170 Ar
27 — II. Sopra il monumento di Dante 154-170 An
28 — II. Sopra il monumento di Dante 171-187 Ar
29 — II. Sopra il monumento di Dante 171-187 An (e vd. tav. 32)
30 — II. Sopra il monumento di Dante 188-200 Ar
31 — II. Sopra il monumento di Dante 188-200 An (e vd. tavv. 33-35)
32 — II. Sopra il monumento di Dante 44, 51, 184 Anp
33 — II. Sopra il monumento di Dante 194 Anp
34 — II. Sopra il monumento di Dante 194 Anp
35 — II. Sopra il monumento di Dante 194 Anp
36 — III. Ad Angelo Mai 1-15 Ar
37 — III. Ad Angelo Mai 1-15 An
38 — III. Ad Angelo Mai 16-30 Ar
39 — III. Ad Angelo Mai 16-30 An
40 — III. Ad Angelo Mai 31-45 Ar
41 — III. Ad Angelo Mai 31-45 An
42 — III. Ad Angelo Mai 46-60 Ar
43 — III. Ad Angelo Mai 46-60 An
44 — III. Ad Angelo Mai 61-75 Ar
45 — III. Ad Angelo Mai 61-75 An
46 — III. Ad Angelo Mai 76-90 Ar
47 — III. Ad Angelo Mai 76-90 An
48 — III. Ad Angelo Mai 91-105 Ar
49 — III. Ad Angelo Mai 91-105 An
50 — III. Ad Angelo Mai 106-120 Ar
51 — III. Ad Angelo Mai 106-120 An
52 — III. Ad Angelo Mai 121-135 Ar
53 — III. Ad Angelo Mai 121-135 An
54 — III. Ad Angelo Mai 136-150 Ar
55 — III. Ad Angelo Mai 136-150 An
56 — III. Ad Angelo Mai 151-165 Ar
57 — III. Ad Angelo Mai 151-165 An
58 — III. Ad Angelo Mai 166-180 Ar
59 — III. Ad Angelo Mai 166-180 An
60 — IV. Nelle nozze della sorella Paolina 1-27 An (22-23 vd. tav. 78)
61 — IV. Nelle nozze della sorella Paolina 28-49 An
62 — IV. Nelle nozze della sorella Paolina 50-71 An
63 — IV. Nelle nozze della sorella Paolina 72-90 An
64 — IV. Paolina 91-105 An (101 tav. 78); V. A un vincitore 1-4 An
65 — V. A un vincitore nel pallone 5-26 An (e vd. tav. 68)
66 — V. A un vincitore nel pallone 27-39 (segue alla tav. 67) e 61-65 An
67 — V. A un vincitore nel pallone 40-60 An
68 — V. A un vincitore nel pallone 6 AnpI, 6-52 AnpII
69 — VI. Bruto minore 1-15 An (tit. vd. tav. 77)
70 — VI. Bruto minore 16-30 An (23 vd. tav. 77)
71 — VI. Bruto minore 31-45 An
72 — VI. Bruto minore 46-60 An (46-58 vd. tav. 78)
73 — VI. Bruto minore 61-75 An
74 — VI. Bruto minore 76-90 An
75 — VI. Bruto minore 91-105 An
76 — VI. Bruto minore 106-120 An
77 — VI. Bruto minore tit. e 23 Anp
78 — alto: VI. Bruto minore 46-58 Anp; basso: IV. Paolina 22-101 Anp
79 — VII. Alla Primavera 1-19 An
80 — VII. Alla Primavera 20-38 An
81 — VII. Alla Primavera 39-57 An (50 vd. tav. 87)
82 — VII. Alla Primavera 58-76 An (e vd. tav. 83)
83 — VII. Alla Primavera 58-76 Anf (e vd. tav. 82)
84 — VII. Alla Primavera 77-95 An (e vd. tavv. 85-86)
85 — VII. Alla Primavera 88-92 Anf
86 — VII. Alla Primavera 85 Anf
87 — VII. Alla Primavera 50 Anp
88 — VII. Alla Primavera 9-47 (sin.), 64-85 (d.) Anp
89 — VIII. Inno ai Patriarchi 1(-5 An I)-30 An (per 1-5 An II vd. tav. 95)
90 — VIII. Inno ai Patriarchi 31-58 An (e vd. tavv. 96-97)
91 — VIII. Inno ai Patriarchi 59-85 An (e vd. tavv. 98-99)
92 — VIII. Inno ai Patriarchi 86-109 An (e vd. tavv. 94 e 100)
93 — VIII. Inno ai Patriarchi 110-117 An (e vd. tav. 94)
94 — VIII. Inno ai Patriarchi 106-117 Anf
95 — VIII. Inno ai Patriarchi 1-5 An II (per 1-5 An I vd. tav. 89)
96 — VIII. Inno ai Patriarchi 51-57 Anp
97 — VIII. Inno ai Patriarchi 47-58 e 23-102 Anp
98 — VIII. Inno ai Patriarchi 65-74 Anp
99 — VIII. Inno ai Patriarchi 71-86 Anp
100 — VIII. Inno ai Patriarchi 94-109 Anf
101 — VIII. Inno ai Patriarchi 95-117, 51-80 Anf
102 — IX. Ultimo canto di Saffo 1-18 An (e vd. tav. 103)
103 — IX. Ultimo canto di Saffo 4-17 Anf
104 — IX. Ultimo canto di Saffo 19-36 An (e vd. tav. 105)
105 — IX. Ultimo canto di Saffo 23-36 Anf
106 — IX. Ultimo canto di Saffo 37-54 An (e vd. tav. 107)
107 — IX. Ultimo canto di Saffo 37-52 Anf
108 — IX. Ultimo canto di Saffo 55-72 An (e vd. tavv. 109-111 e 113)
109 — IX. Ultimo canto di Saffo 55-69 Anf
110 — IX. Ultimo canto di Saffo 68 Anf
111 — IX. Ultimo canto di Saffo 68 Anf
112 — IX. Ultimo canto di Saffo 45, 27, 19, 41, 5 Anp
113 — IX. Ultimo canto di Saffo 68 Anp
114 — IX. Ultimo canto di Saffo premessa (vd. vol. I p. 259 app. crit.)
115 — X. Il primo amore 1-31 An
116 — X. Il primo amore 32-63 An
117 — X. Il primo amore 64-94 An
118 — X. Il primo amore 95-103ter (e var. 1-56) An
119 — X. Il primo amore var. 70-100 e 30 An
120 — XII. L’infinito An
121 — XII. L’infinito Av
122 — XIII. La sera del dì di festa 1-18 An
123 — XIII. La sera del dì di festa 1-15 Av
124 — XIII. La sera del dì di festa 19-39 An
125 — XIII. La sera del dì di festa 16-33 Av
126 — XIII. La sera 40-46 e XV. Il sogno 1-12 An (per 13-33 An vd. tav. 134)
127 — XIII. La sera del dì di festa: in alto 34-46 Av; in basso 1-4 P
128 — XIII. La sera del dì di festa 5-33 P
129 — XIII. La sera del dì di festa 34-46 P
130 — XIV. Alla luna An (per P vd. tav. 163)
131 — XIV. Alla luna Av
132 — XIV. Alla luna Nc
133 — XV. Il sogno 1-16 Av (per 1-12 An vd. tav. 126)
134 — XV. Il sogno 13-33 An (per 1-12 An vd. tav. 126)
135 — XV. Il sogno 17-33 Av
136 — XV. Il sogno 34-54 An
137 — XV. Il sogno 34-52 Av
138 — XV. Il sogno 55-75 An
139 — XV. Il sogno 53-70 Av
140 — XV. Il sogno 76-96 An
141 — XV. Il sogno 71-88 Av
142 — XV. Il sogno 97-100 An e XVI. La vita solitaria 1-15 An
143 — XV. Il sogno: in alto 89-100 Av; in basso 1-5 P
144 — XV. Il sogno 6-34 P
145 — XV. Il sogno 35-63 P
146 — XV. Il sogno 64-92 P
147 — XV. Il sogno 93-100 P e XVI. La vita solitaria 1-19 P
148 — XVI. La vita solitaria 20-48 P
149 — XVI. La vita solitaria 49-77 P
150 — XVI. La vita solitaria 78-105 P (segue a tav. 162)
151 — XVI. La vita solitaria 1-16 Av (per 1-15 An vd. tav. 142)
152 — XVI. La vita solitaria 16-35 An
153 — XVI. La vita solitaria 17-36 Av
154 — XVI. La vita solitaria 36-56 An
155 — XVI. La vita solitaria 37-54 Av
156 — XVI. La vita solitaria 57-76 An
157 — XVI. La vita solitaria 55-72 Av
158 — XVI. La vita solitaria 77-97 An
159 — XVI. La vita solitaria 73-90 Av
160 — XVI. La vita solitaria 98-107 An
161 — XVI. La vita solitaria 91-105 Av
162 — XVI. La vita solitaria: in alto 106-107 Av; in basso 106-107 P
163 — XIV. Alla luna P
164 — XVII. Consalvo 1-12 An
165 — XVII. Consalvo 12-26 An
166 — XVII. Consalvo 27-41 An
167 — XVII. Consalvo 42-56 An
168 — XVII. Consalvo 57-74 An
169 — XVII. Consalvo 75-91 An
170 — XVII. Consalvo 92-108 An
171 — XVII. Consalvo 109-128 An
172 — XVII. Consalvo 129-146 An
173 — XVII. Consalvo 147-151 An
174 — XVIII. Alla sua donna 12-33 An (per 1-11 vd. tav. 177)
175 — XVIII. Alla sua donna 45-55 An
176 — XVIII. Alla sua donna 34-44 An
177 — XVIII. Alla sua donna 1-11 An
178 — XVIII. Alla sua donna 11, 10, 12, 5, 10, 4, 2 Anp
179 — XVIII. Alla sua donna 2, 11, 2, 10, 2, 18 Anp
180 — Bc I. correzioni a B24 (vd. vol. I p. 10)
181 — Bc I. correzioni a B24 (vd. vol. I p. 10)
182 — Bc II. correzioni a B24 (vd. vol. I p. 10)
183 — Bc II. correzioni a B24 (vd. vol. I p. 10)
184 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 1-22 Av
185 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 23-48 Av
186 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 49-75 Av
187 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 76-102 Av
188 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 103-128 Av
189 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 129-156 Av
190 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 157-158 Av
191 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 1-15 Ak
192 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 16-37 Ak
193 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 38-58 Ak
194 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 59-80 Ak
195 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 81-101 Ak
196 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 102-122 Ak
197 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 123-143 Ak
198 — XIX. Al conte Carlo Pepoli 144-158 Ak
199 — XX. Il risorgimento 5-8 Anp
200 — XX. Il risorgimento 1-20 An
201 — XX. Il risorgimento 21-40 An
202 — XX. Il risorgimento 41-60 An
203 — XX. Il risorgimento 61-80 An
204 — XX. Il risorgimento 81-100 An
205 — XX. Il risorgimento 101-120 An
206 — XX. Il risorgimento 121-140 An
207 — XX. Il risorgimento 141-160 An
208 — XXI. A Silvia 1-22 An (per 17 Anf vd. tav. 211)
209 — XXI. A Silvia 23-45 An
210 — XXI. A Silvia 46-63 An
211 — XXI. A Silvia 17 Anf
212 — XXII. Le ricordanze 1-19 An
213 — XXII. Le ricordanze 20-38 An
214 — XXII. Le ricordanze 39-57 An
215 — XXII. Le ricordanze 58-73quinquies An
216 — XXII. Le ricordanze 73sexies-91 An
217 — XXII. Le ricordanze 92-112 An
218 — XXII. Le ricordanze 113-133 An
219 — XXII. Le ricordanze 134-154 An (per 144-148 vd. tav. 221)
220 — XXII. Le ricordanze 155-173 An (per 162-165 vd. tav. 221)
221 — XXII. Le ricordanze 144-148 e 162-165 An
222 — XXIII. Canto notturno 1-10 An
223 — XXIII. Canto notturno 11-31 An
224 — XXIII. Canto notturno 32-38 e 105-118 An
225 — XXIII. Canto notturno 119-132 e 39-42 An
226 — XXIII. Canto notturno 43-60 An
227 — XXIII. Canto notturno 61-78 An
228 — XXIII. Canto notturno 79-96 An
229 — XXIII. Canto notturno 97-104 e 133-143 An (e vd. tavv. 224-225)
230 — XXIV. La quiete dopo la tempesta 1-20 An
231 — XXIV. La quiete dopo la tempesta 21-39 An
232 — XXIV. La quiete dopo la tempesta 40-54 An
233 — XXV. Il sabato del villaggio 1-19 An
234 — XXV. Il sabato del villaggio 20-39 An
235 — XXV. Il sabato del villaggio 40-51 An
236 — XXXIII. Il tramonto della luna 1-13 An
237 — XXXIII. Il tramonto della luna 14-29 An
238 — XXXIII. Il tramonto della luna 30-46 An
239 — XXXIII. Il tramonto della luna 47-62 An
240 — XXXIII. Il tramonto della luna 63-68 An
241 — XXXIV. La ginestra 1-13 R3
242 — XXXIV. La ginestra 14-34 R3
243 — XXXIV. La ginestra 35-51 R3
244 — XXXIV. La ginestra 52-70 R3
245 — XXXIV. La ginestra 71-90 R3
246 — XXXIV. La ginestra 91-110 R3
247 — XXXIV. La ginestra 111-131 R3
248 — XXXIV. La ginestra 132-152 R3
249 — XXXIV. La ginestra 153-172 R3
250 — XXXIV. La ginestra 173-194 R3
251 — XXXIV. La ginestra 195-214 R3
252 — XXXIV. La ginestra 215-234 R3
253 — XXXIV. La ginestra 235-253 R3
254 — XXXIV. La ginestra 254-275 R3
255 — XXXIV. La ginestra 276-296 R3
256 — XXXIV. La ginestra 297-314 R3
257 — XXXIV. La ginestra 315-317 R3
258 — XXXV. Imitazione (ms. Ranieri)
259 — XXXVI. Scherzo An
260 — XXXVII. «Odi, Melisso» 1-20 An
261 — XXXVII. «Odi, Melisso» 1-14 Av
262 — XXXVII. «Odi, Melisso» 21-28 An; in basso 1-4 P (segue alla tav. 264)
263 — XXXVII. «Odi, Melisso» 15-28 Av
264 — XXXVII. «Odi, Melisso» 5-28 P
265 — XXXVIII. «Io qui vagando»: Elegia quarta 1-27 An (vd. p. 613 app. crit.)
266 — XXXVIII. «Io qui vagando»: Elegia quarta 28-55 An
267 — XXXVIII. «Io qui vagando»: Elegia quarta 56-81 An
268 — XXXVIII. «Io qui vagando»: Elegia quarta 82-91 An
269 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 1-27 An
270 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 28-57 An
271 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 58-76 An
272 — XXXIX. «Spento» ecc. Appressamento della morte, tit. V
273 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 1-12 V
274 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 13-27 V
275 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 28-45 V
276 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 46-60 V
277 — XXXIX. «Spento il diurno raggio» 61-76 V
278 — XL. Dal greco di Simonide 1-25 An
279 — XL. Dal greco di Simonide 10-18 Anp
280 — XL. Dal greco ecc. 26-33 An; XLI. Dello stesso 1-21 An I
281 — XLI. Dello stesso 22-24 An I
282 — XLI. Dello stesso 1-16 An II
283 — XLI. Dello stesso 17-24 An II
INDICE DELLE TAVOLE
I. All’Italia 1-7 II. Sopra il monumento di Dante 8-35 III. Ad Angelo Mai 36-59 IV. Nelle nozze della sorella Paolina 60-64, 78 V. A un vincitore nel pallone 64-68 VI. Bruto minore 69-78 VII. Alla Primavera 79-88 VIII. Inno ai Patriarchi 89-101 IX. Ultimo canto di Saffo 102-114 X. Il primo amore 115-119 XII. L’infinito 120-121 XIII. La sera del dì di festa 122-129 XIV. Alla luna 130-132, 163 XV. Il sogno 126, 133-147 XVI. La vita solitaria 142, 147-162 XVII. Consalvo 164-173 XVIII. Alla sua donna 174-179 XIX. Al conte Carlo Pepoli 184-198 XX. Il risorgimento 199-207 XXI. A Silvia 208-211 XXII. Le ricordanze 212-221 XXIII. Canto notturno 222-229 XXIV. La quiete dopo la tempesta 230-232 XXV. Il sabato del villaggio 233-235 XXXIII. Il tramonto della luna 236-240 XXXIV. La ginestra 241-257 XXXV. Imitazione 258 XXXVI. Scherzo 259 XXXVII. «Odi, Melisso» 260-264 XXXVIII. «Io qui vagando»: Elegia quarta 265-268 XXXIX. «Spento il diurno raggio» 269-277 XL. Dal greco di Simonide 278-280 XLI. Dello stesso 280-283
INDICE
Premessa Per l’uso dell’edizione CANTI I. All’Italia II. Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze III. Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica IV. Nelle nozze della sorella Paolina V. A un vincitore nel pallone VI. Bruto minore VII. Alla Primavera, o delle favole antiche VIII. Inno ai Patriarchi, o de’ principii del genere umano IX. Ultimo canto di Saffo X. Il primo amore XI. Il passero solitario XII. L’infinito XIII. La sera del dì di festa XIV. Alla luna XV. Il sogno XVI. La vita solitaria XVII. Consalvo XVIII. Alla sua donna XIX. Al conte Carlo Pepoli XX. Il risorgimento XXI. A Silvia XXII. Le ricordanze XXIII. Canto notturno di un pastore errante dell’Asia XXIV. La quiete dopo la tempesta XXV. Il sabato del villaggio
XXVI. Il pensiero dominante XXVII. Amore e morte XXVIII. A se stesso XXIX. Aspasia XXX. Sopra un basso rilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accommiatandosi dai suoi XXXI. Sopra il ritratto di una bella donna, scolpito nel monumento sepolcrale della medesima XXXII. Palinodia al marchese Gino Capponi XXXIII. Il tramonto della luna XXXIV. La ginestra, o il fiore del deserto XXXV. Imitazione XXXVI. Scherzo
frammenti
XXXVII. XXXVIII. XXXIX. XL. XLI.
«Odi, Melisso» «Io qui vagando» «Spento il diurno raggio» Dal greco di Simonide Dello stesso
Autori citati da Leopardi